4
In effetti, il compito del fallimento e delle altre procedure concorsuali è proprio quello di
disciplinare le crisi economiche e finanziarie dell’impresa
5
, al fine di soddisfare gli interessi dei
soggetti che hanno, o hanno avuto relazioni con l’impresa e che sono inevitabilmente danneggiati
dalla sua crisi.
La crisi d’impresa, infatti, è causa di un “allarme sociale”: molti sono gli interessi che
ruotano intorno ad un’impresa e che sono fortemente minacciati dalla crisi dell’impresa stessa. In
primis, i creditori dell’imprenditore, che, causa la crisi, vedono l’impossibilità di ottenere quanto è
loro dovuto. In secondo luogo, la crisi è pregiudizievole per i lavoratori impiegati nell’attività
produttiva. E, più aumentano le dimensioni dell’impresa e di conseguenza le sue relazioni, più il
problema diventa di carattere sociale, che, “per un effetto moltiplicatore”, spesso travolge, o
rischia di farlo, altre imprese. In tal modo, può risentirne l’intero sistema economico, di un
determinato ambito di riferimento, in quanto la crisi di una impresa può produrre crisi aziendali a
catena che pregiudicano la stabilità dell’intero ambito economico.
6
D’altra parte, le crisi d’impresa, che fino agli anni sessanta erano avvenimenti
“straordinari”, nei decenni seguenti sono divenute fenomeni assai ricorrenti ed in seguito quasi
ordinari, tanto che è assai difficile ai giorni nostri trovare imprese che, nell’arco della loro
esistenza, non abbiano attraversato uno o più momenti di difficoltà.
5
Le crisi di tipo finanziario possono essere in genere collegate a crisi di tipo economico. Infatti, è da ritenere che le perdite di
conto economico generino nel tempo l’insolvenza, ma allo stesso modo, le disfunzioni finanziarie comportano l’aumento di costi
finanziari che creano perdite di conto economico. S. PACCHI PESUCCI, Alcuni riflessioni in temi di insolvenza, impresa e complesso
aziendale, derivanti dalla lettura dalla legge delega per l’emanazione della nuova legge sull’amministrazione straordinaria, in Giur. Comm., 1999, I,
pag. 319.
6
Plurimi sono gli interessi che la crisi d’impresa coinvolge, ovvero l’interesse dei creditori alla realizzazione delle rispettive pretese
patrimoniali, l’interesse dell’imprenditore-debitore a preservare i suoi beni, l’interesse, infine, della collettività alla conservazione
dell’attività produttiva e, con essa, dei posti di lavoro.
5
1.2 Le crisi d’impresa.
Spesso, nel corso del tempo, si verificano delle situazioni che, comportando improvvise
modificazione dell’attività produttiva, possono compromettere la stabilità e l’equilibrio
economico dell’impresa, tali da poter degenerare in vere e proprie crisi.
Queste crisi, però, non assumono un significato univoco, in quanto le cause che le
determinano e le manifestazioni che le contraddistinguono sono varie. In generale, dunque, si
possono distinguere crisi da rigidità e crisi da inefficienza.
7
Le prime si verificano quando il sistema aziendale riscontra notevoli difficoltà con
l’ambiente esterno ed esprimono l’incapacità dell’impresa di reagire alle mutate condizioni
8
,
poiché i costi non riescono ad adattarsi in tempi brevi e senza eccessivi oneri a diminuzioni della
domanda.
9
Le crisi da rigidità sono quindi connesse a cause esterne all’impresa, dipendono da
fattori assolutamente estranei e sono riconducibili ad una serie di variabili di tipo economico,
sociale, politico e culturale. Vengono anche definite come “cause congiunturali, che si collocano
all’esterno dell’impresa e risentono del crescente dinamismo e delle turbolenze dell’ambiente in
cui le imprese si trovano ad interagire”.
10
“I processi di mutamento ambientali maggiormente
incidenti sulle condizioni di vita e di sviluppo sono rappresentate dalle variazioni qualitative ed
economiche dei principali fattori produttivi (quali il lavoro, le materie prime, l’energia, il
tasso d’innovazione tecnologica), nonché dall’instabilità dei cambi monetari e dei tassi finanziari,
in conseguenza della globalizzazione del mercato economico”.
