La prospettiva e le esigenze prima della riforma erano di duplice tipo: in
qualità di debitore l’impresa mirava, quando ne sussistevano i presupposti, a
recuperare la propria redditività riorganizzandosi, oppure, nei casi di
insolvenza irreversibile, ad evitare il marchio infamante collegato al
fallimento per poter avviare nuove attività imprenditoriali; in qualità di
creditore commerciale (che normalmente non gode di privilegi), l’impresa
aveva interesse ad un recupero rapido ed integrale dei propri crediti.
In realtà, i tempi lunghi per il recupero e l’incertezza sugli esiti della
procedura influiscono anche sui normali rapporti tra banche e imprese; è stato
infatti stimato che, se la durata delle procedure si allineasse alla media degli
altri principali Paesi europei (tre anni e mezzo), la perdita attesa delle banche
nel caso di default dell’impresa si ridurrebbe. Questo comporterebbe una
diminuzione del rischio della banca e quindi la necessità di un minore
accantonamento a capitale di vigilanza, con conseguente abbassamento del
tasso applicato in misura anche superiore ad un punto percentuale.
Dato il carattere rilevante della questione, in gran parte degli ordinamenti
comunitari sono stati attuati processi di riforma della materia fallimentare. Le
riforme realizzate hanno mirato a valorizzare le soluzioni concordate tra le
parti, sia nell’ambito delle procedure tendenti al risanamento, che in quelle
invece di carattere liquidatorio.
Nel corso degli ultimi anni si è assistito all’avvicendarsi di Commissioni
ministeriali incaricate di redigere proposte di riforma della disciplina delle
procedure concorsuali. Sebbene i singoli progetti di riforma fossero
accomunati dai medesimi criteri ispiratori - semplificazione e
razionalizzazione delle procedure, accelerazione dei tempi di gestione della
crisi, introduzione di meccanismi di gestione dell’impresa in crisi più
innovativi, limitazione dell’ambito di applicazione dell’azione revocatoria -
nessuno di questi è mai stato approvato. Alla mancata definizione di un
4
organico intervento riformatore ha corrisposto, per contro, l’adozione, da
parte del Governo, di una serie di provvedimenti in via d’urgenza.
Per far tempestivamente fronte ad alcuni gravi dissesti industriali, si è resa
infatti necessaria la regolamentazione di una nuova procedura di risanamento,
applicabile in origine ad imprese di grandissime dimensioni e
successivamente estesa, attraverso la riduzione dei parametri di accesso,
anche a quelle di dimensioni minori.
Il Governo è intervenuto sulla legge fallimentare il 17 marzo 2006, mediante
l’approvazione di un decreto legge che ha modificato la disciplina delle
revocatorie e del concordato preventivo e ha introdotto, in maniera del tutto
innovativa nel nostro ordinamento, la disciplina degli accordi stragiudiziali
per il superamento della crisi di impresa.
Le imprese hanno pertanto accolto favorevolmente la delega, contenuta nella
legge di conversione del citato DL n. 35/2005, che, utilizzando i lavori e le
esperienze delle diverse Commissioni di studio, ha introdotto alcuni
importanti principi per la riforma delle procedure concorsuali, in larga parte
rispondenti alle istanze avanzate da Confindustria nel corso degli ultimi anni.
I principi di riforma fissati nel provvedimento di delega riguardano, per la
verità, solo alcuni aspetti della disciplina concorsuale. La tecnica prescelta dal
legislatore è stata, infatti, quella di modificare il testo del 1942 e non di
introdurre ex novo una autonoma e completa legge di riforma.
L’aver operato su un impianto normativo dotato di una sua organicità e solo
in parte modificabile ha certo sacrificato l'introduzione di una riforma
sistematica, lasciando così privi di regolamentazione,una serie di aspetti
particolarmente importanti.
Ad esempio, la legge delega non è intervenuta sulla disciplina penale. Ciò
che darà luogo ad una divergenza tra la disciplina civilistica, improntata ad un
approccio più attento alle esigenza di una moderna economia di mercato, e
quella penale, fondata invece su una visione ormai superata del fallimento. Un
5
progetto di riforma complessivo avrebbe dovuto ridefinire anche, le condotte
penalmente rilevanti, coordinare la disciplina dei reati fallimentari con le
nuove norme sui reati societari e graduare la pena in ragione della gravità
della condotta posta in essere e dei soggetti attivi del reato.
