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sistema politico basato sugli stati nazionali e sulla democrazia, tentando inoltre di
scrivere un codice morale, la Dichiarazione dei Diritti Umani, che potesse valere per
ogni popolo e ogni essere umano. Ora però che il mondo è globalizzato, che anche la
proposta comunista di gestione della tecnica, dell’economia e della politica si è
eclissata, e che la globalizzazione è quindi completata in tutti i suoi aspetti, che cosa
vuole fare l’Occidente di quella globalizzazione della quale le Nazioni Unite non sono
che un aspetto? L’argomento di questo breve studio sarà proprio il confronto che attorno
alla questione della riforma della Nazioni Unite, inserita nel quadro generale del
governo di un mondo sempre più destinato alla globalità, l’Occidente -America ed
Europa- sta sviluppando, e dei possibili esiti nel prossimo futuro di questo grande
processo.
La questione diviene particolarmente complessa, se si vuole evitare di cadere in
tentazioni eccessivamente semplificatrici, dobbiamo considerare infatti sia l’Europa che
l’America non come blocchi monolitici e immutabili, ma piuttosto come realtà variegate
e mutevoli, rispetto alle quali possono essere individuate delle linee d’azione
tendenziali, e non degli schemi sempre uguali a se stessi, i quali sono invece facilmente
rinvenibili all’interno di visioni forzate o stereotipate, che la nostra analisi cercherà
sempre di evitare.
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CAPITOLO PRIMO
L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DAL 1918 a OGGI
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1.1 Dal concerto europeo alla guerra mondiale
Fino ai primi anni del Novecento, il mondo era pensato come un mondo a
egemonia europea. Le grandi potenze mondiali erano le potenze europee: Inghilterra,
Francia, Germania, Italia, Austria, Russia, con i loro rispettivi imperi e i vastissimi
domini coloniali. Nel 1914, il sistema di equilibrio che, a partire dal Congresso di
Vienna (1814), aveva mantenuto la rivalità tra queste potenze sotto la soglia del
conflitto assoluto, rivelò la sua incapacità di adattarsi all’evoluzione del quadro
internazionale globale occorsa sul finire del XIX secolo. La prassi dei congressi e delle
conferenze tra le potenze, il cosiddetto concerto europeo, privo di un’organizzazione
istituzionalizzata e giuridica, legato com’era per il suo mantenimento alla volontà
specifica degli stati che rappresentava, e incapace di includere l’emergere delle due
nuove potenze extra-europee – gli Stati Uniti in America e in Asia il Giappone, fresco
vincitore dell’impero Russo nel 1905 - aveva fatto il suo tempo. L’Europa non seppe
darsi una forma in grado di contenere le rivalità delle sue potenze, e precipitò se stessa,
con tutti i suoi imperi, le sue colonie di ogni continente, nella guerra totale.
C’era stato almeno un tentativo significativo: quello delle due Convenzioni
dell’Aja (1899 e 1907) alle quali parteciparono anche i rappresentanti degli stati extra-
europei, e che si doveva occupare di riduzione degli armamenti e arbitrato
internazionale. Il sistema dell’Aja non poté evitare la guerra, d’altronde il pacifismo e
l’internazionalismo, abbastanza diffusi tra l’opinione pubblica, e specialmente tra gli
intellettuali, riscuotevano scarso seguito tra i governi delle potenze europee, e l’Aja
rimase quindi più nell’ambito dell’astrazione. Anche il sostegno al sistema de l’Aja da
parte del presidente americano Theodore Roosevelt, non fu sufficiente a evitarne
l’insuccesso: gli europei preferirono ricominciare tutto da capo tuffandosi nel grande
calderone della guerra.
Quando parvero uscirne una prima volta, nel 1918, l’Europa già non era la stessa
di prima. Crollarono quattro imperi: Germania, Russia, Austria-Ungheria e Ottomano;
sia vincitori che vinti erano economicamente e socialmente esausti. Sull’altra sponda
dell’Atlantico, Gli Stati Uniti, che avevano decisivamente finanziato la guerra delle
potenze dell’Intesa e che, nel 1917, erano entrati anche militarmente nel conflitto con
l’obiettivo di porvi fine, erano già la prima potenza mondiale. Gli unici a non essersene
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accorti, o forse, gli unici che non volevano accettare la verità, erano proprio gli europei
che nella guerra avevano disperso già una buona parte degli elementi del loro primato.
In Europa, Il ventennio 1918-39 fu più un periodo di tregua armata, che una pace.
