INTRODUZIONE
Adolescenza ieri e oggi
“La terza età, che si chiama in latino adolescenza, finisce
secondo Costantino [l’Africano, c.1020-1087] nel suo Viatico, a
ventun anni, ma secondo Isidoro dura fino a ventotto anni e
secondo i medici si estende fino ai trenta o trentacinque anni.
Questa età è chiamata adolescenza perché la persona è grande
per generare, così dice Isidoro”. Con queste parole si
esprimeva, nel De proprietatibus rerum, Bartholomaeus
Anglicus nel XIII secolo (Le printemps des génies, 1993). La
vaga delimitazione della fine dell’adolescenza era influenzata
dal disaccordo sul momento della capacità procreativa, soggetta
a regole sociali e religiose più che biologiche. Ai giorni nostri
la definizione di adolescenza si è spostata dalla capacità di
generare alle implicazioni psicologiche e comportamentali,
raggiungendo un accordo operativo sulla durata
dell’adolescenza dalla pubertà fino ai venti anni, al termine
dell’accrescimento staturale. Adolescenza deriva, infatti, dal
latino adolescere (crescere), il cui participio passato adultus
significa appunto la fine della crescita. I punti di riferimento
ormonali e biologici di questo processo non sono certamente
stabili, ma ancora meno lo sono quelli psicologici, tanto che la
durata dell’adolescenza può variare in relazione ai periodi
storici e alle diverse geografie. Anche all’interno di una stessa
cultura, le differenze possono essere ampie e dipendere da
variazioni individuali e da modelli di apprendimento, tanto che
atteggiamenti, decisioni, o il livello di autonomia, possono
essere di tipo adolescenziale anche quando l’età dovrebbe far
pensare piuttosto a un’adolescenza onoraria. Ne è conferma un
fenomeno di questi tempi, forse tipicamente italiano, che molti
giovani non escono completamente dall’adolescenza prima dei
trenta o trentacinque anni, pur senza trascurare le obiettive
difficoltà a raggiungere una indipendenza economica.
Nella tradizione della nostra cultura e civiltà, l’adolescenza era
vista come un momento di scarso interesse in cui dovevano
essere esercitati controllo e disciplina sui comportamenti
irrequieti.
Contro questa tradizione repressiva verso le spinte biologiche, e
la conseguente tendenza al peccato, spesso di natura sessuale, si
oppone il secolo dei Lumi che avvia un cambiamento
significativo.
Nella nostra cultura si verifica la tendenza a reprimere le spinte
biologiche di natura sessuale nel momento della loro più
spiccata espressione, in coincidenza della massima produzione
di ormoni. Il senso è quello di dare tempo allo sviluppo delle
capacità di provvedere al mantenimento dei figli. Come effetto
secondario di questo ragionevole atteggiamento, si è avuto che
il controllo delle spinte emotive e sessuali fosse
controbilanciato da una particolare attenzione allo sviluppo
delle capacità razionali.
Oscillando tra attività cognitive e affettive, questa età riconosce
due momenti fondamentali dell’evoluzione psicologica. Il primo
è l’individuazione, attraverso cui l’individuo diventa artefice
del proprio destino e il secondo, in qualche modo dipendente
dal precedente, è quello della formazione di relazioni d’amore.
La percezione di una propria identità psicologica aiuta a
riconoscersi e sentirsi diversi dagli altri, un’esperienza
essenziale per il graduale processo di autonomia dalla famiglia.
