Introduzione L'argomento trattato da questo lavoro è la Rivoluzione Industriale inglese. A
questo avvenimento non sono attribuibili coordinate temporali precise: né il
suo inizio né la sua fine possono essere ricondotti a una data esatta.
Quando si parla di Rivoluzione Industriale infatti si fa riferimento alle vicende
dell'Inghilterra tra la seconda metà del secolo XVIII e la metà del secolo
successivo.
Thomas S. Ashton la colloca tra il 1760 e il 1830
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, ma altri studiosi la
postdatano anche di un ventennio.
In ogni caso, in questo periodo a cavallo dei due secoli, l'economia inglese, e
conseguentemente la società britannica, vissero una profonda trasformazione
che mutò radicalmente l'aspetto dell'isola: se questa nel 1750 aveva ancora la
maggior parte delle caratteristiche di un paese preindustriale, l'Inghilterra di un
secolo dopo, nel 1850, era a tutti gli effetti un paese industrializzato, il primo
paese industrializzato della storia.
L'obiettivo di questa tesi è quello di cercare di individuare, per quanto è
possibile, quali furono i fattori che condussero a questi mutamenti, cercando di
comprenderne la natura e le conseguenze che ebbero sulla società inglese.
Per fare questo, il testo è organizzato in tre parti e suddiviso in capitoli, in
ognuno dei quali ho cercato di isolare gli argomenti da me ritenuti di maggiore
rilevanza, fattori che gli storici hanno individuato e ritenuto determinanti per
far sì che la storia prendesse la direzione che ha preso.
A tal proposito, va premesso che i fattori in gioco sono moltissimi, tanti quante
1 T. S. Ashton, La rivoluzione industriale 1760-1830 , Laterza, Bari, 1975
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sono le variabili che vanno a costituire la società; ognuno esercita una propria
influenza sugli altri e le valutazioni circa i loro effetti complessivi sono
diverse e discordanti.
L'idea che mi sono fatto imbattendomi in tesi opposte nelle conclusioni ma
tutte logicamente coerenti è che non sembra possibile, allo stato attuale,
stabilire con certezza assoluta quali o quale fattore sia stato la causa prima
dell'industrializzazione: a molti senza dubbio si può attribuire una grande
importanza, alcuni possono ragionevolmente apparire necessari , ma nessuno
sufficiente .
La letteratura che orbita attorno al tema della Rivoluzione Industriale è
davvero molto vasta e le opere principali su cui mi sono basato per scrivere
questa tesi sono diverse. “ La Rivoluzione Industriale 1760-1830 ” di Thomas
S. Ashton e “ La Rivoluzione Industriale da «Prometeo liberato» ” di David S.
Landes sono testi con preponderante carattere descrittivo, con il secondo che
dà maggiore risalto agli sviluppi della tecnologia. “ Leggere la rivoluzione
industriale ” di Joel Mokyr e “ Le prime rivoluzioni industriali ” a cura di Peter
Mathias e John A. Davis lasciano molto spazio al dibattito storiografico tra le
varie linee di pensiero; “ La favola del cavallo morto ovvero la rivoluzione
industriale rivisitata ”, sempre di Landes, è stata scritta col preciso intento di
reagire alle tesi della cosiddetta New Economic History . “L'economia
mondiale dall'anno 1 al 2030 – Un profilo quantitativo e macroeconomico ” di
Angus Maddison è invece un'opera il cui intento è analizzare lo sviluppo
economico mondiale sul lunghissimo periodo ed essa, anche se non è
incentrata sulla rivoluzione industriale inglese, offre comunque spunti
interessanti e la visione da una prospettiva più ampia. Un discorso simile può
essere fatto per “ Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli
ultimi tredicimila anni ”, scritto dall'eminente biologo Jared Diamond.
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Un'opera prevalentemente descrittiva è poi “ La condizione della classe
operaia in Inghilterra ”, scritta da un giovane Friedrich Engels tra il 1844 e il
1845. “Lavoro salariato e capitale ” di Karl Marx è invece un trattato
economico in forma divulgativa, considerato precursore del Capitale. Di Eric
J. Hobsbawm ho letto “ Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale ”
una raccolta di scritti sulle vicende della classe operaia a partire dagli ultimi
decenni dell'Ottocento.
