4
Fin dagli esordi della sua produzione filosofica, Merleau-ponty
riconobbe nel linguaggio musicale il “modello della significazione”
2
, l’ambito
più idoneo per condurre l’analisi della creatività artistica e, in generale, del
processo di formazione dei significati: con maggior evidenza rispetto alle
altre arti, infatti, la musica testimonia, nell’inseparabilità del senso dalla
concretezza dei suoni e del loro svolgimento, quell’immanenza del contenuto
nel segno
3
che caratterizza la dimensione percettiva originaria dell’essere-nel-
mondo. In Fenomenologia della percezione (1945), Merleau-Ponty dimostrò
infatti che ogni autentico atto espressivo si dà innanzitutto nel vissuto
percettivo della corporeità, in un livello in cui vengono meno le dicotomie
cartesiane
4
, in quell'indistinzione di soggetto e oggetto e di attività e passività
descritta da Arthur Rimbaud nella lettera del “veggente” del 1871, testo che
inaugurò, come riconobbe lo stesso Merleau-Ponty, l’attitudine creativa di
parecchie generazioni di poeti, pittori e musicisti, tra cui lo stesso Schönberg.
Il visibile e l’invisibile, rivisitazione “nella prospettiva dell’ontologia”
5
delle tematiche affrontate nelle precedenti opere, rimanda fin dal titolo alla
contrapposizione platonica tra un mondo intelligibile, invisibile, e un mondo
2
“La musica come modello della significazione – di quel silenzio di cui è fatto il
linguaggio. Musica che dipana [volute] di motivi, avvolti attorno ad un Etwas –
invertendosi, facendo dello sfondo figura e di figura sfondo. Interpretare tutta la
percezione, tutta la sua eloquenza in questo silenzio. In ogni caso la musica, come la
pittura, sta al mondo sensibile come la filosofia al mondo intero” (Nota inedita di
Merleau-Ponty, datata 15 novembre 1959, pubblicata in Chiasmi International 3,
Mimesis, 2001, p. 18).
3
In particolare in alcune pagine della Recherche di Marcel Proust, Merleau-Ponty,
come esporrò più ampiamente nel secondo capitolo, ravvisò l’abbozzo di una sorta di
vera e propria concezione antiplatonica della significazione.
4
La filosofia di Cartesio è la base comune delle due teorie scientifiche osteggiate
da Merleau-Ponty in Fenomenologia della percezione, l’intellettualismo, che tende a
privilegiare l’aspetto soggettivo della percezione, e l’empirismo, che insiste invece
sull’aspetto oggettivo.
5
M. Merleau-Ponty, Il visibile e l'Invisibile, op. cit., p. 186.
5
sensibile, visibile
6
: Merleau-Ponty si ripropose di rivisitare gli esordi del
pensiero occidentale al fine di reimpostarne i presupposti ontologici,
rifiutando innanzitutto la priorità causale dell’Idea sul sensibile,
dell’invisibile sul visibile, e dimostrando la loro coappartenenza ad un’unica,
più fondamentale dimensione esistenziale. Ai dualismi platonico-cristiani
risaliva inoltre quella concezione mimetica
7
del linguaggio che influenzò a
lungo la teoria e la pratica musicale; tuttavia, con il crollo novecentesco di
questo sistema dicotomico, venne meno anche la funzione rappresentativa
8
6
E’ nel Fedone che Platone imposta esplicitamente la dicotomia tra intelligibile e
sensibile in termini di visibile e invisibile: “E non è forse vero che, mentre queste cose
mutevoli tu le puoi vedere e toccare o percepire con gli altri sensi corporei, quelle,
invece, che permangono sempre identiche non c’è altro mezzo di coglierle, se non col
puro ragionamento della mente, perché queste cose sono invisibile e non si possono
cogliere con la vista?” .... Poniamo dunque , se vuoi – egli soggiunse -, due forme di
essere: una visibile e l’altra invisibile” (Platone, Tutti gli scritti, Rusconi, Milano 1991, p.
89).
