- prevenzione sanitaria: basato più su un approccio vertente sulla
conoscenza e sul controllo dei danni che su un attenzione preventiva
che riguarda la conoscenza e il controllo dei rischi.
Negli anni ’80 si è innescato un processo di profonda mutazione
dell’intero sistema produttivo in virtù dell’innovazione dettata
dall’introduzione della macchina a controllo numerico (computer) . In virtù
dell’indicata innovazione si è avuta una forte trasformazione strutturale
all’interno dell’azienda dove la grande concentrazione di macchine e
impianti, che caratterizzava la fabbrica del precedente ciclo, è stata divisa e
ridistribuita su un reticolo di unità aziendali di piccola-media grandezza,
trasformando tutto il quadro produttivo non solo con l’inserimento di nuove
tecnologie, ma diversificando la stessa concezione della gestione produttiva
dell’attività al fine di rispondere in maniera concreta agli stimoli offerti dai
cambiamenti tecnologici, dalle innovazioni introdotte nell’uso di macchine
ed attrezzature e dalla globalizzazione dei mercati, conseguenza principale
dell’innovazione tecnologica delle telecomunicazioni.
Il rapido succedersi delle innovazioni tecnologico-produttive, però, se
da un lato porta a conseguire un miglioramento sotto il profilo produttivo e
gestionale, dall’altro risente di carenze organizzative necessarie per il
processo di adattamento ed adeguamento degli operatori ai nuovi modelli
produttivi, finalizzati ad ottimizzare al massimo il rendimento riducendo i
tempi, con il conseguente elevato aumento degli infortuni sul lavoro. Per
ovviare e/o limitare al massimo gli infortuni è necessario che
l’organizzazione del lavoro garantisce una partecipazione attiva dei lavoratori
e nello stesso tempo una loro maggiore flessibilità (nuovi profili
professionali, lavori stagionali e part time, ecc.). In questo periodo sono gli
stessi lavoratori che, cominciando a percepire i ritmi imposti dalla tecnologia
quali fattori che influiscono sul loro logoramento fisico e psichico,
intraprendono, attraverso le organizzazioni sindacali, le prime rivendicazioni
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sulla qualità dell’ambiente di lavoro affinché siano eliminate quelle
condizioni che accentuano i rischi di eventi dannosi e di malattie
professionali. Parallelamente al progresso tecnologico, nelle società avanzate
va aumentando l’attenzione alla qualità della vita, determinando una modifica
della percezione stessa della salute che è passata, da un accezione negativa
basata solo sull’assenza di patologie, ad un’accezione positiva, quale
completo stato di benessere fisico, mentale e sociale.
All’inizio degli anni ‘90, l’evidenza dei costi umani, assicurativi e
sanitari, generati dai problemi di salute insorti per attività lavorative, nonché
le aumentate potenzialità di intervento fornite dalla ricerca scientifica e dal
livello tecnologico del nuovo modello produttivo, determinano che
l’attenzione degli organismi internazionali si focalizzi sulla necessità di
individuare interventi preventivi per la tutela della salute dei lavoratori. È in
quegli anni che l’Unione Europea promuove studi sulle cause degli incidenti
sul lavoro i cui risultati hanno dato luogo all’emanazione di normative che
mirano a tutelare ed a proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori. In
Italia la regolamentazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro
è definita dal Decreto Legislativo del 19 settembre 1994 n. 626, che traspone
nell’ordinamento italiano i principi sanciti dalla legislazione Europea.
1.2 La politica dell’unione europea in materia di sicurezza e salute dei
lavoratori
La Comunità Europea, ora Unione Europea, sorta con l’intento di
favorire l’instaurazione del mercato comune ed il superamento delle
differenze giuridiche che potessero contrastarlo, sin dalla sua origine è stata
caratterizzata da un’attenzione particolare alla dimensione sociale del suo
intervento.
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Ma la vera e propria evoluzione della politica sociale inizia dagli anni
’70 insieme alla consapevolezza che la crescita economica non può
prescindere dal progresso umano e sociale degli individui, cioè dei cittadini
europei, che operano all’interno della comunità.
