to adeguato alla sua essenza, oppure se umiliare la ragione;
sia invocando un senso al di là dell’essere sia arrendendosi al non
senso. La rivolta si converte ora in atteggiamento pratico; l’uomo
esistente decide di essere un fine in sé e di rifiutare l’annichilimen-
to teoretico e pratico imposto agli altri enti. A questo punto l’essere
umano si libera da ogni forma di trascendenza e diviene il solo
responsabile del proprio agire; tuttavia se egli pensa di poter rifon-
dare il proprio essere sul nulla, stabilendo arbitrariamente ciò che
egli deve divenire, crea nuove forme di trascendenza e contraddice
l’essenza umana, emersa con la rivolta, asservendosi ancora una
volta ad un fine estrinseco; sia esso trascendente o immanente. La
rivolta teoretico-pratica si dimostra pertanto il principio etico-
metafisico fondamentale che assicura agli uomini la dignità di esi-
stere come autonoma capacità di comprendere e di agire (cfr.
L’uomo in rivolta, nel III e IV capitolo).
La proposta camusiana per un superamento del nichilismo euro-
peo si differenzia tanto da quella di chi propone, come terapia, un
ritorno all’interiorità inviolabile dell’individuo di fronte allo strapo-
tere degli istituti tecnici e politici della contemporaneità (come fa
Junger), quanto dalla proposta di chi prende a pretesto il limite
ontologico umano per prescrivere forme di abbandono al divino o
alla temporalità (come suggerisce Heidegger). Camus ci ricorda,
invece, che se è vero che l’uomo non è responsabile dei limiti impo-
sti al suo esistere, è altrettanto vero che egli lo è per le conseguenze
pratiche che trae dalla constatazione della propria finitudine (cfr.
capitolo II e conclusione).
Ciò che emerge da una considerazione unitaria del pensiero
camusiano è una sorta di illuminismo del limite e della responsabi-
lità; tale pensiero, sebbene pessimista in merito al destino dell’uo-
mo, essere inesorabilmente finito, è ancora in grado di scommette-
re sulla capacità dell’essere umano di comprendere i limiti e le con-
seguenze connesse al proprio essere e al proprio agire.
Abbandonate le speranze salvifiche dell’eternità e della storia, agli
uomini non restano che la ragione e la morale per combattere e
non estendere il male che li affligge.
CAPITOLO I
IL PROBLEMA DEL MALE
COME FINITUDINE ESISTENZIALE
Alla problematica del male nelle sue varie declinazioni è legato
tutto il pensiero camusiano; dalla sua tesi di laurea sino alle opere
mature, Camus si misurerà costantemente con questo problema,
cercando a volte di risolverlo a volte di farlo emergere in tutta la
sua virulenza.
Alla base del peculiare nichilismo del pensatore francese trovia-
mo, infatti, l’impossibilità di giustificare l’esistenza del male: il suo
ateismo deriva da una rivolta etica di fronte all’ingiustizia che
regna sull’intera creazione e dall’impossibile teodicea che ne conse-
gue.
Ogni prospettiva teologica, politica o metafisica sembra, al vaglio
della ragione, incapace di eliminare totalmente questo aspetto
negativo dell’esistenza senza reintrodurlo, in qualche modo, in forme
differenti.
In una spietata analisi razionale, dunque, affonda le radici la
profonda diffidenza che Camus da sempre nutrì nei confronti di
ogni forma di sapere assoluto: l’assoluta verità come l’assoluta giu-
stizia abbandonano, nell’interpretazione camusiana, il campo della
ragione per entrare in quello della fede.
Esaminando con attenzione l’opera del pensatore francese ci si
può rendere conto di come il male finisca con l’assumere una vera e
propria dignità ontologica; la “mancanza” è un principio costitutivo
dell’essere con cui è necessario misurarsi sempre.
