3
CAP. 1 LA SERIALITÀ DEL GENERE HORROR
1.1. Il genere horror tra ripetizione e serialità
Il legame fra serialità e horror, che oggi appare piuttosto diffuso in ogni ambito
delle industrie culturali, trova, forse, una maggiore solidità nel panorama
cinematografico e televisivo, grazie alla presenza dei numerosi sequel di film quali Saw
– L’enigmista (Saw, James Wan, 2004), o Resident Evil (Resident Evil, Paul W. S.
Anderson, 2002) e all’enorme successo di serie Tv come True Blood (2008), o The
Walking Dead (2010), solo per citarne alcune. Nel caso della serialità televisiva, il
confronto con l’horror sembra essere d’obbligo, considerando la forte tendenza alla
ripetizione delle serie Tv e la “spiccata predilezione per il ritorno”
1
dei non morti: dagli
zombi, che ritornano dalla morte per contagiare i vivi, ai fantasmi che tornano
dall’oltretomba per tormentarli, fino alle mummie, che possono essere richiamate in vita
con la formula giusta. I più noti personaggi orrorifici, dunque, sono riusciti a
conquistarsi un posto in primo piano nelle produzioni contemporanee, compresi,
naturalmente, i vampiri, creature della notte per eccellenza, nonché protagonisti in Buffy
l’ammazzavampiri (1997-2003), The Vampire Diaries (2009), o nel già citato True
Blood.
La facilità con la quale la serialità si intreccia con i temi dell’horror è dovuta,
probabilmente, alle caratteristiche strutturali del genere e alle origini dell’horror stesso,
che, come nota Barry Keith Grant, “sembra essere un genere particolarmente adatto per
l’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica”
2
. Rick Altman ha effettuato diversi studi
sulla nozione di genere, introducendo la critica come “nuovo soggetto sociale
impegnato nella definizione dei generi cinematografici”,
3
insieme agli altri due soggetti
riconosciuti: produzione e pubblico. La produzione è preposta al processo di
1
Veronica Innocenti, Guglielmo Pescatore, Il mostruoso quotidiano. Le storie di morti viventi nella serialità, in
G. Carluccio, P. Ortoleva (a cura di), Diversamente vivi. Zombi, vampiri, mummie, fantasmi, Milano, Il Castoro,
2010, p. 202.
2
Barry Keith Grant, Introduction, in B. K. Grant (a cura di), Planks of Reason. Essays on the Horror Film,
Lanham, Scarecrow Press, 1984, p. xii, (trad. mia).
3
Francesco Casetti, Ruggero Eugeni, Altman e l’ornitorinco. Costruire e negoziare i generi cinematografici, in
R. Altman (a cura di), Film/ Genere, Milano, Vita e Pensiero, 1999, p. IX.
4
“generificazione”, nel quale “formule di successo vengono serializzate in cicli di film”,
4
che assumono nel tempo la stabilità di generi; il pubblico mette in atto il riconoscimento
dei generi, grazie ad elementi spesso “determinati dal tipo di promozione che viene fatta
intorno a uno specifico prodotto: le recensioni, il materiale informativo, la presenza di
un certo attore”
5
; la critica, infine, attua una rilettura dei sistemi di genere del passato,
secondo le categorie contemporanee. Il suggerimento di Altman, per una corretta e
completa definizione di genere, è di coinvolgere “simultaneamente e pariteticamente
[…] tutti i soggetti sociali”
6
in gioco, nell’intenzione di unire dinamiche e fini di
ciascuno dei tre soggetti.
Secondo le indicazioni di Rick Worland, un genere può essere semplicemente
definito come “una vasta categoria di storie unite dai loro ambienti particolari,
personaggi, temi e conflitti narrativi”
7
ed è proprio la natura ricorsiva di tali elementi,
che unisce l’horror alla serialità. La figura della ripetizione, intesa nelle parole di
Casetti, come “ritorno di qualcosa che è insieme simile e diverso da quanto l’ha
preceduto, […] una nuova occorrenza che mescola richiamo e originalità”,
8
risulta
centrale nell’individuazione delle caratteristiche del genere horror. Altman osserva che
all’interno dei singoli film di genere
9
“variano i dettagli ma lo schema basilare resta
invariato, al punto che gli spari utilizzati in un film possono essere riciclati in un
altro”
10
. Il film, in tal modo, dipende in maniera più forte dalla presenza di una serie di
convenzioni stabilite, elementi divenuti familiari all’occhio dello spettatore, che i registi
regolarmente includono nei loro lavori, cercando al contempo di ottenere un livello di
originalità.