11
Le crisi da inefficienza riguardano, invece, le relazioni esistenti all’interno dell’azienda e si
manifestano quando “una o più aree della gestione operano con rendimenti che non sono in linea
con le loro specifiche potenzialità”.
12
Sono quindi connesse a cause interne che dipendono
dall’ambito istituzionale o dal patrimonio, dalla struttura, dalla gestione; cioè da tutti quegli
elementi che caratterizzano le modalità di conduzione dell’impresa.
13
Sono cause strutturali di
“ordine finanziario quantitativo”( eccessivo ricorso al capitale di credito rispetto alle risorse
patrimoniali interne), di “ordine finanziario qualitativo”
14
(ricorso a forme di finanziamento
eccessivamente onerose), di carattere organizzativo, strutturale o manageriale; ed infine
costituiscono cause strutturali anche quelle afferenti il momento informativo, al fine di
individuare tempestivamente perdite di competitività e di redditività.
15
Di conseguenza, la crisi d’impresa non rappresenta un’eventualità insolita, quanto,
piuttosto, una possibile condizione della stessa impresa, una fase quasi fisiologica nello svolgersi
7
PATTI, Istruttoria prefallimentare e poteri di controllo sulla crisi dell’impresa, in Il Fallim., 1998, pag. 940
8
SCIARELLI, La crisi d’impresa: il percorso gestionale e il risanamento nelle piccole e medie imprese, Padova, 1995, pag. 87.
9
I costi, in particolare quelli fissi e quelli relativi al personale, diminuiscono meno che proporzionalmente rispetto ai ricavi,
causando perdite economiche.
10
PATTI, op. cit., pag. 940
11
CANDIOTTO, L’accertamento dello stato di insolvenza dall’esame dei bilanci, relazione all’incontro studi C.S.M. 28-30 novembre 1996
sul tema I bilanci dell’imprese.
12
AIROLDI, BRUNETTI, CODA, Economia Aziendale, il Mulino, 1994, pag. 510 e ss.
13
L’analisi della crisi dell’impresa, in La Rivista Online (Scuola superiore dell’economia e delle finanze), anno II, n.2, febbr. 2005.
14
PATTI, op. cit., pag. 940.
15
GUATRI, Crisi e risanamento delle imprese, Milano, 1986, pag. 11 ss.; CODA, Dinamica delle valutazioni e degli indirizzi della gestione nella
fase preliminare delle procedure concorsuali, in Atti del convegno S.I.S.CO. su Gestione e alienazione delle azienda nelle procedure concorsuali,
Milano, 1991, pag. 5 ss.
6
della sua attività
16
, in cui è possibile individuare stadi di sviluppo differenti, ciascuno destinato a
connotarsi per la maggiore o minore gravità e per le diverse probabilità di recupero della propria
condizione.
In quest’ottica, molti autorevoli autori sottolineano che si preferisce utilizzare il termine
“crisi d’impresa” piuttosto che “insolvenza dell’imprenditore”. Si è soliti distinguere, infatti,
situazioni di difficoltà, differenziando la mera condizione d’illiquidità provvisoria, la temporanea
difficoltà ad adempiere e lo stato di insolvenza.
Secondo quanto espresso anche dalla giurisprudenza, l’imprenditore commerciale versa in
stato d’insolvenza, in base all’art. 5 della legge fallimentare, quando, per ragioni non transitorie, a
seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie all’esercizio della sua
attività, “non è in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni
alle scadenze pattuite”
17
e a ciò si aggiunge, però, che lo stato di insolvenza può risultare anche
nella circostanza in cui l’attivo patrimoniale risulti superiore al passivo.
18
L’illiquidità provvisoria, consiste in una difficoltà momentanea, in quanto l’imprenditore è,
comunque, “in grado di reperire in una ragionevole lasso di tempo quei mezzi normali di pagamento
idonei ad estinguere le passività non più dilazionabili”.