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Parte prima – I prodromi remoti CAPITOLO 1
Una prospettiva millenaria – Verso il primato europeo A partire dal XV secolo il continente europeo intraprese un percorso di
relativamente rapida espansione e di, relativamente più lento, sviluppo. Le
“zone guida” erano all'inizio i comuni italiani e i l le Fiandre, p oi il baricentro
della crescita si spostò verso il Portogallo e la Spagna, che all'incirca un secolo
dopo passarono il testimone all'Olanda, superata poi dall'Inghilterra agli albori
del XVIII secolo.
In questi quattro secoli l'Europa divenne la zona più dinamica del mondo,
parte del quale aveva nel frattempo colonizzato.
Ma è buona cosa tenere presente che, come argomenta Jared Diamond, se nel
1450 qualcuno si fosse domandato quale sarebbe stata la zona che avrebbe
avuto il sopravvento nei secoli successivi, probabilmente la risposta più logica
sarebbe stata la Cina.
Da oltre un millennio la Cina era la nazione più avanzata al mondo e tra il
1405 e il 1433 aveva organizzato, con la sua straordinaria flotta (che
disponeva di vascelli lunghi fino a 120 metri) spedizioni in Africa orientale,
mobilitando nell'impresa 28.000 uomini. Queste spedizioni si interruppero poi
bruscamente per motivi prettamente politici: nelle lotte per il potere intestine
alla corte, la fazione che controllava la marina ebbe la peggio sui suoi
avversari politici che, per assicurarsi il mantenimento del potere, decisero
sostanzialmente di smantellare la flotta, decretando in questo modo l'inizio di
una lunga stagione di isolazionismo.
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Tentando di fare un'analisi dello sviluppo mondiale di lungo periodo,
sembrerebbe che alcuni dei fattori che fino ad allora avevano favorito la
prosperità cinese (come l'inizio precoce dell'agricoltura, una grande diversità
ecologica tra nord a sud e tra la costa e l'interno che aveva consentito la
diffusione di colture, di animali e tecniche diverse, una popolazione numerosa,
l'uniformità culturale e l'unione politica sotto l'egida di un grande impero che
non temeva invasioni), tra i quali soprattutto l'assenza di diretti “concorrenti”
in grado di insidiare la sua supremazia, fecero sì che decisioni scellerate sul
piano politico (oltre allo smantellamento della flotta, nello stesso periodo, per
motivi oscuri, vennero banditi gli orologi, i filatoi ad acqua e successivamente
quasi tutta la tecnologia meccanica), prese di fatto da pochi individui, ebbero
modo di manifestare le loro nefaste conseguenze solo quando fu troppo tardi
per porvi rimedio.
Viceversa l'Europa, geograficamente disomogenea, culla di culture diverse,
risultò in questo frangente avvantaggiata da questa sua strutturale disunità:
esistevano più centri di potere, ma nessuno di questi riuscì ad acquistare una
preponderanza tale da estendere il suo dominio sull'intero continente, e questa
situazione obbligava tutti gli attori a dover lottare per la propria
sopravvivenza, costretti a stare al passo dei loro vicini e a pagare caro per le
scelte sbagliate.
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Premesso questo, appare logico che se nel '700 avrebbe dovuto verificarsi una
rivoluzione industriale, questa si sia verificata in Europa piuttosto che in Asia
o altrove. Resta da chiarire come mai toccò all'Inghilterra essere il primo paese
europeo a industrializzarsi.
2 J. Diamond, Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni ,
Einaudi, Torino, 1998, p. 316-322.
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CAPITOLO 2
Cenni sulla situazione inglese nel XVII secolo 3
Cenni sulla situazione politica – Le istituzioni Le radici della rivoluzione industriale vanno ricercate nelle vicende inglesi del
XVII secolo, che portano a una fine prematura dell' ancien regime rispetto agli
altri principali attori della scena europea.
Nel corso di questo secolo l' Inghilterra è teatro di sconvolgimenti politici che
si concludono con l'instaurazione di una monarchia parlamentare, mentre il
regime dominante negli stati europei del tempo era l'assolutismo monarchico,
dove lo sviluppo economico del paese era subordinato agli interessi della casa
regnante.
