3
impulso prevalentemente giurisprudenziale, come moto di reazione ad una
situazione che, sotto il profilo della tutela di diritti fondamentali collegati al
“valore uomo”, presentava un vuoto difficilmente giustificabile sia in termini
giuridici che extragiuridici.
La giurisprudenza di merito (soprattutto in origine genovese e pisana),
valutati in profondi mutamenti sociali ed economici ha avvertito la
necessità di adeguare ad essi il sistema della tutela giuridica dei diritti
pervenendo alla elaborazione di soluzioni che, veicolate dal “diritto
vivente” hanno innovato il diritto codificato senza l’intervento del
legislatore.
Nasce la categoria del <<danno alla persona in senso stretto>> (Cass.
6/4/1983, n. 2396), la quale non vede alcuna incidenza sulla capacità a
produrre reddito.
Si è cercato un principio risolutivo dell’uguaglianza di dignità nel
risarcimento del danno alla persona.
Tutto ciò ora rischia di scontrarsi con una vera e propria “lotteria forense”.
Infatti, superata la fase critica della affermazione e sistemazione teorica
del concetto di danno alla salute, l’attuale fase storica risulta caratterizzata
da una certa “criticità”, ossia dall’assenza di criteri di valutazione e
quantificazione del danno alla persona certi ed uniformi sull’intero territorio
nazionale4.
Nell’ultimo decennio nuovi binari del danno biologico vengono interessati
da un sempre attento dibattito giurisprudenziale e dottrinale.
4
QUADERNI ISVAP “Il danno biologico: problemi e prospettive di riforma” 1998.
4
Il risarcimento del danno biologico da morte, all’interno del dibattito aperto,
interroga sulla titolarità degli eredi: jure proprio o jure hereditatis e sul più
ampio studio che investe i confini del diritto alla salute, la distruzione della
fruizione dell’amenità della vita ed il depauperamento del patrimonio
psico-fisico.
5
LA FIGURA DEL DANNO BIOLOGICO:
UN METODO DI VALUTAZIONE ed UN TIPO DI DANNO
6
1.1 UN AVVIO ACCIDENTATO
Il danno alla persona, il diritto al suo risarcimento e la valutazione
conseguente attraversano diacronicamente la storia, assumendone i suoi
vari profili.
Il vasto campo della responsabilità civile esercita, ancora oggi, nutriti
interessi e non meno ardui problemi.
La seconda metà di questo secolo le illuminate nuove figure di danno,
attente alla protezione di diritti assoluti impressi già nella nostra
Costituzione.
Nei primi anni ’70 la giurisprudenza individua il danno biologico. Tale
formula è entrata successivamente nell’uso dei moduli linguistici
privilegiati dalla dottrina, la quale ha certamente accolto con favore un
nuovo indirizzo giurisprudenziale che ha modificato i criteri di valutazione
del danno alla persona, inserendo, tra le <<voci>> di cui occorre tener
conto, anche la lesione della <<salute>> del soggetto danneggiato.
La decisione della Pretura di Cairo Montenotte del 16/7/1974 rappresenta
il primo momento di una generalizzazione giurisprudenziale
autenticamente innovativa del Tribunale di Genova.
Si afferma che <<il cosidetto danno biologico, che consegue alle lesioni
permanenti arrecate ad un individuo, non comprende soltanto le perdite di
carattere patrimoniale che sono ad esse strettamente connesse, ma
anche il danno alla salute, che può trovare una propria specifica ed
autonoma liquidazione computata in equal misura per tutti i soggetti a
parità di condizioni biologiche (identificate principalmente nell’età e nel
sesso)>> in Giur. di MERITO-Parte II 1976 pagg 124 ss).
7
Si fa unicamente ricorso all’indice dell’età rapportata alla longevità media
di una persona in relazione al sesso, riferito al reddito nazionale medio.
Il metodo tradizionale per il risarcimento del danno alla persona non
rappresenta più l’unico possibile. Esso fa riferimento non ad un valore
positivo ma ad un valore negativo, ossia non alla valutazione dell’uomo
che viene menomato dalla lesione, ma alla perdita di reddito che si
assume conseguente alla lesione (Gennaro Giannini in “il danno alla
persona come danno biologico”).