Tale consapevolezza è oggetto di determinazione dei capi di Stato e di
governo al Vertice di Parigi dell’ottobre 1972 e dà luogo all’adozione, nel
gennaio 1974, del Primo programma di azione sociale comprendente
iniziative nei settori della legislazione del lavoro, dell’igiene e sicurezza del
lavoro, con il fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Tale
programma prevede la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese.
Negli anni ’80 il problema della sicurezza e della salute sul lavoro
comincia ad avere maggior rilevanza in Europa e le aree industriali più
avanzate cominciano a dare segni di enormi cambiamenti non solo a livello
tecnologico e produttivo, ma anche a livello organizzativo. La Comunità
Europea nel 1987 adotta l’Atto unico europeo, con cui riforma i Trattati di
Roma del ’57 ed inserisce a pieno titolo nella filosofia della Comunità i
problemi del lavoro e della sua tutela, disponendo che gli “Stati membri della
Comunità si impegnano a promuovere il miglioramento dell’ambiente di
lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, fissando come
obiettivo dei singoli Paesi l’armonizzazione, in una prospettiva di progresso,
delle condizioni esistenti in tale campo.” L’Atto Unico rappresenta il
rafforzamento nell’impegno di attuazione di una tutela della sicurezza e della
salute dei lavoratori. Ma è il 12 Giugno del 1989 che l’Unione Europea
emana un provvedimento generale in cui viene definito un sistema di
gestione e organizzazione delle attività di prevenzione e protezione dai rischi
sui luoghi di lavoro, la Direttiva Quadro n. 391(89/391/CEE) che coinvolge
tutti i soggetti che ruotano attorno al mondo del lavoro, pubblici e privati, i
quali devono attivamente impegnarsi a disegnare una strategia progettuale di
intervento, programmata e pianificata, che determini una riformulazione delle
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attività e dei processi lavorativi, sulla base della tutela della sicurezza e della
salute dei lavoratori. I suoi punti principali sono:
a) la totale responsabilità del datore di lavoro per la salute e la
sicurezza dei lavoratori;
b) la funzione dello Stato in veste di promotore, garante e controllore
dell’attività di prevenzione;
c) la partecipazione del lavoratore, quale diretto interessato, alla
sicurezza in azienda;
d) l’unitarietà strategica dell’attività di prevenzione.
La Direttiva oltre ad indicare i principi generali di salute e sicurezza ed
individuare i destinatari degli obblighi, propone una strategia d’azione che
consenta a questi ultimi di mutare i propri atteggiamenti e passare da un ruolo
passivo, in cui la prevenzione dei rischi è vissuta come problema, ad un ruolo
in cui essi stessi sono soggetti attivi per la valutazione dei rischi e per
l’individuazione delle misure di sicurezza atte a garantire l’integrità psico-
fisica dei lavoratori. La strategia di azione evidenzia la necessità di adattare il
lavoro all’uomo, e non viceversa, prevenendo il rischio attraverso
l’assunzione di comportamenti e di processi lavorativi sicuri. È la
prevenzione l’elemento cardine attorno al quale far ruotare l’organizzazione
del lavoro. La Direttiva Quadro 89/391 rappresenta, quindi, il punto di svolta
e di riferimento del nuovo sistema di prevenzione, avente carattere
obbligatorio per gli Stati membri dell’Unione, da cui discendono ulteriori
direttive particolari con disposizioni più rigorose e/o specifiche per alcuni
settori lavorativi. L’introduzione della direttiva 89/391 nel sistema giuridico
dell’ordinamento italiano ha poi avuto un grosso effetto sulla struttura della
legislazione in materia che, sebbene con un ritardo che sembra caratterizzare
sempre l’attuazione di norme internazionali da parte del nostro paese, ha
subito notevoli modifiche per far fronte alle forti innovazioni contenute nella
norma comunitaria.
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La finalità prima della direttiva 89/391 è quella di prevenire
l’eventualità di incidenti ed infortuni sul lavoro grazie all’individuazione dei
fattori di rischio ed all’attuazione, negli ordinamenti giuridici, di misure
minime e standard uguali per tutti tesi alla prevenzione dei fattori di rischio.