4
Ibidem, p. XI.
5
Veronica Innocenti, Guglielmo Pescatore , Le nuove forme della serialità televisiva. Storia, linguaggio e temi,
Bologna, Archetipolibri, 2008, p. 15.
6
F.Casetti, R.Eugeni, in R.Altman (a cura di), op. cit., p. XIII.
7
Rick Worland, The Horror Film. An Introduction, Malden, Blackwell Publishing, 2007, p. 17, (trad. mia).
8
Francesco Casetti, L’immagine al plurale – Introduzione, in V. Innocenti, G. Pescatore, op. cit., p. 85.
9
Altman fa riferimento in particolare ai generi hollywoodiani classici: musical, western, noir, horror.
10
R. Altman (a cura di), op. cit., pp. 41-42.
5
Peter Hutchings sostiene che il genere horror sia il più soggetto a un certo grado
di prevedibilità, evidente nella sua apparente ripetitività, che si manifesta, soprattutto,
“nella preponderanza di sequel all’interno del genere”
11
. Una caratteristica rilevata
anche da B. K. Grant, secondo il quale “il sistema di genere […] appare particolarmente
favorevole alla produzione dell’horror”,
12
grazie alla numerosa presenza di seguiti. La
ripetizione nell’horror, d’altronde, è presente nei suoi stessi personaggi, come evidenzia
Telotte, paragonando “la relativa frequenza di sequel e remake del genere horror”
13
al
continuo rialzarsi del killer, nonostante le ferite apparentemente mortali infertegli.
In Monsters and Mad Scientists, Andrew Tudor compie un’ attenta analisi del
cinema horror, individuando una sorta di sottogeneri in base alla costante opposizioni di
tre dicotomie, ovvero soprannaturale/secolare, esterno/interno, autonomo/dipendente.
Entrambi i poli di ciascuna dicotomia rappresentano una marcata tendenza all’interno
del genere, pur non essendo un’opzione esclusiva e partendo dall’assunto generale, che
“la ‘minaccia’ è L’elemento centrale della narrazione dei film horror”
14
. Tale analisi è
resa possibile dalla considerazione globale che, “per quanto i loro autori possano
obiettare di star semplicemente narrando la storia degli eventi, […] essi la stanno
sempre, inevitabilmente rinarrando”
15
. Le storie per Tudor, dunque, sono tutte delle
chiare ricostruzioni di qualcosa che è stato già raccontato e la sua convinzione trova una
profonda conferma proprio negli elementi narrativi dei film horror. Il genere horror,
secondo l’interpretazione data da Tudor, è contemporaneamente sia singolare che
plurale, quindi la sua storia deve essere necessariamente narrata e rinarrata in modo da
poter riflettere l’indispensabile variazione sul tema. Esiste l’horror in quanto singolo
genere, ma esiste anche una storia del genere horror, ovvero una riserva di convenzioni
e risorse narrative e iconografiche. Pur riconoscendo delle linee guida e dei confini
dell’horror, Tudor sottolinea la flessibilità del genere, che deve essere aperto alla
variabilità di ricezione da parte di pubblici diversi in tempi e contesti diversi. Nella
definizione del critico, il genere è, a tutti gli effetti, una “costruzione sociale […]
11
Peter Hutchings, The Horror Film, Harlow, Longman, 2004, p. VII, (trad. mia).
12
B. K. Grant (a cura di), op. cit., p. xii, (trad. mia).
13
J. P. Telotte, Faith and Idolatry, in B. K. Grant (a cura di), op. cit., p. 33 (trad. mia).
14
Andrew Tudor, Monsters and Bad Scientists, Oxford, Basil Blackwell, 1989, p. 8 (trad. mia).