Le speranze di ritornare alla belle epoque si infransero rapidamente di fronte
all’incapacità degli europei di fare una pace duratura dalla quale far partire il proprio
rilancio.
La pace di Versailles fu probabilmente il più grande insuccesso della politica
europea nel secolo scorso. Il continente fu ridisegnato sulla base di principi teorici ed
astratti, come il principio della nazionalità, che, imposto come norma generale dal
presidente americano Wilson, fu in realtà quasi esclusivamente utilizzato per favorire i
vincitori, e divenne così causa di destabilizzanti frazionamenti. La Germania, punita con
severità economicamente, territorialmente e militarmente, si sentiva profondamente
colpita nell’onore, tuttavia la sua frustrazione non sembrava sufficiente a placare i
timori che la Francia, dopo due invasioni del suo territorio, nutriva per la potente vicina.
Le minoranze di lingua tedesca restarono tagliate fuori della madrepatria all’interno di
piccoli e deboli stati, mentre i secolari imperi – Austriaco e Ottomano- che in passato
avevano avuto la capacità di assorbire queste e altre minoranze, furono definitivamente
smembrati.
Nonostante questo quadro, fu possibile il lancio della Società delle Nazioni, la
prima grande organizzazione internazionale. L’impulso per la fondazione della Società
venne dal presidente americano Woodrow Wilson, che l’aveva inclusa all’ultimo posto
– last but not least – nei suoi 14 punti. La Società nacque subito mutilata: furono
esclusi i vinti, Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria, oltre alla Russia dei
Soviet colpevole di aver firmato la pace separata con la Triplice Alleanza e non ancora
riconosciuta dai vincitori, che speravano nella sostituzione di Lenin con un governo più
favorevole. Ma la defezione più paradossale fu quella degli Stati Uniti, il cui presidente
era riuscito a convincere l’Europa a fondare la Società delle Nazioni, ma non ad
ottenere lo stesso risultato con la maggioranza di casa sua, che bocciò la ratifica dei
trattati di Versailles, nei quali la fondazione della Società era inclusa.
La Società delle Nazioni era composta degli stessi tre organi fondamentali
dell’odierno ONU: un’Assemblea di tutti membri, un Consiglio esecutivo e un
Segretariato Generale.
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A differenza delle Nazioni Unite, l’Assemblea e il Consiglio avevano le stesse
competenze e le loro decisioni dovevano essere prese all’unanimità. Il Consiglio era
originariamente composto di 5 membri permanenti, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia,
Italia, Giappone (i vincitori della guerra) e 4 membri non permanenti che erano eletti
ogni 3 anni. La composizione dell’Assemblea e del Consiglio continuò a variare
caoticamente seguendo l’evolversi della situazione europea: furono gradualmente
ammessi i vinti, la Germania nel 1926 ebbe il seggio permanente ma si ritirò con
l’avvento al potere di Hitler nel 1933, l’URSS fu ammessa nel 1934 ed espulsa 5 anni
dopo per l’attacco alla Finlandia, nel 1937 era uscita l’Italia, che era già stata
condannata per l’invasione dell’Abissinia; i membri non permanenti erano intanto
passati da 4 a 6 a 9, per dare soddisfazione alle medie potenze. Nonostante l’instabilità
delle presenze e l’assenza degli Stati Uniti, la Società delle Nazioni si trovò nei suoi
anni centrali molto vicina all’universalità.
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Per avere un quadro più chiaro in proposito, si rimanda al grafico I in Appendice, e ai grafici seguenti
(Appendice II e III) per l’evoluzione dei membri permanenti e non permanenti nel Consiglio della Società
delle Nazioni e nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
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1.2 La Società delle Nazioni tra i due conflitti mondiali
Tra gli anni venti e l’inizio degli anni trenta l’Europa sembrava sul punto di
trovare una soluzione che permettesse di superare le rivalità al suo interno. Un primo
accordo di mutua garanzia tra Francia e Germania venne raggiunto a Locarno nel 1924,
e parve per la prima volta che tra i due principali rivali la tensione si stesse allentando.
Nello stesso anno, in seno alla Società delle Nazioni, l’arbitrato per le dispute
internazionali divenne obbligatorio.
