6
Generale delle Nazioni Unite, che fa espresso riferimento alla pari
libertà e dignità degli individui, e come codificato nell’articolo 32
della Costituzione Italiana dove si afferma: "La Repubblica italiana
tutela la Salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti", e pertanto
in grado di assicurare quell’eguaglianza codificata all’articolo 3 della
Costituzione, per il quale "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinione politiche, di condizioni personali e
sociali", rappresenta l’aspetto sul quale si svolge il presente lavoro di
tesi.
L’argomento è stato trattato seguendo una logica che, partendo
da un excursus normativo dei primi provvedimenti sanitari e sociali,
giunge a delineare i tratti distintivi della tutela socio-sanitaria garantita
dall’ordinamento della Repubblica ai nuovi con-cittadini.
Il riferimento normativo, che ha costituito, il punto di partenza
dell’analisi, è il D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle
condizioni dello straniero”, al quale è stato affiancato un’analisi di
tutti i provvedimenti che hanno interessato il sistema sanitario
nazionale e sociale.
La riesamina del sistema sanitario e socio-assistenziale e la
messa in luce dei limiti del sistema, è stata condotta attraverso
un’analisi del riconoscimento del diritto alla Salute degli stranieri
extracomunitari.
Nel capire “se”, “come” e in “quali modalità” il sistema
ordinamentale fornisce una adeguata tutela dei diritti sociali codificati,
quali quelli che riguardano la tutela della Salute e la protezione
7
sociale, ha rappresentato un lo strumento per analizzare l’efficienza
del sistema sanitario, genericamente inteso.
In questa prospettiva, dopo avere trattato lo studio
dell’evoluzione giurisprudenziale del diritto alla Salute all’interno del
primo capitolo, e dopo avere analizzato la disciplina della tutela dei
diritti fondamentali garantiti ai cittadini extracomunitari, all’interno
del secondo capitolo, si è proceduto ad una analisi specifica
dell’assistenza sanitaria e socio-assistenziale.
A riguardo nel terzo capitolo lo studio è stato suddiviso in tre
parti:
1. La prima parte è stata incentrata sull’analisi legislativa per la
tutela sanitaria dei cittadini extracomunitari. In questo prima
parte, si è proceduto a mettere in luce come per lungo tempo -
più precisamente dal 1978, anno di istituzione del Servizio
sanitario nazionale, al 1995, anno di emanazione del decreto
legge n. 485 – la disomogenea presenza di ben 27
provvedimenti normativi abbia creato di fatto una forte
instabilità del diritto alla Salute degli immigrati. Gli interventi
previsti erano solamente quelli di “prevenzione di forme
morbose di interesse per la Salute pubblica”. Lo studio è stato
articolato con una dettagliata analisi della legge n. 40/98,
confluita interamente nel Testo unico per l’immigrazione,
d.lgs. n.286/98, che ha esteso l’assistenza sanitaria anche agli
stranieri irregolari e clandestini;
2. La seconda parte ha riguardato l’analisi delle tre riforme
sanitarie: legge n.833/1978, riforma bis del ’92 e riforma ter
del 1999. La parte è stata introdotta in quanto, l’evoluzione del
sistema sanitario, il processo di aziendalizzazione e il bisogno
8
di razionalizzazione delle risorse, delimitano il quadro
legislativo entro il quale assicurare la protezione del diritto alla
Salute;
3. La terza parte è stata, infine, dedicata ad uno studio della
difficoltà nella fruizione del sistema dei servizi sanitari da parte
di un così eterogeneo bacino di utenza.
In questo quadro, si è ritenuto di dover inserire lo studio del
d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230 di “Riordino del sistema di medicina
penitenziaria”, considerata la notevole presenza nelle carceri di
cittadini extracomunitari.
L’analisi sulle prestazioni di assistenza sociale ha riguardato
l’elaborato del quarto capitolo dove, a partire dallo studio del nuovo
panorama offerto dalla “legge quadro per la realizzazione di un
sistema integrato di servizi socio-assistenziali”, legge n. 328/00, si è
passati a delineare i limiti e le forme di esclusione esistenti nel sistema
sociale per gli stranieri, nei cui confronti dovrebbero essere elaborate
politiche tendenti alla realizzazione del massimo grado di integrazione
sociale.