15
Ibidem, p. 1 (trad. mia).
6
soggetta alla costante negoziazione e riformulazione”
16
, ciò significa che i suoi confini
non possono essere stabiliti una volta per tutte. Ogni genere cinematografico, a maggior
ragione l’horror, fa parte di una tradizione continua e, allo stesso tempo, crea precedenti
per il futuro, assumendo una forma particolarmente autoriflessiva. Il pubblico, così, per
comprendere i film di genere più recenti è quasi costretto a “conoscere i film precedenti
in esso contenuti”,
17
ricercando il piacere della visione proprio nelle riconferme,
piuttosto che nelle novità.
Nell’horror, dunque, sono presenti delle ricorrenze inerenti i personaggi e le
ambientazioni, soprattutto se si riflette sui sottogeneri o su determinati cicli di film.
Andrew Tudor, dall’analisi di una lista di 990 film horror usciti in Inghilterra tra il 1931
e il 1984, individua alcuni tratti frequenti fondamentali, che riguardano in particolare
eventi, personaggi e ambientazione. In relazione ai personaggi, o meglio, al “mostro”
dei vari film, Tudor stila una lista di categorie diverse, che vanno dal mad scientist, alle
creature orrorifiche più spaventose, come mummie, licantropi e vampiri. L’elemento
centrale del film horror risulta essere sempre la creatura minacciosa (in tutte le sue
vesti), che funge da principale fulcro per lo sviluppo narrativo. I mostri tipici dei film
horror, d’altra parte, nota Tudor, “sono ben stabiliti, e gli stessi film sono di solito
piuttosto espliciti nelle diverse etichette che applicano ai differenti tipi di minaccia
mostruosa”,
18
creando una varietà interna al genere. La statistica premia i personaggi
dello psicotico e dello scienziato pazzo, protagonisti, nel complesso, di quasi la metà
delle pellicole studiate da Tudor, un dato che evidenzia la ripetizione costante dei
personaggi.
Se il mostro è la forza motrice del film horror, la sua vera star, altri personaggi
predefiniti sono sempre presenti in diverse combinazioni e varianti, come “lo scienziato
pazzo e il suo servitore deforme, la figura dell’autorità derisa, un vecchio saggio che
riconosce il male, la vittima (solitamente donna) urlante”
19
. La maggior parte degli
horror funzionano con l’inserimento di “personaggi stereotipati in situazioni
16
Ibidem, p. 6 (trad. mia).
17
R. Altman (a cura di), op. cit., p. 43.
18
A. Tudor, op. cit., p. 19 (trad. mia).
19
R. Worland, op. cit., p. 9 (trad. mia).
7
cumulativamente movimentate”,
20
riducendo al minimo l’assortimento di tipi di
personaggi, rispetto ad altri generi. Tudor, in linea con una forzata economia di
caratterizzazione, restringe addirittura a tre il numero di personaggi stereotipati di base
all’interno del genere: esperti, vittime e mostri. Gli esperti rappresentano gli eroi del
genere, anche se raramente sono premiati dalla stessa attenzione riservata alle figure
eroiche di altre forme narrative, caso che si manifesta soprattutto quando il mostro del
film sollecita un certo grado di compassione, spostando il coinvolgimento del pubblico
dall’eroe ufficiale al suo apparente villain. Il personaggio dell’esperto, evidenzia Tudor,
è particolarmente importante nel sottogenere vampiresco, “dove l’attrattiva sociale e
fisica del mostro è spesso centrale per il nostro coinvolgimento”
21
. I mostri sono la forza
trainante dell’horror, in grado di attirare grandi platee, soprattutto quando la produzione
segue “la strategia universale per promuovere il coinvolgimento del pubblico, [ovvero]
antropomorfizzandoli”
22
. Tale strategia dipende dalla sottocategoria dei mostri, che
Tudor divide in “alieni” e “antropomorfi”, con questi ultimi che permettono, appunto,
una più profonda caratterizzazione, con lo scopo di coinvolgere a un grado emozionale
più alto gli spettatori. Nel trittico di personaggi base individuati dallo studioso di
cinema, le vittime sono, chiaramente, i più numerosi, ma rivestono il ruolo meno
importante, fungendo da personaggi di contorno, utili solo a far entrare in azione il
mostro di turno.
