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Capitolo 1 La fedeltà
1.1 Introduzione
Negli ultimi anni si è affermato in misura esponenziale il ruolo dei retailer online
definiti anche come e-retailer. Si tratta di una categoria di intermediari tra l’industria
e il consumatore che esercitano la propria attività nel mondo virtuale. Un contributo
sostanziale allo sviluppo dei e-retailer è dovuto al crescente processo di
digitalizzazione dell’economia che ha creato un nuovo segmento di mercato in cui le
imprese presenti, dispongono di un patrimonio informativo che permette loro di attuare
nuove strategie per il business digitale. Interfacciarsi su internet permette ai retailer
virtuali di avere vantaggi rispetto al mondo fisico, tra i quali: una struttura altamente
flessibile senza vincoli di spazio e costi più bassi per la gestione del business,
transazioni più veloci con strumenti di pagamento tracciabili e sicuri, offrire soluzioni
senza frizioni per i propri consumatori ossia una fruizione del servizio in qualsiasi
momento, servendosi di device senza spostarsi fisicamente e modelli di promozioni
personalizzate per migliorare l’esperienza del consumatore (Srinivasan et al. 2002).
Infine, internet consente alle aziende di attuare facilmente, strategie di targeting
(processo che attraverso una fase preliminare di analisi e segmentazione della
domanda di mercato, consente di individuare i segmenti obiettivo, i target appunto,
verso i quali orientare il marketing mix dell’impresa) e comunica, in maniera
interattiva, con i consumatori fino alla fase finale del prodotto.
A tal proposito, è stato analizzato come nel corso degli anni, internet ha
contribuito all’evoluzione delle tecniche e strategie di vendita su cui si fonda il retail
marketing. Dapprima internet ha assunto il ruolo di veicolare le informazioni dei
prodotti e servizi a supporto dell’organizzazione del retailer (Bruno 1997).
Successivamente, internet viene utilizzato come uno strumento di marketing
dinamico con un vantaggio sia per l’impresa che per il consumatore. Infatti, attraverso
internet, il consumatore era invitato a partecipare interattivamente, accedendo al sito
web per ottenere maggiori informazioni sui prodotti semplificando il suo processo di
acquisto e, allo stesso tempo, il retailer riceveva dati preziosi sul consumatore, per
scopi di targeting (Hazel 1996). Ed è proprio in questa fase che i retailer possono
attrarre potenziali consumatori, entrare in nuovi mercati e promuovere il loro marchio
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aumentando la customer retention (Ernst and Young 1999), fornendo un canale
virtuale alternativo a quello fisico.
Attualmente il ruolo di internet è costituito da un’evoluzione della seconda fase di
partecipazione interattiva, rappresentato dalla vendita dei prodotti on-line attraverso
una transazione con i consumatori (Hoffman et al. 1996).
Con il crescente aumento dell’offerta commerciale si è giunti ad una saturazione
del mercato nel quale concorrono sia gli e-retailer ossia imprese che hanno il proprio
business esclusivamente online che retailer multi-channel, i quali hanno affiancato alla
tradizionale vendita fisica gli store sul canale online.
Inoltre, è accresciuta l’attenzione che le imprese dedicano al comportamento dei
propri clienti, la quale ha portato ad una progressiva complessità delle relazioni di
mercato (Costabile 2000). Una delle sfide rilevanti per i retailer è quella della
fidelizzazione dei consumatori attraverso dei meccanismi che rendono “costoso”
cambiare azienda (i cosiddetti switching costs), nonostante i rilevanti costi di
avviamento e gli ingenti investimenti sostenuti a questo scopo (Shapiro e Varian
1999).
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1.2 Il rilevante ruolo della fedeltà
Nel perseguimento delle proprie strategie di marketing, i retailer, sia nel contesto
online che off line, stanno seguendo un cambiamento di rotta rispetto a strategie
incentrate su meccanismi di prezzo adottate nel passato. Infatti, si è reso necessario
promuovere meccanismi promozionali innovativi e differenziati per acquisire un
vantaggio competitivo sul mercato, accrescere la propria quota di mercato e assicurarsi
la fedeltà dei clienti.