Per completare il quadro legislativo e normativo di riferimento,
nel quinto capitolo si è passati all’analisi della riforma federalista.
In questo capitolo, il processo di riforma e le implicazioni in
termini di diritto alla Salute, sono stati trattati in tre sezioni:
1. La prima sezione ha riguardato la trattazione delle riforma
costituzionale del titolo V, Parte II, della Costituzione. L’analisi
ha rivolto una attenzione particolare al nuovo rapporto
intercorrente tra Stato-Regioni-Unione Europea, per un verso, e
Stato-Regioni per la disciplina della tutela della Salute, divenuta
oggi materia di legislazione concorrente;
9
2. La seconda sezione ha diretto la propria analisi agli effetti del
d.lgs. n. 56/2000, che ha introdotto nel nostro ordinamento il
principio del federalismo fiscale. In questa parte, lo studio è
proseguito spostando l’attenzione sugli effetti del federalismo
sanitario, evidenziando le preoccupazioni per la nascita di un
sistema di offerta della Salute differenziato da regione a
regione.
3. La terza sezione ha invece rivolto lo sguardo allo studio del
disegno di legge sulla devoluzione, in quanto possibile e
ulteriore riforma costituzionale.
Il quadro d’insieme è stato portato a termine con un’analisi sul
campo dell’offerta di Salute fatta da alcune Regioni italiane, quali
l’Emilia Romagna, il Veneto e Toscana.
La scelta dei “casi regionali” è stata condotta su quelle che
possono essere considerate come “esempi da seguire” nella
formulazione di politiche tendenti ad una piena integrazione socio-
sanitaria degli immigrati.
Il punto centrale della questione, che passa attraverso l’analisi
della disciplina sanitarie e socio-assistenziale, è dunque che i diritti
civili e sociali non possono non essere riconosciuti agli immigrati, a
qualunque titolo essi siano presenti nel territorio della Repubblica.
Bisogna, dunque, camminare in una strada che informi il
sistema alla logica della tolleranza e integrazione della cittadinanza.
La tesi conclude in tal senso, sperando di lasciare in essa tutte le
aspettative non realizzate e di ritrovare nella società, nella realtà, la
realizzazione di un sistema socio-assistenziale che soddisfi i bisogni di
tutti, cittadini e non.
CAPITOLO I
10
Cap I
“Lo straniero e la Costituzione”
La migrazione è una realtà complessa dai numerosi risvolti, sia sul piano
storico-politico che su quello socio-giuridico. Del resto, quello
migratorio non è certo un fenomeno recente: nelle antiche civiltà,
numerosi sono stati gli stranieri che hanno contribuito, con la loro forza
lavoro, allo sviluppo di interi territori e città.
Durante il XIX secolo i Paesi d’Europa sono stati al centro di movimenti
migratori complessi: i poveri di tutta Europa hanno cercato fortuna in
luoghi lontani
1
. Tuttavia è stata la seconda metà del XIX secolo che ha
visto l’accentuarsi di migrazioni all’interno del continente europeo
2
,
flussi che gli Stati maggiormente industrializzati dell’Europa
Occidentale hanno cercato di contrastare soprattutto quando, dopo il
1930, a seguito del crollo della borsa di Wall Street che ha comportato
una delle crisi economiche peggiori della storia contemporanea, il tasso
di disoccupazione aumentò nell’arco di breve tempo in maniera
considerevole.
1
Basti pensare – per quel che riguarda l’Italia e in generale l’Europa – alla grande emigrazione
transoceanica a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, che ha portato verso l’America milioni di
persone provenienti dai vari Paesi d’Europa, o ancora alle grandi emigrazioni intraeuropee degli anni
Sessanta e Settanta, che hanno visto gli italiani protagonisti della scena migratoria. M.I. Macisti/E.
