5
Introduzione
Le tendenze economiche del XXI secolo sono contraddistinte dalla crescita di nuovi
stati-potenza quali Brasile, India, Cina, e dal declino relativo delle principali potenze
occidentali: Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. I BRIC, nazioni fino a pochi
decenni fa ai margini della Comunità Internazionale, con il loro sviluppo sostenuto
stanno progressivamente alterando gli equilibri globali, non solo in ambito economico.
1
Pur riconoscendo l'indiscusso primato mondiale degli Stati Uniti, unica superpotenza
globale, e l'importanza internazionale di Germania, Francia, UK e Giappone, questa
indagine postula che la tradizionale distribuzione di potere potrebbe essere soggetta a
profondi mutamenti strutturali nel medio - lungo periodo.
2
Tali dinamiche sono visibili
soprattutto in ambito economico, in cui è in fieri la transizione da un centro produttivo
concentrato in America settentrionale, Europa Occidentale e Giappone (rappresentato
dagli incontri del G8) a una configurazione multipolare più eterogenea e più globale.
3
In tale situazione internazionale, questo elaborato approfondirà lo studio della politica
estera della Repubblica popolare cinese (RPC) nel XXI secolo.
La scelta ricade sulla Cina per due motivi principali: in primo luogo, rappresenta lo
stato-nazione che meglio simboleggia il processo dell'ascesa degli “altri”.
4
Il PIL della
RPC è cresciuto del 300% in meno di venti anni convertendo la nazione nella seconda
potenza economica mondiale. Inoltre, Pechino ha modernizzato le proprie forze armate
al punto che nel 2009 la spesa bellica cinese ha superato quella di stata potenza
tradizionale come Gran Bretagna e Francia, collocando la RPC alle spalle degli Stati
Uniti.
Al potenziamento delle capacità materiali si è affiancato quello diplomatico: dal 2001 la
1
Gli stati sovra citati fanno parte del cosiddetto gruppo BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), un acronimo
coniato nel 2001 dalla Banca d’investimenti Goldman Sachs per indicare quei mercati che, nei successivi
decenni, sarebbero cresciuti maggiormente.
2
Robert Keohane, “Governance in a Partially Globalized World”, American Political Sciences
Association, Vol.95, 2001; Robert A. Pape, “Soft Balancing against the United States”, International
Security, Vol.30, No.1, Estate 2005.
3
Per il dibattito sul declino egemonico degli Stati Uniti e dei suoi principali followers: Giovanni Arrighi,
“Adam Smith a Pechino”, Feltrinelli, Milano, 2008. Josè Luis Fiori, Carlos Medeiros, Franklin Serrano
“O Mito do Colapso do Poder Americano”, Record, Rio de Janeiro, 2008. Paesi membri del G8: USA,
UK, Francia, Germania, Giappone, Italia, Russia, Canada. Nel 2009 nasce il forum G14 cui partecipano
gli Stati del G8 più Brasile, Cina, Messico, Sud Africa, India, Egitto e l'Unione Europea. Il dialogo G-20
annovera anche Corea del Sud, Australia, Argentina, Arabia Saudita, Turchia, Indonesia. I paesi del G20
contribuiscono al 90% del PIL mondiale.
4
Fareed Zakaria, “The Future of American Power”; Foreign Affairs, May/June 2008
6
Cina è membro del WTO, partecipa ai dialoghi G-14 e G-20 ed ha aumentato il proprio
contributo al mantenimento dei beni pubblici internazionali come, ad esempio, il FMI.
5
In secondo luogo, il peculiare regime politico e la cultura millenaria cinese
rappresentano una discontinuità rispetto alle altre grandi potenze mondiali.
L'interesse verso la politica estera di Pechino non si limita a certificare la crescita
economica e militare del paese, ma ha altresì la pretesa di comprendere quale visione ha
la Cina del futuro ordine internazionale e come, alla luce de proprio rafforzamento
nazionale, pianifica di affermarsi a livello globale. Le ragioni che motivano tale
indagine derivano dalla commistione di esigenze teoriche e pratiche: da un lato si vuole
approfondire la conoscenza della RPC come attore politico internazionale.