Del pari, la legge di delega non regolamenta le crisi nell’ambito dei gruppi di
imprese; un aspetto particolarmente rilevante, se si considera che i recenti
provvedimenti di riforma del diritto societario, hanno per la prima volta preso
in considerazione, dal punto di vista della responsabilità degli amministratori
e della tutela di soci e creditori, il fenomeno della “direzione e
coordinamento” nell’ambito dei gruppi di imprese. Questa carenza è ancor più
grave se calata nella realtà delle imprese italiane, in moltissimi casi strutturate
in forma di gruppo.
Nonostante il carattere parziale del provvedimento di delega, l'attuazione dei
relativi principi rappresenta tuttavia, come si è detto e come avremo modo di
vedere più dettagliatamente nel seguito, un importante intervento legislativo,
che muove verso un concreto miglioramento della attuale disciplina
fallimentare.
Infatti, lo schema di decreto legislativo n.80/2005, recante la riforma organica
della disciplina delle procedure concorsuali, recepisce in larga parte i principi
fissati dalla legge delega.
Il sistema in fase di realizzazione – che si basa sul DL n. 35/2005, sulla legge
delega e sullo schema di decreto attuativo – privilegia le soluzioni contrattuali
alle crisi di impresa, sia nella fase di ristrutturazione/risanamento
dell’impresa, che in quella successiva della sua liquidazione.
Questa valorizzazione dell’autonomia contrattuale produce importanti effetti
di carattere procedurale, a partire da una riconsiderazione del ruolo del
giudice, garante della legalità della procedura e risolutore delle eventuali
controversie, e del curatore e del comitato dei creditori, la cui funzione
6
diventa ora centrale ai fini di una efficace e proficua liquidazione del
patrimonio dell’imprenditore.
Le procedure diventano in questo modo più semplici e rapide, anche grazie ad
una profonda revisione delle regole processuali, ridefinite secondo criteri di
maggiore concentrazione e celerità, e alla individuazione di modalità
innovative di liquidazione degli assetti aziendali.
Altro aspetto innovativo della riforma riguarda direttamente gli effetti del
fallimento sulla persona dell’imprenditore. Lo schema di decreto,
coerentemente con i principi della delega, prevede un’attenuazione delle
sanzioni personali e valorizza le condotte cooperative dell’imprenditore nel
corso della procedura; in particolare, alla collaborazione dell’imprenditore
con gli organi della procedura è collegato il beneficio dell’esdebitazione.
In conclusione, il decreto di attuazione della legge delega rappresenta un buon
risultato di compromesso rispetto alle diverse istanze di riforma. Tuttavia,
sotto il profilo dei contenuti il provvedimento presenta però ancora alcuni
aspetti che necessitano di correttivi, al fine di rendere le disposizioni
pienamente rispondenti al dettato della legge delega e di consentirne così
un’efficace applicazione. Alcuni interventi migliorativi si rendono quindi
necessari, anche in considerazione della necessità di coordinare le nuove
disposizioni con quelle recentemente introdotte in materia di concordato
preventivo e accordi di ristrutturazione dal citato DL n. 35/2005.
7
I CAPITOLO
Natura, caratteristiche e regole del fallimento. Il fallimento in generale
1.1 La nozione di diritto Fallimentare: la legge n. 267/1942: uno sguardo
al passato
La procedura fallimentare ha una duplice natura sia amministrativa-
pubblicistica che di esecuzione collettiva .
Il fallimento, fin dalla sua origine ( risalente al Basso Medioevo) è stato,
infatti, configurato come un istituto volto alla liquidazione generale ed
officiosa del patrimonio di un debitore insolvente, nell’interesse dei suoi
creditori.
I creditori hanno nella procedura fallimentare una influenza determinante, ne
condizionano l’avvio e la prosecuzione con ricorsi ed istanze, esprimono i
loro pareri, sindacano l’operato del Giudice delegato.
Sotto il profilo dell’interesse pubblico, il fallimento persegue anche la finalità
di liquidare aziende dissestate affinché non rechino pregiudizio ad altri
organismi economici
1
.