Pugliese, “L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia”, Edizioni Laterza, Bari, 2003.
2
Prima di questa data, si era verificato un processo di spostamento dall’Europa verso gli altri
continenti. Solo nella seconda metà del ‘900 si registra la tendenza opposta, dovuta a varie ragioni,
come la divisione post-bellica in blocchi ideologici contrapposti, lo sfaldamento dei due maggiori
imperi coloniali (il francese e il britannico), la nascita della Comunità Europea. Tutto ciò ha
contribuito a determinare la graduale trasformazione del continente europeo in terra d’immigrazione
netta, vale a dire un contesto in cui l’immigrazione per la prima volta prevale sull’emigrazione. P.
Marzo,”Dall’immigrazione alla cittadinanza”, in La rivista di servizio Sociale, n.1 Marzo 2001,
Roma.
CAPITOLO I
11
Dopo la seconda guerra mondiale, nelle correnti migratorie si registrò un
cambiamento. Gli emigranti erano composti da individui provenienti dai
Paesi del Terzo Mondo verso i paesi industrializzati dell’Europa
3
.
Per alcuni la migrazione rappresentava l’unica via di salvezza da una
società devastata da guerre, da rivoluzioni o da persecuzioni. Basti
pensare alla forte emigrazione che provocò il nazismo in Germania.
Certo le emigrazioni non hanno tutte lo stesso carattere. Esse riguardano,
secondo i periodi ed i luoghi, categorie sociali differenti. Possono essere
temporanee ed essere accompagnate da uno “spirito di ritorno”, ovvero
di contro possono rivelare in coloro che si spostano la volontà di
stabilirsi in maniera permanente nel paese di accoglienza, con la
speranza di acquisirne la cittadinanza.
4
3
L’Europa ha visto modificarsi in brevissimo tempo l’entità del fenomeno migratorio. Nel secondo
dopoguerra la maggior parte dei Paesi europei è stata meta di un flusso sempre più crescente di nuovi
gruppi, in particolare di lavoratori stranieri e rifugiati politici provenienti da paesi differenti. In alcuni
paesi, il numero degli immigrati non è aumentato in modo sostanziale ma è mutata la loro identità
etnica e razziale. In Francia, per esempio, i modelli di immigrazione a lungo termine indicano come il
numero di stranieri non sia aumentato in modo eclatante. Infatti, sebbene dopo il 1954 vi sia stata una
progressione costante del numero di stranieri, la percentuale che si aveva nel 1982 era praticamente
identica a quella rilevata settanta anni prima: più o meno il 6.8% della popolazione complessiva. Il
mutamento principale dunque si è avuto con riferimento alla provenienza dei gruppi etnici: se
inizialmente provenivano dal dall’Europa centro-orientale ora giungono dal Magreb e dall’Africa
subsahariana. Sul punto vedasi U.Melotti, Specificità e tendenze dell’immigrazione straniera in Italia,
in Per una società multiculturale, (a cura di U.I.Melotti), Napoli, 1995.
4
M.J. Vaccaro Livelli normativi e Fenomeno migratorio, Torino, 1999. L’autrice mette in luce come
non si possa considerare la migrazione come un fenomeno unitario dato ne esistono di diversi tipi:
quella permanente; quella da lavoro, tendenzialmente temporanea che vede il mantenimento dei
contatti con la famiglia e più in generale con il Paese di partenza; quella dei rifugiati politici; quella
illegale e la migrazione da rientro.
CAPITOLO I
12
Le migrazioni internazionali
5
sono, dunque, un fenomeno sociale di
grande interesse per la varietà dei motivi che ne costituiscono il
fondamento e per le conseguenze che discendono dalla scelta di migrare.
Studi sociologici hanno chiarito che le cause delle migrazioni sono
costituite dall’insieme dei fattori di espulsione da un territorio (push
factor) e da quelli di attrazione verso un altro ( pull factor ).
Tra i fattori “espulsivi” quelli più importanti attengono alla mancanza di
lavoro, all’esistenza di conflitti e alle persecuzioni politiche, alle difficili
condizioni ambientali.
