Al tempo stesso, però, il welfare state tedesco non presenta quelle anomalie che sono tipiche
di un modello mediterraneo come quello italiano. Ho quindi iniziato questo lavoro convinto
che i risultati conseguiti in Germania dovessero essere superiori a quanto raggiunto dai
governi italiani.
Oggetto di questo lavoro è quindi l'analisi e il confronto dei percorsi riformisti attuati da
Germania e Italia in campo previdenziale.
Nella prima parte della tesi si provvederà a ripercorrere l'evoluzione storica dei sistemi
pensionistici in Europa, attraverso alcuni passaggi fondamentali: nascita, sviluppo, crisi e
riforma. In particolare ci si soffermerà sui cambiamenti in campo demografico e nel mercato
del lavoro che hanno sconvolto la struttura sociale della popolazione europea, creando forti
squilibri nel rapporto tra numero di occupati e pensionati.
L'insieme dei fenomeni analizzati ha decretato la crisi dei sistemi pensionistici a ripartizione e
la loro conseguente “ristrutturazione”.
Nei due capitoli successivi verranno analizzati separatamente i percorsi riformisti intrapresi
dai governi di Germania e Italia a partire dagli anni novanta fino alle ultime riforme.
In queste sezioni si provvederà inizialmente a descrivere lo “status quo” dei sistemi
pensionistici nazionali, ossia come essi si presentavano alla “vigilia” delle riforme degli anni
novanta. Successivamente verranno esposti i principali provvedimenti volti a modificare il
funzionamento e la struttura dei rispettivi regimi.
Particolare attenzione verrà data alla valutazione degli effetti delle riforme in termini di
contenimento della spesa, di equità intergenerazionale, in termini di struttura e di
diversificazione del rischio vecchiaia.
Infine, l'ultimo capitolo della tesi è dedicato al confronto dei due sistemi sotto i seguenti
aspetti: contesto “ambientale”, ossia la struttura demografica e del mercato del lavoro che
caratterizzano le due società, regole di accesso e funzionamento, livello delle prestazioni,
impatto delle riforme, struttura e composizione dei pilastri.
2
1. CONCETTI FONDAMENTALI
1.1 Le pensioni
Con il concetto di pensione s’intende una prestazione pecuniaria vitalizia erogata a fronte dei
rischi di vecchiaia, invalidità e premorienza. Riguardo a tali rischi si possono distinguere
differenti tipi di prestazioni, classificate nella tabella seguente:
Tabella 1.1. Le prestazioni contro i rischi di vecchiaia, premorienza e invalidità
1
VECCHIAIA PREMORIENZA IVALIDITÀ
Pensione previdenziale Pensione indiretta Pensione d'invalidità
di vecchiaia previdenziale
Pensione previdenziale Pensione di reversibilità Pensione d’invalidità
di anzianità civile
Pensione sociale
Pensione di base
Le pensioni previste a tutela del rischio di premorienza, o “pensioni ai superstiti”, sono
erogate a favore di chi, pur non avendo mai fatto parte della forza lavorativa, è legato a
rapporti familiari con persone decedute che hanno fatto parte della forza lavoro. Per quanto
concerne questo tipo di pensioni esistono due categorie di prestazioni:
- La pensione indiretta viene elargita al coniuge (o, in assenza di questo, ai parenti più
stretti) dell’assicurato nel caso in cui quest’ultimo muoia prima di essersi ritirato dal
lavoro.
- La pensione di reversibilità spetta ai medesimi soggetti nel caso in cui il decesso
avvenga dopo il pensionamento dell’assicurato.
Le pensioni d’invalidità sono erogate a persone con un riconosciuto grado d’invalidità
psicofisica. Anche in questo caso si distinguono due categorie di prestazioni:
- La pensione d’invalidità previdenziale è corrisposta ai lavoratori che perdono la
capacità parziale o totale di lavorare a seguito di un evento invalidante.
- La pensione d’invalidità civile è una prestazione di natura assistenziale rivolta agli
invalidi civili, ai ciechi ed ai sordomuti che si trovano in condizioni di bisogno,
accertate tramite una prova dei mezzi.
2
1
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
2
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
3
In questa tesi tuttavia verranno prese in considerazione soltanto le pensioni contro il rischio di
vecchiaia, poiché esse rappresentano la maggior quota delle pensioni erogate, nonché la
principale voce di spesa pubblica nei paesi dell’Unione Europea.
