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I Capitolo
Profilo della religiosità nel popolo siciliano.
La religione, in un' isola come la Sicilia, assume più facilmente un suo profilo
caratteristico. Se poi la religione diventa fattore primario a livello personale, familiare e
sociale, ogni manifestazione della sua vita se ne impregna e si irradia su tutto.
La chiusura dell' Isola dentro il cerchio dei mari che la circondano da una parte rende più
omogenea la sua religiosità in ogni angolo, e dall'altra acuisce il bisogno di ricevere e di dare
nei riguardi dei paesi "lontani, "stranieri", che il mare stesso avvicina e collega.
Per quanto possa sembrare strano attribuire un profilo tipico, ben distinto e continuativo alla
Sicilia, dato che essa ha subito in circa tre millenni l'avvicendarsi di "stranieri" (non diciamo
di "barbari" e "tiranni") venuti dal continente, dall'oriente, dall'Africa o dall'occidente, tuttavia
risulta storicamente che vi si è formato e consolidato un consistente elemento indigeno, una
struttura etnica, basata sul fondo sicano - siculo con innesti arricchiti di elementi orientali del
periodo greco e di elementi italici del periodo romano.
Né i Vandali né i Goti apportarono sensibile modifica a quella struttura
1
.
1.1 Esegesi della religiosità siciliana.
La presenza, innegabile, di soggetti Levantini, Siriani e Giudei, era piuttosto di tipo
economico-commerciale e restava immersa nella massa dei "Siciliani". La prevalenza
culturale del greco era tale che, superando i processi di latinizzazione (vivaci al tempo di
S. Gregorio Magno), si rassodò nel lungo periodo bizantino, precedente l'invasione saracena.
La Sicilia appariva inserita nell'area greca, e lo stesso Cicerone chiama i siciliani “greci", e
Siracusa “la più grande tra le città greche".
1
Sferrazza A. S. J., In Radici e Profilo della Religiosità del Popolo Siciliano. Ed. Esur, Messina, 1990.
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Più difficile senza dubbio è dimostrare che i Saraceni, con la loro innegabile civiltà e lunga
presenza politica, non abbiano influito profondamente sulla Sicilia. Eppure risulta con
sicurezza che essi non intaccarono notevolmente la "purità della razza", perché la fusione tra
siciliani e saraceni era resa difficile per la differenza e la tensione di tipo religioso, etico,
culturale e politico. Si ostentava persino la distinzione nell'abito, alla fine del sec. IX: i
cristiani di Palermo vennero obbligati a portare sulle vesti "pezzi di stoffa cuciti che li
distinguessero dai Musulmani" (F. Giunta) e, quando le parti si rovesciarono, i Musulmani
rimasti nell'Isola dovettero portare una "barra di panno rosso al petto", mutata poi con "la
fascia e il turbante in testa", conforme alla "Prammatica" del Re Filippo II.
Quanto agli Ebrei, che fino al 1492 furono legalmente tollerati e quasi protetti in Sicilia,
vivevano però socialmente e fisicamente appartati: dovettero anch'essi portare "un pezzetto
di panno rosso di forma rotonda, a guisa di un regio sigillo di prima grandezza
2
". Infine
quando, in pieno regime cristiano e moderno, l'unione della Sicilia con "Le Spagne" e la sua
posizione nel Mediterraneo moltiplicarono la presenza di spagnoli, catalani, genovesi,
soprattutto nelle città costiere, singole fusioni certamente ce ne furono e ancora i nomi di
famiglia lo dimostrano, ma ci si teneva a essere e a dirsi Catalani, Genovesi e Spagnoli, fino a
vivere in colonie, con Chiese proprie destinate anche alla sepoltura dei "connazionali".
Fu proprio questo fondo etnico, consolidatosi per secoli in Sicilia, a sentirsi e proclamarsi fin
dall'arrivo dei Normanni liberatori (che seppero fondersi politicamente, socialmente e
religiosamente coi Siciliani), un "Regno di Sicilia", con la coscienza di non partire da zero,
ma di portare alla "costituzione del Regno" un corpo socio-politico e un'anima culturale -
religiosa con un suo distinto profilo: il profilo di un Regnum Sacerdotium, ben diverso da
quelli formati già nell'occidente come Stati romano - barbarici, e semmai analogo al modello
inglese.
2
Giovanni di Giovanni, Ebraismo in Sicilia, Palermo, 1748, p. 341.
