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Per “Anglicanesimo” si intende la forma religiosa ufficiale del
Regno Unito di Gran Bretagna, ovvero quel credo, alla cui difesa ed al
cui mantenimento i sovrani di questo Paese, all’atto dell’incoronazione
da parte dell’arcivescovo di Canterbury, giurano solennemente di
provvedere, che fa riferimento alla “Established Church of England”.
Nessuna tra le fedi cristiane protestanti è probabilmente legata,
nella sua dottrina e nella sua organizzazione, alle contingenze storiche
in cui nacque quanto questa: ancora oggi l’Anglicanesimo reca in sé
tracce evidenti dei pensieri, delle questioni e degli eventi storici che ne
caratterizzarono l’origine e lo sviluppo.
Uno sguardo panoramico alla sua storia è perciò indispensabile,
per comprenderne l’attuale struttura e dottrina.
In tal senso si pone da subito una questione di principio, ovvero
quella dell’individuazione del momento in cui inizia la storia della
Chiesa Anglicana. Ovviamente la risposta a questo interrogativo non
può non far riferimento alla Riforma che nel XVI secolo si sviluppò in
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tutta Europa. E’ questo un fatto sicuro: con la Riforma protestante si
creò uno scisma nella Chiesa d’Inghilterra (fino a quel momento
assolutamente cattolica): quella stessa Chiesa che fino ad allora aveva
vissuto in stretta dipendenza da Roma, cominciò dal Cinquecento ad
avere una vita a sé; cominciò a seguire una strada non solo diversa, ma
addirittura opposta a quella percorsa dalla Chiesa cattolica.
Anche se gli storici non sono concordi nel giudizio sulle cause
dello scisma inglese, una cosa è certa per tutti: la storia
dell’Anglicanesimo ha inizio con Enrico VIII, cioè proprio con quel re
in cui la Chiesa romana credette di trovare un fedele e leale difensore.
Ovviamente in questa breve introduzione non tratteremo nei
minimi particolari tutta la storia dell’Anglicanesimo, ma ci occuperemo
di mettere in luce solo i momenti salienti della formazione e dello
sviluppo dottrinale che esso ha seguito fino al 1603, rimandano per una
trattazione esaustiva ai singoli capitoli su Enrico VIII ed Elisabetta I.
Procedendo con questo obiettivo, possiamo suddividere la
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nostra esposizione in quattro fasi diverse, usando come discriminanti
nella suddivisone i quattro regni di Enrico VIII, Edoardo VI, Maria
Tudor ed Elisabetta I: tutto quello che accadde, storicamente parlando,
dopo il regno di quest’ultima non è che la logica conseguenza di quanto
occorso complessivamente in queste quattro fasi.
1) ENRICO VIII.
La fede di Enrico VIII può essere considerata, e non solo fino
allo scisma del 1534, come leale e sincera: occasione, se non causa, di
tutto il rivolgimento politico e religioso fu una questione personale,
ovvero il desiderio del re di divorziare da Caterina d’Aragona per poter
sposare Anna Bolena, e non motivi di conflitto con il credo cattolico.
Non si può negare certo che i tempi fossero maturi per tale
rivolgimento: la predicazione di Wycleff, verso il 1360, aveva destato
gli animi, ed ora, dopo quasi due secoli, la sua eco ancora non si era
spenta.
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Comunque, di fronte al rifiuto di Clemente VII di concedergli il
divorzio da Caterina, il re decise di cavarsela da solo e, contestando
l’autorità “straniera” del papa di Roma, si autoproclamò Capo della
Chiesa d’Inghilterra.
Malgrado ciò, gli inglesi conservarono allora sostanzialmente la
stessa fede di prima: Enrico VIII non fu infatti un protestante nel senso
classico del termine; non voleva cioè contestare i fondamenti della fede
cattolica, ma solo liberarsi dal giogo del papa.
Purtroppo però, nonostante le intenzioni, le conseguenze del suo
gesto furono fatali, perché con l’Atto di Supremazia del 1534 venne
affermato un principio capace di sovvertire tutto l’ordine di valori su cui
la Chiesa inglese si era basata fino a quel momento.
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2) EDOARDO VI.
Tutto avrebbe potuto aver fine con la morte di Enrico VIII se a
questi non fosse succeduto al trono un bambino, che, proprio per la sua
giovane età, dovette essere sottoposto alla tutela di un reggente. In
questo caso il prescelto fu il protestante Cranmer, il quale, proprio
grazie ad Enrico, anni prima era divenuto Primate d’Inghilterra.