Segue la nota decisione del Tribunale di Genova del 25/5/1974 (in Giur.
Ital., 1975, I, 2, 54, con il commento adesivo di BESSONE e ROPPO) per
la quale << nell’ipotesi di lesioni fisiche della persona occorre considerare
due distinti profili, per la determinazione del danno: da un lato il
pregiudizio di ordine patrimoniale subito (da accertarsi nella sua concreta
effettività) dall’altro e cumulativamente il pregiudizio non patrimoniale
consistente nel <<danno biologico>>, e cioè nella LESIONE
DELL’INTEGRITA’ PSICO-FISICA IN SE’ E PER SE’ CONSIDERATA (il
cui risarcimento deve variare solo con il variare dell’età del
danneggiato)>>. Bessone riconosce il coraggio innovativo di questa
pronuncia per l’emergere a dignità di tutela giuridica di valori ed interessi
un tempo trascurati.
Un tale sistema di determinazione del danno suggerisce alcuni rilievi sulla
figura del medico-legale. La gran parte delle <<scuole>> medico-legali
hanno provveduto ad elaborare tabelle che, con semplificazione ed
automatismo arbitrari, meccanicamente forniscono il risultato di un giudizio
del quale si sono appena ribaditi i caratteri di superiore complessità così
da offrire dati della cui aderenza alla realtà sembra legittimo dubitare.
8
La figura del danno biologico assicura all’uomo completezza degli
strumenti di difesa aderendo all’effettività del principio di uguaglianza.
(Trib. Genova, 20/10/1975 in Giur. It. 1976 Parte I sez. II), non
manchevole di un attento rispetto nei confronti delle tipiche dignità
individuali (si ricordi in confronto, la triste pronuncia del <<caso
Gennarino>>, in Giur. Merito 1971, I, 209 nella quale si sono
meccanicamente applicati i criteri tradizionali per pervenire alla
conclusione che il danno risentito dal figlio di un manovale deve essere
calcolato tenendo conto del mestiere esercitato dal genitore e del reddito
da questo percepito).
In definitiva secondo la tesi prospettata dal Tribunale di Genova il danno
alla persona come danno extrapatrimoniale o danno biologico, in quanto
danno ingiusto è risarcibile in base al disposto dell’art. 2043 c.c , per il
quale <<qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno
ingiusto obbliga l’autore a risarcire il danno>>.
Per stabilire se in ipotesi di lesioni fisiche alla persona, siano risarcibili
anche i pregiudizi collegati alla lesione del bene-integrità fisica in sé e per
sé considerato, occorre accertare se tali pregiudizi possono qualificarsi ai
sensi dell’art. 2043, come <<ingiusti>> (Trib. Roma 11/10/1979 in Foro It.,
1980, I).
La elaborazione dottrinale ritiene di poter rispondere a questo interrogativo
in senso affermativo.
La <<ingiustizia del danno>> ha trovato una persuasiva sistemazione nel
pensiero di chi, argomentando dalla clausola generale di solidarietà
dell’ar. 2 Cost., identifica il danno <<ingiusto>> con quello cagionato dalla
9
lesione di una <<situazione giuridicamente rilevante>> (Rodotà, Il
problema della responsabilità civile).
Il danno biologico, non ancora (mentre si scrive) ordinato nel nostro
ordinamento codicistico, risulta orfano di una idonea sistemazione. Esso
vive poiché frutto di una diffusa volontà giurisprudenziale.
Dunque al momento risulta nello scenario del codice come un TERTIUM
GENUS.
Dottrina e giurisprudenza si sono spesso interrogate nella sua natura,
accostandola ora al risarcimento per fatto illecito (2043 c.c.), ora al danno
non patrimoniale (2059 c.c.).