7
Nello Ione, Platone manifestò inequivocabilmente la sua ammirazione per il
potere creativo dell’arte: l’atteggiamento dell’autore nei confronti della musica e delle
arti in generale presenta tuttavia, nel corso dell’intera sua produzione filosofica,
un’ambiguità di fondo. Come esporrò nel capitolo dedicato a quest’argomento, il
dibattito del Cratilo (il dialogo in cui, attraverso la separazione tra livello eidetico e
pragmatico, Socrate nega valore conoscitivo della musica) rimane aperto: Platone non
propose una soluzione univoca, limitandosi a rilevare le contraddizioni intorno a cui
prendono forma varie posizioni teoriche. Infatti, da una parte la necessità di una
rappresentazione esatta delle cose attraverso il linguaggio (presupposto di una filosofia
improntata sull’intellegibilità e sulla trasparenza dell’Essere) e, dall’altra, l’impossibilità
di cogliere l’aspetto pragmatico generano, come avrò modo di esporre più estesamente
nel capitolo secondo, un paradosso inestricabile entro la cornice ontologica platonica.
8
Un’interessante obiezione a questa concezione di un’arte capace di ripensare il
reale oltre il paradigma imitativo platonico-cristiano viene mossa da Andrea Piras in
una recensione a Il suono incrinato di Lisciani-Petrini: egli riconduce a un conflitto
dialettico di stampo hegeliano il rapporto tra idea ed espressione, interpretando i
risultati della musica e dell’arte del Novecento come un tentativo di ricomposizione
delle due dimensioni in vista del recupero (piuttosto che dell’abbandono, come
sosteneva invece Merleau-Ponty) delle possibilità rappresentative. “In termini filosofici
potremmo dire che accade la frattura tra linguaggio (sia esso quello delle parole, dei
suoni, delle forme sensibili) e l'essere, o meglio, il pensiero dell'essere. Nel tentativo di
superare tale frattura, ma più spesso per dissimulare ogni credenza in una sua
consistenza, gli artisti hanno tentato vari percorsi” (A. Piras, Musica e Filosofia. Il suono
incrinato di E. Lisciani-Petrini, in XÁOS. Giornale di confine, n.2 luglio-ottobre 2002, URL:
6
della musica, giacché il linguaggio armonico-tonale (avviato, soprattutto a
partire dal cromatismo wagnariano, alla sua dissoluzione, operata
definitivamente dall’atonalità schönberghiana) risultava ormai del tutto
incapace di esprimere la specificità del nuovo rapporto instaurato dall’uomo
con un Essere non più identificabile con la sostanza eidetica platonica; come
sintetizzò Paul Klee nella celebre frase che apre La confessione creatrice: "l'arte
non ripete le cose visibili, ma rende visibile"
9
, compenetrandosi, quindi, e
confondendosi con le trame del reale per coglierne dall’interno il dinamismo,
superando così il tradizionale atteggiamento creativo basato sul rapporto
meramente esteriore tra soggetto e oggetto riprodotto. In questa direzione,
maturò in tutte le arti uno "spostamento graduale dal campo dell'estetica a
quello dell'etica, della conoscenza"
10
, verso la profondità di quella
dimensione apertasi oltre le apparenze del visibile e dell’udibile mediante la
drastica rottura nei confronti dei vecchi criteri di rappresentazione e di
verosimiglianza (tema del celebre racconto di Honoré de Balzac Il capolavoro
sconosciuto, del 1831, che “prefigurando gli esiti estremi della crisi primo-
novecentesca della dicibilità” descriveva il “rovesciamento di realtà e
rappresentazione”
11
, nella sintesi tra disegno e colore).
www.giornalediconfine.net/n_2/art_13.htm). Secondo questo punto di vista, quindi, lo
scarto incolmabile tra rappresentazione sensibile e contenuto ideale avrebbe quindi
condotto alla “morte dell'arte” prevista da Hegel, intesa come la perdita progressiva e
irrimediabile della funzione rappresentativa.
9
P. Klee, La confessione creatrice, in M. Spagnol e F. Saba Sardi, Teoria della forma e
della figurazione, vol. I, Feltrinelli, Milano 1976, p. 76. La stessa formula veniva impiegata
da Erwin Straus a proposito della pittura di paesaggio: essa "non rappresenta ciò che
vediamo, o meglio, ciò che notiamo osservando una determinata regione, bensì - e il
paradosso è inevitabile - essa rende visibile l'invisibile, però come un che di lontano" (E.
