caratterizza la pedagogia come scienza in cammino verso una destinazione mai
certa e mai definitiva; destinazione che reclama le categorie della differenza e
del possibile come idee regolative dell’emancipazione e della liberazione”. Il
riorientamento della pedagogia passa dunque attraverso lo stabilire relazioni
dialogiche tra ragione ed esperienza, tra critica ed utopia. Da questo punto di
vista, il nuovo paradigma pedagogico è sostenuto dalla categoria del possibile e
il metodo dell’impostazione pedagogica è “educare in situazione”. Ciò
comporta, per quanto ci riguarda, un confronto simultaneo tra realtà situate,
teorizzazione, nuove acquisizioni scientifiche in ordine al concetto di comunità
che apprende. All’interno di questo modello, la forza contestativa e utopica sta
nell’unire l’utopia con le realtà concrete che devono essere trasformate, azione
che necessita dell’attività intenzionale di individui che, come membri di una
comunità, si sforzano di comprendere meglio il loro mondo condiviso per
trasformarlo. Questa ridefinizione della pedagogia, passaggio decisivo per la
difesa della ragione ma anche della libertà, implica una nozione di intenzionalità
progettuale, congetturale, rispettosa del processo di crescita dei giovani, guidata
da una educazione intellettuale con il compito di fungere da “bussola” di
alfabetizzazione collettiva.
1
Può la scuola essere una learning organization?
Il mutamento di paradigma che riguarda l’economia, e di conseguenza la
formazione, sta producendo una evoluzione delle organizzazioni che investe sia
gli aspetti tecnologici sia quelli individuali e relazionali: la spinta innovativa che
coinvolge gli attori politici, sociali ed economici, induce a cercare nuove forme
di adattamento alla realtà complessa ripensando la cultura organizzativa,
rendendo più flessibile il concetto di produzione, per rispondere alle sfide della
competitività; ma anche per rispondere al crescente bisogno di identificazione e
di appartenenza.
1
Frabboni - Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza 1994
Il sistema scolastico, anch’esso organizzazione connotata da una propria
identità, deve affrontare il cambiamento, l’imprevisto, la “modernità liquida” dei
saperi e delle relazioni. L’intento è comprendere quale innovazione è possibile
e lo facciamo partendo dalla domanda: come dovremmo pensare
l’organizzazione della scuola se volessimo fare di essa una vera e propria
learning organization?; domanda a cui rispondere trasponendo nella scuola i
concetti-guida dell’economia aziendale e del management, non senza cautela e
circospezione.
La finalità che ci prefiggiamo in questo cammino di ricerca è capire se e come le
metodologie applicate in ambito economico-aziendale possono trovare
applicazione nelle istituzioni scolastiche autonome. Per fare questa trasposizione
utilizziamo lo strumento della metafora.
Nell’immaginario collettivo la scuola è da sempre considerato il luogo
dell’insegnamento, della trasmissione di contenuti culturali quantificabili e
certificabili. L’ impegno più arduo da gestire è trasformare la scuola del
programma in scuola dei processi, in luogo dell’apprendimento.
Utopia necessaria, utopia realizzabile o, semplicemente utopia?
La pedagogia della complessità opera all’interno del binomio possibilità –
fattibilità oscillando così tra utopia e realtà.
La difficoltà metodologica iniziale di questa ricerca è rappresentata dalla
“specificità” della “organizzazione scuola”, strutturata prevalentemente sulla
acquisizione/costruzione intenzionale dei saperi. Ciò che appare
immediatamente molto stimolante riguarda invece l’applicazione della
prospettiva analitica sull’apprendimento: potrebbe risultare utile al mondo della
scuola osservare i processi di apprendimento sotto una nuova luce. Del resto
learning organization è ricerca “in azione”. L’apprendimento, e non
l’adattamento passivo, è il nuovo paradigma che deve guidare i mutamenti
organizzativi. L’apprendimento mediato, in quanto invenzione collettiva di
strategie, avviene mediante un’azione di negoziazione a tutti i livelli di nuovi
significati e comporta ad una ristrutturazione cognitiva dei giochi sociali,
superando quelli precedentemente definiti e istituendo in tal modo un diverso
gioco relazionale tra utenti/clienti.
Una concreta attuazione del paradigma dell’apprendimento può essere
rintracciata nella relazione tra cliente e organizzazione.