3
Nel panorama europeo si possono individuare quattro differenti tipi di pensioni di vecchiaia:
- La pensione previdenziale di vecchiaia è una prestazione che spetta a coloro che hanno
cessato l’attività lavorativa per ragioni di età anagrafica, ossia che hanno superato la
soglia di età pensionabile. Tali prestazioni svolgono una funzione previdenziale
poiché puntano a garantire all’individuo il mantenimento di un tenore di vita simile a
quello raggiunto durante la vita lavorativa. Il diritto a questo tipo di pensione è
condizionato al pagamento di contributi per un periodo minimo, variabile nei diversi
paesi.
4
- La pensione previdenziale di anzianità spetta a chi ha interrotto l’attività lavorativa
prima di aver compiuto l’età pensionabile, ma che ha versato i contributi per un
periodo minimo prestabilito, che nei paesi europei varia dai 35 ai 45 anni.
- La pensione sociale rappresenta una prestazione che spetta a quei soggetti che hanno
superato l’età pensionabile ma, data l’assenza di reddito, non hanno versato i
contributi o hanno versato un contributo inferiore al minimo sociale. Condizione per
accedere a tale trattamento è il superamento di una prova di mezzi che accerti la
situazione di bisogno del richiedente. Tale prestazione ha funzione di carattere
assistenziale verso gli anziani in condizioni di bisogno, ossia quella di garantire a tali
soggetti un’esistenza dignitosa attraverso l’elargizione di un reddito adeguato.
- La pensione di base è una prestazione a somma fissa, e come tale non è quindi
collegata al precedente reddito da lavoro, ma spetta a tutti i cittadini che hanno
superato una soglia di età anagrafica. Questo tipo di prestazione è previsto solamente
in alcuni sistemi previdenziali europei, in particolare in quelli dei paesi nordici. Tale
trattamento ha funzione di carattere assistenziale, ossia quella di garantire un livello
minimo di reddito a tutti i cittadini anziani.
3
European Commission; European Economy: Ageing and Pension Expenditure Prospects in the Western World;
Reports and Studies N.3; Bruxelles; 1996
4
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
4
1.2 I sistemi pensionistici
Il sistema pensionistico viene definito come un meccanismo redistributivo costituito da un
insieme di regole e istituzioni preposte al trasferimento di risorse prodotte dalla popolazione
attiva a favore di chi:
- ha cessato l’attività lavorativa per ragioni di età anagrafica o contributiva (è il caso
delle pensioni di vecchiaia e di anzianità);
- non è più in grado di partecipare al processo produttivo per incapacità lavorativa
(pensioni di invalidità);
- è legato da rapporti familiari con persone decedute che facevano parte della forza
lavoro (pensioni ai superstiti);
- è sprovvisto di qualunque forma di reddito non è in grado di lavorare (pensioni
assistenziali).
Le funzioni che un sistema pensionistico può svolgere sono principalmente tre:
- funzione assicurativa, ossia l’individuo rinuncia a parte delle sue risorse quando attivo
per avere diritto ad un certo livello di reddito quando anziano;
- funzione previdenziale, cioè quella di garantire all’individuo il mantenimento di un
tenore di vita simile a quello raggiunto durante la vita lavorativa;
- funzione assistenziale, ossia di garantire un reddito adeguato a tutti i cittadini.
5
Nei sistemi pensionistici europei la tutela della vecchiaia è stata affidata sia al settore
pubblico, a quello privato che all’interazione tra i due: gli schemi pensionistici possono essere
gestiti da enti previdenziali pubblici (come l’INPS e l’INDAP nel caso italiano) e/o da istituti
privati come fondi pensione, banche, assicurazioni e società di gestione del risparmio. Nella
maggior parte degli Stati europei la tutela della vecchiaia è affidata primariamente a schemi
pubblici a partecipazione obbligatoria e finanziati attraverso la fiscalità generale, che
rappresentano il cosiddetto primo pilastro del sistema pensionistico, cui si affiancano gli
schemi complementari privati di tipo occupazionale, secondo pilastro, e individuale, terzo
pilastro.
