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Introduzione
Il tema degli assetti di governo e della separazione tra la proprietà e il
controllo delle imprese ha da sempre occupato un ruolo di rilievo nella
letteratura economico-aziendale a livello internazionale.
Negli ultimi anni, anche per effetto di numerosi collassi di imprese
multinazionali ritenute invulnerabili, il problema della separazione tra la
proprietà e il controllo è tornato fortemente alla ribalta.
Il fallimento di imprese quali Parmalat, Enron, Ahold, ha portato una nuova
ondata regolatrice nella maggior parte dei paesi industrializzati, i tradizionali
meccanismi di controllo, hanno mostrato enormi lacune.
Il presente lavoro è strutturato in 3 capitoli.
Il primo capitolo è incentrato sull’evoluzione delle teorie sulla separazione tra
la proprietà e il controllo, partendo dal lavoro di Bearle e Means che
individuano nella separazione tra proprietà e controllo un potenziale conflitto
interno all’impresa, per arrivare poi alla Teoria dell’Agenzia sviluppata da
Jensen e Meckling.
Nella parte finale del capitolo, in relazione alla struttura proprietaria, vi è una
descrizione delle diverse forme di governo delle imprese nei diversi sistemi
capitalistici: public company, impresa consociativa e impresa familiare.
Il secondo capitolo è stato dedicato al della società Enron, una delle più grandi
multinazionali del mondo, operativa nel settore dell’energia, che fallì nel 2001
dopo anni di gestione opportunistica da parte dei manager.
Viene messa in evidenza anche la collusione dei manager con organi
istituzionali, che avrebbero dovuto controllare sul loro comportamento.
Un approfondimento è dedicato ai “principi guida” dell’attività imprenditoriale
di Enron, al ruolo svolto dal consiglio di amministrazione e al sistema di
controlli interni ed esterni messi in atto dalla società.
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Si esaminano, infine, le fasi della caduta e del fallimento della società,
avvenuti nel 2001, individuando quali insegnamenti il caso Enron ha
trasmesso
Il terzo e ultimo capitolo è invece dedicato al problema di bonus ai manager.
La parte iniziale è dedicata a uno studio sulla crisi economica del 2008, alle
relative cause e alle ripercussioni che la crisi può avere a breve e a lungo
termine.
Si sottolinea la contraddizione tra l’attuale fase di crisi economica e
l’assegnazione di ingenti bonus ai manager, nonostante in alcuni casi abbiano
contribuito loro stessi alla crisi.
Infine, vengono individuati i provvedimenti adottati dagli stati per ridurre i
bonus.
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CAPITOLO 1
LA SEPARAZIONE TRA PROPRIETA’ E CONTROLLO:
ASPETTI TEORICI.
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1.1 Il problema della separazione tra proprietà e controllo nelle
grandi imprese.
Nei Primi anni del nuovo millennio alcuni clamorosi casi di disastri
finanziari hanno riportato alla luce un vecchio problema relativo alla
separazione tra proprietà e controllo delle società per azioni.
I clamorosi problemi registrati da grandi società internazionali come
Enron, WorldCom e Tyco (Stati Uniti), Parmalat e Cirio (Italia), Ahold
in Olanda, la bancarotta argentina, gli scandali minori delle Banche
tedesche e infine le sospette privatizzazioni in Russia di imprese
monopoliste, precedentemente controllate dallo Stato e successivamente
svendute ad ex-oligarchi, si sono tutte verificate in un arco temporale
ristretto e stanno a dimostrare che il problema risulta lontano dall’essere
essere risolto sia in Italia che in altri paesi come gli Stati Uniti dove
l’efficacia e l’efficienza dei controlli sembrava portasse a dei risultati
soddisfacenti.
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Gli scandali finanziari e contabili hanno avuto forte eco sulla stampa
specializzata e la risposta immediata è stata una nuova ondata nella
regolamentazione che ha comportato da un lato all’aumento degli
adempimenti e degli obblighi in capo ad amministratori e managers e
dall’altro un inasprimento delle pene in caso di crimini accertati.
Gran parte delle società investite da questi scandali erano società per
azioni.
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MONKS e MINOW,(2007), presentano un elenco con i dieci maggiori scandali finanziari degli
ultimi dieci anni negli Stati Uniti, illustrando il tipo di frode commessa, l’ammontare delle perdite
subite dagli azionisti e la pena comminata dagli organismi di vigilanza e Autorithy.
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Le società per azioni sono imprese il cui capitale è ripartito in quote
(azioni) possedute da individui che hanno responsabilità limitata rispetto
ai debiti aziendali.
