CAPITOLO 1
LA CORTE DI CASSAZIONE
1.1 Evoluzione storica della Corte di Cassazione
L’art. 65 dell’ordinamento giudiziario ( R.D. 30 gennaio 1941,
n. 12), afferma che:
«la Corte Suprema di Cassazione assicura l’esatta osservanza e
l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo
nazionale , il rispetto dei limiti delle giurisdizioni; regola i conflitti di
competenza ed attribuzioni ed adempie gli altri compiti ad essa
conferiti dalla legge.».
Ovviamente, nel corso degli anni e dei secoli, non è sempre
stato così, poiché tali attribuzioni sono state acquisite nel corso del
tempo.
Infatti, la Corte di Cassazione, è nata con la rivoluzione
francese, dato che con l’invasione napoleonica, la legislazione
francese (che prevedeva il medesimo istituto) fu estesa anche al nostro
territorio (
1
).
Prima di questo periodo non si aveva conoscenza nella storia di
un organo simile alla nostra Corte.
Nel diritto romano, tale concetto era del tutto estraneo,
specialmente l’idea di una riforma o dell’annullamento di una
sentenza a causa di un vizio derivante da un error in procedendo
1
(
1
) F. CALASSO, voce Corte di Cassazione, b)diritto intermedio, in Enc. dir., X, Milano,
1962, pp. 792 – 796.
(vizio nell’attività o errore di diritto) (
2
).
In tale periodo, infatti, alla base della sentenza vi era la litis
contestatio e l’accordo delle parti, in questa contenuto, di accettare il
giudizio ( accipere iudicium) ed era, dunque, contraddittorio
concedere alla parte soccombente la legittimazione ad una revisione
della sentenza, palesemente contrastante con tale accordo (
3
).
Era, quindi, scontata, l’inammissibilità di ogni mezzo di
impugnazione contro la sentenza.
I mezzi di revoca esistenti nel diritto romano, non potevano
essere classificati come gravami, poiché non riguardavano la struttura
del rapporto processuale. Ad esempio, la restituito in integrum, era un
mezzo a disposizione del pretore, con il quale egli poteva rimuovere
gli effetti lesivi del giudicato perché contrari ad equità. In questo caso,
infatti, la restituito figura solamente come l’applicazione di un
procedimento di carattere generale, con cui si eliminano le
conseguenze, contrarie alla aequitas, di una manifestazione di volontà
di per sé corrispondente alle prescrizioni della norma giuridica. Anche
la restituito in integrum lascia, pertanto, fuori questione la validità
della sentenza.
Nonostante la già rilevata mancanza di mezzi di impugnazione,
la situazione appare sensibilmente trasformata con l’introduzione della
cognitio extra ordinem (cioè giudizio al di fuori del precedente
sistema), dato che questa presuppone l’esistenza di diversi gradi di
giudizio, caratterizzati da una subordinazione gerarchica del giudice
che ha pronunciato la sentenza. Attraverso tale istituto, è data la
possibilità di fare ricorso all’organo immediatamente superiore prima
e al tribunale dell’imperatore poi, poiché esistono tre gradi gerarchici.
2
(
2
) G. I. LUTTAZZO, voce Corte di Cassazione, a) diritto romano, in Enc. dir., X, Milano,
1962, pp. 790 -791.
(
3
) G. I. LUTTAZZO, op. cit., p. 790. l’autore sostiene che: « … anche quella parte della
dottrina che ammette, l’appellabilità della sentenza già nel diritto classico, riconosce che tale
appellabilità non ai attua nell’ambito dell’ordo iudiciorum, ma in sede di cognitio extra ordinem ».
Anche in questo caso, però, non si riconduce tale possibilità alla
presenza di errores in procedendo, dato che dalle fonti si evince che
per tutto il diritto romano e anche nella compilazione giustinianea, le
cause di nullità che potevano colpire la sentenza operano ipso iure, e
cioè rendendo la sentenza automaticamente inefficace, senza la
necessità di ricorrere a mezzi di impugnazione (
4
).
Pertanto, nel processo extra ordinem, oltre all’appello, esisteva
un altro mezzo per far valere la nullità della sentenza, ma benché il
nome querela nullitatis sia stato elaborato dal diritto intermedio, tale
istituto esisteva già al tempo del Corpus Iuris Civilis (
5
).
Tali mezzi, avevano una efficacia dichiarativa, in quanto la
sentenza era di per sé nulla e i vari strumenti servivano solo ad
evidenziare la patologia.
Nonostante tutto questo, rimaneva incolume il principio della
inesistenza ipso iure della sentenza viziata da nullità che poteva essere
rilevata in ogni momento (
6
).