Tabella 1: Indicatori economici delle principali economie mondiali
Fonti: CIA World Factbook, Index Mundi, FMI
5
Dal 2008 la RPC è il secondo paese che contribuisce al mantenimento del FMI (6,3% nel 2008). Huo
Kan e Li Tao, “China's IMF Quota Set to Surpass Japan”, Caijing, 4 febbraio 2008.
PIL in PPP nel 2010
(valori in miliardi di
dollari)
PIL pro capite in PPP
nel 2010 (valori in
dollari)
Tasso medio di
crescita del PIL dal
2003 al 2010
(dati in %)
Coefficiente di Gini
Popolazione al di
sotto della linea della
povertà
(dati in %)
Tasso d’inflazione
nel 2010
(dati in %)
Tasso di
disoccupazione nel
2010
(dati in %)
Brasile 2182 11,51 3,00%
56,7
(2005)
15,5 (2009) 4,40% 5,70%
India 4046 3,4 7,50%
36,8
(2004)
37 (2007) 8,43% 10,80%
Russia 2229 18,95 4,50%
42,2
(2009)
13,1 (2009) 8,70% 7,60%
Cina 10080 7,52 10,00%
46,9
(2008)
11,1 (2008) 4,90% 4,20%
USA 14660 47,13 2,10%
45
(2007)
14,3 (2009) 1,10%
8,9
(2011)
UE 14794 29,73 1,00%
31
(2006)
17 (2009) 1,00% 9,6
Giappone 4338 34,2 1,00%
38,1
(2002)
N/A 0 (2011) 4,90%
7
Dall'altro, si vorrebbero assimilare alcuni principi della politica estera per comprendere
se il crescente potenziamento cinese in termini materiali potrà realisticamente provocare
lo scoppio di nuove tensioni internazionali e/o gravi squilibri economici. La ricerca è
quindi esplicativa: presuppone una fase descrittiva dei fenomeni analizzati, ma si spinge
a formulare nuove ipotesi circa gli scenari internazionali che interesseranno la
Repubblica popolare nel medio - lungo periodo.
Pur trattandosi di un'indagine di Relazioni Internazionali (RI) gli strumenti metodologici
utilizzati non abbracceranno in maniera ortodossa le prescrizioni di un'unica scuola
teoretica, ma considereranno alcuni principi del realismo e altri del liberalismo. Il
soggetto centrale sarà lo Stato cinese, assunto come un'entità politica unitaria attenta a
preservare la sicurezza tanto a livello domestico quanto internazionale. Tale
considerazione è rafforzata dal regime monopartitico di Pechino: il peculiare sistema di
governance cinese induce a considerare il Comitato Centrale del Partito Comunista
come il gruppo d’interesse domestico dominante negli assunti di politica estera.
6
Per
questo motivo, si postula che gli interessi dei vertici del Partito in campo internazionale
coincidano con quelli dello stato cinese. Inoltre, si assumerà il principio realista secondo
cui gli stati competono tra loro a livello sistemico per massimizzare il loro interesse
nazionale.
7
Dalla teoria Neoliberale si estrapoleranno il concetto di interdipendenza
economica e le sue implicazioni nelle relazioni bilaterali tra paesi: due stati-potenza che
traggono grandi benefici dalla cooperazione reciproca e che dipendono l'uno dall'altro
troveranno altamente sconveniente interrompere le loro relazioni diplomatiche. Questo
assunto è valido sia per i paesi con regimi politici democratici, in cui il potere dei gruppi
di pressione, di sostenere politiche internazionali cooperative è proporzionale ai loro
interessi economici transnazionali, sia per uno stato autocratico come quello cinese, in
cui i benefici addizionali ottenuti dalla cooperazione internazionale contribuiscono alla
preservazione della stabilità domestica, ergo dello status quo politico.
8
6
George Malena, “China, la Contrucción de un País Grande”, ed. Cefiro, Buenos Aires, 2010, p.41
7
Hans Morgenthau e Kenneth Thompson, “Politics Among Nations. The Struggle for Power and Peace”,
Alfred Knopf, New York, 1985.
8
Per quanto riguarda la cooperazione tra regimi democratici: Edward Mansfield, Helen Milner, Peter
Rosendorff, “Free to Trade: Autocracy, Democracy, and International Trade”, American Political
Science Review, Vol.94, n° 2, June 2000. Per quanto concerne la dipendenza del regime cinese dalla
cooperazione internazionale “China's Dependence on Foreign Trade Tops 60%”, Xinhua, 5 agosto 2008.