Straus, Vom Sinn der Sinne, Springer, Berlin 1956, p. 340).
10
M. Luzi, Discorso sulla poesia del Novecento, in "il Pensiero", 1997/I, p. 7.
11
Cfr. S. Pietri, “Le Chef-d’ouvre inconnu” e la poetica del genio in Balzac, in “Studi di
estetica”, 16, 1997.
7
In questo contesto, Arnold Schönberg e i suoi allievi Alban Berg e
Anton Webern, si adoperarono, nella ricerca di una “nuova sonorità” volta
ad “esprimere sentimenti nuovi e inauditi”
12
, a cogliere il senso della crisi
globale nella quale il crollo del fondamento ontologico platonico-cristiano
aveva gettato la cultura occidente. Con l’emancipazione della dissonanza,
stabilita l’equivalenza gerarchica tra le note del totale cromatico, Schönberg
svincolò il materiale compositivo dalle leggi di attrazione tonale recuperando
in tal modo quell’autenticità espressiva che rischiava di venir compromessa
dal ricorso ad un linguaggio ormai saturo: si aprirono insomma di fatto
quelle sconfinate possibilità che il compositore aveva legittimato a livello
teorico nel suo Manuale di armonia, scritto tra il 1909 e il 1911, definito da
Luigi Rognoni “una vera e propria fenomenologia della tecnica musicale
continuamente soggetta alle modificazioni dell’esperienza viva dell’arte”
13
,
opera in cui la pretesa universalità e naturalità del sistema armonico-tonale
veniva confutata mediante la storicizzazione, e quindi la relativizzazione,
delle sue leggi e dei suoi concetti fondamentali (tra i quali innanzitutto la
distinzione tra consonanza e dissonanza). Le prime composizioni prive di
centro tonale incontrarono la resistenza delle abitudini uditive consolidate
del pubblico, suscitando incomprensioni e aspri dissensi: l’“improvviso
smarrimento”
14
causato dalla novità assoluta di queste opere, come ha
rilevato Adorno
15
, risiedeva innanzitutto nella presentazione non mediata, e
per questo provocatoria e inaccettabile, dell’angoscia; in termini non
12
A. Schönberg, Manuale di armonia, II, Il Saggiatore, Milano 1963, p. 500.
13
L. Rognoni, Fenomenologia della musica radicale, Milano, Garzanti, 1974, p. 113.
14
L. Rognoni, La scuola musicale di Vienna, Einaudi, Torino 1974, p. 40.
15
Come suggeriva Adorno, il meccanismo può essere spiegato in termini
psicanalitici (le stesso Schönberg, d’altronde, non fu del tutto indifferente alle coeve
scoperte freudiane) come rifiuto, da parte della coscienza collettiva, di un rimosso che
erompeva senza filtri formali.
8
dissimili, Henri Maldiney ricondusse l’effetto spaesante dei paesaggi di Paul
Cézanne (di cui Merleau-Ponty si occupò in particolare nel saggio sulla
pittura L’occhio e lo spirito) alla loro capacità di restituire allo sguardo dello
spettatore l’impatto disorientante dell’incontro originario dell’uomo con il
mondo in quel livello pre-oggettivo nel quale è possibile percepire le cose nel
loro stato nascente, e nel quale, soprattutto, ha luogo l’esperienza-limite
dell’angoscia, possibilità autentica d’accesso a quel nulla spaventoso
subentrato con il venir meno del fondamento ontologico platonico-cristiano.
L’atonalità metteva infatti in discussione la fiducia plurisecolare nella
naturalità del sistema armonico-tonale (corrispettivo musicale della fiducia
in un’Essere eterno e immutabile), riaccendendo un dibattito sulla naturalità
o la convenzionalità dei codici che rimanda, in termini filosofici, alle
tematiche affrontate fin dal Cratilo, l’opera platonica in cui ebbe luogo quella
separazione tra livello eidetico e livello pragmatico che la fenomenologia, a
partire da Husserl, e certa arte e musica di inizio Novecento si sforzarono di
ricomporre.