Sebbene ci sia in atto una convergenza tra meccanismi promozionali di prezzo e
fedeltà, è sempre più difficile intraprendere strategie che fidelizzino il cliente (Ziliani
2015). Tuttavia, fidelizzare rimane una strategia economicamente più vantaggiosa: il
costo legato all’acquisizione dei nuovi consumatori è maggiore rispetto a quello
necessario per trattenere i clienti, ovvero la customer acquisition è molto più onerosa
della customer retention, da 5 fino a 7 volte (Doyle 2003). Pertanto, la customer
retention è considerata uno dei fattori cruciali per il successo di un’impresa con
importanti implicazioni per la profittabilità e risparmio di costi (Doyle 2003).
Reichheld e Schefter (2000) affermano che le spese necessarie sostenute per
sviluppare una relazione di lungo periodo con un consumatore sono più alte nel settore
e-commerce rispetto ai canali tradizionali. A fronte di incentivi monetari per
l’acquisition di un consumatore su mercati online, come ad esempio voucher per il
primo acquisto, Reichheld e Schefter (2000) hanno previsto che mediamente il retailer
riesce a recuperare quanto investito sul consumatore, nel caso in cui quest’ultimo
continui ad effettuare acquisti sul sito, non prima di due-tre anni. Bisogna tener conto,
inoltre, del tasso di defection ossia quello di abbandono del sito da parte del
consumatore il quale si stima essere oltre il 50% nelle fasi iniziali della relazione con
l’impresa.
Pertanto, molte imprese cercano di comprendere come stabilizzare una relazione
profittevole e duratura con il consumatore a scapito dei concorrenti (Reichheld e
Schefter 2000). I consumatori del web tendono a ripetere i loro acquisti con un retailer
principale, fino al punto in cui, diventa un’azione abitudinaria, inserita quindi nella
routine quotidiana. Al fine di comprendere in che modo un’impresa possa fidelizzare
un consumatore, bisogna comprendere le dinamiche della customer loyalty.
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1.2.1 Dalla customer satisfaction alla customer loyalty
La letteratura accademica ha esaminato come le imprese hanno tentato di adottare
una prospettiva di prioritario orientamento allo sviluppo e al consolidamento della
relazione con i clienti definita da Valdani e Busacca (1999), customer based view
(Costabile 2000).
In particolare, si è posta maggiore enfasi sulle fasi del comportamento d’acquisto
successive alle iniziali manifestazioni di preferenza verso una marca o un’insegna
(Costabile 2000). Grazie al notevole patrimonio informativo di cui dispongono i
retailer sui consumatori, Oliver (1999) ha affermato come negli anni Novanta, le
imprese abbiano dedicato una parte sostanziosa del loro budget, il 30 % circa, sulla
customer satisfaction.
La soddisfazione dei consumatori può essere interpretata come una conferma delle
aspettative nella fase post-acquisto e si declina, quindi, come fiducia nella propria
capacità di assumere decisioni che poi producano gli effetti desiderati (Bandura 1982,
1986).
Altri ricercatori, giungono alla conclusione che la soddisfazione è quella reazione
dopo la fase di acquisto del consumatore e, si verifica attraverso una combinazione di
aspettative e performance percepite. La soddisfazione/insoddisfazione non è altro che
una fase che si manifesta dopo la fedeltà (Bitner 1990). Essa è vista come un’emozione
distinta dalla valutazione cognitiva o dall’atteggiamento che deriva da una diretta
esperienza. Oliva (1992) afferma che la relazione tra il servizio di soddisfazione e la
fedeltà non è lineare. Ciò significa che, nel caso di un aumento di soddisfazione del
consumatore oltre a un livello critico, aumentano rapidamente gli acquisti ripetuti; nel
caso di un declino degli acquisti ripetuti restando sopra al livello critico, molto spesso,
il grado di soddisfazione, scende al di sotto di tale livello.
Tuttavia, vi sono stati alcuni ricercatori accademici che hanno affermato come la
customer satisfaction non fosse sufficiente per avviare una relazione solida e duratura
tra i retailer e i consumatori.