19
La temporanea difficoltà ad adempiere, invece, quale quella postulata all’art. 187, comma 1
della legge fallimentare, ai fini dell’ammissione alla procedura di amministrazione controllata,
20
è
ravvisabile quando il debitore si trova in una difficoltà non meramente momentanea, ma
temporanea
21
(ossia, non “in un lasso ragionevole di tempo”) e, al contempo, sono riscontrabili
elementi che possono identificare la crisi, in cui versa l’impresa, come reversibile.
22
Molti, infatti, sottolineano che nell’amministrazione controllata, anche se si parla di
temporanea difficoltà, è ormai consolidato che si tratti comunque di incapacità di adempiere alle
proprie obbligazioni, anche se valutata come temporanea e risolvibile.
23
Lo stato di insolvenza,
inoltre, cui fa riferimento l’art. 3 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, quale presupposto per
l’amministrazione straordinaria delle grande imprese in crisi, potrebbe costituire una situazione
diversa da quella definita dall’art. 5 legge fallimentare, consistendo in uno stato di crisi reversibile
16
C’è da sottolineare, però, che non necessariamente essa, anche là dove si presenti come grave, ha poi conseguenze di tipo
distruttivo. Alcuni autori sostengono che la crisi può anche costituire un’opportunità di rilancio per l’impresa, diventando, in tal
modo, “una malattia salutare”: si può avviare un processo di ristrutturazione, di ricollocazione tale da creare le premesse per una
ripresa. In tal senso NIGRO, La crisi della piccola impresa tra liquidazione e risanamento, in il Fallim., 2003, 9, pag. 1004.
17
Cass. 15 marzo 1994, n. 2470, in www.cassazione.net
18
GUGLIELMUCCI, Lezioni di diritto fallimentare, Torino. 2003, pag. 32.
19
Cass. 24 marzo 1983, n. 2055, in www.cassazione.net
20
L'art. 187 LF, nella sua originaria formulazione, statuiva che “l'imprenditore che si trova in temporanea difficoltà di adempiere
le proprie obbligazioni, se ricorrono le condizioni previste dai numeri 1, 2 e 3 del primo comma dell'art. 160, può chiedere al
tribunale il controllo della gestione della sua impresa e dell'amministrazione dei suoi beni a tutela degli interessi dei creditori, per
un periodo non superiore ad un anno”. La disposizione normativa è stata modificata dall'art. 1 della legge del 24.7.'78, n. 391, che
ha ampliato sino a due anni la durata massima della procedura ed ha previsto, altresì, ai fini dell'ammissione, la sussistenza di
“comprovate possibilità di risanare l'impresa”.
21
GUGLIELMUCCI, Lezioni di diritto fallimentare, Torino. 2003, pag. 30
22
“L’unico elemento che diversifica la temporanea difficoltà di adempire le obbligazioni, quale presupposto oggettivo per
l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata, dallo stato di insolvenza, quale presupposto oggettivo della
dichiarazione di fallimento, si afferma in giurisprudenza, è la reversibilità della crisi che caratterizza la prima situazione, nel senso
che, pur trovandosi l’imprenditore nell’impossibilità di adempire regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni,
sussistono, tuttavia, sintomi di una inversione di tendenza, tali da giustificare la formulazione della prognosi dell’evoluzione delle
condizioni economiche dell’imprenditore verso la rimozione dello stato di insolvenza”(Cass., sez. un., 14 dicembre 1977 n. 4370,
in www.cassazione.net )
23
Su tale argomento si veda ad esempio LO CASCIO, L’amministrazione controllata, , Milano, 1998, p. 9.
7
e superabile mediante un piano che consenta all’impresa di “riposizionarsi sul mercato in termini
di normalità dell’attività imprenditoriale, mediante il recupero di un rapporto fisiologico fra costi
e ricavi”.
24
La temporanea difficoltà ad adempiere, in tal senso, non rappresenta un concetto diverso
dall’insolvenza, ponendosi piuttosto, come un grado distinto e meno grave di evoluzione della
crisi d’impresa, che si connota per la sua reversibilità.