La svolta decisiva della carriera compositiva di Schönberg, il
passaggio dall’atonalità alla dodecafonia, venne spiegato da Theodor
Adorno, in Filosofia della musica moderna, secondo una prospettiva dialettico-
sociologica. Venuto a mancare, con l’abolizione del centro tonale, qualsiasi
criterio costruttivo, l’estrema contrazione ed essenzializzazione che ne
conseguì (il cui esito più radicale era la forma aforistica di composizioni
come l’op. 19) sembrava aver ormai condotto l’esperienza atonale ai limiti del
silenzio e dell’annichilimento. A questo punto ebbe luogo il movimento
dialettico decisivo: dalla libertà assoluta dell’atonalità, risultato di un
desiderio di controllo totale sul materiale compositivo, si ricadde
nell’altrettanto totale costrizione della dodecafonia, la tecnica inventata dal
musicista, paradossalmente, proprio per realizzare pienamente quello stesso
9
controllo. Rivoluzione mancata, insomma, la musica atonale "nonostante le
pretese di un radicalismo estremo ... ha finito per rientrare nell’orizzonte
delle apparenze, dei valori sicuri"
16
: il progressivo esaurirsi del potenziale
eversivo iniziale determinò così la ricaduta in quello sterile tecnicismo
combinatorio che, stando al giudizio espresso dal filosofo nel 1954 in un altro
celebre saggio, Invecchiamento della nuova musica, caratterizzerà anche le
avanguardie postweberniane.
La demonicità di questo rovesciamento fu colta pienamente nel
romanzo di Thomas Mann, Doctor Faustus (1947)
17
, nel cui protagonista,
Adrian Leverkuhn, l’autore riassunse molti tratti della personalità e della
teoria musicale di Arnold Schönberg, offrendo una nuova chiave di lettura di
quelle problematiche filosofiche, morali e politiche connesse al rapporto tra
naturalità e artificialità, tra libertà e necessità, che le innovazioni del maestro
della seconda scuola viennese avevano riproposto. L’atonalità, celebrata
16
A. Serravezza, Filosofia, società e musica in Th. W. Adorno, Dedalo, Bari 1976, p.
224. Pierre Boulez, esponente radicale dell’avanguardia postweberniana, sostenne che
Schönberg, con il passaggio dall'organizzazione tonale all'organizzazione seriale, non
fece altro che erigere "opere simili a quelle dell'universo sonoro appena abbandonato"
(P. Boulez, Note di apprendistato, Einaudi, Torino 1968, p. 236). “I giovani delle ultime
generazioni di musicisti non riconoscono in Schönberg un maestro, e alla rivoluzione
dodecafonica della scuola viennese attribuiscono un valore del tutto marginale. La
dodecafonia per essi non è altro che l’estrema propaggine di un mondo musicale che
appartiene per intero al passato e che essi rifiutano. La dodecafonia non ha rinnegato il
diatonismo; la serialità applicata solo all’altezza delle note è un modo di reintrodurre il
tematismo che rievoca il mondo musicale di ieri, con la sua retorica, con il suo
ineliminabile soggettivismo, con il suo formalismo, con le sue convenzioni più o meno
stereotipe, e soprattutto è una riconferma della concezione della musica come discorso
coerente, cioè come linguaggio” (E. Fubini, L'estetica musicale dal Settecento a oggi,
Einaudi, Torino 1987, p. 358).
13
"Nonostante le ‘affinità’ che Mann dichiarò di aver trovato in Adorno alla
lettura del saggio su Schönberg ancora manoscritto, è opportuno tener distinto il
pensiero del filosofo dalla sottile e suggestiva interpretazione letteraria data dal grande
scrittore tedesco alla crisi della musica come crisi di una civiltà e dal significato
‘demoniaco’ attribuita all’individuazione dodecafonica" (cfr. L. Rognoni, La musicologia
filosofica di Adorno, saggio introduttivo a Th. W. Adorno, Filosofia della musica moderna,
Einaudi, Torino 1975).