Tra i ricercatori vi sono Deming (1986) così come Jones e Sasser (1995), i quali
sostengono come consumatori meramente soddisfatti dell’offerta economica di un
retailer, non possono essere definiti fedeli. Infine, vi è il contributo di Reichheld
(1996), il quale ha coniato la terminologia “satisfaction trap” ossia trappola della
soddisfazione, sulla base degli studi condotti da Bain&Company, dal quale emergono
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che, a parità di condizioni un maggior profitto ottenuto dalle imprese con una solida
base di consumatori fedeli rispetto a quelli meramente soddisfatti.
Definire e misurare la fedeltà del consumatore è un compito molto difficile (Yang
e Peterson 2004).
Il concetto di fedeltà si è evoluto nel tempo dapprima con un approccio
comportamentale, definendo e misurando la fedeltà attraverso un ripetuto
comportamento di acquisto (Frank 1967; McConnell 1968), ma questa definizione non
mette in luce quali siano i fattori alla base dell’acquisto ripetuto. Infatti, un’alta
frequenza di acquisto presso un determinato retailer, per esempio, potrebbe riflettere
su vincoli a cui il consumatore è soggetto, come la presenza in esclusiva di determinati
prodotti. Al contrario, una bassa frequenza di acquisto presso un retailer, non sempre
indice di una bassa fedeltà del consumatore ma potrebbe avere origine dal
comportamento del consumatore, in una ricerca di varietà o mancanza di determinati
prodotti a cui il consumatore è fortemente legato. Quindi, prendere di riferimento solo
i comportamenti del consumatore, è insufficiente per spiegare come e perché la fedeltà
si è evoluta (Dick e Basu 1994).
Successivamente all’approccio comportamentale della fedeltà, si è passati ad un
approccio cognitivo, il quale si focalizza principalmente sulle dimensioni mentali della
fedeltà (Day 1969). Un esempio di fedeltà mentale, definita dall’autore come
attitudinal loyalty, è la valutazione delle alternative offerte dai diversi retailer.
Dick e Basu (1994) hanno utilizzato un approccio composto, affermando che
l’atteggiamento del consumatore e il ripetuto comportamento di acquisto sono due
condizioni essenziali per il concetto della fedeltà. Essi definiscono che la customer
loyalty è vista come la forza della relazione tra l’atteggiamento dell’individuo con la
ripetuta fiducia da parte dell’individuo stesso.
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1.3 Evoluzioni della fedeltà attraverso modelli attitudinali e comportamentali
1.3.1 Matrice della fedeltà Dick e Basu (1994)
Riprendendo dal concetto espresso da Dick e Basu (1994), essi hanno focalizzato
l’attenzione sulla fedeltà mentale e sulle percezioni e convinzioni che possono
determinare le diverse forme di fedeltà. In particolare, gli autori sostengono come si
possa misurare la dimensione cognitiva della fedeltà (fedeltà mentale), in termini di
atteggiamento relativo ossia la valutazione che il cliente esprime con riferimento alla
superiorità/inferiorità della marca acquistata con maggiore frequenza rispetto alle
alternative d’offerta considerate (Costabile 2000). Essi sono arrivati ad elaborare una
matrice della fedeltà, classificando la ripetizione dell’acquisto ossia repeat patronage
del consumatore (alta e bassa) e la valutazione relativa, definita come relative attitudes
(alta e bassa).
Dall’intersezione scaturiscono quattro quadranti:
• No Loyalty: data dall’incontro tra bassa valutazione relativa – bassa ripetizione
d’acquisto, questa situazione evidenza un’assenza di fedeltà.
Una bassa valutazione relativa da parte del consumatore potrebbe essere spiegata
con un recente referenziamento di un prodotto o servizio da parte di un retailer o
l’incapacità di comunicare vantaggi distintivi. In questo caso bisognerebbe, secondo
gli autori, migliorare la brand/store awareness attraverso una mirata strategia di
marketing che abbia l’obiettivo di innescare ripetuti acquisti.
Inoltre, una bassa valutazione relativa potrebbe anche significare che il mercato
in cui è presente l’offerta dei servizi/prodotti del retailer, è altamente competitivo e
caratterizzato da una forte omogeneità a livello di offerta.