Nel 1642 scoppiò infatti una rivoluzione contro Carlo I Stuart, scozzese e
cattolico, che si era attirato l'ostilità dei nobili e dei grandi mercanti inglesi a
seguito della sua pretesa di essere sovrano assoluto e per l'introduzione di
nuove tasse.
I ribelli, guidati dal puritano Oliver Cromwell, ebbero, nel 1648 (Battaglia di
Preston), la meglio sul re, che venne decapitato l'anno successivo.
Dopo un periodo nel corso del quale fu instaurato un regime repubblicano
(Commonwealth) guidato dallo stesso Cromwell con il titolo di "Lord
Protector", venne restaurata la monarchia Stuart con Carlo II che, educato alla
corte di Luigi XIV di Francia, governò con il piglio tipico dell'assolutismo
francese, portando a nuove tensioni tra la Corona e il Parlamento.
Da rilevare che sotto il suo regno venne concesso, nel 1679, l' Habeas Corpus
Act , legge che rendeva illegittime le incarcerazioni arbitrarie e garantiva
maggiori libertà personali.
3 Le fonti di questo capitolo sono: Le Garzantine – Atlante Storico , Garzanti Editore, Milano, 2003,
pp. 269, 277, 279.
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Nel 1685 ascese al trono Giacomo II, che tentò una restaurazione cattolica,
incontrando però la violenta opposizione del neonato partito dei Whigs,
borghesi, e della Chiesa Anglicana.
Il periodo delle turbolenze politiche si concluse quindi nel 1688, con la
cosiddetta “ Glorious Revolution” : il re fu nuovamente cacciato e una nuova
famiglia reale venne chiamata al trono dalla protestante Olanda, gli Orange,
stabilendo però, come auspicato da Locke nel “Saggio sul governo civile”, che
il potere legislativo fosse affidato al Parlamento, un organo bicamerale
(Camera dei Lords e Camera dei Comuni, la seconda elettiva a suffragio
ristretto) rappresentativ0 della grande proprietà terriera e della borghesia
urbana londinese.
Cenni sulla situazione politica – La politica economica La politica economica seguita dall'Inghilterra nel XVII secolo fu di stampo
mercantilista, in accordo con il pensiero economico dominante dell'epoca.
Tale politica presupponeva un forte ruolo dello stato nel regolare e controllare
le attività economiche. Partendo dal presupposto teorico che la ricchezza
mondiale fosse una grandezza immutabile, la ricchezza di un paese era data
dalla quantità di metalli preziosi accumulati nei suoi forzieri, e per ottenere ciò
bisognava che la bilancia commerciale si mantenesse attiva.
Lo stato non possedeva che strumenti limitati per favorire le esportazioni, e
quindi la politica mercantilistica si risolveva nel cercare di tenere sotto
controllo le importazioni attraverso i dazi doganali, cioè con delle imposizioni
fiscali sulla merce proveniente dall'estero.
Nel settore marittimo-navale il potere pubblico intervenne con gli "Atti di
navigazione".
Il primo " Navigation Act " risale al 1651 ed aveva come obiettivo di insidiare il
predominio sul mare degli olandesi, che gestivano commercio marittimo da e
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verso l'Inghilterra e, disponendo della flotta più formidabile del mondo, erano
in grado di esercitare un'incontrastata talassocrazia.
Per mettergli i bastoni tra le ruote Cromwell capì che era necessario rafforzare
la marina britannica: veniva quindi sancito che tutte le merci esportate
dall'Inghilterra dovessero essere caricate su navi inglesi, e che tutte le merci
importate dovessero essere giunte o per mezzo di navi inglesi, o per mezzo di
navi battente bandiera del paese di provenienza delle merci.
La reazione olandese portò allo scoppio della prima guerra navale anglo-
olandese (1652 - 1654) , che vide il successo della flotta inglese, capitanata
dall'ammiraglio Robert Blake.
Gli olandesi continuarono però a soddisfare la domanda inglese illegalmente,
attraverso il contrabbando, dal momento che le navi inglesi non erano
abbastanza numerose per gestire tutto il traffico dei commerci da e verso
l'isola.