La dottrina ci ha offerto una lettura delle regole di risarcibilità dei danni non
patrimoniali senza dubbio più aderente ai principi che ispirano l’articolo 32
della Costituzione. Secondo un’interpretazione (elaborata principalmente
da Renato Scognamiglio) (nel saggio Il danno morale in Riv. Dir. civ.,
1957, I, pag. 282 e segg.) alla norma dell’art. 2059 codice civile occorre
assegnare portata più circoscritta di quanto comunemente si ritiene. Più
precisamente, per questa tesi <<restrittiva>> con l’espressione << danno
non patrimoniale>> il legislatore avrebbe inteso riferirsi al solo danno
<<morale>> in senso proprio, e cioè alla serie dei <<dolori, turbamenti
psichici…….che derivano dal torto subito>>.
Il danno biologico risulta in questo modo né morale, né patrimoniale ma
<<personale>>.
Il danno biologico è il <<danno base>> (Gennaro Giannini in Il danno alla
persona come danno alla persona come danno biologico) perché si
presenta come danno primario ed insindacabile.
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Esso esiste sempre ed è sempre di per sé risarcibile, purchè abbia un
minimo di apprezzabilità giuridica ed indipendentemente dalla circostanza
che si verifichi poi in concreto un pregiudizio patrimoniale e che ricorrono
in presupposti e le condizioni di legge per la risarcibilità del danno morale.
Gennaro Giannini entra nella discussione e fa “colloquiare” il danno
morale ed il danno biologico. Il danno morale si presenta, per Giannini
istantaneo e comunque si attenua col trascorrere del tempo, mentre il
danno biologico permane nel tempo e si rinnova ogni giorno con il suo
carattere afflittivo. Ancora il danno morale, in quanto sofferenza, va
valutato con criteri soggettivi, mentre il danno biologico si presta ad essere
valutato con criteri obiettivi.
Detta interpretazione sembra non valutare la possibilità dell’esistenza di
un danno alla salute non necessariamente permenente, ma nella sua
temporaneità ugualmente afflittivo. Ancora Giannini evidenzia come
<<patrimoniale o non patrimoniale non sia il danno biologico riguardato
nella sua fase statica, ossia il danno in sé e per sé considerato,
patrimoniali e non patrimoniali sono invece le conseguenze della lesione
del bene salute secondo che si verifichi una, incidenza negativa sul
patrimonio della persona offesa ovvero quest’ultima sibisca sofferenze
risarcibili secondo il disposto dell’art. 2059 c.c.>> (Gennaro Giannini op.
cit.).
Il danno biologico è nel principio generale del. NEMINEM LAEDERE di cui
all’art. 2043 c.c., così come il danno patrimoniale e quello morale,
entrambi conseguenze del danno biologico, stanno rispettivamente
nell’art. 1223 e 2059 c.c. (tesi dell’indifferenza).
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I primi importanti interventi della giurisprudenza genovese hanno suscitato
polemici accenti da parte della Corte d’Appello (con la pronuncia del
17/7/1976). Queste pone in luce la irrazionalità dell’indirizzo inaugurato e
rileva la incongruenza di una proposta di modifica delle tabelle di
valutazione del danno ispirate <<ad una concezione materialistica
dell’uomo e del lavoro>> all’interno della quale questi viene ad essere
considerato come un vero e proprio <<bene economico>>. La irrazionalità
dell’indirizzo è evidenziata <<affermando da un lato decisamente il
carattere non patrimoniale del cosidetto danno biologico e facendo d’altro
canto con scarsa coerenza riferimento per la sua liquidazione, ad un
parametro rivestente carattere squisitamente economico patrimoniale.
Lo Scalfi si è mostrato all’epoca ugualmente polemico con la
giurisprudenza genovese (Scalfi Errore humanum est perseverare
diabolicum, in Resp. Civ. Prev. 1976, 466), sottolineando che la salute,
come la vita, non è un <<bene>>, ma una <<situazione soggettiva>>
tutelata.
Il risarcimento del danno dunque in questo caso va calcolato caso per
caso e non in modo uniforme per tutti, evidenziando così la <<scarsa
propensione del giudice al giudizio equitativo>>.
Il Tribunale di Genova giustifica il proprio orientamento affermando che la
persona che subisce una lesione alla propria integrità in sé e per sé
considerata, pur non subendo una flessione di reddito, è costretta ad
impiegare un maggior tempo o maggiori energie psicofisiche nell’attività
lavorativa svolta.