Altro elemento fondamentale per il riconoscimento di un genere da parte del
pubblico è l’iconografia e può riguardare i suoi personaggi, così come le ambientazioni
di luogo e di tempo. Peter Hutchings evidenzia che i film horror, “a differenza dei
western, [non hanno] una iconografia distintiva che li tiene uniti”,
23
poiché non si
limitano a una particolare ambientazione, infatti un film horror può svolgersi ovunque e
in qualunque periodo storico, mentre il western è vincolato a un tempo e un luogo
precisi. Ciò nonostante, è fuori dubbio che l’horror mantenga delle precise coordinate in
ambito iconografico ed è proprio tale ripetizione che aiuta il pubblico
nell’identificazione del genere. Diversi critici individuano la letteratura gotica come
20
A. Tudor, op. cit., p. 112 (trad. mia).
21
Ibidem, p. 113 (trad. mia).
22
Ibidem, p. 115 (trad. mia).
23
P. Hutchings, op. cit., p. 6 (trad. mia).
8
importante fonte d’ispirazione per le storie horror moderne e, in maniera ancora più
marcata, per l’horror cinematografico. Hutchings nota che stabilire la precisa natura
della connessione fra gotico e horror è complicato, poiché “il termine ‘gotico’ può
essere vago e impreciso esattamente quanto il termine ‘horror’”
24
. Malgrado ciò, si deve
riconoscere che utilizzando il termine “gotico” in senso storico, esso si riferisce non
soltanto a un periodo della storia della letteratura, ma anche e soprattutto a un periodo
della storia dell’architettura. L’iconografia dell’horror, infatti, deriva tanto dai racconti
gotici, quanto dall’architettura in essi minuziosamente descritta, al punto da rendere
l’ambientazione protagonista quasi al pari dei personaggi. La precisione della
descrizione e la sua credibilità sono un requisito indispensabile per qualunque
ambientazione di un film, ma per l’horror assume una particolare rilevanza, poiché il
genere “dipende dall’introduzione dell’incredibile”
25
in un ambiente perfettamente
riconoscibile e familiare.
Rick Worland pone all’origine del cinema horror il racconto gotico, che “ha reso
convenzionali molte trame, personaggi e temi, che si ritrovano sorprendentemente in
forme simili nei film horror”,
26
riconoscendo al contempo, però, che l’immaginario
gotico è storicamente e culturalmente rilevante solo per il mondo occidentale. Le fonti
letterarie citate maggiormente come riferimento iconografico del cinema horror
appartengono alla letteratura inglese a cavallo fra il diciottesimo e il diciannovesimo
secolo: The Castle of Otranto (1764) di Horace Walpole, The Mysteries of Udolpho
(1794) di Ann Radcliffe, The Monk (1796) di Matthew Gregory Lewis, Frankenstein, or
the Modern Prometheus (1818) di Mary Shelley. Tali opere, insieme a molte altre,
costruiscono le loro vicende intorno a spiriti irrequieti, mostri senza età, peccati irrisolti
del passato che tornano per tormentare i personaggi del presente. Le storie si svolgono
solitamente in castelli medievali, antiche residenze nobiliari, ville, abbazie, dove
“all’enfasi sull’ambientazione arcaica, si aggiunge un uso prominente del
soprannaturale e la presenza di personaggi altamente stereotipati”
27
. Peter Hutchings fa
notare, inoltre, che il termine “gotico” può essere usato anche in un senso più ampio,
24
P. Hutchings, op. cit., p. 10 (trad. mia).
25
A. Tudor, op. cit., p. 124 (trad. mia).
26
R. Worland, op. cit., p. 12 (trad. mia).
27
David Punter, in P. Hutchings, op. cit., p. 10 (trad. mia).