Nel Settembre 1929, Alla X assemblea della Società delle Nazioni, fu presentato
su impulso del primo ministro francese Aristide Briand, un memorandum per un’unione
federale dell’Europa. La proposta Paneuropea, come era stata battezzata, era però
prematura: nel 1929 ci fu il primo successo elettorale del partito nazional-socialista in
Germania, mentre l’Italia di Mussolini manifestava sempre più insofferenza nei
confronti delle organizzazioni internazionali. Nel 1929 era poi scomparso
prematuramente Gustav Stresemann, ministro degli esteri tedesco, l’altro grande
fautore, assieme al francese Briand, del tentativo di riconciliazione tra Francia e
Germania. Anche l’Inghilterra vedeva nell’ipotesi paneuropea una minaccia alla propria
politica, il cui interesse principale era quello di mantenere un equilibrio tra le potenze
continentali, indirizzo di politica estera ormai tradizionale di Londra, e non certo la
costituzione di una federazione che l’avrebbe nettamente sopravanzata in potenza, alla
quale perciò era preferita la Società delle Nazioni, la cui universalità, se valutata
insieme alla carenza di potere effettivo, la rendeva innocua agli occhi britannici. Gli
Stati Uniti, d’altro canto, sebbene si apprestassero ad avviare con i piani Dawes (1924) e
Young (1928) vasti finanziamenti alla Germania e indirettamente a tutta l’Europa, non
tifavano certamente a favore dell’ipotesi di una potente federazione europea. Essi
continuarono nella prassi della diplomazia bilaterale, al di fuori anche della Società
delle Nazioni, e verso l’isolazionismo.
Così, all’inizio degli anni Trenta, fallite tutte le conferenze sulla riduzione degli
armamenti, con i nazionalismi che riprendevano forza ed erano ormai saldamente al
potere in Italia e Germania, con il Giappone che iniziava l’invasione della Cina (1931) e
lasciava la Lega (1932), e nella cornice generale della crisi economica che aveva preso
avvio dal giovedì nero della Borsa di Wall Street (24 Ottobre 1929), si riaprirono tutte
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le vecchie ferite e le recenti rivalità: riprese la corsa agli armamenti.
Nel Luglio del 1936 si aprì la guerra civile spagnola, all’interno della quale
agivano, più o meno velatamente, tutte le grandi potenze europee. Frattanto la Germania
rimilitarizzò la Renania e iniziò ad annettersi pezzi d’Europa orientale nelle quali erano
presenti le minoranze tedesche. Francia e Inghilterra non seppero opporsi, l’Italia era
ormai definitivamente alleata alla Germania: l’Europa si era ridivisa in due blocchi.
Era il fallimento, almeno momentaneo di due progetti: il sistema di sicurezza
collettivo della Lega e il sistema di sicurezza regionale della federazione europea.
Quando nel Settembre 1939 fu chiaro che il grande conflitto europeo era
scoppiato, la Società delle Nazioni non si sciolse, e rimase ‘ibernata’ fino alla fine del
conflitto.
Sul piano del potere effettivo, la Società delle Nazioni fu esclusa di fatto dalle
grandi potenze europee e dagli Stati Uniti, che preferirono la strada della diplomazia
bilaterale e delle conferenze al di fuori della Lega. Ne derivò che quest’ultima, sulle
questioni più importanti, non poté fare altro che adeguarsi alla forza di decisioni prese
altrove. La Società delle Nazioni non riuscì quindi a evitare i grandi conflitti dei suoi
tempi, che prepararono l’ingresso dell’Europa e del mondo nella seconda guerra
mondiale: la guerra tra Giappone e Cina, l’invasione italiana dell’Abissinia e la guerra
civile in Spagna.
Al di là degli insuccessi, la Società delle Nazioni aveva avuto il merito di creare il
primo punto d’incontro universale per i governi di tutto il mondo, abituando la politica
nazionale e la diplomazia tradizionale a interagire con l’intera comunità mondiale. Essa
costituì l’esperienza-base per la fondazione delle Nazioni Unite, e non è un caso che nel
1946 tutte le sostanze, le proprietà, i servizi e i mandati della Lega vennero presi in
eredità dal neonato ONU: il passaggio del testimone.
Significativa dal punto di vista simbolico fu la scelta della sede: New York, e non
più Ginevra: l’epoca dell’egemonia mondiale europea era definitivamente tramontata.
Quando il mondo uscì dalla guerra una seconda volta, per l’Europa la situazione
sembrò ancora più tragica di quella del 1918. Se nel primo grande conflitto la guerra era
rimasta quasi sempre confinata nelle trincee limitandosi, per così dire, a ‘spolpare’
finanziariamente e demograficamente le grandi potenze continentali, di tutt’altra natura
fu il conflitto del 1939-45. Nei 6 anni di guerra, il conflitto portò la mobilitazione non