8
Tabella 1: Principi teorici delle due scuole tradizionali delle Relazioni Internazionali
Dalla fine della Guerra Fredda, la “Grand Strategy” della RPC è stata quella di
mantenere la stabilità politica interna mediante la salvaguardia di tre componenti
principali: la legittimità del regime comunista cinese, un ordine internazionale pacifico
9
Kenneth Waltz, “Theory of International Politics”, Reading, 1979. J. M. Grieco, “Anarchy and the
limits of cooperation: a realist critique to the newest liberal institutionalism”, International
Organization, 43, 2, Summer 1988, pp.485-507. John Mearsheimer, “The Tragedy of Great Power
Politics”. New York, 2001
10
D. Putnam, “Diplomacy and Domestic Politics: The Logic of Two Level Games”, International
Organization, 42, 3, Summer 1988, pp.427-46. A. Moravcsik, “Taking Preferences Seriously: A Liberal
Theory of International Politics”, International Organization, 51, 4, Fall 1997, pp.513-553. R.
Keohane, After Hegemony, Princeton, Princeton University Press, 1984. Bruce Russett, Christophere
Layne, David E. Spyro, Michel W. Doyle,“The Democratic Peace”, International Security, Vol.19, N. 4,
Spring 1995.
Neorealismo
9
Neoliberalismo
10
L'approccio neorealista considera lo stato come
soggetto principale del sistema internazionale.
Lo stato non è concepito come attore unitario, ma
come una cintura di trasmissione che lega la politica
interna a quella estera.
Lo stato è considerato un attore unitario il cui
obiettivo principale è la sopravvivenza in un
sistema a gioco a somma zero.
Essendo i principali gruppi di interesse a determinare
le strategie internazionali di un paese, lo stato non
persegue un obiettivo unitario e coerente.
La politica estera è determinata dalle capacità
materiali (militari ed economiche) di cui uno
stato dispone ed influisce in modo univoco sulla
politica interna.
L'interdipendenza economica tra i due stati determina
che fino a che i principali gruppi di interesse
preferiranno mantenere i loro affari in un altro, allora è
molto improbabile che tra questi due paesi scoppi un
conflitto.
L'anarchia del sistema rende la cooperazione
internazionale un esito possibile, a patto che non
minacci la configurazione gerarchica tra stati.
La variante “neo-istituzionale”, invece, esalta il ruolo
dei regimi internazionali, in quanto strumenti capaci di
promuovere la cooperazione anziché il conflitto per la
risoluzione di una controversia internazionale.
Quando lo stato più forte si accorge che la
cooperazione con un altro stato sta
avvantaggiando la controparte, rompe gli
accordi, anche a costo di privarsi di un beneficio
futuro.
La variante liberale “della pace democratica” sostiene
che il regime politico di un paese è una variabile
fondamentale per l’instaurazione di rapporti
cooperativi e pacifici tra gli stati.
9
(per alimentare la crescita economica) e la preservazione dell'unità territoriale
nazionale.
11
Il rispetto di tali requisiti ha garantito al PCC, fino ad oggi, di godere di
un’ampia legittimità domestica, tanto che alcuni detrattori del regime ammettono che
qualora si celebrassero libere elezioni, probabilmente i comunisti vincerebbero lo
stesso.
12
Sebbene la priorità attribuita a queste strategie rappresentino una costante della
politica domestica cinese degli ultimi venti anni, occorre segnalare una discontinuità
nella condotta internazionale della RPC dalla nomina di Hu Jintao a Segretario Generale
del Partito comunista cinese (PCC) e a Presidente della RPC.
13
Rispetto
all'atteggiamento prudente raccomandato da Deng Xiaoping nei primi anni Novanta, dal
2002 la RPC ha adottato un comportamento più attivo negli affari internazionali, come
dimostrato dal contenuto della dottrina della “pacifica ascesa” (poi convertita in
“sviluppo pacifico”).