10
come una vittoria dello spirito sulla materia, realizzava di fatto la liberazione
dalla necessità naturale “impedendo attivamente alla tonalità di
manifestarsi”
18
, mediante accorgimenti volti intenzionalmente, come osserva
Hans Einrich Eggebrecht, a paralizzare, tramite l’uso sistematico ed esclusivo
di dissonanze, la tendenza spontanea dei suoni a risolversi in consonanze;
con l’invenzione della tecnica dodecafonica, Schönberg perfezionò e
razionalizzò questa tendenza prescrivendo che ciascuna delle dodici note
non venisse ripetuta prima della conclusione della serie, in modo da evitare
che, con il costituirsi di un primato gerarchico di un suono rispetto agli altri,
si ripristinasse la funzione centripeta della tonica. La demonicità di Adrian
Leverkuhn consisteva appunto nella tentazione demiurgica di una creatività
assoluta: stabilita a proprio arbitrio la serie ancor prima di accingersi alla
composizione vera e propria, il musicista aboliva la differenza tra artificiale e
naturale
19
.
Calore e gelo dominavano entrambi nella sua opera, e talvolta nei momenti
più geniali, si compenetravano, di modo che l’’espressivo’ afferrava il rigido
contrappunto, l’oggettivo si tingeva di sentimento, e si aveva l’impressione
di una costruzione arroventata che, come nessun’altra cosa, mi suggeriva
l’idea del demoniaco
20
.
Il protagonista del Doctor Faustus si esimeva così dalla sottomissione
alla natura, ricreandola dall'interno come produzione sua, artificialmente,
18
H. H. Eggebrecht, Musica in Occidente, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p. 629.
19
"Tentazione che si può ben qualificare come demoniaca, se si assume a
caratteristica della demonicità, la tendenza di far apparire qualche cosa come ciò che
non è" (R. Vlad, Demonicità e dodecafonia, Archivio di filosofia, Roma 1955, p. 88).
20
Th. Mann, Doctor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkuhn narrata
da un amico, Mondadori, Milano 1980, p. 221.
11
combinando l'intensità espressiva con la minuziosa esattezza della tecnica
21
:
questa sintesi demoniaca di naturalità e artificialità, di libertà espressiva e
coercizione tecnica, riproponeva in termini nuovi la dialettica adorniana,
aprendo una nuova, feconda possibilità interpretativa di quel miracoloso
“farsi uomo della dissonanza”
22
che Leverkuhn realizzò attraverso un patto
diabolico in base al quale la rigenerazione veniva offerta in cambio del
sacrificio (a questo proposito, va ricordato che la vicenda del Doctor Faustus si
colloca sullo sfondo storico-politico della frantumazione del sogno di
egemonia del popolo tedesco e del suo capovolgimento nella barbarie del
nazismo hitleriano
23
).
Il concetto di autenticità, connesso da Adorno alla scelta
schönberghiana di un confronto diretto e polemico con la crisi epocale,
nettamente contrapposta alla via inautentica, rappresentata da Igor
Stravinskij, dell’accettazione e del rispecchiamento passivo di quella
medesima crisi, consiste, in termini musicali, nella capacità di un’espressione
non trasfigurata del dolore e dell’angoscia, in quella coraggiosa rinuncia alla
loro rimozione psicologica che ha il suo corrispettivo, a livello compositivo,
nella rinuncia alla conciliante compiutezza formale. L’angoscia veniva
21
"Se il nuovo linguaggio formale fosse presentato semplicemente come tale, il
fatto di essere prodotto di una assoluta posizione demiurgica umana sarebbe di una
satanicità, per dir così, innocua. E' la presunzione di trovare, per quella strada formale,
artificiale, la natura stessa della vita, la profondità del nostro essere, il significato
dell'universo, ciò che rende quell'assunto esplicitamente luciferino" (V. Mathieu, Il
demoniaco nella musica, G. Giappichelli, Torino 1976, p. 64).
22
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1972, p. 162. “il musicista
dionisiaco è senza alcuna immagine, egli stesso totalmente e unicamente il dolore
originario stesso e l’eco originaria di esso” (Ibid., p. 42).
23
“La storia del musicista Leverkuhn è ... emblematica per le vicende dell’anima
tedesca, che ripiegandosi su se stessa a scrutare le proprie profondità si è illusa di
potersi innalzare sul mondo ed è finita ‘in un’ubriacatura e convulsione di arroganza e
criminalità’ consegnandosi alla barbarie del nazismo” (G. di Stefano, La vita come musica,
Saggi Marsilio, p. 241).