Nel diritto romano, quindi, i pochi riferimenti al giudizio di
Cassazione sono rinvenibili nei testi giustinianei dove il concetto di
nullità, da mero error in procedendo passa ai casi di iniustitia, causati
da errori di diritto particolarmente gravi (
7
).
Nel diritto intermedio, si cominciano a vedere riferimenti al
concetto di cassazione, poiché la nascita dei mezzi di impugnazione è
da far risalire proprio a tale periodo.
3
(
4
) Dig. 42, 1, 4, 6; Dig. 49, 1, 19; Dig. 49, 1, 23, 1; ecc.
(
5
) BIONDI, Appunti intorno alla sentenza nel processo civile romano, in Studi Bonfante, IV,
Milano, 1929-1930, p. 100. Secondo l’autore, la querela nullitatis esisterebbe in base sulla base
della rubrica di Dig. 49,8 Quae sententiae sine appellatione rescindantur; C. 7, 64 Quando
provocare non est necesse e di alcuni atri testi, come Dig. 49, 8, 1 e C. 7, 64, 1.
(
6
) C. 7, 64, 4.
(
7
) P. CALAMANDREI, Cassazione Civile, in Nuovo dig. it., II, Torino, 1937. Secondo
l’autore l’unico riferimento al giudizio di Cassazione è riscontrabile in C. 7, 64, 2 e Dig. 49, 8.
Nell’ordinamento longobardo (400-500 d.C.), abbiamo i primi
segnali di ricorso contro le sentenze. Infatti, alla parte non soddisfatta
dalla decisione del giudice, era data la possibilità di fare ricorso ad un
giudizio superiore davanti al re. Unica condizione per tale ricorso era
l’esistenza di una sentenza emanata da un giudice ordinario e chi non
rispettasse tale condizione presentando comunque ricorso, sarebbe
certamente andato incontro ad una punizione (
8
).
Il ricorso era possibile solo se riguardava uno dei motivi previsti
dalla legislazione, come ad esempio: il mancato giudizio da parte del
giudice, un giudizio doloso o illecito, la mancanza di verità e giustizia
nella decisione o, addirittura, il rifiuto di sentenziare da parte del
giudice. Nonostante tutte queste indicazioni, non vi è traccia, nelle
fonti, di quale fosse il procedimento seguito dal tribunale regio o di
quale sorte toccasse alla sentenza. Si conosce solamente, che nel caso
di rifiuto da parte del giudice ordinario ad emettere sentenza, il re
poteva obbligarlo a decidere, minacciandolo con pene severe; mentre
nel caso che il ricorso fosse presentato senza fondate ragioni, al
ricorrente, poteva essere inflitta una multa (
9
).
Nonostante tutto ciò, però, non vi era ancora una solida idea di
gradi di giurisdizione, dato che questi iniziarono a delinearsi solo
dopo che le popolazioni longobarde si insediarono stabilmente nel
territorio e si diedero un regime monarchico ed un ordinamento
giudiziario che, sebbene rudimentale, aveva a capo il re e l’assemblea.
Con Carlo Magno e l’epoca carolingia, tutto iniziò a prendere
una forma più netta. Egli, infatti, ridisegnò radicalmente la struttura
dell’amministrazione e con questa anche l’apparato giudiziario.
4
(
8
) F. CALASSO, voce Corte di Cassazione, b)diritto intermedio, in Enc. dir., X, Milano,
1962, pp. 792 – 796.
(
9
) Si ha notizia di queste condizioni solo attraverso le costituzioni emanate dei re
longobardi che si sono susseguiti nel corso degli anni, ad esempio per quanto riguarda il caso di
denegata giustizia si può far riferimento a Liutprando, 35. Ma, nonostante i pochi frammenti a
disposizione, a tali fonti non può essere affidata una assoluta certezza.
Nacque così il palatium, il tribunale regio, presieduto dal re in
persona, che aveva competenza esclusiva sulle cause feudatarie, delle
chiese e sui reati commessi dalle alte personalità del regno.
Quando il potere regio interveniva, aveva sempre una funzione
integrativa dei giudicati dei tribunali inferiori, poiché era in grado di
dare una versione della giustizia più vicina alla comune coscienza.
Tutto questo era possibile grazie al fatto che il palatium decideva in
nome dell’aequitas, unico modo di portare armonia tra quanto detto
dalle leggi umane e da quelle divine.