Il regno di Edoardo VI (1547 – 1553), seppur breve, ha
un’importanza decisiva nella formazione storica dell’Anglicanesimo. Fu
un tempo di anarchia totale, di omicidi, di fermenti ideologici, nel quale
tutte le concezioni rivoluzionarie e reazionarie vennero a cozzare fra di
loro. Il governo di un re bambino era infatti l’ideale per chi mirava a
sconvolgere un ordine di cose che, sotto Enrico VIII, era rimasto
sostanzialmente intatto.
L’abilità di Cranmer non tardò a manifestarsi: la soppressione
degli usi e dei riti cattolici, la predicazione insistente di dottrine
protestanti, l’uso della lettura di un passo della Bibbia al posto della
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celebrazione della Santa Messa e perfino l’introduzione di libri tradotti
dal tedesco, lasciavano intravedere l’intenzione di portare il popolo
inglese sempre più vicino alla fede protestante.
Fu infatti sotto Edoardo VI che divenne comune il matrimonio
dei preti, ed anche il culto fu molto cambiato, e le riforme sarebbero con
ogni probabilità continuate se la morte del giovane re non le avesse
bruscamente interrotte.
3) MARIA TUDOR.
Tanto nella storia del Cattolicesimo che in quella
dell’Anglicanesimo il regno di questa regina segna una svolta solo
momentanea (perché, forse in quanto troppo breve ed atroce, fu presto
cancellata da Elisabetta I), eppure assai significativa. Ella infatti fu una
strenua sostenitrice del cattolicesimo e tentò in tutti modi (ortodossi e
non) di ripristinare l’antico credo nel suo paese.
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Ciò fu con molta probabilità dovuto alla sua esperienza
personale, perché ella, figlia della ripudiata Caterina, aveva molto
sofferto da bambina, e voleva forse ora, una volta diventata regina,
vendicarsi di quel protestantesimo che le aveva negato un’infanzia felice
e serena.
Mise a morte parecchi vescovi eretici (fra cui lo stesso
Cranmer); si fece odiare per le sue crudeltà, in cuor suo commesse per
la gloria di Dio e per ripristinare la vera ed un unica fede; il suo regno fu
un insuccesso totale, insuccesso sul quale dovette anche influire il
malcontento creato per il suo matrimonio con il cattolico Filippo II di
Spagna.
Quando ella morì, nel 1558, la sua vita apparve come un
fallimento: non era riuscita a ripristinare il cattolicesimo (ed anzi, con le
sue efferatezze, ella aveva, al contrario, favorito il desiderio di rivalsa
dei protestanti), non aveva portato il suo popolo alla prosperità in
nessun settore, e per di più non lasciava nessun erede.
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4) ELISABETTA I.
Con questa regina si completa il quadro della formazione storica
dell’Anglicanesimo.
Ben presto, infatti, ella mostrò le sue intenzioni, ripristinando il
“Prayer Book” composto da Cranmer, perseguitando allo stesso modo
puritani e cattolici, e distruggendo ogni ricordo del cattolicesimo
reintegrato da Maria Tudor. Ella ruppe poi ogni rapporto con Roma e
procedette alla creazione di una nuova gerarchia ecclesiastica,
eleggendo a vescovo di Canterebury quel Matthew Parker che era già
stato cappellano di Anna Bolena.
La regina procedette poi alla compilazione di una regola di fede
comune, ed allo scopo furono riesumati e rielaborati gli Articoli di Fede
creati nel regno di Edoardo VI. Nascevano così i “39 Articoli”, divenuti
ufficiali nel 1571, in forza di una legge statale.
Grazie a questi ed a molti altri interventi di Elisabetta I (di cui si
parlerà approfonditamente nel terzo capitolo), la Chiesa inglese ricevette
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i suoi tratti fisionomici fondamentali, quelli cioè che, pur con qualche
variazione, si sarebbero mantenuti intatti in futuro.
E’ per questo che il regno di questa grande regina assume un
interesse particolare, tale da trascendere anche l’importanza delle
enormi innovazioni che alla storia d’Inghilterra dovette apportare suo
padre.
CONCLUSIONI.
A questo punto, tracciate le linee generali in cui si muove il
nostro lavoro, possiamo passare all’esposizione vera e propria,
cominciando con una introduzione sulla situazione della Chiesa in
Inghilterra prima dell’ascesa al trono dei Tudor, e passando poi alla
trattazione separata delle innovazioni di Enrico VIII e di Elisabetta I.