Tali misure sono dette ”minime” poiché ritenute, da un lato,
soddisfacenti alla prevenzione generale della maggior parte degli infortuni e,
dall’altro lato, plausibilmente e ragionevolmente possibili, sebbene a questa
direttiva, che per l’appunto è da definirsi ”quadro”, seguano norme e direttive
di tipo specifico per l’individuazione di fattori di rischio nei singoli settori del
mondo del lavoro. Tale prevenzione avviene, secondo i parametri stabiliti
dalla Direttiva, con:
1) l’informazione;
2) la formazione tecnica dei lavoratori e delle figure adottate ed
istituite contro gli infortuni;
3) la partecipazione dei lavoratori alla formazione di gruppi che
individuino e adottino contromisure per i rischi;
4) il necessario livello di collaborazione fra impresa e lavoratori teso
alla individuazione di responsabilità comuni, sia da parte del datore,
che deve garantire un livello minimo di sicurezza, sia da parte dei
lavoratori, che non possono ostacolare tale adozione e che sono
responsabili in proprio delle singole azioni od omissioni nel caso di
danni a terzi.
Per quanto attiene ancora ai contenuti della direttiva in esame, fra
quelli generali, considerabili come caratteristiche distintive, risalta senza
dubbio l’impostazione differente rispetto alle norme preesistenti; essa adotta
il criterio di massima sicurezza tecnologicamente raggiungibile., che
impregna anche la normativa italiana che ne è derivata.
Il datore di lavoro, tenuto di conto della tecnologia presente sul
mercato, nel rispetto delle norme interne del suo paese, deve adeguare la sua
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azienda sia ai parametri minimi previsti sia alla migliore condizione
tecnologicamente garantibile, dato che la sicurezza del lavoro e la salute sono
tutelati anche a livello costituzionale e, pertanto, non possono trovare limiti
per calcoli di natura economica.
La direttiva 89/391 ha avuto un deciso impatto sul mondo del lavoro,
soprattutto in paesi che, per loro tradizione, non vantavano una grossa tutela
dei lavoratori, se non per l’esistenza di norme di principio o discipline di
livello inferiore a cui attenersi senza peraltro adeguati controlli. Le altre sette
direttive, cronologicamente successive, hanno un contenuto più
particolareggiato.
La direttiva n. 89/654 “Luoghi di lavoro” (approvata il 30 novembre
1989) stabilisce le prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di
lavoro; trova applicazione in tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati (fatta
eccezione per i mezzi di trasporto, i cantieri, l’industria estrattiva, i
pescherecci, i campi e i terreni dell’azienda agricola, situati fuori dell’area
edificata).
La direttiva n. 89/655 “Uso di attrezzature” (approvata il 30 novembre
1989) prescrive i requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle
attrezzature di lavoro; il suo campo di applicazione è vastissimo: tutte le
attività lavorative dove si fa uso di macchine, apparecchi, utensili ed
impianti.
La direttiva n. 89/656 “Uso di attrezzature di protezione individuale”
(approvata il 30 novembre 1989) contiene le prescrizioni minime in materia
di sicurezza e salute per l’uso, da parte dei lavoratori, di attrezzature di
protezione individuale durante il lavoro, ogni qual volta i rischi della loro
attività non possono essere evitati da misure di protezione collettiva.
La quarta direttiva particolare, la n. 90/269 (approvata il 29 maggio
1990), titolata “Movimentazione manuale dei carichi”, interessa tutte le
attività in cui si compiono operazioni di trasporto o sostegno di un carico ad
opera di uno o più lavoratori. Il suo contenuto è costituito dalle prescrizioni
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minime in materia di sicurezza e di salute nella movimentazione di carichi
che comporta, tra l’altro, seri rischi dorso-lombari per il lavoratore.
La direttiva n. 90/270 (approvata il 29 maggio 1990) è titolata
“Videoterminali” e disciplina tutte le attività che richiedono l’uso costante di
attrezzature videoterminali, tutelando i rischi visivi e le malformazioni
strutturali che il loro utilizzo può comportare per il lavoratore.