I pull factor, cioè i fattori che rendono un Paese meta di migrazione,
sono legati principalmente alle differenti condizioni di vita, quali ad
esempio un maggior reddito pro-capite disponibile, l’accesso ai beni e
servizi essenziali come sanità ed educazione, migliori condizioni nel
mercato del lavoro, nonché i richiami parentali e amicali
6
.
Dal punto di vista demografico, l’immigrazione produce l’effetto di
invecchiare la popolazione di partenza e di ringiovanire quella di arrivo,
5
Un’ulteriore classificazione delle migrazioni le distingue, in relazione al parametro spaziale, in
“interne”, quando gli spostamenti avvengono entro i confini territoriali nazionali, “internazionali” se i
confini sono valicati. Sotto quest’ultimo aspetto la prassi conosce un’ulteriore classificazione in
ragione della provenienza degli immigrati stessi. Più precisamente può distinguersi tra immigrati
“comunitari”, ossia provenienti da uno degli Stati dell’Unione Europea, e immigrati
“extracomunitari”, ossia provenienti da uno Stato terzo rispetto l’UE. L.Melica, Lo straniero
extracomunitario, Giappichelli Editore,Torino, 1996. Sulla differenza di trattamento tra straniero
comunitario e straniero extracomunitario vedasi B.Nascimbene, Lo straniero nel diritto italiano,
Giuffrè Editore, Milano, 1988.
6
Ai fattori di espulsione da un territorio non sempre possono ricollegarsi i fattori speculari nel
territorio di approdo. Per fare un esempio, la disoccupazione che caratterizza un Paese non sempre
può bilanciarsi con la richiesta di occupazione esistente in un altro. Di conseguenza vi sono casi in cui
esistono soltanto “push factor” o esclusivamente “pull factor”, come nell’ipotesi del profugo che, pur
di sopravvivere, emigra senza considerare i fattori di attrazione della sua destinazione finale. Può
infine mancare un perfetto bilanciamento tra i fattori attrattivi e quelli repulsivi, come nel caso delle
migrazioni dai paesi africani in cui i fattori di attrazione esercitati dai paesi europei sono spesso il solo
motivo di richiamo. L.Melica, Lo straniero extracomunitario, G.Giappichelli Editore, Torino, 1996.
CAPITOLO I
13
poiché gli spostamenti sono caratterizzati in prevalenza da elementi
giovani.
Oltre a queste cause esaminate, bisogna dire che talvolta gli Stati hanno
adottato dei veri e propri programmi di promozione dell’emigrazione, ai
quali hanno fatto seguito rigide politiche d’immigrazione ad opera degli
stati di accoglienza.
Per “politiche di immigrazione” sono da intendere l’insieme delle
misure, che attuano i diritti relativi agli stranieri, tanto in riferimento alla
loro presenza sul territorio quanto alle loro condizioni sociali.
L’attuazione di una politica di immigrazione è fondamentale per lo stato
di accoglienza perché gli permette di gestire la circolazione, il soggiorno
e l’attività degli stranieri.
In Europa a partire dagli anni ’70, in particolare per la profonda crisi
economica generale, sono state introdotte legislazioni estremamente
contenitive, quasi restrittive del fenomeno immigrazione
7
.
Ciò si spiega sia nell’esigenza di tutelare la manodopera giovanile
interna sia nella difficoltà di assicurare agli immigrati minimi standard di
condizioni sociali. Se dunque, all’inizio degli anni ’60, i paesi più
fortemente industrializzati necessitarono di forza-lavoro, adottando in
7
Il carattere restrittivo si esprime innanzitutto in un aumento progressivo dei requisiti e delle
condizioni che i Paesi di immigrazione pretendono dai loro potenziali immigranti per l’ammissione e
la permanenza nel Paese. Mentre una politica di rigoroso controllo degli ingressi legali (con richiesta
di visto d’ingresso e relativa documentazione) era un tempo una caratteristica propria degli Stati Uniti,
ora essa lo è anche di tutti i Paesi d’Europa, sia quelli di antica sia quelli di nuova immigrazione.