Dalla constatazione dell’impossibile comunanza della coscienza
con le cose, per giungere al rifiuto di Dio, autore della morte e della
sofferenza, e di ogni altra forma di assoluto che pretenda di sosti-
tuirlo, il problema della finitezza umana e quello del male, ad essa
connesso, giuocano un ruolo fondamentale nel pensiero camusia -
no. Dalla difformità umana rispetto al mondo nascono, prima la
rivolta teoretica come ricerca di un senso impossibile e di una
verità che l’uomo porta solo in se stesso, quindi la rivolta ontologi-
ca come desiderio di eternità, che l’essere umano, ente finito, non
possiede, infine, la rivolta etica che mira ad affermare la dignità e
la peculiarità dell’esistenza umana all’interno dell’essere, come di
un ente che anela a divenire un fine in sé. L’unità del pensiero
camusiano sta, a mio avviso, nell’atteggiamento etico-metafisico
della rivolta contro il male fisico e morale: in una parola, contro
tutto ciò che fa dell’uomo un ente finito.
Dalle diverse soluzioni che vengono proposte al fine di risolvere il
problema del male nascono le varie teorie filosofiche, religiose e
politiche con le quali gli uomini tentano di eliminare totalmente o
parzialmente la morte, il dolore, l’ignoranza e tutto ciò che ne con-
segue.
Nel pensiero camusiano, tuttavia, non trovano posto soltanto i
lati negativi dell’esistenza; al contrario, in tutta la sua opera possia-
mo constatare la volontà di non escludere nessun aspetto della
realtà; la completezza è un indirizzo metodologico che il pensatore
francese persegue e dichiara sin dal suo primo scritto, L'envers et
l’endroit (1). Infatti, in un passo di questo piccolo saggio assai
significativo per comprendere la genesi e l’intero sviluppo del suo
pensiero, Camus scrive: “Entre cet endroit et cet envers du monde,
je ne veux pas choisir, je n’aime pas qu’on choisisse” (2). E’ facile
rendersi conto della portata teoretica di queste affermazioni; il pen-
siero camusiano, tacciato da più parti d’incoerenza, vuole essere
invece una filosofia della completezza, che non nega nemmeno gli
aspetti più spiacevoli di un tale indirizzo: relativismo, aporeticità e
provvisorietà.
In tutto il corso della sua opera Camus non ha mai voluto indul-
gere ad un facile riduzionismo positivistico o idealistico; nel suo
pensiero, al contrario, è insito un dualismo ineliminabile che ne
impedisce ogni tentativo di assolutizzazione, in qualsiasi senso. Si
può dire, a mio parere, che all’interno dell’essere vi siano per lui
due ambiti veritativi: quello del pensiero umano che cerca sempre
una spiegazione ed un fine ultimi e quello inerente alla presenzia -
lità empirica delle cose, che rimanda sempre e solo a se stessa. La
rivolta etico-metafisica scatta nel momento in cui queste due moda-
lità dell’essere vengono a contatto, quando la coscienza comprende
la propria difformità rispetto all’essere e all’agire degli altri enti.
A tale proposito, nel Mito di Sisifo vengono descritte le varie fasi
attraverso le quali la finitezza umana s’interroga sul perché delle
cose e, parimenti, viene evidenziata l’impossibilità di una giustifica-
zione definitiva che appaghi l’insorgere continuo di tale domanda.
1) Cfr. L’envers et I’endroit, Paris 1980, pp. 118, 119.
2) Ivi p. 118.
Scrive Camus: “... Tutto comincia con la coscienza e nulla ha valore
se non per mezzo di questa” (3). La prima frattura nell’unità dell’es-
sere consiste, dunque, in questa presa di distanza ad opera del pen-
siero, che si chiede il perché di un qualcosa che ci si mostra estra-
neo e, di per se stesso, impenetrabile.
Alla domanda che recita “perché le cose stanno così e non altri-
menti?”