6
I sistemi pensionistici si differenziano per la modalità di finanziamento, che può avvenire
attraverso capitalizzazione o ripartizione, e per i criteri di definizione delle prestazioni, le
5
G. Rodà; Manuale delle Pensioni: Tutte le Regole, le Procedure e le Prestazioni della previdenza Privata e
Pubblica in Italia; Il Sole 24 Ore Pirola; Milano; 2006
6
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
5
quali possono essere a somma fissa oppure calcolate mediante il metodo contributivo ovvero
retributivo.
Si definisce sistema a capitalizzazione un sistema in cui i contributi versati dai lavoratori sono
investiti nel mercato dei capitali e, al momento del pensionamento, la pensione è pari alla
rendita derivante dal montante accumulato, ossia uguale ai contributi versati aumentati del
tasso di rendimento ottenuto dal loro impiego. Tale sistema ha logica prettamente
assicurativa: attraverso l’accumulazione di riserve l’individuo si assicura per il mantenimento
di un reddito durante la fase di quiescenza.
Un sistema a ripartizione (pay-as-you-go o PAYG) si ha quando il gettito contributivo
riscosso in ogni periodo è destinato al finanziamento delle prestazioni erogate in quello stesso
periodo. In un sistema a ripartizione non si ha quindi esigenza di accumulare capitale. Esso
prevede un patto intergenerazionale in cui la parte attiva della popolazione si fa carico dei
costi previdenziali delle generazioni non attive.
Quanto alla definizione della prestazione pensionistica, in generale esistono tre sistemi di
calcolo dell’ammontare del trattamento. Nel primo caso le prestazioni sono a somma fissa,
ossia le pensioni sono forfetarie e quindi non collegate ai contributi precedentemente versati.
Nel caso la prestazione non sia a somma fissa essa può essere calcolata secondo un sistema
contributivo oppure retributivo. Nel sistema contributivo la pensione è commisurata ai
contributi versati; la rendita del montante accumulato dipende dal tasso di rendimento degli
investimenti nel caso in cui ci si torvi in un sistema a capitalizzazione, oppure da un
parametro convenzionale stabilito dal legislatore (tasso di crescita del PIL, aumento dinamico
delle retribuzioni, ecc…) in un sistema a ripartizione.
Nel sistema retributivo la prestazione è commisurata al salario percepito dal lavoratore
nell’arco della vita o nell’ultimo periodo di attività. In questo caso i benefici sono definiti e si
deriva quindi l’aliquota contributiva necessaria per pagare le prestazioni pre-determinate.
La tabella seguente sintetizza come i sistemi di calcolo delle prestazioni possano combinarsi
con entrambi i criteri di gestione delle risorse (ripartizione e capitalizzazione), dando vita a
quattro tipi di schemi pensionistici.
7
7
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
6
Tabella 1.2. I quattro modelli di schemi pensionistici
8
RIPARTIZIONE CAPITALIZZAZIONE
PRESTAZIONI COLLEGATE SISTEMA SISTEMA A PRESTAZIONE
A RETRIBUZIONE RETRIBUTIVO DEFINITA
PRESTAZIONI COLLEGATE SISTEMA
SISTEMA A
CONTRIBUZIONE
AI CONTRIBUTI VERSATI CONTRIBUTIVO DEFINITA
Sintetizzando, in un sistema a ripartizione le risorse prodotte dalla popolazione attiva vengono
prelevate e immediatamente impiegate per erogare le pensioni delle persone in quiescenza.
L’importo di tali prestazioni dipende dal precedente reddito da lavoro in un sistema
retributivo, oppure è collegato dall’ammontare dei contributi versati in un sistema
contributivo.
In un sistema a capitalizzazione le due varianti danno luogo a due differenti tipi di fondi
pensione: in un fondo a contribuzione definita ogni lavoratore è titolare di una posizione
nell’ambito del fondo alla quale confluiscono i contributi. La rendita pensionistica è variabile
e dipende sia dal montante contributivo che dal tasso di rendimento dell’investimento. In
questo caso il rischio dell’investimento è a carico dell’assicurato. Al contrario, in un fondo a
prestazione definita il beneficio pensionistico è fisso (viene stabilito sulla base di una formula
che lega la prestazione al salario e al numero di anni di contribuzione, analogamente a quanto
avviene in un sistema a ripartizione con metodo retributivo). Il finanziamento delle
prestazioni avviene adeguando il tasso contributivo richiesto al lavoratore in conformità a
stime e proiezioni riguardanti l’andamento dei mercati finanziari e di altre variabili. Il rischio
dell’investimento in questo modo passa dall’assicurato all’assicuratore.