9
“designando un approccio presente sia nella letteratura europea, sia in quella americana
durante il diciannovesimo e ventesimo secolo”
28
. Vi sono alcuni racconti e romanzi
pubblicati in Inghilterra nell’ epoca tardo-vittoriana, racchiusi spesso nella dicitura
“gotico decadente”, che includono opere molto famose, come The Strange Case of Dr.
Jekyll and Mr. Hyde (1886) di Robert Louis Stevenson, The Picture of Dorian Gray
(1891), o Dracula (1897) di Bram Stoker, le quali sono state tutte ripetutamente adattate
per il cinema. In generale, tutte le opere gotiche citate forniscono un’ambientazione che,
riportata visivamente al cinema in maniera continuata, diviene altamente distintiva del
genere horror e riconosciuta dal pubblico come estranea al proprio contesto di vita.
Diversi critici interpretano la figura della ripetizione all’interno dell’horror,
giungendo a definizioni del genere cinematografico che privilegiano un particolare
punto di vista. Fra i vari approcci tentati dalla critica, quello psicoanalitico sembra
essere il più funzionale per indagare e aiutare a comprendere le dinamiche dell’horror e
il sistematico ritorno di alcuni temi e strutture narrative. In tale prospettiva, è rilevante
sottolineare il profondo legame che intercorre fra il cinema e l’orrore stesso, poiché,
come nota Riccardo Strada, il cinema rispetto alle altre forme di rappresentazione
artistica
è quella che esprime con maggior successo il concetto di paura, […] perché nel
cinema la percezione non si arresta a un livello mentale, immaginativo, come
invece accade nella letteratura, ma diventa realtà percepita visivamente e
interattivamente dallo spettatore che ne diviene più o meno inconsciamente
partecipe.
29
Nell’ottica psicoanalitica, scrive Hutchings, “le nozioni di ‘mostruoso’ e
‘repressione’ diventano molto importanti”,
30
come non manca di notare La Polla sulle
pagine di Cinema e Cinema, riferendo che
l’arsenale dei mostri della tradizione orrorifica è storicamente esteriore
testimonianza del potere repressivo che li ha generati, ma strutturalmente la
prova inequivocabile dell’attività di un inconscio che ci parla e che noi
continuiamo a trasformare in paura.
31
28
Ivi (trad. mia).
29
Riccardo Strada, Il buio oltre lo schermo. Gli archetipi del cinema di paura, Milano, Zephyro Edizioni, 2005,
pp. 54-55.
30
P. Hutchings, op. cit., p. 6 (trad. mia).
31
Franco La Polla, “Il terrore e lo sguardo”, Cinema e Cinema, n. 13, ottobre-dicembre, 1977, p. 21.
10
I concetti rilevati da Hutchings e La Polla derivano dal saggio di Freud Il
perturbante, pubblicato per la prima volta nel 1919, testo di riferimento per lo studio
psicoanalitico del genere horror. Freud distingue una doppia manifestazione del
perturbante, quello dell’esperienza reale e quello dell’arte, che è, evidentemente,
l’ambito da considerare negli studi sul cinema. Il perturbante, riporta Strada, è un
sentimento che si rivela apparentato “con affetti repellenti e penosi quali il terrore, la
paura e l’angoscia, [ma] non coincide perfettamente con nessuno di essi, sebbene la sua
apparizione quasi sempre li susciti”
32
. Letteralmente, “perturbante” è ciò che è nuovo,
che non è familiare, ovvero il sentimento che sperimentiamo quando una qualche
impressione riporta alla coscienza “complessi infantili rimossi che credevamo superati:
[…] è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a quanto
ci è familiare”
33
. L’ambiguità del concetto è strettamente connessa all’etimologia del
termine stesso, infatti la parola tedesca Unheimlich (in italiano “perturbante”) è l’esatto
contrario di Heimlich (in italiano “tranquillo”, “confortevole”, “familiare”), ma, come
scopre lo stesso Freud, fra i suoi molteplici significati ne possiede uno che equivale al
suo contrario: heimlich come sinonimo di unheimlich, “come qualcosa di familiare e
amico, ma al tempo stesso di segreto, di nascosto e di preoccupantemente misterioso”
34
.