, i fatti rispondono con la loro opacità, rispetto alla quale la
coscienza, con la sua assoluta esigenza di trasparenza, si manifesta
come un qualcosa di assolutamente difforme. Ogni volta che l’uo-
mo tenta di dare una soluzione definitiva all’esigenza radicale
postagli dal pensiero, cade in una serie di aporie che gli rendono
intelligibile solamente il suo limite costitutivo e il malanno della
sua condizione. Il male si manifesta, come vedremo, in primo
luogo, a livello teoretico, nell’assenza di risposte razionali; la realtà
nel suo complesso si dimostra incomprensibile all’uomo, il quale,
obbedendo al proprio essere, cerca di unificarla a vari livelli per
poterla comprendere.
Per dimostrare ciò, il nostro filosofo passa in rassegna i vari
modi con cui l’uomo cerca di unificare l’essere: il primo problema
che si pone al pensiero è pertanto quello della designazione di un
metodo in grado di farci conseguire la verità. Tuttavia, già in questa
prima fase della nostra ricerca d’unificazione, ci rendiamo perfetta-
3) Il mito di Sisifo, Milano 1994, p. 16. Va detto che la coscienza, nell’accezione
camusiana, non è in grado di organizzare i dati dell’esperienza in una sintesi produt-
tiva che spieghi la in maniera esauriente. Le cose vengono percepite immedia-
tamente attraverso la sibilita, ma l’intelletto non può rischiarare i nessi tra gli
eventi senza avanzare ipotesi arbitrarie. Il mondo da un lato e il pensiero dall’altro
sono realtà impermeabili; il mondo non si conforma al “principio di ragione”, ma
solo l’uomo che, a differenza di ciò che pensava Kant, non è in grado d’imporlo a ciò
che lo circonda (cfr. il mito di Sisifo, cit., p. 23). La ragione ci manifesta solo il
nostro limite e il desiderio di oltrepassarlo che dà luogo alla rivolta.
mente conto della relatività della nostra prospettiva; Camus osserva
infatti, dopo aver esortato ad attenersi al senso comune: “Si sente
nettamente che in tal modo definisco un metodo; ma si sente anche
che tale metodo consiste nell’analisi e non nella conoscenza. Infatti,
i metodi implicano una metafisica e scoprono, a loro insaputa, le
conclusioni che a volte pretendono di non conoscere ancora... Tale
vincolo è inevitabile. Il metodo qui definito scopre la sensazione
che ogni vera conoscenza sia impossibile. Soltanto dalle apparenze
si può fare una statistica e soltanto il clima può essere sentito” (4).
Si può dunque notare come, fin dall’inizio, il pensiero si trovi di
fronte ad un limite invalicabile; infatti, per avere un metodo sicuro,
dovremo adottare un’unica prospettiva, con il risultato che alla fine
della nostra ricerca troveremo sempre qualcosa che trascenderà il
nostro punto di vista, in quanto escluso a priori (5).
Dopo quella relativa al metodo, un’altra confutazione in merito
alla pretesa umana di unificazione riguarda la logica. In primo
luogo, egli afferma, si cerca sempre di distinguere il vero dal falso,
“tuttavia, non appena il pensiero riflette su se stesso, ciò che scopre
dapprima è una contraddizione ” (6). A sostegno di questo tipo di
impasse l’autore richiama il celeberrimo passo del libro IV della
Metafisica di Aristotele, in cui lo Stagirita così confuta le tesi dei
negatori del principio di non contraddizione: “La conseguenza,
spesso messa in ridicolo di queste opinioni è che esse si distruggo-
4) Il mito di Sisifo, cit., p. 15. La posizione camusiana in merito è molto vicina ad
alcune idee del positivismo logico che riconoscono l’impossibilità di una fondazione
razionale dei metodi conoscitivi, in quanto assunti in base ad asserzioni prime non
controllabili.
5) Cfr. ivi, pp. 15-21.
