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particolare sull‟ultimo tratto della via consolare , quel tratto della via Flaminia che si
muove dall‟Appennino fino ad arrivare alla costa adriatica.
Nel tentativo di descrivere in modo completo il percorso dell‟antica via ed i
condizionamenti morfologici posti lungo il tracciato è stato necessario un esame
approfondito delle carte Topografiche e Geologiche dell‟IGM (scala 1:100000) e
delle testimonianze di studiosi, quali il Martinori e il Luni, che si sono dedicati
approfonditamente all‟analisi della zona in oggetto.
Di notevole importanza si sono rivelati, inoltre, i lavori di alcuni autori storici, quali
Strabone, Vitruvio e Tacito, così come le fonti epigrafiche, “voce” viva e diretta
dell‟antichità che, apposte anche sui monumenti presenti nei dintorni del percorso
studiato, menzionavano il magistrato o l‟imperatore che ne aveva promosso la
realizzazione, offrendo puntuali indicazioni in merito alle tappe principali, alle
distanze e alle infrastrutture stradali.
L‟approfondimento delle raffigurazioni geografiche, lo studio delle relazioni scritte
da autori quali Eratostene di Cirene o Strabone oltre alle testimonianze scritte
provenienti da generali attenti come Cesare e da scrittori come Vegezio, ma anche il
rinvenimento a Roma di importanti documenti, come la Tabula Alimentaria (una
tavola di bronzo scritta che costituisce un vero e proprio registro catastale) o la
Forma Urbis marmorea (dettaglio della pianta di Roma) hanno costituito una
testimonianza aggiuntiva per la completezza del presente lavoro.
Successivamente, per l‟analisi dei centri abitati sviluppatisi lungo la via Flaminia in
concomitanza con la sua costruzione, sono stati presi in esame gli Itinerari (picta e
adnotata) che venivano utilizzati come guide dai viaggiatori e a cui fornivano le
indicazioni sulle principali strade dell‟impero, le distanze tra i vari centri, le
indicazioni su quest‟ultimi e sulle stazioni di sosta o cambio del cavallo presenti
lungo la strada.
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CAPITOLO 1 - Il significato e il ruolo del sistema stradale romano
La strada, espressione di una vitale esigenza dell‟uomo, quella del movimento,
rispecchia nel suo evolversi la storia dell‟umanità, dal primordiale sentiero
pedonale percorso dal viaggiatore isolato, al tracciato battuto dagli animali
da soma utilizzato in una successiva e più sviluppata fase dell‟economia degli
scambi, alle piste che segnano gli spostamenti delle greggi nella fase della
pastorizia, fino ad arrivare alle strade carrabili e lastricate sorte per l‟uso dei veicoli a
ruota.
Fu Roma a realizzare un perfetto sistema viario. La costruzione delle strade assunse,
quindi, finalità strategiche per facilitare l‟accessibilità delle colonie; finalità
strettamente militari, per preparare una spedizione o consolidare una conquista;
finalità amministrative, per collegare la capitale con le diverse città e queste con gli
insediamenti minori; e finalità economiche, per incoraggiare e consentire i commerci.
Il tema delle strade venne più volte affrontato da diversi autori classici, come ad
esempio il geografo e storico greco di età augustea, Strabone che, pur riferendosi in
particolare alla città di Roma, le delinea come opere necessarie, contrapponendole
all‟inutile e stupida ostentazione delle piramidi egizie o ai capolavori dei Greci:
«Mentre infatti i Greci ritenevano di aver raggiunto il loro massimo scopo con la fondazione delle
città, perché si erano preoccupati della loro bellezza, della sicurezza, dei porti e delle risorse naturali
del paese, i Romani hanno pensato soprattutto a ciò che quelli avevano trascurato: a pavimentare
vie, a incanalare acque, a costruire fogne. (…) Selciarono anche le vie che passano attraverso tutto
il territorio, provvedendo a tagliare colline e a colmare cavità, cosicché i carri potessero accogliere i
carichi delle imbarcazioni; le fogne, coperte con volte fatte di blocchi uniformi, talvolta lasciano il
passaggio a vie percorribili da carri di fieno»1.
Da altri autori, invece, giungono informazioni circa la gerarchia delle strade: le vie
pubbliche, costruite dallo stato, cui competeva la manutenzione (inizialmente tramite
la magistratura degli edili, poi con funzionari chiamati curatores viarum) prendevano
1
STRABONE, Geografia, V, 7, 8.