Oviamente, in quest’epoca, si è ancora lontani dala
distinzione tra errores in procedendo ed errores in iudicando, dato che
al tribunale regio ci si poteva rivolgere solo in caso di iniuste
iudicatum, in quanto si pensava che solo il palatium fosse l’unica
istituzione in grado di riportare tutto nei canoni del giudicato equo.
Tutto quello che fino a quel momento fu costruito, fu reso vano
dall’avanzare del particolarismo feudale. Durante questo periodo
(800-900 d.C.) iniziarono a proliferare numerose stratificazioni
sociali, che portarono alla nascita di una miriade di giurisdizioni
impossibili da gestire unitariamente dal vertice.
Nonostante il particolarismo, l’idea del gravame contro la
sentenza non morì e ogni piccola costituzione aveva tracce di questo
progetto.
Con l’avvento dei comuni la situazione non migliorò, dato che
ognuno di questi cercava di darsi una propria autonoma giurisdizione
in modo da sottrarre potere all’Impero (che fino a quel momento
deteneva la competenza per i gradi d’appello).
Con la Scuola di Bologna (1000 d.C.) e la riscoperta dei testi
giustinianei, inizia a prendere piede la distinzione tra errores in
procedendo ed errores in iudicando. Tale ritrovato concetto, iniziò ad
insediarsi nei vari Comuni d’Italia, portando ad uniformi
comportamenti procedurali e prassi giudiziarie davanti a casi di
5
sentenza viziate.
La distinzione venne portata alla luce dalla dottrina, che disegnò
due diverse azioni nei confronti della sentenza viziata: vi era, infatti,
una querela inquisitatis nei confronti di errori di diritto (errores in
iudicando) ed una querela nullitatis nei confronti di vizi derivanti
dalla inosservanza delle regole della procedura (errores in
procedendo).
Nella prassi, venne mantenuta la stessa magistratura per
entrambe le querele, mentre la dottrina pose l’attenzione sulla
necessità di avere due giudizi diversi, data la diversa finalità delle due
azioni.
Nomi importanti dela dotrina inziarono così a fare
classificazioni tra i vari errori, in particolare Guglielmo Durante in
una glossa elencò i vari casi di errores in procedendo : «ratione
iudicis, ratione iurisdictionis, ratione litigati rum, ratione loci, ratione
temporis, ratione causae, ratione quantitatis, ratione modi, ratione
processus, ratione manifestae iniquitatis» (
10
).
I commentatori privilegiarono classificazioni più sintetiche,
limitandosi a raggruppare gli errori in due concetti: quelli dell’ordo,
cioè i vizi di procedura e della solemnitas, vizi di forma (errores in
procedendo), contrapposti nettamente ai vizi che intaccano la
substantia del giudicato (errores in iudicando).
Cominciava così a profilarsi l’idea che la sentenza potesse
essere viziata da un error, e questo poteva essere diverso a seconda
che rappresentasse una violazione dello ius costitutionis, nel caso in
cui l’ordinamento giuridico avesse agito con imperitia, ovvero avesse
violato lo ius litigatoris, nel senso che vi era stata una errata
applicazione dello ‘diritto scritto’ ( il cosiddetto ius scriptum). In
questo caso, però, si sarebbe caduti in un caso di iniustitia, da
6
(
10
) G. DURANTE, Speculum iuduciale, Lib. II, Part. III, § 8, 1271.
risolvere tramite appello (
11
).
A differenza del diritto romano, dove la nullità era ipso iure e,
perciò, la sentenza era inesistente senza alcun riconoscimento, negli
ordinamenti comunali, per considerare una sentenza nulla e renderla
priva di effetti, era necessario un intervento del giudice di secondo
grado che la ritenesse tale.
Con l’avanzare dell’età moderna, ci si rese conto che era
necessario avere una nuovo grado di giudizio, quindi diverso dal
magistrato dell’appello, al quale affidare le cause sulla nullità (
12
).
Si sente parlare di Corte di Cassazione per la prima volta nel
1803, quando un senato consulto chiamò Cour de Cassation,
quell’istituto che durante il periodo rivoluzionario era definito
Tribunal de Cassation. Attraverso questa nuova denominazione,
infatti, si dava alla suprema magistratura l’esplicito riconoscimento di
organo giurisdizionale che veniva così definitivamente inserito
nell’ordinamento giudiziario (
13
).
Questa idea, comunque, non era nemeno del periodo
rivoluzionario, dato che già a partire dal XVII secolo si avvertiva la
necessità di istituire un organo in grado di essere «custode della
legge» (
14
).
Ciò che si fece con la Cour de Cassation era, in ogni modo,
qualcosa di innovativo, poiché doveva essere interpretato come un
controllo sui giudici da parte del legislatore, dato che tra i membri
7
(
11
) P. CALAMANDREI, L’error in iudicando nel diritto intermedio, in Riv. intern. scienze soc.,
1915.