Ognuno dei sistemi menzionati è soggetto a rischi differenti; non esiste un modello
pensionistico superiore ad un altro ma la sua efficienza è strettamente collegata ad una serie di
variabili esogene.
La letteratura economica ha identificato quattro tipi di rischio caratteristici dei sistemi
pensionistici:
- il rischio demografico è relativo alla possibilità che gli andamenti demografici (i tassi
di mortalità, natalità, speranza di vita, immigrazione ecc…) possano seguire
dinamiche non previste nel medio-lungo termine e quindi determinare rendimenti
8
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
7
differenti da quelli ipotizzati all’inizio del contratto pensionistico. Il rischio
demografico interessa soprattutto il sistema a ripartizione, dove uno squilibrio nel
rapporto tra popolazione attiva e passiva può portare al peggioramento della posizione
relativa degli attivi, costretti a pagare un’aliquota più alta. I sistemi a capitalizzazione
sono molto meno vulnerabili rispetto al rischio demografico.
9
- Il rischio politico concerne la possibilità che, durante il periodo del contratto
pensionistico, il governo modifichi i parametri che regolano il funzionamento del
sistema pensionistico. Questo tipo di rischio è presente in entrambi i metodi di
finanziamento del sistema pensionistico. Nei sistemi a ripartizione, pubblici per
definizione, il rischio è più forte dato che il loro funzionamento dipende direttamente
dalle decisioni statali. Nel caso della capitalizzazione il rischio politico si manifesta
nella possibilità che il trattamento fiscale dei redditi da capitale venga modificato nel
tempo.
- Il rischio finanziario è legato appunto all’andamento dei mercati finanziari. Questo
rischio è evidente nei sistemi a capitalizzazione, dove il rendimento dei contributi
versati dipende dall’andamento dei tassi di rendita degli investimenti sui mercati
azionari.
- Il rischio inflazionistico è relativo alla possibilità che il valore reale della pensione
vari nel tempo a causa della crescita dei prezzi. Esso colpisce soprattutto i sistemi a
capitalizzazione. Nei sistemi a ripartizione non c’è accumulazione di risorse nel
tempo, tuttavia i contributi versati dagli assicurati possono essere accumulati
virtualmente in conti detti “concezionali” e poi trasformati in un flusso di pagamenti
annuali
10
al momento del pensionamento. Solitamente però tali versamenti vengono
rivalutati all’andamento dei prezzi (non sempre, esistono anche altri meccanismi di
rivalutazione) in modo che non perdano valore nel tempo. I fondi privati, al contrario,
sono spesso sprovvisti di questo strumento.
9
International Labour Office Geneva; Pension Schemes; Social Security Vol.4; International Labour
Organization ; Geneva; 1997
10
Tali pagamenti vengono definiti “annualità”. Questo termine si riferisce al processo attraverso il quale
l’ammontare totale della pensione viene convertito in un “flusso” di pagamenti lungo l’intero arco del periodo di
quiescenza. Questo processo si basa sulle proiezioni relative alla speranza di vita.
M. Hill; Pensions: Policy and Politics in the Twenty-First Century; The Policy Press; Bristol; 2007
8
2. L’EVOLUZIONE STORICA DEI SISTEMI PENSIONISTICI IN EUROPA
La letteratura socio-economica ha riassunto lo sviluppo storico del welfare state e,
analogamente, dei sistemi pensionistici in quattro differenti periodi: nascita (dalla fine del
XIX secolo fino al 1945), crescita (o “età dell’oro”: dal secondo dopoguerra fino agli anni
settanta), crisi, e riforma (a partire dalla fine degli anni ottanta).
11
2.1. I modelli originari di tutela della vecchiaia
Nel 1889 la Germania ha istituito uno schema pensionistico a favore degli operai industriali.
Tale schema svolgeva una funzione di tipo assicurativo-previdenziale, ossia aveva lo scopo di
mantenere costante il tenore di vita dei lavoratori durante la fase di quiescenza.
Pochi anni dopo, nel 1891, è stato introdotto in Danimarca uno schema pensionistico rivolto
agli anziani in condizioni di bisogno. Questo schema svolgeva una funzione di natura
assistenziale: l’obiettivo era quello di prevenire la povertà tra le persone in età avanzata.