7
il nome dai magistrati che le avevano fatte realizzare; le vie vicinali, che collegavano
tra loro le vie pubbliche e gli insediamenti minori, la cui manutenzione spettava ai
vari distretti amministrativi; le vie comuni, aperte in subordine dalle diverse
comunità; infine le vie private, aperte dal singolo proprietario.
Questo organico sistema viario rappresentò per Roma una progressiva conquista e
romanizzazione dei territori interessati consentendo, da un lato, un contatto fra il
potere centrale e le diverse popolazioni circostanti e agevolando, dall‟altro, gli
scambi culturali e commerciali.
Anche l‟assetto territoriale ed urbano cambiò radicalmente grazie alle nuove strade,
assunte come cardini e decumeni; infatti furono realizzate in modo regolare delle
divisioni agrarie conosciute con il nome di centuriazioni (fig. 1). Esse furono gli assi
generatori degli impianti cittadini, nei quali condizionarono il reticolo viario interno e
determinarono l‟apertura di porte urbiche monumentali nelle cinte murarie2.
Figura 1- Ostia, pianta del castrum romano
Fonte: L. QUILICI, S. QUILICI GIGLI, ´Introduzione alla Topografia antica`, in Itinerari, Il
Mulino, Bologna 2004.
2
G. BONARA, P.L. D‟AGLIO, S. PATITUCCI, G. UGGERI, La topografia antica, Bologna 2000.
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Di certo la loro costruzione non era lasciata al caso, ma richiedeva un grosso impegno
tecnico. Si iniziava con lo studiare il terreno, l‟esposizione, gli ostacoli da superare o
evitare, nonché le necessarie opere di consolidamento o di rafforzamento. Una volta
definito il tracciato, si procedeva alla realizzazione della strada, che prevedeva
l‟utilizzo di diversi materiali.
Nel mondo antico nessun popolo, prima di quello romano, intuì l‟importanza di un
sistema stradale ben organizzato, adatto agli scambi commerciali e tale da porsi come
supporto alle proprie mire espansionistiche non solo in termini di potenza, ma
soprattutto di vocazione civilizzatrice universale.
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CAPITOLO 2 - Fonti letterarie e itinerarie
Strumenti basilari per chi si accinga a ricostruire una direttrice viaria romana sono,
innanzitutto, le informazioni scritte che ci sono giunte direttamente dall‟antichità,
tramite autori diversi.
Negli storici, quali ad esempio Tito Livio e Tacito, le notizie sono per lo più indirette,
in quanto le strade fanno da sfondo agli avvenimenti narrati; più preciso è un
geografo come Strabone che non solo, come si è visto, sottolinea il ruolo svolto dalle
strade per i Romani, ma spesso ne ricorda la costruzione, riferendola a precisi
personaggi o ne localizza il tracciato nelle regioni man mano descritte, riportando
talora le distanze.
Rilevanti, in tal senso, risultano essere anche i contributi di autori, come ad esempio,
Sesto Pompeo Festo (grammatico latino del II o III secolo d.C., che abbrevia l‟opera
lessicografica di Verro Flacco sul significato delle parole) o Paolo Diacono (autore
nell‟ VIII secolo di una puntuale storia dei Longobardi), per citarne solo alcuni, o di
opere come la Descrizione Costantiniana delle Regioni (breve compendio
topografico).
Inoltre, di particolare interesse ai fini dello studio della viabilità, sono alcune fonti,
riunite sotto il nome di Itinerari, che consentono la ricostruzione dei percorsi e
l‟identificazione delle mansiones e delle mutationes che lungo di esse sorgevano. Si
tratta di guide a carattere pratico, contenenti elenchi di stazioni con relative distanze,
compilate in periodi diversi e giunte in codici medievali, a conferma di un loro
utilizzo protratto nel tempo: la traccia in un piano di viaggio era utile, infatti, per una
ordinata ripartizione del cammino da percorrere, delle tappe di sosta, dei mezzi da
usare ed era necessaria per assicurare la preparazione degli alloggi e di tutti gli altri
bisogni, sia durante il viaggio che all‟arrivo. Tra gli itineraria adnotata3 possiamo
ricordare : l‟Itinerarium provinciarum Antonini Augusti, detto anche semplicemente
Itinerarium Antonini, che sembra essere una compilazione dell‟età di Diocleziano,
3
O. CUNTZ, Itineraria romana, I, Itineraria Antonimi Augusti et Burdigalense, Lipsia 1929.
10
(fine del III sec. d.C.), ma basato su materiali essenzialmente databili al regno di
Caracalla; l‟Itinerarium Burdigalense o Hierosolymitanum della seconda metà del
IV secolo; l‟Itinerarium Gaditanum degli inizi del IV secolo; ed infine, come
itinerarium pictum4, la Tabula Peutingeriana.