M.I.Macisti/E.Pugliese, L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia, Editori Laterza,
Bari, 2003. Sulle politiche d’immigrazione si veda anche il testo di M.J.Vaccaro, Livelli Normativi e
fenomeno migratorio, Giappichelli Editore, Torino, 1999. A tal proposito l’autrice mette in luce come
l’idea di una politica d’immigrazione sia dettata da una rivendicazione da parte del Paese di
accoglienza di una gestione pubblica della circolazione, del soggiorno e delle attività degli stranieri.
L’effetto di tali legislazioni, tuttavia, è stato spesso solo quello di limitare l’immigrazione legale con
la conseguenza di perdere il controllo della stessa a tutto vantaggio dell’incremento di quella
clandestina e di sfruttamento della stessa.
CAPITOLO I
14
ragione di ciò delle politiche di incoraggiamento dell’immigrazione,
successivamente, a partire dalla crisi petrolifera del ’73 si ebbe una netta
inversione di tendenza. Per questi motivi, da quel momento e fino ai
primi degli anni ottanta, la tendenza degli stati fu di netta chiusura grazie
soprattutto all’emanazione di politiche dichiaratamente impeditive di
ulteriori ingressi di manodopera.
Questa progressiva chiusura delle frontiere esterne degli Stati
tradizionalmente definiti di immigrazione, ha portato i flussi migratori a
svilupparsi in paesi come l’Italia, la quale, in ragione della scarsa
dimestichezza nell’affrontare un fenomeno di questo tipo, ha
inizialmente ceduto al sentimento di solidarietà e ha consentito l’ingresso
a chiunque lo richiedesse.
Nonostante la generale crisi economica, paesi tradizionalmente di
emigrazione come l’Italia, sono divenuti meta di popolazioni provenienti
da ogni parte del mondo. In ragione di ciò, a differenza dell’emigrazione
che ha ricevuto nel nostro Paese un’ampia regolamentazione,
l’immigrazione solo da poco è oggetto di particolari e reiterati interventi
legislativi.
L’immigrazione, dunque, in Italia, è un fenomeno abbastanza recente
(fine degli anni ’70) estremamente variegato e diversificato
8
. Secondo
8
L’Italia fino gli anni 70 è stata tradizionalmente considerata come terra di emigranti. All’inizio degli
anni 70 il fenomeno si è capovolto. Si può dire con certezza che il fenomeno immigratorio inizia nel
nostro Paese perché cresce la domanda lavorativa: c’è carenza di manodopera, particolarmente per
alcuni tipi di lavoro. Gli immigrati arrivano in Italia perché c’è lavoro. Sul punto vedasi
“Dall’Immigrazione alla cittadinanza”, P.Marzo, in La rivista di servizio sociale, n.1/2001, Roma;
“Il servizio sociale e l’immigrazione: l’accesso al servizio sanitario nazionale”, D. Pompei, in La
rivista di servizio sociale, n.2/2002, Roma.
CAPITOLO I
15
Bruno Nascimbene la politica delle “porte spalancate”, ispirata a motivi
turistici, ha reso l’Italia uno dei paesi di più facile ingresso.
9
I dati più recenti sulla presenza degli stranieri in Italia sono forniti dal
Ministero dell’Interno, elaborati dalla Caritas e calcolati sul numero di
permessi di soggiorno rilasciati in un determinato periodo.
Al maggio del 2003 il dossier statistico curato dalla Caritas italiana di
Roma e dalla Fondazione Migrantes rilevava che all’inizio dell’anno gli
immigrati regolari in Italia fossero 2.395.000 e ciò significa, in base a
quanto calcolato dal Ministero degli Interni, circa 800.000 unità in più
rispetto l’anno precedente. Sulla base di questi dati, è stato calcolato che
l’incidenza degli stranieri in Italia è del 4,2%, e come tale inferiore solo
di un punto percentuale dalla media europea
10
.
L’immigrazione in Italia sta subendo delle forti modifiche ma non solo
dal punto di vista quantitativo, se si considera che anche la componente
degli immigrati ha subito una modifica negli ultimi anni.