La dialettica fra i due termini svela, quindi, un ulteriore significato di “non segreto”,
legato al concetto di occulto, ovvero, come precisa Prawer, “quello che sarebbe dovuto
rimanere nascosto ma in qualche modo non vi è riuscito”
35
. L’intuizione di Freud
prosegue in una più precisa conclusione sul perturbante, specificando che esso
rappresenta “una categoria di fenomeni spaventosi in cui l’elemento spaventoso
dimostra essere qualcosa di rimosso che ritorna”
36
. L’influenza della tesi sul ritorno del
rimosso è evidente, soprattutto, nei testi di Robin Wood, il quale rilegge il cinema
horror filtrato attraverso una prospettiva politica del concetto freudiano. Matt Hills
riporta le sue parole e osserva che
32
R. Strada, op. cit., p. 17.
33
Ivi.
34
Ivi.
35
Siegbert Salomon Prawer, I figli del dottor Caligari. Il film come racconto del terrore, Roma, Editori Riuniti,
1981, p. 138.
36
Matt Hills, The Pleasures of Horror, London, Continuum, 2005, pp. 47-48 (trad. mia).
11
se l’horror riguarda qualcosa di represso che ritorna, allora, per Wood, non è solo
repressione ‘universale’ di base, che implica il complesso edipico, etc. […], c’è
anche un surplus di repressione, in modo che ciò che si ripete è necessariamente
politicizzato e costituisce una sfida per l’ordine sociale dominante.
37
Nel cinema horror risulta centrale, in tale interpretazione, la drammatizzazione del
represso nella figura del mostro. In questo caso il gotico fornisce esempi calzanti alla
critica freudiana, poiché molte storie riguardano una colpa segreta che non può essere
riconosciuta, o riconciliata e “la casa antica e infestata è la rappresentazione fisica di
tale tema nel genere horror”
38
. All’interno della casa c’è il mostro, frequentemente
descritto come proveniente da eventi passati, che incarna la manifestazione più ovvia
del represso. In merito al saggio freudiano, c’è un altro concetto determinante di cui
l’analisi dell’horror in chiave psicoanalitica deve necessariamente tenere conto, ovvero
“l’annotazione di un effetto perturbante derivante dalla pura iterazione”,
39
che, secondo
Manuele Bellini, conferisce piena originalità al testo di Freud. Il padre della
psicoanalisi, prosegue Bellini, con la trattazione della “ripetizione involontaria”,
“consegna all’analisi del perturbante un elemento difforme rispetto agli altri, un punto
di vista strutturale”,
40
che permette un confronto più ravvicinato con l’horror. Freud,
non a caso, concepisce il saggio sul perturbante a ridosso del concetto di coazione a
ripetere, presente in Al di là del principio del piacere (1920), che risulta determinante se
si riflette sulle dinamiche narrative dell’horror. Più volte sono rappresentati personaggi
che “ripetono azioni rendendo perturbante il genere”
41
cinematografico stesso, inoltre,
osserva Hills, anche quando i personaggi non ripetono azioni in un’atmosfera e un
contesto inquietante, le trame horror “sono frequentemente marcate da altre forme di
ripetizioni narrative perturbanti”
42
. Fra queste si possono enunciare, per esempio,
ripetizioni soprannaturali o spettrali, ripetizioni di violenze, di sofferenze, o di certe
catastrofi, così come le catene di omicidi dei killer, definiti, di conseguenza, seriali. La
ridondanza del genere horror si manifesta, soprattutto, nel sottogenere slasher, che più
37
Ibidem, p. 49 (trad. mia).
38
R. Worland, op. cit., p. 15 (trad. mia).
39
Manuele Bellini, L’orrore nelle arti. Prospettive estetiche sull’immaginazione del limite, Milano, Lucisano,
2008, p. 164.
40
Ivi.
41
M. Hills, op. cit., p. 64.
42
Ivi.