Esistono attualmente diverse aree normative per la regolamentazione della
crisi d’impresa:
1
ALVAREZ VEGA M.I., Funzione conservativa del ''concurso de acreedores'' nella riforma del diritto
fallimentare spagnolo, in Dir. Fall., n. 3-4, 2004, pag. 761 ss
8
- quella del fallimento applicabile a tutti gli imprenditori commerciali che si
trovino in stato di insolvenza e la cui attività non superi certe dimensioni;
- quella amministrativa riservata alle imprese di particolare rilevanza
economica e sociale oppure che svolgono una specifica attività (assicurativa,
bancaria, di revisione, d’intermediazione fiduciaria e di valori mobiliari,
cooperative ecc. );
- quella prevista dalle procedure concorsuali minori (concordato preventivo
ed amministrazione controllata);
- quella infine privatistica nella quale sono inquadrabili i concordati
stragiudiziali.
L’area fallimentare, ancorata alla disciplina del Regio decreto n. 267 del 16
marzo del 1942, come abbiamo sopra accennato, si ispira ad una finalità
liquidatoria delle imprese insolventi e ad una tutela accentuata dei diritti dei
creditori, determinando altresì uno spossessamento del patrimonio del
debitore.
Tale legge è stata oggetto nel corso degli anni di ripetuti interventi da parte
della Corte Costituzionale - a volte abrogativi, a volte interpretativi - al fine di
adeguare la predetta normativa , via via sempre più datata, al mutato contesto
economico - sociale.
Il disegno di legge sulla riforma del diritto fallimentare presentato nell’ottobre
2000 e non più attuato, proponeva un radicale cambiamento di prospettiva,
considerando l’impresa come un bene economico da tutelare nell’interesse
della collettività e del mantenimento dei livelli occupazionali, introducendo
una procedura cd. “anticipatoria di crisi” ed una successiva di “insolvenza”.
La disamina dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, intesi come
situazioni personali - patrimoniali alle quali il legislatore riconnette
l’applicabilità delle norme fallimentari non può
2
, quindi, prescindere da un
2
Santarelli U. “Commentario del Fallimento” art. 1-22, pag. 5
9
breve excursus degli sviluppi giurisprudenziali che hanno inciso
notevolmente su molteplici aspetti di tali requisiti
3
.
Le istanze innovatrici elaborate da dottrina e giurisprudenza - già di fatto
operative nella prassi di molti tribunali - hanno portato alla presentazione del
disegno di legge n. 1243 ( approvato il 1 marzo 2002 dal Governo) che,
introduce modifiche urgenti al regio decreto 267/42, che incidono - in
particolare per quanto concerne l’ambito dell’odierna lezione - sulla
assoggettabilità a fallimento della piccola società commerciale, sul fallimento
dei soci illimitatamente responsabili di società dichiarata fallita, sul
procedimento per far luogo alla dichiarazione di fallimento.
Prendendo le mosse dall’art. 1 del R.D. 267/42, vediamo che il primo
presupposto per l’assoggettabilità a fallimento è costituito dal requisito
soggettivo. Recita l’Art. 1 : “ sono soggetti alle disposizioni sul fallimento ,
sul concordato preventivo e sull’amministrazione controllata gli imprenditori
che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli
imprenditori”.
Il citato Disegno di legge n. 1243, intende abrogare il comma 2 dell’art. 1, l.
fall-(R.D.16-3-1942-modif.dallaL.20-10-1952,n.1375) che tratta
dell’esclusione del piccolo imprenditore, argomento sul quale ci
soffermeremo più avanti.
Da tale norma scaturisce una nozione di “imprenditore commerciale non
piccolo” la cui esatta definizione ha dato luogo ad infinite dispute dottrinali e
giurisprudenziali, stante la necessità di ricomprendere in tale ambito figure di
non facile assimilazione- che in prosieguo esamineremo singolarmente -
come l’imprenditore agricolo, l’imprenditore intellettuale, l’agente di
commercio , il procacciatore d’affari ed altre figure minori
4
.
3
ARANGAENA DE LA PAZ, Il DL Sulla competitività e la riforma della revocatoria fallimentare in Dir.
Fall., n. 3-4, 2004
4
BONSIGNORI A., L'inattualità del fallimento, in Dir. Comm., 1996, 6 pag. 1081; BUONGIORNO G.,
Universalità e territorialità del fallimento (problemi antichi ma sempre attuali) in Dir. fall. e delle soc.
comm., 1991, 4, pag. 667 e ss.
10