Parallelamente, compare un più sviluppato senso di intimità che
gli adolescenti gradualmente condividono tra coetanei, un
passaggio decisivo per aumentare il livello di autostima
(Thorne, Michaelieu, 1996) e stabilire relazioni significative
(Grunebaum, 1976). Alla base delle motivazioni si possono
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trovare desideri di soddisfazione di bisogni consci e inconsci,
come allontanamento e soddisfazione di fantasie incestuose,
piacere sessuale e stimolazione intellettuale, gratificazione
narcisistica, influenze familiari e del gruppo, desiderio di
complementarità. Si passa cosi al momento della formazione di
relazioni d’amore (Sdino, 1984). Si inizia con le fantasie
romantiche (prevalenti nelle ragazze) e erotiche (più frequenti
nei ragazzi) per continuare con le lunghe conversazioni e il
desiderio di passare molto tempo assieme. In questo periodo
compaiono le prime esplorazioni sessuali; inizialmente con
caratteristiche aggressive come il prendere in giro o tirare i
capelli e successivamente con attrazione per persone del sesso
opposto (meno frequentemente dello stesso sesso) accompagnata
da un senso di eccitazione fisica. Le prime esperienze di tipo
erotico emergono successivamente accompagnandosi al
desiderio di soddisfarle con una particolare persona,
un’aspirazione che si realizza intorno ai quindici-sedici anni
(Cosmai, 1992). In un recente studio tedesco, il confronto fra
due gruppi di adolescenti, uno nel 1970 e uno nel 1990, mostra
che in quest’ultimo l’età dei primi rapporti sessuali è aumentata
e che gli adolescenti, meno condizionati dalle loro spinte
sessuali, pensano alla sessualità inserita in una relazione
d’amore (Schmidt et al., 1994). Una possibile riflessione porta a
pensare che società più permissive della nostra, come quella
tedesca, consentano espressioni più naturali di comportamento
sessuale, confermando indirettamente gli effetti negativi delle
forme di proibizione. Si può dire che un allontanamento dalla
sessualità possa essere conseguenza dell'incubo dell'AIDS, ed è
inquietante che una minaccia di morte sia in qualche modo
responsabile di un migliore rapporto fra sesso e amore.
Nella nostra cultura, salta sempre più agli occhi la grave
difficoltà di relazione tra società degli adulti e società dei
giovani: la distanza fra i due mondi è da rintracciare soprattutto
nella scoperta, relativamente recente, dell’adolescenza. Fino a
50-60 anni fa questo periodo della vita esisteva soltanto in una
piccolissima parte della società italiana, quella dell’aristocrazia
e della borghesia intellettuale. Per gli altri, il passaggio tra
l’infanzia e l’età adulta era immediato: il bambino cresceva fino
a quando poteva andare a lavorare. Per questo motivo tutto
quello che riguarda l’adolescenza, soprattutto per noi latini è
motivo di inquietudine perché attiene al nuovo, su cui noi non
abbiamo ancora formato strumenti di giudizio o pedagogici.
Soltanto in questi ultimi decenni abbiamo imparato qualcosa
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sull’argomento, ma continuiamo a sentire la mancanza di una
tradizione, che evidentemente necessita di tempi più lunghi.
Questo è il punto dal quale occorre necessariamente partire,
altrimenti tanti discorsi sulla mancata comunicazione, sulla
reciproca distanza autistica tra mondo adulto e adolescente
sembrano appesi, senza radici. L’imbarazzo profondo per
l’argomento deriva dal fatto che l’adolescenza è una terra
nuova, un quinto continente.
Un secondo punto necessario è provare a capire cosa sia
cambiato nella nostra società italiana. Io credo che siano
cambiati i parametri di comprensione dei componenti evolutivi,
per la straordinaria accelerazione dei fattori di crescita
cognitiva e relazionale dei bambini. Tale accelerazione ha
portato l’anticipazione di tutte le tappe della maturazione
soggettiva, fino a influenzare i parametri biologici. I pediatri ci
dicono che il menarca è anticipato oggi di due o tre anni
rispetto a 40 anni fa. Non si tratta soltanto di numeri: i termini
psicologici e relazionali, le aspettative dei bambini e degli
adolescenti tendono a farsi sempre più complesse e tutto ciò sta
avvenendo, per giunta, nei confronti di un mondo che non c’è,
che si allontana e pospone sempre di più. Così non solo si forma
anticipatamente tutta una serie di tappe (l’adolescenza non è più
a 15-16 anni ma a 12-13 anni), ma si anticipano anche le
aspettative relazionali nei confronti dei genitori, degli
insegnanti e del mondo adulto in generale. Di conseguenza, le
richieste non sempre vengono assunte, perché ciò che viene
definito come difficoltà nella relazione tra adolescenti e adulti,
è in realtà una comunicazione non più sulla stessa linea d’onda:
un linguaggio che i pedagogisti definiscono come asincrono. I
giovani parlano una lingua che gli adulti non intendono.
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PARTE PRIMA
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CAPITOLO 1
Lo sviluppo psicofisico nell’adolescenza:
amore e sesso
Sentirsi se stessi e, allo stesso tempo, come gli altri, oppure un
po’ diversi ma non troppo, sono i confini in cui muove
l’adolescente nella costruzione della sua identità. A questo
processo di individuazione, l’identità sessuale fornisce un
contributo fondamentale. All’inizio dell’adolescenza, ragazzi e
ragazze sono già ampiamente definiti in termini di identità
sessuale per la presenza dei caratteri sessuali primari, ma,
durante questo periodo, le loro differenze vengono consolidate
da cambiamenti somatici indotti da modificazioni ormonali e
dallo sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Oltre a questi
eventi di osservazione relativamente facile, le tempeste
ormonali della pubertà inducono reazioni a catena che
coinvolgono strutture cerebrali, con ripercussioni sulle funzioni
cognitive ed emotive. Da qui seguono modificazioni
nell’atteggiamento verso l’ambiente e le relazioni con gli altri
che, a loro volta, inducono ulteriori adattamenti psicologici. La
combinazione di tutti questi fattori contribuisce alla formazione
di un’identità psicosessuale.