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In quello scorcio del secolo XI, sorse un "Regnum Siciliae" nuovo, originale: temperò il
potere del Re con il Parlamento ed evitò le scandalose lotte di condivisione tra Re e il Papa
mediante la "Legazia pontificia", che assicurò al Popolo siciliano una conduzione civile e
religiosa abbastanza armoniosa, se si accettano la parentesi in cui il Re di Sicilia fu
Imperatore (Federico II di Svevia) e la vertenza nevrotica del "caso liparitano" agli inizi del
'700; inoltre riprese e aggiornò (nelle "Costituzioni di Melfi") l'organizzazione municipale
della Polis, Città-Stato, con garanzie "costituzionali" per le libertà e i privilegi delle Città
siciliane; e avviò subito, e poi rassodò costantemente, l'autorità dei Vescovadi e delle
Abbazie, che bilanciava, a favore del Re e del Popolo, l'autorità dei Nobili.
Questo Regno, tendenzialmente costituzionale e sacro, penetrò nel cuore del popolo siciliano
che, mentre vi vedeva la garanzia per le "libertà" cittadine, vi trovò anche la guida necessaria
per la difesa di tutta l'Isola dalla minaccia musulmana.
Nella stessa linea di un chiaro profilo politico-religioso, i Re e i Viceré collaboravano
strettamente col Clero per sostenere e perfezionare il volto "sacro" dell'Isola: chiese, conventi,
opere pie e assistenziali, riforme di monasteri, cura della moralità pubblica, [...].
Costante era la preoccupazione della vita e della morte "cristiana" dei siciliani impegnati, per
terra e per mare, nelle galere e nella "Milizia del Regno". Ma quando nel 1516 si volle
rimettere in efficienza il Tribunale dell'Inquisizione, il Parlamento "supplicò Sua Altezza"
(il Re Carlo V) a "voler provvedere" perché "per la vita non consentiriamo a queste
inquisizioni". Carlo allentò il rigore e l'Inquisizione in Sicilia, praticamente "spagnola", si
vide ridotta all'impotenza e brigò per riavere il sostegno del "braccio secolare" a servizio più
del Potere Spagnolo, che della difesa e propagazione della fede romana nell'Isola, che non fu
mai un "covo di eretici".
La lunga pace interna goduta dalla Sicilia dopo le tensioni con la Casa d' Angiò e le lotte
baronali, portò effetti meravigliosi: nel Quattrocento l'economia prosperò.
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Troviamo colonie o fondachi siciliani in Eritrea, Armenia, Cipro, Alessandria, Cairo e
persino in Cina e nel Ceylon.
Grazie all'ospitalità data ai profughi greci, dopo il crollo di Costantinopoli, la Sicilia e
soprattutto Messina, sede dell'Archimandritato, vide rifiorire gli studi greci. Aldo Manuzio
poté chiamare Messina "Atene dei tempi moderni
3
".
Il Regno di Sicilia, che già per il fervore letterario nella corte del Re Federico brillò persino
agli occhi di Dante cosi da chiamare "siciliana" la lingua italiana degli inizi, diede anche
modelli di eroica vita cristiana, quali S. Eustochia a Messina, il Beato Matteo ad Agrigento, il
Beato Arcangelo a Calatafimi. Erano Religiosi che, venivano ammirati non solo nei
monasteri, ma anche nelle corti, cosi a Madrid come a Ferrara.
Nel Cinquecento, la Commissione scelta per elaborare la celebre "Ratio studiorum" dei gesuiti
era presieduta dal siciliano Tuccio, proveniente dal Collegio messinese che meritò il titolo di
"Collegium Primum ac Prototypum". E dai Collegi gesuitici di Sicilia partiranno per la Cina
Missionari come P. Longobardo successore del P. Ricci nella Missione alla corte imperiale di
Pechino, e più tardi P. Intorcetta che tradusse le opere di Confucio e le fece conoscere in
Europa. Nel Sei e Settecento (almeno la prima metà) continua lo sviluppo del tipico profilo
religioso della Sicilia grazie soprattutto alle attuazioni post-tridentine dei Vescovi di Sicilia,
all'opera delle missioni popolari, che ridestavano e approfondivano la fede del Popolo, a un
notevole fervore nel culto all'Eucaristia e ai Santi, alla fioritura impressionante di vocazioni.
Città e paesi assunsero un vistoso profilo sacro con le chiese, i monasteri, i preti, le
confraternite laicali, ammirabili nelle solenni "processioni generali" per i vestiti fantasiosi e
misteriosi. Ma nel '700, quel "Profilo religioso", che si era delineato con tratti cosi vivaci e
caratteristici lungo l'arco di sette secoli, cominciò a rivelare macchie e rughe: una
cristallizzazione.