La letteratura socio-economica individua questi sistemi come prototipi dei due modelli di
tutela della vecchiaia che si sono radicati in Europa durante il XX secolo. Nel dibattito
internazionale questi due modelli sono noti con i nomi di modello bismarckiano e modello
beveridgeano.
12
Quest’ultimo trae il nome dall’economista britannico William Beveridge, il
quale ideò nel corso della Seconda guerra mondiale il piano di sicurezza sociale del governo
Attlee, anche se il “prototipo” del sistema beveridgeano sia di fatto nato in Danimarca circa
mezzo secolo prima.
Oltre alla netta divergenza negli scopi e nel raggio di copertura, i due modelli si differenziano
nelle modalità con cui le prestazioni sono erogate e finanziate. Il sistema bismarckiano è
finanziato mediante il versamento di contributi da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Le prestazioni sono collegate alla retribuzione e il diritto alla pensione è condizionato al
pagamento dei contributi. Nel modello beveridgeano, al contrario, le pensioni sono a somma
fissa e finanziate mediante la fiscalità generale. Destinatari del servizio sono tutti gli anziani
bisognosi; il diritto alla pensione matura in seguito all’accertamento dell’effettivo stato di
bisogno attraverso una prova dei mezzi.
11
B. Palier; Comparing Social Welfare Systems in Europe; Oxford Conference Vol.1; Mire; Oxford; 2000
12
M. Ferrera; Le Politiche Sociali; Il Mulino; Bologna; 2006
9
Negli anni seguenti all’introduzione dei primi due sistemi altri governi dei paesi europei
seguirono l’esempio di Germania e Danimarca. In generale, lo schema messo a punto nella
Germania di Bismarck si estese ai paesi dell’Europa continentale e mediterranea: in Francia
ciò avvenne come risultato della riannessione della Lorena e dell’Alsazia dopo il primo
conflitto mondiale. Prima della guerra queste due regioni appartenevano alla Germania e
possedevano già un sistema obbligatorio di assicurazione sociale. Quest’ultimo fu esteso al
resto della Francia nel 1930.
13
In Italia, nel 1919 venne introdotto il primo schema
pensionistico obbligatorio a favore degli operai industriali. Nello stesso periodo anche Austria
(1909), Spagna (1919), Belgio (1924), Grecia (1934), Portogallo (1935) e Olanda (1913) si
collocarono nella scia di Bismarck.
Viceversa il modello danese fu seguito dai paesi scandinavi e anglosassoni: Gran Bretagna nel
1908, Norvegia nel 1936 e Finlandia nel 1937 istituirono dei programmi di assistenza sociale
rivolti agli anziani poveri, mentre la Svezia diede vita nel 1913 al primo schema universale
rivolto a tutti i cittadini anziani.
14
2.2. La fase espansiva della tutela della vecchiaia
Durante la prima metà del XX secolo i principali stati europei istituirono i primi schemi
pensionistici ricalcando le caratteristiche dei modelli introdotti da Germania e Danimarca. Al
termine della Seconda guerra mondiale tutti i sistemi pensionistici in Europa potevano ancora
essere ricondotti ad uno dei modelli originari, bismarckiano o beveridgeano.
A partire dal secondo dopoguerra, favorevoli condizioni economiche e demografiche, nonché
la sempre maggiore pressione politica delle classi emergenti, spinsero i governi dei diversi
paesi ad attuare politiche volte ad allargare la copertura pensionistica e i benefici delle
prestazioni già esistenti. I percorsi istituzionali intrapresi furono differenti, connessi
all’appartenenza ai modelli bismarckiano o beveridgeano e alle singole specificità nazionali.
Tuttavia durante la fase espansiva, che indicativamente si colloca tra 1945 e il 1975, si
registra una sostanziale convergenza dei due modelli verso una configurazione simile. In
generale, il primo passo fatto da ognuno dei due raggruppamenti fu quello di espandere la
protezione in modo da coprire fasce sempre più ampie della popolazione. Nei paesi
13
G. Bonoli, The Politics of Pension Reform: Institution and Policy Change in Western Europe, Cambridge,
2000
14
M. Ferrera, Le Politiche Sociali, Il Mulino, 2006
10
bismarckiani questo fu realizzato includendo nei sistemi previdenziali già esistenti altre
categorie di lavoratori. Nel 1957 la Germania introdusse un nuovo schema di protezione verso
gli agricoltori; in Italia, nel corso degli anni ’50 e ‘60 furono creati schemi obbligatori a
favore degli agricoltori, impiegati non industriali e liberi professionisti. In alcuni paesi si
registrarono il passaggio dal sistema contributivo a quello retributivo, e l’abbassamento
dell’età pensionabile. Inoltre fu introdotta una rete di protezione per gli anziani in condizione
di bisogno attraverso schemi che erogavano prestazioni modeste a fronte di una prova dei
mezzi.