• Spurious Loyalty: data da bassa valutazione relativa – alta ripetizione
d’acquisto, questa situazione delinea una “falsa o ingannevole fiducia”. Spurious
Loyalty è stata associata a un comportamento di inerzia da parte del consumatore
(Assael 1992), in cui il consumatore percepisce una sottile differenza tra le varie
offerte presenti e intraprende, in base a delle routine o passate esperienze, acquisti
ripetuti. Gli autori consigliano in questa fase di aumentare il valore percepito dai
consumatori al fine di innescare nei consumatori un acquisto differenziato dai
competitors.
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• Latent Loyalty: quadrante scaturito da alta valutazione relativa – bassa
ripetizione d’acquisto, rappresenta una fedeltà potenziale. È una situazione che si
verifica quando fattori esterni alla valutazione del consumatore, come ad esempio
norme sociali, sono tanto influenti da compromettere il comportamento del
consumatore stesso. Esempio di norma sociale può essere una percezione manifestata
e condivisa da persone socialmente vicine al consumatore, per un prezzo alto per
l’acquisto di un prodotto allettante che ostacola lo stesso consumatore ad effettuare un
acquisto.
• Loyalty: quadrante nel quale vi è la corrispondenza tra alta valutazione relativa
e alta ripetizione d’acquisto. I consumatori che sono in questo quadrante, percepiscono
una significativa differenza tra i prodotti/servizi di un’impresa rispetto ad un’altra.
Questa classificazione nei quattro quadranti dell’atteggiamento/valutazione
relativa-ripetizione d’acquisto suggerisce due potenziali reazioni da parte dei
competitor per fronteggiare le imprese con un alto tasso di fedeltà:
1) Tentare di diminuire la differenza di prodotto/servizio percepita da parte dei
consumatori, facendo leva su una strategia me-too e quindi sulla valutazione relativa;
2) Aumentare la differenza percepita a proprio favore con proposte concorrenziali
(nel caso di retailer online, migliorando la grafica e la funzionalità del proprio sito
web).
Quindi, Dick e Basu (1994) affermano che un’alta valutazione relativa
contribuisce in misura significativa ad un mantenimento della fedeltà nel lungo
periodo.
La matrice della fedeltà non ha una base empirica ossia non è stata testata dagli
autori. Garland e Gendall (2004), in una loro ricerca, hanno verificato che la matrice
in essere, non sempre risulta essere valida, poiché dipende dal contesto in cui essa è
applicata. Infatti, gli autori puntualizzano come solamente in determinati settori la
matrice della fedeltà risulta uno strumento valido, come quelli soggetti ad
abbonamento nei quali vi è un elevato switching cost per i consumatori e dove il brand
portfolio è basso.
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1.3.2 Matrice della fedeltà di Oliver (1999)
Alcuni ricercatori hanno messo in discussione quanto riportato da Dick e Basu
(1994), per il fatto che l’atteggiamento relativo non sempre porta all’azione di acquisto
e che il comportamento di acquisto ripetuto, formulato dai due autori, potrebbe non
riflettere le reali intenzioni del consumatore a fidelizzarsi (Yang e Peterson 2004).
Oliver (1999) ha affrontato il tema della fedeltà, definendola come un impegno
così forte e consistente al riacquisto o al riutilizzo di un prodotto/servizio preferito,
tale da superare influenze contingenti e sforzi di marketing dei competitor aventi lo
scopo di innescare comportamenti di switching e quindi di infedeltà. Egli ha raggiunto
questa definizione dopo aver elaborato un modello composto da quattro stadi
sequenziali (cognitivo, affettivo, conativo e action loyalty), dove il consumatore può
diventare fedele in ogni fase attitudinale con l’evolversi del modello.
Nella prima fase, il consumatore è fedele solo cognitivamente, nel senso che
dimostra una conoscenza diretta o indiretta del prodotto e dei suoi benefici che lo
differenziano da altri tipologie di prodotti simili e, sulla base di una convinzione di
superiorità dell’offerta procede all’acquisto. Se la transazione di acquisto è routinaria
come l’acquisto di beni primari, la soddisfazione non può essere presa in esame.