14
“La Cina ha intrapreso il cammino dello sviluppo pacifico, la cui interpretazione più concisa
esprime che, in un'epoca in cui la pace e lo sviluppo sono i suoi temi principali, la Cina – paese
socialista – è decisa a seguire il percorso di sviluppo attraverso la difesa della pace mondiale,
alla quale contribuirà con il suo sviluppo [...] Il cammino dello sviluppo pacifico cinese
coordina lo sviluppo domestico e l'apertura all'estero”.
15
Assumendo che tali dichiarazioni diffuse dal Partito Comunista costituiscono una base
rilevante da cui far partire l'indagine, questa tesi testerà la coerenza empirica di tali
affermazioni approfondendo tre ambiti della politica estera cinese del XXI secolo.
11
Rispetto all'età maoista, il collante ideologico tra base e vertice è stato rimpiazzato da un tacito
compromesso che poggia sul miglioramento del benessere pro capite e sul collante nazionalista.
Quest'ultimo sentimento è rivolto soprattutto verso le rivendicazioni territoriali cinesi sull'isola di Taiwan
e alcuni arcipelaghi del Mare Cinese, ritenute dal governo cinese parti integranti della propria nazione.
Jorge E.Malena, “China: La construcción de un País Grande”, Editorial Céfiro, Buenos Aires, 2010.
12
Bianco Lucen, “Modernización en estilo chino”, Vanguardia Dossier, pp.6-22. Allo stesso tempo, la
situazione interna rimane molto precaria: un eventuale fallimento delle aspettative politiche potrebbe
generare instabilità, e di questo il Partito è molto preoccupato.
13
La fine della contrapposizione Est-Ovest e l'isolamento internazionale decretato dalla Comunità
internazionale contro Pechino in seguito alle repressioni di Tienanmen spinsero la classe dirigente della
RPC ad adottare un basso profilo (principio dei ventiquattro caratteri), diversificare i rapporti
internazionali (fino ad allora quasi totalmente concentrati sulla direttrice Nord-Sud) e promuovere una
maggiore integrazione con i mercati stranieri. Questi principi hanno guidato la politica estera di Jiang
Zemin (il delfino di Deng Xiaoping) per tutti gli anni Novanta.
14
Nei primi anni Novanta, in un periodo di grandi cambiamenti globali e d’isolamento internazionale della
Cina in seguito alle repressioni di Tienanmen, il “Piccolo Timoniere” suggeriva di impostare la politica
estera seguendo i principi del taoguang yanghui (nascondere le capacità evitando di essere al centro
dell'attenzione) e shanyu shouzhuo (saper mantenere un basso profilo.)
15
Consiglio di Stato, “La Diplomazia della Cina”, 2004, pp.174-180.
10
Nel primo capitolo, sarà analizzato il concetto di “ascesa pacifica” in relazione alla
necessità della Cina di evitare qualsiasi confronto militare con gli Stati Uniti, l'unica
superpotenza militare globale. In una prima sezione saranno brevemente evidenziati i
processi storici che hanno caratterizzato i reciproci rapporti diplomatici dagli anni
Settanta all'elezione del presidente Barack Hussein Obama (novembre 2008). Una volta
assunti i punti focali del rapporto sino-americano, si approfondiranno tre variabili chiave
degli attuali rapporti bilaterali tra Washington e Pechino. In primo luogo, le componenti
strategico - militari dei due paesi nel continente asiatico: lo studio verterà sull'analisi del
crescente riarmo militare cinese e sulla potenza bellica statunitense nel Pacifico. In
questa sezione si tratterà la gestione della questione relativa a Taiwan, considerato da
diversi analisti il principale argomento di contrapposizione diplomatica tra le controparti
cinesi e americane. Una seconda parte sarà dedicata all'approfondimento degli attuali
rapporti economici tra Stati Uniti e Cina, in cui si enfatizzeranno le relazioni
commerciali e finanziarie bilaterali. Infine, si analizzeranno gli strumenti di Soft Power
che Pechino ha disposto per migliorare le proprie relazioni con Washington.
Indagando tali ambiti, sarà possibile disporre di alcuni strumenti concettuali utili a
determinare se la Cina coltivi un effettivo interesse nel mantenere un ordine regionale
pacifico nel lungo periodo, o se, al contrario, è possibile ipotizzare una Repubblica
popolare più aggressiva nei prossimi anni.