E’ in questo periodo che avviene spesso il primo rapporto
sessuale, il quale viene vissuto come un rito di iniziazione, che
non sempre coincide con una relazione d’amore. Spesso si tratta
di un salto nel buio, un passaggio dall’autoerotismo alla
sessualità condivisa: un mondo fino ad allora proibito, come un
film “per adulti” al quale si accede sulla spinta delle proprie
pulsioni erotiche, della curiosità, del desiderio di conoscenza.
Naturalmente non manca quasi mai un forte coinvolgimento
emotivo: l’attrazione reciproca, la percezione del proprio
desiderio che si rispecchia in quello dell’atro, il bisogno di
“fare contatto” fino a fondersi insieme, con l’illusione di vivere
un’esperienza non solo di sesso, ma di amore. E in parte è vero.
Ma in molti casi si tratta di un sentimento rivolto più a se stessi
che all’altro, in un rispecchiamento reciproco di sé, della
propria capacità di desiderare e di essere desiderati.
Ed è quasi inevitabile che nelle prime esperienze sessuali
prevalgano le componenti più narcisistiche dell’amore:
avvengono infatti più precocemente che in passato, fra i
quindici e i diciotto anni, in una fase in cui l’integrazione fra
mente e corpo è ancora in atto, insieme alla ricerca della propria
io
identità sessuale che si conclude con il superamento dei
conflitti edipici e l’identificazione nella figura paterna o
materna (Sdino, 1984). A livello profondo, il rapporto sessuale
rappresenta, quindi, oltre che una “prova generale” della propria
identità femminile e maschile, una fuga dalle fantasie edipiche
che assillano l’inconscio. Tuffarsi nell’esperienza sessuale
senza pensarci troppo, seguendo l’impulso, diventa così la
scorciatoia più rapida per prendere le distanze dalle figure dei
genitori attraverso l’amore adulto e per poter dire a loro, a
stessi e al mondo: " sono una donna”, “sono un uomo", e che
l’amore verrà dopo, attraverso nuove esperienze che
coinvolgeranno i sentimenti più profondi, come accadeva molto
spesso anche alle generazioni precedenti.
Ormai da tempo l’iniziazione sessuale non è più un rito di segno
, maschile ma coinvolge allo stesso modo sia il ragazzo che la
ragazza in un’esperienza che spesso entrambi vivono da
“principianti assoluti”, uniti dalla stessa complicità nel varcare
la soglia di un mondo ancora sconosciuto. Questo desiderio di
iniziazione sessuale, sull’onda delle pulsioni erotiche sempre
più incalzanti, spinge al gran passo con un rito segreto di
conoscenza più che d’amore, ed ha sullo sfondo la scena
dell’unione carnale fra l’uomo e la donna, evocando il legame
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segreto dei genitori, che per la prima volta non è più confinata
nella sfera della fantasia, ma viene agita nella realtà, da
protagonisti.
Nella maggior parte dei casi, la ragazza non prova, come
avveniva in passato, sensi di colpa e di vergogna per la perdita
della verginità, né l’angoscia dell’abbandono, ora che si è
lasciata sedurre. Prova invece un sentimento di orgoglio,
proprio come i ragazzi. E a volte anche di liberazione: se in
passato ci si vergognava di non poter essere più vergini, oggi
non è raro che le ragazze si vergognino di esserlo ancora. In
fondo, secondo loro, non importa se il primo rapporto sessuale
non è stato esaltante, l’importante è che sia avvenuto. Diverso
invece è il caso dei ragazzi, per i quali il fallimento o lo scarso
successo di questa prima prova di virilità può provocare una
delusione molto più cocente facendo precipitare la stima per se
stesso.
Naturalmente non mancano i casi in cui la “prima volta”
coincide con l’innamoramento; una esperienza, questa, molto
più coinvolgente a livello emotivo del primo rapporto sessuale,
che oggi non è più caratterizzato dalla esaltazione e dalla
trasgressività di un tempo.
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