Guido Alpa solleva l’equivoco su cui poggia la pronuncia della Corte
d’Appello.
12
Rifuggire dalla <<mercificazione della persona>> non significa
necessariamente evitare ogni valutazione economica dell’uomo. Si
sottolinea la necessità per ogni danno di una valutazione pecuniaria, della
<< monetizzazione>> per poter parlare di risarcimento (Guido Alpa in Il
danno biologico).
La salute, dunque, è un bene? Un autore quale il Barbero pone la vita,
l’onore e la libertà tra i beni immateriali personali. La stessa S.C. (Cass.
9/4/1973 n. 999 in Foro It., 1973, I, 843) qualifica la <<salute fisica>>
come <<bene giuridico>>.
Parliamo di un bene immateriale, certo, il quale soddisfa terreni bisogni.
Qui, si vuole dire, non è il bene a dover essere valutato, ma il danno.
Continuando a ripercorrere le origini del danno biologico la Corte di
Cassazione con una sentenza n. 5172/79 (in Resp. Civ. Prev., 1979, 715)
ha sostenuto vigorosamente la natura di diritto soggettivo del danno
biologico.
Essa sottolinea la natura autonoma di questo danno (sent. Corte Cass. N.
3675/81) il quale <<deve essere considerato risarcibile ancorchè non
incidente sulla capacità di produrre reddito, ed anzi indipendentemente da
quest’ultima, le cui menomazioni vanno indipendentemente risarcite>>.
Anche la Corte di Cassazione si riferisce al <<valore uomo>> (sent. N.
2396/83) (in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1983, 713). La conseguenza di questo
preciso riferimento è che il risarcimento del danno biologico dev’essere in
linea di massima liquidato, a parità di lesioni, in modo uniforme per tutti,
quale che sia l’attività lavorativa esplicata.
Il danno biologico risulta <<un metodo alternativo>> (Gennaro Giannini in
op. cit.) infatti anche la S.C. ha dichiarato danno risarcibile la lesione in sé
13
e per sé considerata, indipendentemente dalla perdita economica e dalla
sofferenza che ne derivano.
In conclusione questo primo quadro di riferimento non può non soffermarsi
su di una teoria di Busnelli, il quale abbraccia una questione all’apparenza
lessicale, certamente puntuale.
Egli sostiene che <<danno biologico>> e <<danno alla salute>> non sono
sinonimi. Il danno biologico vuole esprimere un concetto medico-legale,
quale quello della <<menomazione somato-psichica dell’uomo,
diversamente il danno alla salute esprime un concetto squisitamente
giuridico, ossia la lesione del diritto menzionato nell’art. 32 della
Costituzione.
Dunque il danno biologico coglie l’aspetto statico del danno alla persona.
(Busnelli in Danno biologico e danno alla salute in La valutazione del
danno alla salute a cura di Borgogna e Busnelli, Cedam, 1986, pag. 6).
Il “travaglio intellettuale” intorno alla nozione di danno biologico ha avuto
l’indubbio merito di porre in luce l’incompletezza dell’indirizzo
<<tradizionale>>, il quale richiamava l’esperienza romanistica con una
lettura riduttiva.
Il dibattito ancora attuale vuole costruire una figura giuridica, la quale
perché priva di un sistema tipico genera profili di varia intensità.
14
1.2 L’INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Il dibattito, relativo alla figura del danno biologico, continua dinanzi alla
Corte Costituzionale. Due sentenze, la n. 87 e la n. 88, datate entrambe
26/7/79 enunciano principi di grande rilevanza, pur respingendo con
motivazione non limpida alcune eccezioni di incostituzionalità riguardo gli
artt. 2059 e 2043 c.c.
La sent. N. 88/1979 riprende la questione del danno <<biologico>> e del
diritto alla salute, la sent. N. 87/1979 si occupa dei limiti d’applicazione
dell’art. 2059 codice civile sul danno morale.
Per Guido Alpa si tratta di questioni tra loro distinte, e non di diversi profili
del medesimo oggetto, la somiglianza delle argomentazioni potrebbe
ingenerare l’equivoco.