2.1 - Fonti epigrafiche
Tra le fonti che costituiscono il punto di partenza per lo studio delle vie romane
vanno citati anche i testi epigrafici, che costituiscono una „voce‟ viva e diretta
dell‟antichità. E‟ importante sottolineare il loro specifico contributo metodologico e
ricordare come le iscrizioni possano fornire dati essenziali sulla storia dei singoli
tracciati e offrire puntuali indicazioni in merito alle tappe principali, alle distanze,
alle infrastrutture stradali, talora anche attestando l‟esistenza di manufatti scomparsi e
altrimenti destinati al silenzio.
Numerose sono in effetti le opere, quali soprattutto i ponti e le gallerie, la cui
costruzione o restauro erano enfatizzati da iscrizioni apposte sul monumento stesso:
menzionando il più delle volte il magistrato o l‟imperatore che promosse la
realizzazione; tali testi permettono di desumere informazioni puntuali dal punto di
vista cronologico. Altre volte i testi epigrafici riportano i nomi dei magistrati che si
occupano della manutenzione viaria, quali i curatores.
Le principali fonti epigrafiche sono, tuttavia, i miliari (fig. 2): una caratteristica
peculiare delle strade romane era infatti quella di essere „misurate‟, ossia di
presentare ai lati della carreggiata cippi lapidei detti appunto miliari dall‟unità di
misura itineraria, il miglio (mille passi, corrispondenti a circa 1478 metri). La
funzione di tali manufatti, di forma cilindrica o, più raramente, quadrangolare e di
dimensioni e materiali molto diversi, era quella di indicare le distanze ai viaggiatori.
Alcuni riportano solo la distanza, con un numerale il più delle volte preceduto dalla
sigla MP, ovvero m(iglia) p(assum); più frequentemente, tuttavia, essi menzionano
4
A. e M. LEVI, Itineraria picta. Contributo allo studio della Tabula Peutingeriana, Roma 1968.
11
anche i nomi e le titolature del magistrato o dell‟imperatore che costruì o restaurò la
strada, talvolta indicando espressamente la natura delle opere realizzate.
La distanza era generalmente calcolata dal capolinea o dal punto di arrivo della strada
(o da entrambi), oppure da tappe intermedie; non mancano i casi in cui i miliari
appaiono privi di iscrizioni, anche se non si può escludere che il testo fosse stato
tracciato con colore, come è documentato da alcuni esemplari rinvenuti in Giordania.
Talora i cippi erano reimpiegati in età successive, con l‟erosione del testo originario o
il capovolgimento della pietra e l‟incisione di una nuova dicitura.
L‟emblema di questa categoria di monumenti si può considerare il miliarium aureum
(fig. 3), una colonna rivestita di bronzo dorato che portava incise le distanze da Roma
delle principali città, di cui restano solo pochi frammenti, scoperti in varie epoche.
Essa fu eretta da Augusto nel Foro Romano, come simbolo del punto di partenza e di
convergenza di tutte le strade che percorrevano l‟Impero.
I miliari conobbero una notevole diffusione in età imperiale, in special modo a partire
dal III secolo, quando alla funzione di indicatori stradali si affiancò, e spesso si
sostituì, quella di strumenti di propaganda, utilizzati per organizzare il consenso
attorno alla figura e alla politica dell‟imperatore: questo risulta evidente soprattutto
nei casi in cui non viene riportata la distanza stradale, ma sono enfatizzate le
titolature. Ai fini della ricostruzione topografica dei tracciati il valore documentario
di tali materiali è limitato dal fatto che raramente essi vengano ritrovati nel luogo ove
erano stati collocati in origine: la forma cilindrica, infatti, ha reso comune il loro
reimpiego nel corso dei secoli in edifici civili e religiosi come fusti di colonna,
supporti di mense d‟altare o di acquasantiere. Fondamentale, tuttavia, resta l‟apporto
che essi possono fornire per l‟individuazione della storia delle strade e del persistere
della loro percorrenza, data la possibilità di una datazione precisa e puntuale5.
5
L. QUILICI, S. QUILICI GIGLI, Strade romane: percorsi e infrastrutture, L‟«Erma» di Bretschneider, Roma 1997.