Pertanto, il consumatore fedele cognitivamente concentra la propria attenzione solo
sugli aspetti di performance del brand.
Nella seconda fase, vi è un atteggiamento positivo del consumatore verso il brand
memorizzato nella fase cognitiva sulle basi di ripetute occasioni d’uso soddisfacenti.
L’impegno al riacquisto è codificato nella mente dei consumatori sia cognitivamente
che affettivamente (Oliver 1999). Questa fase è diretta verso l’attrattività al brand.
La terza fase è quella dove si raggiungono i livelli più intensi di fedeltà. In tale
fase, la fedeltà diventa conativa ossia caratterizzata da una forte intenzionalità e da un
elevato coinvolgimento. La forte intenzionalità è molto simile alla motivazione che il
consumatore ha di riacquistare il brand. Nonostante ciò, l’autore spiega come questa
fase possa essere seguita da un’azione non necessariamente traducibile nell’acquisto.
Vi è infine l’ultima fase, quella dell’action loyalty. Il passaggio dall’intenzione
maturata nella fase conativa all’azione di acquisto, fa riferimento a un paradigma
studiato da Kuhl e Beckmann (1985), chiamato teoria del controllo delle azioni. Questo
paradigma si compone di due stadi: preparazione all’acquisto e il superamento degli
ostacoli che potrebbero impedire l’atto di acquisto. Quindi action loyalty è vista come
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un risultato necessario per raggiungere entrambi gli stadi (Oliver 1999) ed è percepita
come un’azione inerziale (inertia action).
Osservando il modello di Oliver emerge come esso si trasformi da uno basato
meramente sugli atteggiamenti costituito dalle prime tre fasi, a un modello che tiene
conto anche del comportamento rappresentato dall’azione di inerzia al riacquisto.
Inoltre, questo modello presenta delle vulnerabilità. La prima fase, quella
cognitiva è soggetta a fallimenti sulla base dei vari elementi che caratterizzano il
prodotto/servizio come il costo, che non determina alcuna fedeltà del consumatore.
Nella fase affettiva, invece, che riguarda l’attrattività del prodotto, può subentrare
un’insoddisfazione connessa con la fase cognitiva (Heide e Weiss 1995). Questa
insoddisfazione porta ad un effetto deleterio sulla forza delle attitudini del
consumatore verso un brand.
La fase conativa porta i consumatori a sviluppare un livello di forte motivazione.
Se da un lato grazie a questa motivazione i consumatori possono sopportare alcuni
episodi insoddisfacenti (Oliva, Oliver e MacMillan 1992), dall’altro la pubblicità della
concorrenza, soprattutto se rafforza la percezione di gravità dell’esperienza in cui il
consumatore è rimasto insoddisfatto, può minare la relazione tra cliente e azienda
(Oliver 1999). In aggiunta alla pubblicità, particolarmente efficaci per destabilizzare
la motivazione del consumatore verso un brand, sono i campioni omaggio e coupon
offerti dai competitor.
Infine, nell’ultima fase, potrebbero esserci efficaci strategie di marketing da parte
dei competitor, volte ad attirare l’attenzione del consumatore e ad accrescere il livello
d’insoddisfazione con l’attuale brand.
Oliver (1999) ha proposto un’evoluzione del modello, rappresentato da una
matrice, dove va ad esporre le quattro fasi della fedeltà.
La matrice si compone di una dimensione verticale rappresentata dal grado di
convinzione dell’individuo e di una dimensione orizzontale concernente il sostegno
della comunità, a cui il brand appartiene.
Il grado di convinzione riguarda la scelta di essere fedele solo a un brand e quindi
di evitare proposte da parte dei competitor. A un basso livello di convinzione, il
consumatore ha solo informazioni collegate al brand e presenta un certo grado di
disponibilità ad accettare offerte dai competitor. Invece ad un alto livello di
convinzione, il consumatore ha raggiunto lo stato inerziale, ossia un forte
distaccamento da tutte le iniziative dei concorrenti.