Adriano De Cusis critica tale isolamento, convinto del legame esistente tra
le due questioni.17
Con la prima delle due sentenze, la n. 87, la Corte dichiara non fondata, in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità Costituzionale
dell’art. 2059 c.c., il quale riconosce come danni non patrimoniali risarcibili
soltanto quelli derivanti da reato.
La Corte decide dunque una questione di legittimità costituzionale
sollevata dal Tribunale di Padova18 per il fatto che l’art. 2059 c.c., in
17
Adriano De Cupis in GIUSTIZIA CIVILE 1980 pag. 534 ss.
18
Trib. Padova 22 marzo 1973 ord, in Giur. Mer., 1974, I, 347.
15
correlazione con il disposto dell’art. 185 c.p., limita la risarcibilità dei danni
non patrimoniali a quelli derivati da fatti illeciti costituenti reato. Limitazione
che, argomentava il Tribunale, si trova in contrasto con il 1° comma
dell’art. 24 della Costituzione in quanto, pur dovendosi ammettere il diritto
soggettivo avente ad oggetto il danno non patrimoniale, tale diritto è poi
privato dell’azione risarcitoria in alcuni casi, e cioè quando l’illecito non
assume le connotazioni del reato; limitazione che inoltre contrasta con
l’art. 3 della Costituzione, in quanto il danneggiato subisce un trattamento
differente secondo che l’illecito venga qualificato o meno come reato, e
benchè tale qualificazione riguardi solo il danneggiante e non anche il
danneggiato.
Sul primo motivo, osservò la Corte che l’art. 2059 c.c. <<nel disporre che il
danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla
legge, lungi dal riconoscere l’esistenza di un diritto a tale risarcimento,
limitando poi la facoltà di agire ai casi stabiliti dalla legge, prevede al
contrario che il diritto sorga solo nei casi da questa determinati>>, sicchè
non si può configurare alcuna violazione dell’art. 24 1° co. della
Costituzione. Sul secondo motivo la Corte osservò che <<rientra nella
discrezionalità del legislatore adottare un trattamento differenziato, ove
non vengono in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente
garantite>>. Questa motivazione sorprende, poiché il differente
trattamento in discussione tocca una situazione soggettiva
costituzionalmente garantita, quale il diritto alla salute.
La salute è il benessere dell’organismo naturale dell’uomo, corrispondente
alla integrità di questo.
16
Adriano De Cupis affronta con spirito di concretezza il problema e
constata che, malgrado la limitazione stabilità dall’art. 2059 c.c., nella
massima parte dei casi tale danno è risarcibile.
Le percosse, ad esempio, non produttive di malattia, sono reato (art. 581
cp) e quindi obbligano a risarcire il danno non patrimoniale; anche il fatto
non doloso, se lesivo dell’integrità fisica, può costituire reato e quindi
obbligare a risarcire quel danno (art. 185). L’estinzione del reato non
esclude il risarcimento del danno non patrimoniale (art. 198), come la
mancata proposizione della querela.
In realtà per realizzare una migliore giustizia bisogna affrontare il
problema DE IURE CONDENDO, modificando l’ordinamento attraverso lo
strumento legislativo, il quale, per il risarcimento del danno non
patrimoniale, consisterebbe semplicemente nell’abrogazione dell’art. 2059
c.c. e in un riordino della normativa esistente sul risarcimento.
La seconda decisione della Corte Costituzionale, la n. 88, riguarda una
eccezione di incostituzionalità sollevata dal Tribunale di Camerino, il quale
aveva rilevato come il danno alla persona consiste nella menomazione
della salute appariva alla stregua di una categoria a sé stante non
risultava dunque risarcibile né come danno patrimoniale né come danno
morale, benchè il diritto alla salute venisse tutelato dal dettato
costituzionale; di qui la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2043
c.c. in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 Cost.
La Corte, dopo aver esaminato il problema, affermò che l’espressione
<<DANNO NON PATRIMONIALE>> adottata nell’art. 2059 c.c. è <<ampia
e generale e tale da riferirsi a qualsiasi pregiudizio che si contrapponga, in