6) Cfr. ivi, pp. 19-20.
no da loro stesse. Infatti, affermando che tutto è vero, affermiamo
la verità dell’affermazione opposta e, di conseguenza, la falsità della
nostra stessa tesi (in quanto l’affermazione opposta non ammette
che questa possa essere vera). E se si dice che tutto è falso, tale
affermazione risulta pure falsa. Se si dichiara che è falsa soltanto
l’affermazione opposta alla nostra ovvero che solamente la nostra
non è falsa, si è pure obbligati ad ammettere un infinito numero di
giudizi veri o falsi, poiché colui che emette un’affermazione vera
dichiara, al tempo stesso, che è vera e così di seguito fino all’infini-
to” (7). La chiosa che l’autore aggiunge (8) subito dopo il passo
riportato è significativa per svelare lo scacco a cui l’uomo perviene
a causa della sua brama di verità: “Qualunque sia il giuoco di paro-
le e l’acrobazia della logica, comprendere è prima di tutto unificare.
Il profondo desiderio dello spirito, anche nei suoi più evoluti pro-
cessi, si ricongiunge al sentimento incosciente dell’uomo di fronte
al proprio universo: è esigenza di familiarità, brama di chiarezza”
(9). Dunque, il pensiero umano che si orienta sempre in mezzo ad
una serie di oggetti limitati dallo spazio e dal tempo, quando si
volge alla ricerca di una verità assoluta diviene invece cosciente del
proprio limite intrascendibile.
Una terza modalità presa in esame nel saggio citato, in merito al
bisogno di unità dell’uomo, è quella parmenidea, che proclama l’as-
soluta realtà dell’uno, oltre ogni divenire. In tal caso, la coscienza
cerca di superare arbitrariamente il solco che divide la sua brama
di eternità dalla realtà che, invece, le manifesta la sua finitezza. Ma
7) Ivi, p. 19.
8) Cfr. Il mito di Sisifo, cit., pp. 19-20.
9) Ivi,pp. 19-20.
anche ammettendo ciò, si cade nella ridicola contraddizione di uno
spirito che afferma già in partenza l’unità totale e pertanto, con tale
affermazione, elimina la dicotomia che pretendeva di risolvere.
Questo metodo fa capo ad una petizione di principio (10).
Comunque sia, la posizione di un principio trascendente nega,
riducendo a nulla, il dramma della morte che, in fondo, sembra
essere ad una filosofia dell’esistenza, l’unica certezza matematica
sulla quale costruire un pensiero a misura d'uomo (11). La posizio-
ne parmenidea non tiene conto del male ontologico per cui ogni
ente è individuato, finito e determinato nel tempo, quindi destinato
all’annichilimento.
Concludendo, Camus prende in esame anche la pretesa delle
scienze positive di spiegare l’intera realtà. La coscienza si attende
dal sapere scientifico una spiegazione esauriente delle cose che il
senso ci presenta solo sotto forma d’immagini irrelate. Ma il sapere
scientifico, giunto ad un certo punto del suo cammino, sembra
doversi necessariamente attenere a congetture meramente proba-
bili; infatti la scienza sperimentale parte dall’unità della percezione
per risolversi nella pluralità dell’ipotesi razionale (12).
Ancora una volta, dunque, emerge il limite umano: il sapere
scientifico che prende inizio dalla certezza sensibile, si risolve, in
ultima analisi, nell’ipotesi incerta della spiegazione.
10) Cfr. p. 20.
ll) Cfr. ivi,p.25.
12) Cfr. ivi, pp. 22-23. Il giudizio camusiano sulla scienza sperimentale è pressoché
analogo a quello di Ludwig Wittgenstein, per il quale “ogni spiegazione è un’ipotesi”
e “... la spiegazione come ipotesi di sviluppo è solo un modo di raccogliere i dati,
della loro sinossi”. (L. WITTGENSTEIN. Note sul Ramo d'oro di Frazer, Milano 1975,
p. 20 e p. 28).