La direttiva n. 90/394, “Agenti cancerogeni” (approvata il 28 giugno
1990) è rivolta a tutti i lavoratori che sono o possono essere esposti ad agenti
cancerogeni a causa del loro lavoro, mentre quella n. 679 del 1990 (approvata
il 26 novembre 1990) prescrive le norme di protezione contro i rischi
derivanti da una esposizione ad agenti biologici durante il lavoro. Per fare in
modo che le disposizioni non restino lettera morta, nel giugno del 1994, è
stata costituita in Spagna, a Bilbao, l’Agenzia europea per la salute e la
sicurezza sul luogo del lavoro, con compiti di raccolta, scambio e diffusione
di informazioni tecniche, scientifiche ed economiche in materia di sicurezza
sul lavoro e sanità.
1.3 La Carta Sociale Europea
La Carta Sociale Europea è primaria fonte del Consiglio d’Europa,
varata a Torino nel 1961. La portata del contenuto dell’atto è rilevante.
La Carta prevede, in un contesto di solenni affermazioni sui diritti
generali, il diritto specifico alla protezione della salute che,
nell’interpretazione generale, è stato esteso a tutti i fattori di rischio della
salute stessa.
L’art. 12 disciplina il diritto alla sicurezza sociale, che viene
interpretato in diretta connessione al precedente dettato, data l’evidente
relazione fra infortunio e malattia ed assistenza sociale.
In questo senso, la Carta sociale europea crea le fondamenta per un’unica
politica in materia di diritti sociali e imprime una generale spinta
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all’unificazione del trattamento dei principali parametri in materia di aiuto e
di assistenza agli infortunati sul lavoro, al fine di rendere il meno differente
possibile il trattamento fra l’una e l’altra nazione firmataria.
1.4 Politica e legislazione italiana in materia di sicurezza e salute dei
lavoratori
Per quanto concerne la situazione italiana nel campo della sicurezza e
della tutela della salute dei lavoratori, sin dalla fine dell’’800, a fronte
dell’aumento degli infortuni e delle malattie professionali dovuto al processo
di meccanizzazione dell’industria ed all’impiego di sostanze chimiche
tossiche, la legislazione italiana intervenne istituendo l’assicurazione contro
gli infortuni, obbligatoria per alcune categorie di lavoratori dell’industria
(Legge 80 del 1898), affinché fosse garantito un risarcimento alle vittime di
infortunio. In Italia possiamo assistere solo nel 1930 ad un intervento
legislativo mirato alla prevenzione dei rischi connessi all’attività lavorativa,
con l’inserimento, nel Codice Penale, di due principi basilari che sanzionano
e puniscono il mancato collocamento, o la rimozione o il danneggiamento, di
impianti, apparecchi destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro e la
rimozione o il danneggiamento di mezzi destinati al salvataggio o al soccorso
contro infortuni da lavoro. A questi due principi se ne aggiunsero altri nel
1942 (Regio Decreto del 16 marzo 1942 n. 242) che definiscono,
innanzitutto, l’obbligo per l’imprenditore di applicare tutte le misure che
sono necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori, e,in secondo
luogo, l’obbligo da parte dell’imprenditore di retribuire il periodo di malattia
o di infortunio del lavoratore:
• l’art. 2087, secondo il quale l’imprenditore è tenuto ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del
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lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro;
• gli artt. 2214-2117, che forniscono disposizioni riguardo agli istituti
di previdenza e contengono principi secondo i quali l’imprenditore è
tenuto al versamento di contributi agli enti assicuratori e considera
nullo qualsiasi patto che eluda le normative in tema antinfortunistico;
• l’art. 2110 che prevede l’obbligo per l’imprenditore di corrispondere
la retribuzione per il periodo di malattia o infortunio del lavoratore.
I principi finora citati assumeranno, poi, una maggiore valenza, il 27
dicembre 1947, con l’avvento della Costituzione Italiana, giacché il diritto
alla salute dell’individuo assume valore etico-sociale costituzionale e
pertanto non più solo obbligo per chi gestisce il lavoro altrui, ma anche
obiettivo da perseguire e interesse della Repubblica e della collettività che ne
fa parte.