CAPITOLO I
LA SITUAZIONE DELLA CHIESA INGLESE
PRIMA DELLA RIFORMA.
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1.1. INTRODUZIONE.
Quando si parla di Riforma Protestante bisogna distinguere il
momento della sua “diffusione” da quello del suo “affermarsi”.
Le cause della sua diffusione sono le stesse del suo sorgere, e
sono molteplici, ovvero: il temporalismo ed il fiscalismo degli
ecclesiastici (che dava occasione a continui conflitti con le autorità
temporali e con le popolazioni); il desiderio degli Stati di appropriarsi
dei beni della Chiesa (i quali ultimi erano in continua crescita, anche a
causa di lasciti non sempre spontanei); il sentimento nazionalista contro
la dipendenza da Roma; lo spirito critico a riguardo delle divergenze
dottrinali e l’esigenza di rinnovamento; la tendenza all’indipendenza
del pensiero e delle azioni dalle regole della fede tradizionale e dalla
morale sicura, nonché dal formalismo, dal legalismo e dal ritualismo;
l’influsso delle precedenti eresie; la lotta letteraria fra umanisti retori
classicheggianti e teologi scolastici; la corruzione e la mancanza di
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vocazione del clero, troppo preoccupato dei suoi interessi materiali (e
perciò privo di ascendente spirituale sulla popolazione);ecc.
Quanto alle cause dell’affermarsi del Protestantesimo, esse
furono preminentemente politiche, poiché il suo trionfo fu favorito o
imposto dalle autorità (nobiliari nei principati e borghesi nelle città
libere), sia a causa dello spirito di indipendenza, nonché, come abbiamo
già accennato, per impadronirsi delle proprietà del clero (ed infatti gli
acquirenti dei beni ecclesiastici furono in seguito i più validi difensori
della Riforma)
1
.
Il popolo, dal canto suo, fu allettato da una serie di innovazioni
e di dottrine a dir poco rivoluzionarie, quali ad esempio l’introduzione
della lingua nazionale nel culto; l’interpretazione privata (cioè
personale) della Scrittura; la giustificazione per mezzo della sola fede;
l’abolizione delle decime, delle astinenze e dei digiuni; ed inoltre anche
dalla obbligatorietà della confessione delle colpe.
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Poiché molte città erano feudi vescovili, esautorando i vescovi, ne prendevano il posto i borghesi, e per
ottenere questo scopo il Protestantesimo costituiva un elemento determinante.
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E’ per tutta questa serie di motivi così complessi che la Riforma
non poté che manifestarsi in maniera diversa in ogni Stato, a seconda
del contesto sociale, politico e culturale cui lo stesso Paese era
pervenuto.
Per ciò che concerne specificatamente il nostro studio, possiamo
affermare che quanto accadde nel regno dei Tudor nel XVI secolo
costituisce uno sconvolgimento delle secolari posizioni fra Inghilterra e
Papato, fra Stato e Chiesa.
Per comprendere meglio l’esatta portata del cambiamento, ma
soprattutto per capire il modo in cui esso si sviluppò, abbiamo ritenuto
opportuno partire da un’analisi dei “precedenti”, cioè dall’ambiente
storico - politico che rese possibile tale mutamento.
La storia, infatti, non procede a salti.
Da un esame delle relazioni anteriori fra Inghilterra e Papato
appare come l’affermazione della supremazia del re sulla Chiesa non
fosse stato un avvenimento isolato, frutto del capriccio di Enrico VIII,
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ma l’epilogo di un lungo processo storico di cui lo scisma del 1534 non
fu che il naturale coronamento.
A sostegno di questa tesi possiamo infatti sottolineare come,
seppure la lotta di predominio fra Stato e Chiesa si estese anche ad altri
Paesi europei, solo nel regno dei Tudor si arrivò ad una rottura con
Roma. Dobbiamo perciò concluderne che l’Atto di Supremazia, per
quanto voluto da Enrico VIII in seguito al rifiuto papale di concedergli
il divorzio da Caterina d’Aragona
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, non può essere interpretato solo da
questo punto di vista; ciò significherebbe essere ciechi di fronte
all’evoluzione del tutto originale che l’Inghilterra seguì rispetto agli
altri Paesi europei.
Del resto, se la Riforma non avesse trovato in quel regno dei
presupposti validi su cui svilupparsi, già con Maria Tudor essa sarebbe
venuta meno.
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Cfr. R. J. BAINTON [1958], La riforma protestante, Torino, Einaudi, p. 256.