25
La crisi d’impresa, quindi, è “una situazione di squilibrio a carattere globale, che
compromette l’assetto economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa, caratterizzata dal fatto
di derivare da un processo graduale e latente di degenerazione”
26
. In particolare, lo stato
d’insolvenza fotografa solo un aspetto di questa crisi: rappresenta l’ultimo stadio, quello più
palese e manifesto
27
, escludendo qualsiasi valutazione sul complesso aziendale e sulla posizione
dell’impresa.
Il superamento dello stato d’insolvenza, in tal senso, comporta necessariamente interventi
all’interno dell’azienda, che devono essere accompagnati da adeguati strumenti esterni: ci si
riferisce in particolare ad accordi con i creditori, che favoriscano la dilazione dei pagamenti o la
riduzione dei debiti ed è solo attraverso un coinvolgimento dei creditori che può essere
conservata l’impresa e tentato il risanamento.
La ragione di questa preferenza terminologica si rinviene anche nella tendenza sempre più
diffusa a ricercare e predisporre strumenti adeguati per intervenire tempestivamente in situazioni
di difficoltà, in modo tale da prevenire l’incapacità dell’imprenditore di adempiere regolarmente le
proprie obbligazioni. In questa situazione, quindi, sembrerebbe più opportuno parlare di crisi
dell’impresa, piuttosto che d’insolvenza dell’imprenditore.
Sotto questo profilo, va ad assumere un significato e un’importanza diversa anche il
concetto d’impresa, come quello di mercato, che, è inteso, quindi, non solo semplicisticamente
come momento d’incontro di domanda e d’offerta, ma anche come momento di ricollocazione
dell’impresa, cioè come luogo che può offrire una possibilità di recupero per l’azienda che versa
in uno stato di crisi.
28
Parte della dottrina,
29
infatti, sostiene che il grande assente nella mente del
legislatore del’42
è proprio il mercato, laddove invece sarebbe impensabile parlare di crisi
24
Tribunale di Torre Annunziata, 14 novembre 2001, Insolvenza e prospettive di recupero nell’amministrazione straordinaria, in Il Fall.,
10/2002, pag. 1099.
25
Sull’argomento si veda CORSI, Crisi, insolvenza, reversibilità, risanamento: un nodo irrisolto?, in Il Fallim., 2000, 9, pag. 948:“tra
insolvenza e temporanea difficoltà di adempiere corre una differenza di intensità”; NAPOLEONI, Lo stato di insolvenza
nell’amministrazione straordinaria, in il Fallim., 2002, 10, pag. 110:“il presupposto oggettivo delle due procedure si radicherebbe in
stadi distinti e successivi nella progressione tipologica della crisi imprenditoriale”; PACCHI PESUCCI, Alcuni riflessioni in temi di
insolvenza, impresa e complesso aziendale, derivanti dalla lettura dalla legge delega per l’emanazione della nuova legge sull’amministrazione
straordinaria, in Giur. Comm., 1999, I, pag. 319.: “l’insolvenza ha diverse sfaccettature e gradazioni”.
26
Tale definizione si rinviene in SCIARELLI, La crisi d'impresa, Padova, 1995, pag. .20 e ss., il quale precisare, però, che si possono
verificare casi in cui l’impresa entra in crisi improvvisamente, per particolari fatti o situazioni, come, ad esempio, possono esserlo
un disastro ambientale, un grave errore nella produzione di un prodotto (a causa, magari, di un’errata combinazione degli
ingredienti), ecc. Questi ultimi sono fenomeni particolarmente “macroscopici”, più facilmente individuabili che consentono ai
responsabili della gestione di reagire immediatamente.
27
GUATRI identifica tre stadi della crisi: primo stadio delle inefficienze, secondo stadio delle perdite, terzo stadio dell’insolvenza.
Ad ogni stadio corrispondono maggiori sforzi per ripristinare l’equilibrio. GUATRI, Il fronteggiamento delle situazioni di crisi, in
Finanza Marketing e Produzione, 1985, pag. 7. Si veda, dello stesso autore, Crisi e risanamento delle imprese, Milano, 1986.
28
Così AIROLDI, BRUNETTI, CODA, Economia Aziendale, il Mulino, 1994, pag. 257.