3
Premessa alla prima ristampa della Grammatica del Lascaris, Venezia, 1512.
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La vita interna della Sicilia si arroccò sempre più nelle tradizioni locali, usi costumi, feste,
beghe, servilismi, caccia ai titoli del Regno unita al "senso di mafia come prestanza
personale" e arroganza del proprio clan, dilapidando nella futilità del lusso e dell'esibizione i
beni prodotti da umili e pazienti lavoratori sempre più svuotati di ricchezza e di dignità.
I cambiamenti di governo (dagli Spagnoli ai Piemontesi, agli Austriaci, ai Borboni) non
riuscirono a penetrare dentro quella vita "cristallizzata" per avviare una ripresa, rilanciando i
valori antichi in vista dell'urto inevitabile con i cicloni antireligiosi che si abbatteranno anche
sulla Sicilia: lo spirito illuminista, la Rivoluzione Francese coi suoi germogli settari trapiantati
in Italia, la linea decisamente antipapale del movimento unitario nazionale, le leggi eversive
piemontesi e presto italiane di secolarizzazione per annientare il mastodontico castello,
comunque roccaforte "religiosa", creato in Sicilia dalla stima e dal lavoro degli Istituti
Religiosi.
Eppure, mentre ingiallivano tante foglie del "passato" (l'Ancien Régime), ne spuntavano di
nuove, destinate a ispirare la Rinascita in Sicilia di un suo tipico allineamento con le nazioni
moderne, rinverdendo le Radici, ormai molto prolungate, e aprendosi al nuovo e al diverso.
Proprio a partire dal Settecento:
a) cominciano a fiorire gli studi storici;
b) l'acuta mente dei Siciliani, logorata nei cavilli giuridici locali, si apre con vigore alla
visione del Diritto Internazionale con lo Spedalieri, prima, e poi col Taparelli (professore al
Collegio Massimo di Palermo), Luigi Sturzo, Giorgio La Pira portando un suo notevole
contributo "cristiano e sociale". Di fronte al predominio baronale e clericale, che elevava il
polo verticale nella società e nella Chiesa, ecco svilupparsi dal basso, in modo meraviglioso
per varietà, estensione e organizzazione, le "maestranze", le "confraternite e congregazioni
laicali". Docili alla Gerarchia, ma con crescenti autonomie, esse seppero darsi sagge norme
statutarie, assicuravano il rigore della disciplina, catechizzavano le nuove generazioni,
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professavano uno stile di vita civile e cristiano che coinvolgeva la famiglia e la professione,
rendevano possibile il sorgere e maturare di vocazioni sacerdotali e religiose, effetto e insieme
causa di religiosità impegnava nel popolo siciliano.
1.2 Il monachesimo in Sicilia.
La componente monastica, insieme a quella episcopale, si rivelerà di fondamentale
importanza nello sviluppo della Religiosità del Popolo siciliano. Ma mentre l'organizzazione
delle Diocesi, che è essenziale alle Chiese, appare subito e opera a livello di costruzione della
Comunità cristiana e di comunione con tutta la Gerarchia, l'esistenza e l'azione di Monaci e
Cenobiti fiorisce dal fervore evangelico della Comunità e a sua volta lo favorisce.
Doveroso sottolineare, che la situazione storica - geografica della Sicilia, la resero permeabile
sia al monachesimo orientale sia a quello occidentale; non dimentichiamo l'afflusso di Monaci
egiziani (e si sa che l'Egitto fu terra feconda di Monaci), costretti a fuggire sotto la pressione
vandalica prima, e saracena dopo.
La Radice monastica in Sicilia presenta almeno questi inizi documentati.
1° S. Girolamo, nella vita di Ilarione, accenna a un soggiorno del Santo a Pachino presso
Siracusa
4
).
2° Nella metà del sec. V si parla di Monaci africani, come Fulgenzio futuro Vescovo di Ruspe
e Rufiniano Vescovo, che si ritirano a vita cenobitica a Lipari, fuggendo la persecuzione dei
Vandali.
3° Papa Gelasio accenna a Monaci stabilmente residenti nell'Isola di Sicilia.
4° Anche per S. Gregorio Magno l'Isola di Lipari era abitata da Eremiti nel sec. V
5
.
L'epistolario di S. Gregorio presenta una ventina di Monasteri Latini di cui quattro femminili.
Alcuni di essi suppongono origine antica.