La strategia dell'apprendimento è bidirezionale. E’ anche l'organizzazione che
apprende dal cliente. L’azienda postindustriale è orientata all'inclusione del
cliente e per conseguire questo obiettivo dà massimo rilievo all'interazione
apprenditiva.
Lo specifico fenomeno scolastico si inserisce per certi versi nell’ambito delle
organizzazioni che producono servizi. Tuttavia, essendo organizzazione
formativa, dovrebbe essere un’organizzazione predisposta naturalmente al
cambiamento. Infatti oltre che avvalersi, come le altre organizzazioni
dell’apprendimento per sviluppare il proprio prodotto (la formazione dei docenti
per esempio), ha come prodotto l’apprendimento stesso.
L’apprendimento nella scuola – come nelle organizzazioni formative in genere -
è, ad un tempo, mezzo e fine.
E’ anche sotto questa prospettiva che va messa a fuoco l’organizzazione
scolastica. La sua “natura” nel contesto dinamico post – industriale le offre la
possibilità di configurarsi come un’organizzazione che promuovendo
l’apprendimento produce il cambiamento, aprendosi al futuro.Ma il punto su cui
vorrei attirare l’attenzione è che la teoria applicata alle organizzazioni formative
non sembra aver colto questo aspetto: solo se il cambiamento organizzativo
procede mediante modalità di apprendimento collettivo, l’organizzazione
formativa in quanto tale, si pone in una posizione di vertice nello scenario post –
industriale e che l’apprendimento è tanto mezzo quanto fine.
Ci interessa molto cogliere questa tipicità per comprendere meglio il fenomeno
scolastico come fenomeno organizzativo. Se la tendenza a valorizzare le risorse
umane ha collocato l’apprendimento come elemento centrale nel processo
produttivo, nelle organizzazioni formative l’apprendimento riguarda ad un
tempo il processo e il prodotto. L’osmosi tra cliente e organizzazione è dunque
speculare a quella tra processo e prodotto.
Prodotto e processo si identificano. Questa impostazione - che prevede la libera
adesione del soggetto alla proposta formativa - rappresenta gli studenti stessi
come ri-compresi a trecentosessanta gradi in un processo di
responsabilizzazione. In effetti il rischio che corrono tutte quelle azioni e teorie
che vedono quali esclusivi soggetti del cambiamento (e dell’organizzazione) i
soli docenti - mentre gli studenti sono visti come utenti o tutt’al più come clienti
verso i quali erogare un servizio, è quello di non riuscire a porre in essere
strategie efficaci di miglioramento della qualità del prodotto.
Il mutamento organizzativo va invece pensato in modo da coinvolgere ambedue
gli attori della scuola, docenti e studenti, in un’ottica di interscambio tra
pedagogia e teoria organizzativa, poiché sia la prima che la seconda,
promuovendo apprendimenti significativi, sono implicate nelle azioni di
cambiamento. Tanto gli insegnati quanto gli studenti sono allora da considerarsi
lavoratori della conoscenza tout – court proprio perché facenti parte di
un’organizzazione assorbente che realizza l’osmosi tra organizzazione e cliente:
in quali condizioni, con quali vincoli, con quali assunzioni di responsabilità?
La domanda è provocatoria.
Molto probabilmente occorrerà decostruire il Pianeta Istruzione rivedendo la
relazione tra pratiche della comunità scolastica, pratiche della comunità locale,
della comunità produttiva.
Abbiamo pensato a un doppio percorso: “a cerchi concentrici”, di trasferimento
delle dinamiche dell’apprendimento situato nei tre livelli che ne sono coinvolti:
il soggetto, il gruppo, la scuola, la comunità, il sistema; è la scuola che produce
nella società un “effetto sasso nello stagno”. Il percorso “complanare” richiede
l’analisi degli elementi che costituiscono la cultura dell’organizzazione e la loro
trasposizione sulle componenti predominanti del sistema-scuola, impegnate
nell’azione didattica e formativa, coinvolti in un processo “a spirale” basilare
per ottenere una disseminazione progressiva e uniforme delle competenze
chiave.
.La prima parte di questa ricerca sottolinea l’importanza della esplicitazione e
condivisione della metodologia adottata, di un glossario. L’approfondimento
cura una breve rassegna delle tappe che hanno contrassegnato l’alfabetizzazione
organizzativa-situata e fatto crescere il bisogno di formazione ricorrente, fattore
imprescindibile per la crescita di ogni individuo e per l’esercizio della
cittadinanza attiva. Nella seconda parte, nel II Capitolo viene esplorato il
concetto di “scuola-learning organization”; ricostruendo come nasce la comunità
che apprende, come questa interagisce col sistema sociale, utilizzando varie
indicazioni che provengono da diversi indirizzi di pensiero: Luhman, Beckhard,
Bennis, Shein, Selznick e Brown Nonaka e Takeuchi.