15
Anche tra i paesi che avevano esordito con pensioni basate sulla prova dei mezzi si osservò la
tendenza ad espandere la protezione, ed il graduale passaggio verso schemi di tipo universale.
I paesi di matrice beveridgeana, seguendo l’esempio della Svezia, estesero la copertura di
base verso tutta la popolazione anziana; nei paesi scandinavi quest’obiettivo fu realizzato con
la creazione di una pensione di cittadinanza. Tuttavia le pensioni a somma fissa erano
inadeguate a garantire il mantenimento del reddito delle classi medio-alte, così vennero
istituiti schemi con prestazioni correlate alla retribuzione. Svezia (1959), Finlandia (1960) e
Norvegia (1966) introdussero schemi pubblici a ripartizione, mentre Olanda, Svizzera e Gran
Bretagna affidarono l’erogazione di pensioni collegate alle retribuzioni a fondi pensione
privati, a capitalizzazione, occupazionali e individuali.
In gran parte dei paesi europei, il risultato della convergenza dei modelli bismarckiano e
beveridgeano fu un sistema pensionistico duale, con un primo livello di prestazioni volto a
prevenire la povertà ed un secondo livello finalizzato a mantenere i differenziali di reddito
generatisi sul mercato del lavoro.
16
Si tratta di un sistema mono-pilastro poiché la tutela della
vecchiaia è interamente affidata a schemi pubblici a ripartizione. Alla fine dell’”età dell’oro”
sia paesi di matrice bismarckiana (Italia, Austria, Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna)
che paesi beveridgeani (Finlandia, Norvegia e Svezia) presentavano un sistema pensionistico
così strutturato, pur mantenendo importanti differenze nella configurazione della protezione di
base (universalistica nel gruppo beveridgeano, assistenziale “means-tested” in quello
bismarckiano) e nel finanziamento (mediante il versamento di contributi nel primo caso e
attraverso la fiscalità generale nel secondo). Tra i paesi di tradizione bismarckiana, la
15
M. Ferrera, Le Politiche Sociali, Il Mulino, 2006
16
M. Ferrera, Le Politiche Sociali, Il Mulino, 2006
11
Germania non ha invece inserito lo schema assistenziale di base, restando così ancorata al
modello originario.
17
Nei paesi di matrice beveridgeana che hanno introdotto attori previdenziali privati
(Danimarca, Olanda, Gran Bretagna, Irlanda e Svizzera), la tutela della vecchiaia ha invece
assunto la forma di un sistema multi-pilastro, in cui coesistono uno schema universale di base
(primo pilastro) e schemi privati a capitalizzazione, occupazionali (secondo pilastro) ed
individuali (terzo pilastro).
2.3. I fattori di crisi dei sistemi pensionistici
Nella maggior parte delle nazioni europee, e in particolare nei paesi “monopilastro”, lo Stato
ha sempre mantenuto un ruolo primario in materia di interventi sociali, facendosi carico di
una varietà sempre maggiore di bisogni considerati socialmente rilevanti. Tuttavia, una parte
consistente di tali interventi è riconducibile al fenomeno dello scivolamento distributivo, che
ha caratterizzato la politica pensionistica europea durante la fase espansiva. Molti
provvedimenti, infatti, furono attuati dalle diverse classi dirigenti non tanto allo scopo di
garantire un bisogno ritenuto fondamentale, quanto al fine di acquistare un maggiore
consenso politico in ottica elettorale. Nella maggior parte dei casi, il risultato delle dinamiche
di espansione di tutela della vecchiaia fu un sistema pensionistico “generoso”, frammentato e
inconciliabile con i mutamenti demografici, economici e sociali che hanno decretato la fine
dell’età dell’oro. I sistemi di sicurezza sociale dei paesi membri della Comunità Europea
hanno affrontato (e stanno tuttora affrontando), in misura più o meno intensa, un periodo di
profonda crisi.