(
12
) F. CALASSO, op. cit..
(
13
) S. SATTA, voce Corte di Cassazione, c) diritto processuale civile, in Enc. dir., X, Milano,
1962, pp. 797 – 853.
(
14
) Per la storia della Corte di Cassazione sono fondamentali le ricerche effettuate da
CALAMANDREI, La Cassazione civile, I, Torino, 1920.
dell’Assemblea nazionale regnava il timore di una sovrapposizione
del giudizio alla legge (
15
). Proprio per questo le si diede il nome di
Cour de Cassation, al fine di sottolineare l’idea di cassazione,
cancellazione, eliminazione (cioè, cassazione di quanto deciso dai
giudici se in contrasto con quanto dettato dalla legge).
Tra i legislatori rivoluzionari, vi era l’idea di una
personificazione della legge, dato che la si riteneva in grado di
regolare qualsiasi cosa senza necessità di intermediazione da parte di
alcuno. Si ricercava una sorta di onnipotenza della legge e, se,
facendo un salto nel tempo fino ai giorni nostri, si ragiona su quanto
recita l’odierno art. 65 dell’ordinamento giudiziario, si nota come
questa utopia sia stata mantenuta anche in questa prescrizione, dato
che la definizione «organo supremo della giustizia che assicura
l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge l’unità del
diritto nazionale,…», raccoglie tutta la visione rivoluzionaria.
Il problema di queste teorie, consiste proprio nel fatto che nello
stesso momento in cui i rivoluzionari rivendicavano il distacco della
Loi dal re e, quindi, negavano che il Conseil des parties potesse avere
il ruolo di ‘custode della legge’, vedevano loro stessi come gli unici a
potersi identificare con la Loi, senza che vi fosse la necessità che altri
uomini, diversi da loro, mantenessero l’uniformità della loro volontà.
In questo modo, però, sostenendo la personificazione della
legge, questa diventava autonoma rispetto a tutto e tutti, e quindi,
anche dai rivoluzionari stessi. Si veniva a creare, di conseguenza, una
incongruenza con quanto sostenuto, poiché la legge, così facendo,
diventava indipendente anche da loro stessi ed era, pertanto,
necessario che altri uomini, diversi rispetto a quelli che la creavano,
avessero il compito di assicurare la concreta osservanza di questa.
Si voleva in qualche modo, distaccarsi dal giudice e dal giudizio
per l’osservanza della legge , senza rendersi conto che, in realtà, solo
8
(
15
) CALAMANDREI, op. cit., p. 417.
questi erano gli unici in grado di assicurarla.
Era invece fondamentale, cercare di mantenere l’idea di legge
come ordinamento da conservare, ma a questo fine era indispensabile
l’istituzione di un organo con la qualità di conservare in concreto la
legge e di assicurare un’interpretazione uniforme del diritto.
È proprio con questa idea che nel 1790, con un decreto si istituì
il Tribunal de Cassation.
È quindi facilmente comprensibile come, da questo periodo
storico, si sia delineato l’istituto della Cassazione così come noi oggi
la conosciamo.
Nonostante questo, nacquero delle perplessità circa l’origine
esatta dell’istituto (
16
).
Per i legislatori rivoluzionari la loro invenzione era un’assoluta
novità, mentre una parte della dottrina opponeva che tutto era nato
dall’antico Conseil des parties, che da secoli svolgeva le stesse
funzioni della Cassazione.
Il Conseil des parties, nacque nel 1578 come una diramazione
del Consiglio del re, al quale era affidato l’incarico di accogliere i
ricorsi in materia giudiziaria. La funzione del Gran Conseil prese vita
come sviluppo dell’idea di annullare tutte le decisioni parlamentari
che contrastavano con le ordinanze del re. Alla base della nascita della
Cassazione, vi era, quindi, l’esercizio di un potere palesemente
politico, che il re svolgeva nel suo esclusivo interesse.
Tutto questo, stava a significare che il Conseil aveva lo scopo di
difendere il sovrano e quanto da lui detto dagli abusi legislativi dei
parlamentari. La funzione della Cassazione, quindi, era posta a tutela
della volontà del sovrano, piuttosto che a difesa della legge.
A causa dell’eccessivo numero di ricorsi attribuiti al Gran
Conseil, nel 1578 si decise di scindere questo organo e vennero così
create due autonome sezioni: il Conseil d’Etat, con competenza per gli
9
(
16
) S. SATTA, op. cit., pag. 800.