I due concetti fondamentali per le organizzazioni-cellule della società sono la
democrazia e l’efficacia organizzativa. Ethos e demos, i due aspetti che
richiamano il problema etico della partecipazione, condivisione e assunzione di
responsabilità. La democrazia- afferma Bennis - è l’unica strada alla base del
cambiamento organizzativo. Essa spinge i dirigenti, manager delle risorse
umane, a formarsi adeguatamente per applicare tecniche e promuovere una
nuova “politica aziendale” che ristruttura nuovi valori: comunicazione
emancipata, affidabilità sul consenso, autorevolezza basata sulle competenze,
capacità di concertazione e di mediazione dei conflitti tra individui e tra
individui e organizzazione. L’efficacia organizzativa si identifica in due
dimensioni: indici di rendimento, benessere organizzativo. Nella realtà queste
due dimensioni spesso conflittuali, non si traducono in alti rendimenti
dell’organizzazione e quindi in qualità degli apprendimenti e delle soggettività
professionali.
Si rende necessario ridisegnare la scuola illustrando i mutamenti che sono
avvenuti nel sistema scolastico in senso globale e del ruolo che gli attori sociali
che attualmente giocano al suo interno. In particolare l’utilizzo della delega, il
ruolo della leadership in dimensione trasformazionale; il ruolo dei docenti che
abbraccia le tre dimensioni: esperti disciplinari, educatori, certificatori di
competenze. E da qui scaturisce un’altra domanda: come una progettazione di
intervento strategica e sistemica può dar vita ad una comunità in cui ognuno dei
suoi membri venga incoraggiato ad un lavoro di approfondimento,
consapevolezza, condivisione? Uno spunto di riflessione, degno di nota, viene
dall’approccio psicosocioanalitico.
Il modello burocratico si può convertire in modello dinamico/sistemico,
caratterizzato da reciprocità e adattabilità; il modello didattico tradizionale può
evolvere dalla logica del circuito semplice, lineare, e passare a quella del
circuito doppio, prevedendo l’uso diffuso della metodologia laboratoriale che
assimila i processi di apprendimento all’apprendistato, per svolgere una
funzione di tipo middle-up-down. La teoria dell’azione di Argyris e Shon ci
spiega come una organizzazione possa modificare i propri processi per
soddisfare le differenti esigenze di tutti gli utenti, interni ed esterni. Il prototipo
di organizzazione post-fordista che sta interessando il sistema scolastico,
argomento di dibattito europeo, è connotato da elementi come la complessità,
l’informazione, la rete, l’auto e l’inter-organizzazione dei sistemi. La
progettazione di un processo formativo ed educativo ottimale dovrebbe
comprendere un insieme di azioni sinergiche orientate al raggiungimento di
obiettivi qualitativi comuni, non solo di efficacia ed efficienza rispetto alle
politiche di sviluppo, ma soprattutto di integrazione e di reinserimento attraverso
l’acquisizione di competenze socialmente strategiche. Per obiettivi di qualità si
intende “educatività al futuro” come investimento sull’intelligenza e sulle
potenzialità di ognuno; ovvero “educatività alla cittadinanza attiva” per costruire
una comunità inclusiva che valorizzi le differenze e aiuti il soggetto-persona a
ridefinire i valori e ritrovare il senso di appartenenza al vivere sociale.
Il III capitolo è interamente dedicato all’organizzazione che crea e gestisce
conoscenza: le comunità di pratiche sono lo strumento per acquisire competenze
chiave, obiettivo che riguarda “simultaneamente” addetti ai lavori e studenti.
Nonaka raffigura la creazione di conoscenza come interazione tra conoscenza
tacita e esplicita. Questo processo è mediato dai vari linguaggi e segni che
ristrutturano gli aspetti cognitivi di apprendimento. È necessario considerare
anche il riverbero degli aspetti tecnologici che attengono alla specificità delle
comunità virtuali: il discorso assume proporzioni esponenziali. Una ultima
considerazione va fatta sulla qualità e l’efficacia del prodotto/formazione,
ripensando alle distanze che la cultura occidentale ancora oggi frappone a quella
orientale. Forse da essa potremmo trarre spunti per una ristrutturazione di
sistema che ne accolga le istanze di interdipendenza e integrazione che ancora la
differenziano dalla nostra.