L’immigrazione sta assumendo sempre più un aspetto extra-unione
europea ( 86,1%) e terzo-mondiale (77,8%): appartengono al vecchio
continente quattro stranieri su dieci, ma tra gli europei solo uno su tre è
comunitario
11
.
Le origini recenti del fenomeno non hanno permesso allo Stato Italiano
di sviluppare un’adeguata cultura dell’immigrazione. L’Italia è stata per
9
B. Nascimbene, Lo straniero nel diritto italiano, Milano, 1988.
10
Caritas di Roma (a cura della) (2003), Immigrazione: dossier statistico 2003, Anterem Editore,
Roma. In realtà la popolazione degli immigrati risulta difficile da censire per la notevole componente
di irregolari e clandestini e per la loro mobilità sul territorio.
11
A. Bai, T. Carradori, G.V. Dallari, C. Petio, F. De Santis, “ Immigrazione e Salute:
dall’emergenza al diritto. Un’esperienza di integrazione fra pubblico e privato”, in Mecosan,
n.24/1997. In termini percentuali gli stranieri extracomunitari costituiscono l’ 1,7% della popolazione
residente.
CAPITOLO I
16
lungo tempo un paese di emigrazione
12
e la crescita improvvisa degli
stranieri non è stata affrontata in modo adeguato dalle autorità nazionali.
L’iniziale atteggiamento di benevolenza dovuto soprattutto al passato
migratorio italiano, la presa di coscienza della carenza di manodopera
locale ai livelli più bassi ha favorito una disattenzione del legislatore alle
prime ondate di ingressi. A questa carenza normativa si somma la
particolare posizione geografica, la quale rende difficile una sicura
protezione dei confini, elementi che hanno favorito l’ingresso di sempre
più consistenti flussi di clandestini.
È stato a seguito della sottoscrizione dell’accordo di Schengen
13
da parte
dell’Italia che il nostro Paese ha visto un adeguamento alla legislazione
della comunità europea in tema di immigrazione.
12
La trasformazione del nostro Paese da terra di emigranti a terra di immigrati si verifica nel 1973. In
questa data, per la prima volta dalla fine dell’800, si registra il saldo negativo per l’emigrazione: su
cento espatri di italiani si verificano 132 rimpatri, segnando in tal modo la fine dell’emigrazione
italiana la quale è stata motivata dalla ripresa economica che nel nostro paese ha visto il migliorare il
livello di vita degli italiani. I nostri connazionali non partivano più per trovare lavoro e “cercare
fortuna” all’estero. Negli stessi anni, per la stessa ragione, cominciavano ad arrivare i primi immigrati
in Italia. Verso la metà degli anni 70 diminuiva anche il fenomeno di migrazione interna al territorio
nazionale. Diminuiva rispetto al passato il numero di donne che dal sud dell’Italia si trasferiva verso le
grandi città del centro-nord per lavorare nelle famiglie. Nello stesso periodo, nelle grandi città, come
Roma e Milano, si inseriscono nel mercato del lavoro domestico collaboratrici “fisse”: sono straniere
che cominciano a formare un gruppo di lavoratrici consistente. D.Pompei, “ Il servizio sociale e
l’immigrazione: l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale”, in La rivista di Servizio Sociale,
n.2/2002, Roma.
13
L’accordo, che prende il nome da un piccolo villaggio viticolo del Lussemburgo, fu inizialmente
firmato, nel giugno 1985, da cinque Stati europei: Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e
Belgio. In seguito vi hanno aderito: Italia (il 27 novembre 1990), Portogallo e Spagna (il 25 giugno
1991), Grecia (il 6 novembre 1992), Austria (il 28 aprile 1995), Danimarca, Finlandia e Svezia (il 19
dicembre 1996). Detto accordo si pone come obiettivo quello di creare uno spazio comune attraverso
la progressiva eliminazione dei controlli delle merci e delle persone con il conseguente supermento
delle frontiere nazionali. L’adesione a Schengen non ha comportato l’immediata abolizione dei
controlli alle frontiere; questa è intervenuta due o otto anni più tardi a seconda dei Paesi. Tutti gli Stati
dell’Unione Europea partecipano integralmente a questa cooperazione tranne la Gran Bretagna e
l’Irlanda. Quest’ultimi formano già uno spazio comune di libera circolazione delle persone e pertanto
collaborano solo parzialmente a Schengen relativamente alla cooperazione giudiziaria e di polizia in
materia penale.