Il secondo capitolo approfondirà le dinamiche regionali asiatiche enfatizzando il
crescente ruolo che Pechino si sta ritagliando nel proprio continente come attore
economico e politico di riferimento. Per quanto lo stesso Hu Jintao abbia ampiamente
rassicurato sull'argomento i propri vicini asiatici promuovendo i “quattro sì” (alla
costruzione della fiducia reciproca, al superamento delle difficoltà, allo sviluppo della
cooperazione, all'evitare lo scontro) e condannano i “quattro no” (all'egemonia, all'uso
della forza, ai blocchi contrapposti, alla corsa agli armamenti), è opportuno valutare con
attenzione la attendibilità di Pechino.
16
In particolare, si rileverà se la RPC è alla ricerca
di un'egemonia regionale in Asia Orientale. La risposta a tale quesito deriverà
fondamentalmente da tre ambiti di analisi: in primo luogo si descriverà il crescente
attivismo cinese, tanto a livello politico che economico, nell'ASEAN. In una seconda
parte, si analizzeranno le attuali relazioni tra Cina e Giappone, due paesi storicamente
16
Giovanni Arrighi, op. cit., p.326.
11
rivali, che si ritrovano ancora oggi a competere sul piano economico e strategico -
militare. In terzo luogo si esamineranno i contenziosi territoriali regionali, evidenziando
le rivendicazioni di Pechino sulle isole del Mare Cinese Meridionale.
Il terzo capitolo metterà a fuoco l'aspetto più globale della strategia internazionale
cinese: i rapporti che Pechino è riuscito a rafforzare con molti stati del continente
africano e di quello sudamericano. Tale analisi vuole comprovare l'approccio che la
RPC coltiva con i continenti più marginalizzati del pianeta:
“Essendo lei stessa un paese in via di sviluppo, la Cina considera il rafforzamento dell'amicizia
e della cooperazione con i paesi in via di sviluppo come una pietra miliare della propria politica
estera e attribuisce sempre una grande importanza alla promozione della cooperazione
economica e commerciale con questi paesi.”
17
Dopo decenni di sostanziale monopolio politico del Nord del mondo nelle strategie per
lo sviluppo, la Cina ha avviato negli ultimi anni un nuovo approccio verso questi stati: in
cambio di accordi sullo sfruttamento delle materie prime, Pechino ha sottoscritto
importanti impegni economici con questi paesi, naturalmente privilegiando quelli più
ricchi di beni strategici. Lo scopo di questa indagine è determinare se l'approccio cinese
verso i Paesi in via di sviluppo segua una coerenza politica, il cosiddetto Beijing
Consensus, finalizzato anche al rafforzamento del ruolo cinese come attore mondiale o
se, invece, l'azione di Pechino sia unicamente finalizzata al perseguimento di una
visione neo mercantilista che si fonda sul potenziamento nazionale.
18
Per cercare di
inquadrare le strategie della politica estera cinese verso i territori periferici del mondo
saranno comparate tre variabili chiave che descrivono la natura delle relazioni che i
paesi dell'Africa Sub-Sahariana e dell'America del Sud intrattengono con Pechino. Si
analizzeranno quali interessi politico-economici dominano i legami tra la Cina e le due
macro regioni, mentre in seconda istanza si approfondirà la sfera del Soft Power. Alla
luce dei risultati di questa indagine sarà possibile determinare se la Cina sta coltivando
un nuovo asse di cooperazione Sud-Sud o se, al contrario, le relazioni tra la Pechino e i
Paesi in via di sviluppo ruotano unicamente intorno a logiche dettate dall'interesse
17
Discorso tenuto da Hu Jintao durante il suo tour nel Sud-Est asiatico nell'ottobre 2003. John Tkacik Jr,
“China's peaceful rise at stake in power struggle”, Asia Times Online, 8 settembre 2004.
18
Joshua Cooper Ramo, “The Beijing Consensus”, The Foreign Policy Centre, Londra, 2004
12
nazionale cinese.
Le conclusioni dei singoli capitoli permetteranno infine di rispondere all'ipotesi centrale
di questo elaborato, ovvero determinare se la politica estera cinese sotto la presidenza di
Hu Jintao è effettivamente rimasta coerente alle prescrizioni della dottrina della
“pacifica ascesa”.