29
CORSI, Impresa e Mercato, in Giur. Comm., 1995, I, pag. 337.
8
d’impresa prescindendo dal contesto, ossia dall’ “insieme di condizioni e di fenomeni esterni
all’impresa che influenzano significativamente la sua struttura e la sua dinamica”.
30
Il mercato dovrebbe essere “un elemento integrativo, non solo per valutare le possibilità di
successo di una continuazione dell’attività imprenditoriale, ma anche per tener conto degli
eventuali ritorni positivi che potrebbero discenderne, tramite il mercato, anche a vantaggio dei
creditori momentaneamente sacrificati”.
31
1.3 Verso il rovesciamento del tradizionale sistema concorsuale:
l’abbandono dell’impostazione soggettiva.
In relazione al concetto di impresa, è diffusa l’idea che si debba abbandonare la tradizionale
impostazione soggettiva della legge fallimentare, incentrata sulla figura dell’imprenditore, per
preferire, al contrario, un’impostazione oggettiva, avente ad oggetto l’impresa, che si configura sia
come attività economica volta al profitto, sia come organizzazione di fattori produttivi ( di
carattere materiale, ma anche, e soprattutto, di carattere personale), dalla cui combinazione nasce
un valore aggiunto.
Si sostiene, infatti, che il legislatore del ’42 ha attuato una sorta di “minimalizzazione
dell’impresa, identificando l’impresa stessa in una semplice attività”,
32
finendo con il trascurare del
tutto “quella componente organizzativa”, che invece rappresenta un elemento fondamentale e
caratterizzante dell’impresa: l’impresa non è costituita solo da entità fisiche e da elementi
materiali, ma rappresenta anche il centro d’imputazione di attività e di rapporti giuridici.
Secondo l’impianto assunto dal legislatore fallimentare del ’42, l’imprenditore è
proprietario dell’impresa,
33
perché gli strumenti della produzione sono acquistati con denaro
proprio
34
o con l’ausilio di creditori. Per tale motivo, non solo imprenditore e impresa sono
inscindibilmente legati l’uno all’altra, in un’identica sorte economica in modo tale che la
dichiarazione di insolvenza del soggetto determina la cessazione dell’attività, ma il “valore del
complesso aziendale è calcolato solo in funzione dello scambio e non della gestione”.
35
L’impresa, però, non può più essere considerata soltanto come “una diretta proiezione
dell’imprenditore”
36
, ma va necessariamente vista come “una realtà oggettivamente rilevante cui
l’ordinamento accorda tutela e assegna uno specifico ruolo ed alla quale sono riferibili, entro certi
limiti, situazioni e rapporti autonomi rispetto a quelli che fanno capo all’imprenditore”.
37
30
AIROLDI, BRUNETTI, CODA, op. cit., il Mulino, 1994, pag. 250.
31
CORSI, op. cit., in Giur. Comm., 1995, I, pag. 337.
32
In tal senso CORSI, op. cit, in Giur. Comm., 1995, I, pag. 330.
33
PACCHI PESUCCI, op. cit., in Giur. Comm., 1999, I, pag. 314.
34
Se facciamo riferimento alla periodo storico-economico in cui è nata la disciplina fallimentare.
35
AIROLDI, BRUNETTI, CODA, op. cit., il Mulino, 1994, pag. 252 e ss.
36
RIVOLTA, Gli atti d’impresa, in Riv. Dir. Civ. 1994, pag. 107 ss., tende a scindere gli atti d’impresa dalla titolarità della azienda.
37
FIMMANO’, Le prospettive di riforma del diritto delle imprese in crisi tra informazione, mercato e riallocazione dei valori aziendali, in Il Fall. n.
4, 2004, pag. 459 ss.
9
Si sostiene che “si dovrebbe scindere il binomio imprenditore-debitore e, da un lato sancire
che l’apertura della procedura concorsuale consegue all’accertata evenienza di una crisi dell’
impresa, mentre dall’altro lato, andrebbe poi disciplinata la responsabilità d’impresa imputandola
secondo i criteri di politica legislativa non considerati dalla necessità di identificare il responsabile
nel soggetto imprenditore-debitore”.