CAPITOLO I
17
Prima che ciò avvenisse, l’Italia aveva trattato il problema degli stranieri
come questione riguardante l’ordine pubblico e la sicurezza, trascurando
di disciplinare il fenomeno da un punto di vista complessivo
14
.
L’approvazione delle legge Martelli che, nella forma di decreto legge, fu
varata il 29 dicembre del 1989 rispondeva ad una logica di adeguamento
alle scelte europee
15
.
La necessità di disciplinare il flusso degli immigrati ha portato ad una
ridefinizione del concetto di status giuridico del soggetto
extracomunitario e dei suoi diritti
16
.
Va precisato che il trattamento giuridico dello straniero, secondo quanto
stabilito al comma 2 dell’art.10 Cost., risulta essere in stretta
correlazione con le fonti di diritto internazionale e convenzionale. L’art.
14
In passato l’esigenza di disciplinare il fenomeno in maniera più completa non fu avvertita
pienamente, in quanto, il flusso dell’immigrazione era moderato e sotto controllo da parte dello Stato.
L’attuale situazione presente nel nostro territorio, ha reso improrogabile l’esigenza di una nuova
legislazione che prendesse in considerazione l’immigrazione straniera non solo dal punto di vista
politico ma anche, e soprattutto, economico, giuridico, demografico e sociale. In conformità a questi
presupposti, le fondamenta di un ulteriore sviluppo legislativo in questo settore particolarmente
complesso sono: la legge 6 marzo 1998 n.40, il decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286, il decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n.394, la legge 30 luglio 2002 n.189 e il decreto legge 9
settembre 2002 n.195 ( V. Musacchio, Manuale Pratico di diritto dell’immigrazione, Cedam, Padova,
2003).
15
Il decreto fu convertito in legge l’anno successivo. La legge 28 Febbraio 1990 n.39, (cd. Legge
Martelli), che manifestava il suo carattere di urgenza e necessità già nella intitolazione “Norme
urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di
regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio italiano”, si
articolava in dieci punti chiave: lo status e la protezione giuridica e sociale dei rifugiati; la
regolamentazione degli ingressi e la prevenzione della lotta contro la clandestinità; la regolarizzazione
degli stranieri già presenti; la disciplina del lavoro dipendente e autonomo; la prima accoglienza;
l’integrazione e l’accesso dei diritti sociali e culturali degli stranieri regolarizzati; la programmazione
dei flussi migratori; l’armonizzazione della politica italiana con quella dei paesi europei;
l’integrazione tra la politica migratoria e quella di cooperazione ai paesi in via di sviluppo e la
promozione di politiche nazionali ed internazionali.
16
Tale ridefinizione si articola in un complesso intreccio fra norme e principi nazionali ed
internazionali. E. Zanardi, “ Tutela della Salute: profili Costituzionali ed evoluzione legislativa”, in
L’Assistenza sanitaria agli immigrati, Università degli studi di Bologna, a.a. 200/2001; V.
Musacchio, Manuale Pratico di diritto dell’immigrazione, Cedam, Padova, 2003; A. Lonni,
Immigrati, Bruno Mondatori Editori, Paravia, 2003.
CAPITOLO I
18
10 recita testualmente “ la condizione giuridica dello straniero è
regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati
internazionali”. L’integrazione socio-economica tra i paesi europei ha
facilitato l’applicazione delle convenzioni internazionali in materia –
quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, la
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Patto
internazionale sui diritti civili e politici del 1966, gli accordi di Schengen
che garantiscono la tutela dei diritti fondamentali di ogni individuo e che
impongono l’attivazione degli strumenti e delle strutture di accoglienza
necessari per dare concreta attuazione agli impegni assunti. Il diritto
internazionale assicura, quindi, un livello minimo di protezione verso gli
stranieri e apolidi in materia di tutela delle libertà fondamentali e dei
diritti sociali.