La responsabilità limitata dei singoli azionisti implica che, qualora la
società fallisca, essi non sono tenuti a pagarne i debiti ricorrendo al
proprio patrimonio personale.
Le perdite dell’azionista si limitano al valore del pacchetto azionario da
essi posseduto.
La teoria economica ha da lungo tempo evidenziato che la dispersione
della proprietà delle imprese in una moltitudine di piccoli azionisti crea
una separazione tra proprietà e controllo, e che, d’altro canto, è molto
difficile che ciascun piccolo azionista sia in grado di verificare da solo
se i manager, i dirigenti e gli amministratori assumono decisioni
nell’interesse dell’impresa.
Al contrario questi soggetti potrebbero perseguire degli obiettivi propri
che potrebbero andare in conflitto con l’interesse della massimizzazione
del profitto.
E’ stato sottolineato in letteratura come i managers siano più
frequentemente interessati a massimizzare le vendite, ad aumentare le
dimensioni dell’impresa e tutti i benefici extra monetari connessi alla
posizione manageriale.
Gli azionisti sono invece interessati ad assumere le decisioni che
permettono all’impresa di minimizzare i costi e di massimizzare i
profitti.
Le implicazioni della separazione tra proprietà e controllo sono state
esaminate nella letteratura economica inquadrando il problema nello
schema teorico più generale del rapporto principale-agente.
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Questo rapporto consiste in una relazione contrattuale in cui un agente è
incaricato da un principale ad agire in suo nome e per suo conto.
Di conseguenza l’azione dell’agente influenzerà il benessere e l’utilità
del principale.
Il problema legato alla relazione principale-agente consiste nel fatto che
gli agenti hanno la possibilità, perché sono più informati del principale
sull’attività dell’impresa o perché sono in grado di nascondere le
informazioni al principale, di assumere decisioni che massimizzano la
loro utilità, anche a costo di generare un flusso di profitti più basso.
La società per azioni è la forma giuridica d’impresa che ha reso
possibile la concentrazione della ricchezza di innumerevoli individui in
enormi aggregati, il cui controllo è stato ceduto a un ristretto numero di
persone.
La cessione ad altri del controllo sulle proprie ricchezze da parte degli
azionisti, ha determinato il superamento della tradizionale concezione
del diritto di proprietà ed ha fatto sorgere il problema della definizione
dei nuovi rapporti.
La separazione della proprietà dal controllo determina una situazione
per cui gli interessi dei proprietari possono divergere da quelli di chi
sostanzialmente dirige l’impresa ed inoltre divengono inefficaci molti
dei freni istituiti per limitare l’impiego del potere.
Le società per azioni hanno distrutto il concetto unitario di proprietà
distinguendo tra la titolarità del diritto di proprietà ed il potere
economico che fino ad ora le distingueva.
L’istituto della società per azioni ha così cambiato la natura stessa
dell’impresa privata.
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Vista dall’esterno il mutamento consiste nel fatto che i singoli tendono a
perdere sempre più la proprietà degli strumenti di produzione e
diventano sempre più proprietari di azioni e obbligazioni.
Il controllo materiale degli strumenti di produzione viene ceduto a
gruppi ristretti che amministrano l’insieme delle proprietà,
presumibilmente nell’interesse dei possessori dei titoli.
Nella maggior parte dei casi, chi amministra la moderna società per
azioni, possiede una frazione minima e insignificante di azioni tale da
poter partecipare solo in minima parte agli utili derivanti da una buona
amministrazione.
A loro volta gli azionisti non possono essere spinti dal desiderio di
ottenere tali profitti, in quanto hanno ceduto ogni facoltà a chi ha il
controllo dell’impresa.
Chi esercita il controllo della ricchezza nella società per azioni, ossia gli
amministratori, forma una classe sociale del tutto differenziata rispetto a
quella dei proprietari del capitale.
Chi detiene la ricchezza non l’amministra, lascia che altri
l’amministrano per loro conto; chi amministra la ricchezza non ne è
proprietario e non ne trae personale vantaggio economico: egli non è, di
regola, socio né, di conseguenza, partecipa alla distribuzione degli utili.
Si verifica una separazione all’interno dell’impresa: un nucleo centrale
nel quale, si concentra il comando e una fascia di azionisti di minoranza,
azionisti senza diritto di voto i quali versano la maggior parte del
capitale pur avendo scarse possibilità di esercitare un potere all’interno
dell’impresa.
Essi però hanno un interesse nella gestione dell’impresa, sono degli
stakeholders, sopportano una parte di rischio.