38
Perciò, da un lato si aprirebbe la procedura concorsuale
nei confronti dell’impresa; dall’altro si avrebbe la procedura, non sempre necessaria, nei confronti
di uno o più soggetti ai quali fosse attribuita la responsabilità d’impresa. Occorre, cioè, separare le
sorti dell’impresa da quelle dell’imprenditore, in modo tale da poter realizzare in concreto la
conservazione del complesso produttivo.
Mediante tale prospettiva, si attua un rovesciamento del tradizione sistema concorsuale,
spostando l’attenzione dall’imprenditore all’impresa. La stessa definizione della nozione di
azienda nel codice civile, in quanto statica, debba essere integrata con una “dimensione dinamica”
39
del fenomeno stesso.
Occorre, a tal proposito, sottolineare che la nascita dei primi gruppi industriali e
l’evoluzione della struttura aziendale, a partire dagli anni ’70, hanno inevitabilmente influenzato il
diritto concorsuale, determinando il diffondersi di un nuovo modello di impresa in cui all’azienda
tradizionale, costituita per lo più di beni materiali, si è sostituita un’impresa caratterizzata da
rapporti giuridici, dai cosiddetti valori intangibili.
40
Sotto tale aspetto, si è affermato che chi
gestisce un’impresa, più che beni materiali, dispone di un’organizzazione volta alla produzione di
beni e alla prestazioni di sevizi. Nell’impresa, infatti, possono essere rinvenuti altri interessi
rilevanti, come quelli connessi ai marchi ed ai brevetti acquisiti e legati alla produzione, quelli
riguardanti la professionalità, il know how e l’esperienza raggiunta in determinato settore.
41
Tali beni immateriali, che costituiscono oggi l’effettiva ricchezza dell’impresa, sono
evidentemente molto difficili da conservare, tanto che la cessazione dell’attività produttiva
determina la perdita anche di questi valori aziendali:
42
“non è pertanto oggi di regola utilmente
praticabile una liquidazione atomistica dei beni aziendali, in quanto la loro valorizzazione è
possibile realizzarla solo con la prosecuzione dell’attività produttiva o comunque con il
mantenimento dell’unità aziendale”.
43
E’ stata, quindi, abbandonata la caratteristica del codice civile di preferire una dimensione
materiale dell’azienda, privilegiando, come sottolineano gli studiosi di economia aziendale, “una
dimensione operativa dell’azienda”.
44
38
CORSI, Impresa e mercato in una nuova legge fallimentare, in Giur. Comm. 1995, I, pag. 332.
39
“L’impresa si presenta come un’entità dinamica organizzata in funzione di conseguire un risultato in continuo divenire dalla
interazione tra i vari fattori che la compongono, di carattere personale, di carattere materiale e temporali, giacché la dinamica
imprenditoriale è dislocata nel tempo, in cui si proiettano le previsioni di produzione e di guadagno (basti pensare che l’impresa
vive di credito e il fattore temporale è intrinsecamente connesso a questo).” CORSI, op. cit., in Giur. Comm. 1995, I, pag. 329. Si
veda anche CORSI, Fallimento individuale e società, in Atti del convegno S.I.S.C.O. sui Cinquant’anni della legge fallimentare (1942, 1992),
Milano, 1994, pag. 22.
40
Al riguardo si veda GUATRI, TURNAROUND, Declino, crisi e ritorno al valore, Milano, 1995; BASTIA, Pianificazione e controllo dei
risanamenti aziendali, Torino, 1996.
41
LO CASCIO, Il progetto di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali: prime riflessioni, in Il Fallim., 2001, 2, pag.121
42
LO CASCIO, Prime riflessioni sull’imminente riforma del diritto fallimentare:, in Il Fallim., 2002, 4, pag. 354.
43
M. FABIANI, Il rapporto tra la nuova amministrazione straordinaria e le procedure concorsuali minori, in La riforma dell’amministrazione
controllata e le altre procedure concorsuali, Atti del convegno S.I.S.C.O., Giuffrè, Milano, 2000, pag. 20.
44
SCIARELLI, La crisi d’impresa: il percorso gestionale e il risanamento nelle piccole e medie imprese, Padova, 1995.