Nuove domande… Quali nuove frontiere deve porsi la scuola per guardare al
futuro e affrontare la complessità? Chi è l’educatore di domani, quali prospettive
di formazione, di riqualificazione professionale e quale nuova identità?
Inevitabile sarà lo scontro fra la nostra ermeneutica e il flusso esperienziale nel
quale la scuola è immersa, difficili da vivere saranno le resistenze, le prese di
distanza, le rielaborazioni, il sorgere di nuove direzioni di senso, l’inesorabile
riconfigurazione cognitiva, la conflittuale intenzionalità nei processi di
costruzione della coscienza, l’interdefinizione mutua fra noi e la comunità che
vive in ogni cellula scolastica. In questo compito di ricostruzione è forse più
agevole, benché arduo, intraprendere un lettura sistemica del nostro oggetto di
studio trasferito in quel complesso intreccio di relazioni, nei flussi comunicativi
che esse generano, nonché nelle rappresentazioni didattiche che ne
scaturiscono.
2
Un insieme di elementi non si esaurisce nella loro somma, ma diventa
“organizzazione” che, in quanto tale, è organizzata e organizzante e quindi, muta
la natura stessa degli elementi. Secondo questa accezione possiamo affermare
che gli eventi condizionano l’armonia dinamica che sostiene i singoli soggetti,
elementi, gruppi; ma solo questi possono determinare il proprio cambiamento.
L’istituzione scuola è la cellula che racchiude nel suo nucleo tutti gli elementi
dell’interazione pedagogica che costituisce il fondamento dell’educazione
istituzionalizzata. Tante cellule educative sono altrettante comunità locali
intercomunicanti e comunicanti tra loro grazie alle reti territoriali e alle
Tecnologie Informatiche della Comunicazione Educativa. La comunicazione
allargata, delocalizzata e desincronizzata, mette in relazione gli elementi dei
cerchi più lontani o che appartengono a comunità educative diverse e distanti …
2
… A proposito dei sottosistemi viventi Arthur Koestler ha coniato il vocabolo “olone”, in quanto sono sia
totalità, sia parti di un sistema, sottolineando che ciascun olone ha due tendenze opposte: una tendenza
integrativa a funzionare come parte del tutto, ed una tendenza autoassertiva a preservare la sua autonomia
individuale. In un sistema biologico e sociale ogni olone deve asserire la sua individualità allo scopo di
conservare l’ordine
stratificato del sistema, ma deve anche assoggettarsi alle richieste del tutto allo scopo di rendere vitale il
sistema. Queste due tendenze sono opposte ma complementari. In un sistema sano, in un individuo, in una
società, in un ecosistema sani c’è equilibrio fra integrazione e autoasserzione. Questo equilibrio non è statico
ma consiste in un’interazione dinamica fra due tendenze complementari, che rende l’intero sistema flessibile
e aperto al mutamento.
Anche queste interazioni seguono le regole della fisica meccanica: ogni
comunità possiede una forza centrifuga e una forza centripeta, per cui le
comunità educative si aprono alla comunicazione pedagogica esterna con
l’effetto di rafforzare la cooperazione e la coesione interna. Paradossalmente
accade lo stesso fenomeno della globalizzazione: l’apertura delle culture alle
culture “diverse”, nel mentre provoca degli effetti di uniformizzazione,
comporta, egualmente degli effetti, più profondi, di rinforzo delle identità
culturali. Il gruppo che si apre agli altri prova immediatamente il bisogno di
affermare la propria identità; così è per la scuola autonoma. Lo spazio globale
esprime i particolari, rafforza il locale, valorizza i contributi specifici. Ogni
comunità “glocalizzata” si arricchisce nel confronto e produce apprendimenti
collettivi significativi. Per queste ragioni i processi di innovazione, visti in
un’ottica sistemica, entrano a pieno titolo nell’oggetto di studio di una
pedagogia della post-modernità, sostenuta da strategie e approcci tanto
innovativi dedicata a chi, da vero “professionista dell’educazione”, crede, lavora
e ricerca sul campo. Una progettazione di intervento strategica e sistemica può
dar vita ad una comunità in cui ognuno dei suoi collaboratori venga incoraggiato
ad un lavoro di approfondimento, consapevolezza, condivisione. È vero che
docenti e studenti si muovono all’interno dei contenuti del lavoro/studio ma
l’incontro tra individui nasce proprio attraverso la quotidianità scolastica e
costituisce una parte della biografia del singolo. Da questa consapevolezza nasce
il senso di responsabilità del singolo nei confronti della comunità e
nell’assunzione dell’onere del suo cambiamento. E su questo passaggio cruciale
si opera la metamorfosi da scuola dei contenuti a luogo dell’apprendimento,
lungo l’arco della vita.