17
Nonostante la modernità della nostra Carta Costituzionale del 1948, la
quale garantisce all’art. 2 i diritti inviolabili come posizioni giuridiche
assolute e tutelabili erga omnes e in quanto tali riconoscibili non solo ai
cittadini, bensì ad ogni uomo, bisogna riconoscere che la stessa non
fornisce una definizione di “straniero”.
La nozione di straniero non si desume, dunque, espressamente dalle
norme di diritto positivo, ma la si ricava – come un argomentum a
contrario - dalla nozione di cittadino
18
. In questo senso è straniero chi
non possiede la cittadinanza italiana e non è apolide. La nozione di
17
E. Zanardi, “Tutela della Salute: profili costituzionali ed evoluzione legislativa” in L’assistenza
sanitaria agli immigrati, Università degli studi di Bologna, Corso di perfezionamento in Diritto
sanitario, A.a. 2000/2001.
18
Non rientrano nella nozione di straniero né la figura del profugo nazionale, né quella dell’italiano
non appartenente alla Repubblica, che la Costituzione tende ad assimilare ai cittadini (art.
51).G.Amato/ A.Barbera, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1994.
CAPITOLO I
19
straniero è riconducibile ad una definizione che sottolinea il carattere di
estraneità dell’individuo rispetto all’ordinamento nazionale
19
: si tratta di
una definizione negativa con lontane origini, nascendo dalla
contrapposizione che fin dall’antichità distingueva gli appartenenti ad
una comunità etnica e politica da coloro che non vi appartenevano, che
erano dunque estranei non godendo di alcuno o di pochi, limitati diritti
20
.
Equiparato allo straniero, nella condizione pubblicistica, è l’apolide.
L’apolide è colui che è privo di cittadinanza. L’apolidia può essere
originaria, per chi nasce privo di cittadinanza, o derivata per chi perde la
cittadinanza che aveva senza acquistarne un’altra. Può esservi anche
un’apolidia di fatto quando, pur senza aver perduto la cittadinanza, non
si fruisca della protezione che il proprio Stato accorda agli altri cittadini
(es. rifugiati). In Italia la condizione di apolide è regolata dall’art.29
delle preleggi che per quanto riguarda i diritti civili lo equipara ai
cittadini dello Stato. La sua condizione pubblicistica lo vede equiparato
allo straniero, pertanto l’apolide è soggetto a permessi e limitazioni per
quanto riguarda il suo soggiorno e, quando ne ricorrano i motivi, anche
ad espulsione.
19
Sul punto L. Melica in Lo straniero extracomunitario, Giappichelli Editore, Torino,1991, ricorda
come nell’ambito della civiltà greca era considerato straniero colui che si trovava al di fuori della città
stato, non potendo, per questi motivi, godere di alcun diritto sia civile che politico. Solo
successivamente tale rigorismo, nei confronti degli stranieri, venne attenuato prevedendo che gli stessi
potessero godere di certi diritti nonché partecipare ad alcune attività all’interno della città.
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Sulla definizione negativa di straniero, B.Nascimbene, sottolinea che essa si è storicamente
delineata con maggiore chiarezza solo nel momento in cui le norme in materia di cittadinanza hanno
acquistato autonomia legislativa: dapprima contenute come nella legislazione francese, nel codice
civile (artt.415 cod.civ.1865), a causa della stretta influenza della cittadinanza sulla condizione di
diritto della persona privata, furono successivamente (1912) oggetto di distinta regolamentazione.
Quanto più assume chiarezza la disciplina della cittadinanza, tanto più risultano chiare le indicazioni
per la definizione della nozione e dello status dello straniero. B. Nascimbene, Lo straniero nel diritto
italiano, Giuffrè Editore, Milano, 1988.