10
L’analisi, quindi, diventa più complessa, in quanto, partendo da una visione più ampia
dell’impresa, che comprende sia la dimensione materiale che quella operativa, si devono
necessariamente analizzare tutte le componenti e le principali situazioni che investono l’impresa,
ricercando i fattori determinanti della crisi, per poi definire, solo successivamente, i possibili
interventi da realizzare.
Ulteriore elemento che va ad avvalorare l’orientamento volto ad abbandonare
l’impostazione soggettiva è la tendenza ad eliminare dal sistema concorsuale, e principalmente dal
fallimento, ogni eccessiva “caratterizzazione di tipo sanzionatorio”.
45
La legge del 1942, infatti,
presenta a carico del fallito pesanti limitazioni ai suoi diritti civili e politici (anche dopo la chiusura
del fallimento e fino alla riabilitazione), in linea con l’impostazione tipica del periodo storico-
economico in cui è nata la disciplina fallimentare.
L’attenzione all’impresa come valore che deve essere tutelato nell’interesse della collettività
e la consapevolezza che le crisi della impresa, in un sistema economico così come attualmente si
presenta, rientrano in un andamento fisiologico del mercato, portano, tuttavia, ad escludere che
“la gestione della crisi abbia un valore sanzionatorio per l’imprenditore, se non nei casi di
comportamenti dolosi penalmente rilevanti, che, quindi, possono alterare a proprio vantaggio le
condizioni del mercato e il corretto svolgimento degli affari economici”.
46
D’altra parte, l’eccessiva presenza di sanzioni, che normalmente comportano per il fallito la
perdita totale e definitiva del suo patrimonio, possono essere anche controproducenti, perché
possono portare l’imprenditore a nascondere la propria crisi, con il solo scopo, spesso inutile, di
sottrarsi al fallimento, peggiorando così la propria condizione e rendendo difficile la
soddisfazione dei creditori.
Si è sostituito, quindi, all’eliminazione dell’impresa dal mercato ed alla liquidazione di tutti i
suoi beni, l’interesse alla prevenzione ed al risanamento, nella consapevolezza che il valore
dell’impresa si sostanzia proprio nel suo funzionamento. La conservazione dell’impresa, infatti,
quando non è disgregata, rappresenta un vantaggio per tutti i soggetti coinvolti nella crisi.
Pertanto, il mantenimento dell’unità aziendale realizza non solo l’interesse dei soggetti
direttamente coinvolti (come i dipendenti), ma dello stesso ceto creditorio, che vede così
“accrescere le aspettative e le possibilità di recupero del proprio credito”.
47
Non s’intende, comunque, riproporre un “ritorno al c.d. uso alternativo delle procedure
concorsuali”,
48
tendente al salvataggio a qualunque costo dell’impresa insolvente, diffusosi con
esiti non certo esaltanti nella seconda metà degli anni ’70, quando si è tentato di inquadrare le
diverse procedure concorsuali in ambito diverso da quello dell’originaria collocazione attribuita
dal legislatore del 1942. Ben nota è la tendenza del debitore di evitare fino all’ultimo il fallimento:
se percepisce la crisi, l’imprenditore è disponibile a renderla palese solo quando si rende conto di
non avere più futuro e solo quando lui stesso ha percorso tutte le strade del possibile
risanamento.
45
LO CASCIO, Il progetto di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali: prime riflessioni, in Il Fallim., 2001, 2, pag.122..
46
CABRAS, Quale filosofia per la crisi di imprese?, in Dir. Comm., 2004, n. 4.
47
GAMBINO, Interesse pubblico alla conservazione dell’impresa e diritti privati sul patrimonio dell’imprenditore, in Giur. Comm., 1984, I, pag.
66 e ss.
48
Si veda sull’argomento TARZIA, COLESANTI, MAFFEI ALBERTI, LIBERTINI, BELVISO, L’uso alternativo delle procedure
concorsuali, in Giur. Comm., 1979, I, pag. 274 e ss e GAMBINO, Sull’uso alternativo delle procedure concorsuali, in Giur. Comm., 1979, I,
pag. 239.