4
Bollandisti, Acta Sanctorum, October, IX55.
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5° Il caso tanto dibattuto della venuta in Sicilia del più famoso tra gli Eremiti, San Calogero,
il cui culto superò indenne la massiccia lotta islamica al cristianesimo siciliano, e che è andato
crescendo fino ai nostri giorni, sembra che si debba risolvere collocando la sua venuta
dall'Oriente in Sicilia nella seconda metà del sec. V
6
.
18 Giugno: festa di San Calogero a Naro di Agrigento, foto d'epoca.
Nel Seicento il Gaetani (Isagoge, p. 340) elenca molti Eremiti santi di Sicilia: "Rosalia,
Demetrio, Elisabetta, Gregorio, Nicandro, Pietro Nicola, Corrado, Guglielmo, Giovanni,
Federico ..".
Il gusto cristiano per la Vita Eremitica è rimasto vivo in Sicilia sino a tutto il settecento.
Quando a queste radici sparse si aggiungeranno nuclei più nutriti di Monaci (colti, spirituali e
a volte confessori della fede) provenienti in Sicilia dall'oriente bizantino (persecuzione
iconoclasta) e dall'Italia (pressione longobarda), esploderà nell'Isola (tra la fine del sec. VIII e
5
Allora (fine sec. VI) prevaleva in Sicilia il rito latino. S. Gregorio ne eresse sei; mentre i Monasteri di rito greco
fioriranno più tardi, con la bizantinizzazione dell'Isola e dei Monasteri. In Gregorio Magno, Dialoghi, III, Ed. U.
Moricca, p. 274.
6
Terrizzi Francesco, S.J. San Calogero - pagine d'Archivio, Vol. 1°, Basilica S. Calogero, Sciacca (Ag.), 1987,
p. 20.
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la prima metà del sec. IX) una vera rinascenza di Monasteri, che costituirà l'inizio di una
estesa e profonda fermentazione religiosa di tutti gli strati sociali dell'Isola. Di qui usciranno
preti, vescovi e papi, come pure liturghi e innografi, e animatori spirituali delle masse
popolari sensibilissime al richiamo di questi uomini e donne di Dio. Per ora, nello studio delle
Radici cristiane della Religiosità del Popolo siciliano, possiamo concludere che esse si
consolidano più attorno ai Vescovi che alle Cattedrali; più nei circoli di spiritualità intensiva,
quali sono i Monasteri, che nelle strutture pastorali di massa.
1.3 Le associazioni laicali
Man mano che gli Ordini Religiosi affascinavano i fedeli con la loro spiritualità, sorgevano
attorno a loro, forme di partecipazione varia al loro ideale religioso e alle loro pratiche di
pietà. I Domenicani favorivano così le confraternite del Rosario, i Gesuiti
7
le congregazioni
mariane, i Carmelitani le affollate Associazioni del Suffragio per le Anime del Purgatorio.
Possiamo dire che ogni paese della Sicilia poteva presentare nelle processioni solenni e
generali, file spesso interminabili di Associati al Terz’Ordine preferito.
L'analisi dei vari Statuti e delle regole particolari rivela la forza di penetrazione, nelle masse,
della fede e della morale Cristiana. In effetti l'uomo o la donna che si iscriveva in
un' associazione laicale, vi trovava una progressiva catechesi (fatta più di vita e di opere che
di parole), un vero codice di comportamento del Laico in famiglia, nella parrocchia, nel paese.
Era considerato un grande traguardo per una confraternita della Sicilia essere “aggregata
all'Arciconfraternita dell'Alma Città di Roma”, magari dopo aver fatto un primo passo: essersi
riformata con l'aggregazione a quella della Cattedrale di Palermo
8
.
7
A Sciacca, per esempio, all'inizio del '700, il Catalogo della Provincia Sicula dei Gesuiti elenca queste
Congregazioni: C. dei Sacerdoti - Mortificati - Pescatori - della Buona Morte - dei Nobili - dei Grammatici -
degli Umanisti - dell'Immacolata. Viene anche notata una “Congregazione Segreta”, che non era una P2, ma
riuniva persone distinte (Magnifici) per dedicarsi, con discrezione, ha un'intensa vita di preghiera e di assistenza
ai poveri e ai condannati. Ricordiamo che fin quasi ai nostri tempi, era frequente l'uso del cappuccio che, in
pubblico, nascondeva il volto del confratello, perché fosse noto solo a Dio.
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Come viene registrato nei “Capitoli della Ven.le Compagnia del SS. Sacramento” a Partitico.