Le ragioni di questa crisi sono complesse e molteplici. L’evoluzione economica degli ultimi
decenni del XX secolo, i mezzi di finanziamento adottati dai regimi previdenziali, lo
sconvolgimento dell’assetto della popolazione e il conseguente squilibrio tra il numero dei
contribuenti e quello dei pensionati sono tutti fattori che hanno inciso e continuano ad
incidere sul precario equilibrio dei sistemi di sicurezza sociale dei moderni Stati europei.
In generale, la vulnerabilità degli schemi di tutela della vecchiaia deriva da due ordini di
fattori. Un primo gruppo di cause, esogene rispetto ai sistemi di welfare, è legato al
17
P. Ahrend; Soziale Sicherheit in den 80er Jahren: Entwicklung und Konsequenzen; Arbeit und Alter Verlag
Gmbh; Wiesbaden; 1981
12
mutamento delle strutture demografiche ed economiche che avevano sostenuto l’espansione
della previdenza, alterando l’equilibrio dei sistemi pensionistici a ripartizione.
18
I principali fattori esogeni di crisi dei sistemi previdenziali sono:
- il rallentamento della crescita economica che ha determinato una contrazione delle
retribuzioni e quindi della base contributiva;
- l’aumento dei tassi di disoccupazione che ha ridotto il numero di lavoratori su cui
operare il prelievo contributivo;
- la modificazione della struttura demografica della società, dovuta al calo del tasso di
natalità (che riduce il numero di lavoratori occupati rispetto alla popolazione in
pensione) e all’allungamento della vita media (a cui consegue l’allungamento del
periodo medio di erogazione della pensione).
Tuttavia l’impatto dei mutamenti demografici è mediato da un secondo ordine di fattori,
endogeni ai sistemi di welfare. Infatti, non è tanto il rapporto tra anziani e popolazione in età
lavorativa (generalmente compresa tra i 15 e i 64 anni) ad influire sugli equilibri finanziari dei
sistemi a ripartizione, quanto il rapporto tra pensionati e popolazione effettivamente
occupata.
19
In quest’ottica assumono importanza primaria le scelte attuate dai governi in
campo pensionistico e di politica del lavoro. In particolare, l’aumento della generosità delle
prestazioni, l’abbassamento dell’età pensionabile, l’indebolimento della logica attuariale e il
ricorso a forme di prepensionamento sono interventi diffusi che durante il trentennio
postbellico hanno contribuito all’aumento esponenziale della spesa per le pensioni.
20
Di seguito verranno analizzate nello specifico le principali dinamiche che hanno determinato
la crisi dei sistemi pensionistici europei. I dati statistici riguardano la struttura demografica, la
composizione della spesa pubblica e della forza lavoro in Europa.
2.3.1. Il quadro demografico
In questo paragrafo vengono esaminati alcuni importanti indicatori demografici, allo scopo di
fornire una visione d’insieme delle principali dinamiche che hanno modificato la struttura
demografica in Europa durante la seconda metà del XX secolo.
18
M. Ferrera, Le Politiche Sociali, Il Mulino, 2006
19
M. Ferrera, Le Politiche Sociali, Il Mulino, 2006
20
G. Treu; Crisi e Riforma dei Sistemi Pensionistici in Europa; Franco Angeli; Milano; 1993
13
Prima di analizzare le differenze tra i singoli stati, è utile fornire una visione d’insieme su
come la struttura della popolazione europea sia profondamente cambiata negli ultimi decenni,
e di come stia tuttora cambiando. Questo viene fatto con l’utilizzo delle due “classiche”
piramidi demografiche mostrate nelle figure 2.1 e 2.2.
Grafico 2.1. Cambiamenti nella piramide di età della popolazione europea, dal 1950 al 2000
21
Grafico 2.2. Cambiamenti nella piramide di età della popolazione europea, dal 2000 al 2050
22
21
R. Schoenmackers e I. Kotowska; Population Ageing and its Challenge to Social Policy: Study prepared for
the European Population Conference 2005; Population Studies N.50; Council of Europe Publishing; Strasbourg;
2005
22
R. Schoenmackers e I. Kotowska; Population Ageing and its Challenge to Social Policy: Study prepared for
the European Population Conference 2005; Population Studies N.50; Council of Europe Publishing; Strasbourg;
2005
14