All'aumento del tonnellaggio della flotta inglese fu quindi destinato, nel 1660,
il secondo Atto di Navigazione, che rafforzava il primo gravando con una tassa
le navi battenti bandiera inglese ma fabbricate all'estero (misura di protezione
della cantieristica navale: costruire navi in Inghilterra diveniva
economicamente più conveniente) e imponendo, al fine di creare capitale
umano qualificato in un settore strategico, che una quota della ciurma di ogni
nave - il capitano e 2/3 dell'equipaggio - fosse di nazionalità inglese.
Altra misura di chiaro stampo mercantilista è lo " Staple Act " del 1663
attraverso il quale si impone alle colonie inglesi di importare prodotti
esclusivamente dall'Inghilterra (come aveva fatto la Spagna 160 anni prima).
Alla fine del XVII secolo l'Inghilterra conquista il predominio sul mare ed è di
fatto la prima potenza commerciale e capitalistica del mondo.
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Cenni sullo sviluppo dell'agricoltura e sulla demografia Nel corso del '600 l'agricoltura inglese vive un forte processo di
modernizzazione, sia dal punto di vista delle tecniche agricole che da quello
“sociale".
La terra inglese aveva proprietari privati, ma per tradizioni di retaggio
medioevale su essa gravavano diritti di servitù pubblica, i cosiddetti “usi
civici della terra”, e di conseguenza i proprietari non potevano sfruttarla al
massimo.
Nel corso del secolo vengono però portate avanti, sancite da atti del
Parlamento ma anche in “maniera autonoma”, le recinzioni ( enclosures ) di
queste terre di uso comune ( open fields ): ciò comportò da un lato la perdita dei
diritti comuni sulla terra e il peggioramento delle condizioni delle comunità
contadine, dall'altro per i proprietari della terra fu possibile far rendere al
meglio le proprietà, innovando le tecniche agricole, ad esempio introducendo
la rotazione triennale senza maggese già diffusa in Olanda.
Si assiste contemporaneamente ad un diffuso indebolimento dei contadini
piccoli proprietari, che, schiacciati dalla concorrenza, si trovano costretti a
vendere e abbandonare le loro terre, arrivando conseguentemente a una
progressiva concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di aziende
medio-grandi.
L'aumento della produzione agricola, cagionato sia dall'estensione delle
superfici coltivate che dall'incremento della produttività, da una parte contribuì
all'aumento demografico, dall'altra “liberò” da un impiego contadino a bassa
produttività una porzione della forza lavoro che si rendeva così disponibile per
lavori manifatturieri, accingendosi a diventare proletariato industriale.
La figura del contadino che viveva dei prodotti della sua terra divenne sempre
più marginale, sostituita da quella del bracciante agricolo salariato.
Spesso infatti il grande proprietario non si occupava direttamente della
gestione della terra ma viveva di rendita senza svolgere alcuna funzione
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imprenditoriale, che era affidata invece ai grandi affittuari, esponenti della
borghesia agraria. Costoro facevano lavorare su queste terre delle persone che
erano, in misura sempre maggiore, dei salariati agricoli, e che erano stati, in
precedenza, contadini con proprie terre, ora costretti a vendere ad altri la loro
forza lavoro, in questo caso agli affittuari.
Il loro lavoro era a giornata, non copriva tutto l'arco dell'anno ma seguiva i
ritmi dettati dalla produzione agricola. In questo contesto andavano anche
scomparendo le corvées , le prestazioni lavorative gratuite.
Si veniva così a creare un mercato del lavoro nelle campagne e cambiavano le
figure sociali di riferimento.
A seguito dell'aumento demografico (e anche delle enclosures ) le migrazioni
interne assunsero dimensioni relative davvero significanti: alla fine del '600
Londra arriva a contare 600˙000 anime, quasi un decimo dei circa 8 milioni di
abitanti dell'isola.
Non si ha uno spopolamento delle campagne, ma la popolazione urbana cresce
a ritmi maggiori.
Aumenta l'accattonaggio: i mendicanti erano raccolti in centri di detenzione.
L'unica alternativa per questi cittadini era l'emigrazione nel Nuovo Mondo: tra
il 1620 e il 1680 sono circa 80˙000 gli inglesi che si imbarcano sui vascelli
della Virginia Company alla volta del Nord America.
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