A metà degli anni ’50 nascono, in Italia, disposizioni che definiscono
al dettaglio il contenuto degli obblighi e delle misure preventive da adottare
nei luoghi di lavoro e che regolano i requisiti di igiene, sicurezza e
manutenzione di ambienti, macchine, impianti, le attrezzature di lavoro,
nonché i mezzi personali di protezione. Tali disposizioni, appartenenti a
quella che è definita la “prevenzione tecnica”, partono dal concetto che il
legislatore, per ogni impianto, attrezzatura o ambiente, possa identificare i
rischi cui sono esposti i lavoratori, e formulare gli obblighi di carattere
tecnico cui attenersi per evitare possibili infortuni e proteggere il lavoratore.
Quest’ultimo deve essere reso edotto sui rischi connessi alla mansione che
svolge e, conseguentemente, deve adeguare le proprie azioni alle prescrizioni
della macchina in ottemperanza alle indicazioni di sicurezza.
Successivamente, con il Testo Unico delle disposizioni per
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali (DPR n. 1124 del 30 giugno 1965) viene affrontata la
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prevenzione dal punto di vista sanitario (“prevenzione sanitaria”), estendendo
l’obbligo assicurativo a più tipologie di lavoratori affinché sia garantito il
risarcimento del lavoratore a fronte di un danno già occorso. Il perdurare
della scarsa applicazione delle suddette disposizioni portò la legislazione ad
intervenire nuovamente nella materia con la Legge n. 300 del 20 maggio
1970 (Statuto dei lavoratori), riconoscendo, per la prima volta nella nostra
storia, il diritto dei “lavoratori, mediante loro rappresentanze, di controllare
l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte
le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.
Ma il valore e la rilevanza anche di questo principio, anch’esso a
lungo inattuato, non furono colti appieno neanche dai lavoratori e dalle loro
organizzazioni sindacali, che avrebbero potuto chiederne una rigorosa
applicazione. Occorrerà attendere il dicembre del 1978, quando viene
emanata la Legge n. 833/78 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale,
inserendo tra gli obiettivi principali di quest’ultimo la prevenzione delle
malattie professionali e degli infortuni sul lavoro nonché la promozione e
salvaguardia della salubrità e dell’igiene nell’ambiente di vita e di lavoro.
L’adesione dell’Italia alla Comunità Europea ed alle politiche comuni
da questa definite ha dato luogo ad ulteriori interventi della legislazione
italiana in materia di sicurezza e salute dei lavoratori.
E’ con il D.Lgs. n. 626 del settembre 1994, che l’Italia recepisce la
Direttiva Quadro 89/391 CEE e 7 direttive particolari, mostrando che la
legislazione italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro è
profondamente innovata. Il punto di svolta è rappresentato dal nuovo
approccio alla prevenzione ed alle modalità con cui gestire gli interventi
operativi definiti nel D.Lgs. 626/94, che traspone nel nostro ordinamento
giuridico le disposizioni della Direttiva Quadro 89/391 ed al quale sono
collegati tutti i successivi provvedimenti di derivazione europea in materia di
salute e sicurezza sul lavoro. Come abbiamo accennato poco fa, il Decreto
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Legislativo 626/94 prescrive misure per la tutela della salute e per la
sicurezza dei lavoratori nell’ambito della singola organizzazione d’impresa.
Le misure da adottare si basano su alcuni criteri fondamentali: l’eliminazione
alla fonte dei rischi, in relazione alle conoscenze acquisite in base al
progresso tecnico o, se ciò non fosse possibile, la loro riduzione al minimo; la
programmazione della prevenzione; il rispetto dei principi ergonomici nella
concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella
definizione dei metodi di lavoro e produzione, in modo da attenuare il lavoro
monotono e quello ripetitivo; la priorità delle misure di protezione collettiva
rispetto alle misure di protezione individuale. Quindi, mentre prima ci si
muoveva in un ambito di prevenzione oggettiva e/o tecnologica in cui il
legislatore forniva indicazioni puntuali sui parametri cui attenersi, ora il
perno attorno al quale il sistema di sicurezza e di tutela deve ruotare è la
prevenzione intesa come “il complesso delle disposizioni o misure adottate o
previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi
professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità
dell’ambiente esterno”, quindi secondo una logica di prevenzione soggettiva.
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