Pensiamo a una “evoluzione della specie docente” che prevede l’estinzione
del docente “solitario”; dovremo supportare la crisi di tante personalità
narcisistiche e autoreferenziali. Speriamo nell’azione di docenti/educatori
“irragionevoli” (non imbrigliati dalla razionalizzazione), nomadi (liberi da
condizionamenti), propositivi e animati (ancora) dalla passione, e di dirigenti
autorevoli e illuminati.
In ultima analisi, ipotizziamo che non possa esistere una organizzazione che
apprende in senso epistemologico; poiché è impossibile parlare delle parti senza
esplorare e avere cognizione del tutto. Né è pensabile un sistema socio-
educativo che di principio escluda o isoli uno degli elementi o dei soggetti in
questione. Da un punto di vista teorico implicherebbe una contraddizione
insanabile dal momento che il dialogo educativo si svolge nella diversità, anzi
nelle diversità, né può esserci concettualmente educazione che non spazi a pieno
raggio in tutte le infinite possibilità dell’esistere.
Pertanto questa ricerca non poteva che partire dal riferimento al concetto di
complessità, necessario da un punto di vista metodologico per procedere alla
decifrazione dei fenomeni contemporanei caratterizzati innanzitutto dalla
discontinuità, dalla non prevedibilità, mettendo assolutamente in discussione la
staticità dei modelli esistenti; e per mettere consapevolmente mano poi alle
prospettive sistemiche aperte dalle comunità di pratiche.
Infine la sperimentazione: essa riguarda la “fattibilità” di quanto ipotizzato in
origine: è possibile applicare nella scuola un modello specificamente economico
aziendale, e con quali limiti?
In molte scuole si sta sperimentando l’approccio alla S.W.O.T. ANALISYS
come strumento di ricerca qualitativa per la gestione dell’Autonomia didattica
organizzativa a garanzia di qualità del prodotto, derivante dall’efficacia delle
relazioni interne ed esterne e dall’utilizzo sistematico del focus group per il
monitoraggio del prodotto.
Nelle teorie manageriali ed organizzative sono disponibili differenti concezioni
sull’efficacia di un’organizzazione e sui criteri per valutarla. Le ricerche di
efficacia della scuola offrono una consolidata base di conoscenza per valutare
l’impatto dei processi organizzativi della scuola sugli apprendimenti degli
studenti e negli approcci più recenti particolare attenzione è stata posta
sull’esigenza di integrare aspetti quantitativi e qualitativi ai fini dello school
improvement.
Carlo Pontecorvo da una prospettiva psico– pedagogica ha colto bene questa
caratteristica della organizzazione-scuola, nel senso di prospettare
un’organizzazione che fa dell’apprendimento un mezzo e un fine, parlando in
proposito di “comunità di apprendisti”, docenti e studenti.
Condivido pienamente questa prospettiva che riflette implicitamente le
caratteristiche dell’organizzazione formativa post – industriale, affermando che
‘il primato dell’apprendimento sull’insegnamento’ indica il prevalere
dell’attività esplorativa sulla passività. L’utopia può essere trasformata in realtà
solo attraverso la contrapposizione tra scuola dell’insegnamento – di tipo
tayloristico per stare alla terminologia della nostra analisi – e “scuola
dell’apprendimento intesa come sistema vivo e dinamico di educazione –
istruzione”.
L’emergenza educazione per una vera learning organization ha come priorità
per il cliente/utente l’accesso al pensiero plurale. Ciò è possibile soltanto a due
condizioni: che l’istituzione scolastica non sia autoritaria, dogmatica ma capace
di far sì che il suo insegnamento si faccia apprendimento pervasivo; che la
professionalità degli insegnanti sia colta e competente, capace di aprire le menti
degli allievi su affascinanti e critici orizzonti culturali, illuminati a giorno da
forme “plurali” di conoscenza.