12
tuttavia interpretata da Adorno, in chiave marxista, come una conseguenza
dell’alienazione, cioè come mancata presa di coscienza, o tutt’al più
presentimento sonnambolico, della fondamentale dimensione socio-
economica del vivere e dell’operare: l’esperienza atonale, pur testimoniando
autenticamente questo malessere, rimaneva perciò confinata nella pura
negatività di una fase dialettica destinata al superamento. Questa
interpretazione ignora tuttavia il potenziale conoscitivo e rivelativo
dell’angoscia, fondamentale esperienza di verità secondo una tradizione
esistenzialista inaugurata da Kierkegaard e ripresa in particolare da
Heidegger in Essere e tempo. Sotto questa prospettiva, anche il concetto
adorniano di autenticità necessita di una revisione: Merleau-Ponty, in
Fenomenologia della percezione, rapportò l’autenticità espressiva alla
fondamentale dimensione percettiva dell’essere-nel-mondo, proponendone
un’interpretazione del tutto conforme, come cercherò di dimostrare, alle
intenzioni
24
e agli esiti della musica di Schönberg.
Nella sua interpretazione dell’espressionismo musicale
25
, Luigi
Rognoni operò un’interessante sintesi tra il sociologismo di Adorno e la
fenomenologia husserliana.
24
Dedicherò un’attenzione particolare a quegli scritti di Schönberg nei quali è
possibile rintracciare espliciti riferimenti all’attività percettiva, intesa come terreno
privilegiato della ricerca di un accesso al vero essere delle cose, secondo una concezione
che ha un diretto riscontro nella sua produzione teatrale e il cui significato presenta,
come cercherò di illustrare, notevoli affinità con il percorso merleau-pontyano di
individuazione della dimensione carnale della profondità.
25
L’approccio fenomenologico proprio di Rognoni è stato tentato anche dallo
studioso e compositore francese René Leibowitz, secondo il quale "solo ponendoci in
una prospettiva fenomenologico-esistenziale saremo in grado di comprendere ciò che
costituisce la novità peculiare della tecnica dei dodici suoni" (R. Leibowitz, Introduction à
la musique de douze sons, L'Arche, Paris 1949, trad. it. Fubini). Leibowitz, come Rognoni,
aveva individuato nel metodo compositivo di Schönberg un'operazione di riduzione
fenomenologica tipicamente husserliana, di messa tra parentesi dell'universo musicale
che consentisse una sua totale riorganizzazione intenzionale.
13
L’atonalità, liberando l’intenzionalità creativa del soggetto, in crisi a
causa della sedimentazione dei linguaggi, conseguenza del processo di
mercificazione messo in luce dalla dialettica marxista, spezzò il circolo
vizioso dell’alienazione recuperando l’immediatezza dell’espressione
autentica:
La crisi della soggettività era già stata chiaramente intravvista da Marx
attraverso la riduzione dell’individualità operante nella collettività a forza-
lavoro anonima e ‘morta’ e quindi alla degradazione dell’esistenza
dell’operaio ‘alla condizione di esistenza di ogni altra merce’
26
.
Il fallimento dialettico descritto da Adorno appariva, alla luce della
posizione di Rognoni, come una sorta di improbabile “movimento
intenzionale invertito”
27
attraverso cui la volontà creativa del musicista
avrebbe inspiegabilmente rinunciato al controllo assoluto sulla
composizione, accontentandosi di operare all’interno della pre-datità del
materiale e delle sue leggi: in tutt’altra direzione si mosse invece
l’espressionismo, realizzando quel ritorno alla soggettività auspicato dalla
fenomenologia husserliana. Questa tesi trova una decisiva conferma nelle
teorie del Blauer Reiter, movimento fondato da Wassily Kandinskij, insieme
con Schönberg e il pittore Franz Marc, che si proponeva l’indagine delle
connessioni tra suono e colore, percezione visiva e percezione auditiva, per
far “crollare i muri divisori fra le arti” e dimostrare così che “il problema
dell’arte non è un problema delle forme ma un problema del contenuto
26
L. Rognoni, Fenomenologia della musica radicale, op. cit, p. 191 (con riferimento a
E. Paci, Fenomenologia e obiettivazione, in “Giornale critico della Filosofia italiana”, fasc. II,
1961, pp. 143 sgg. che cita Marx dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, trad. it di N.
Bobbio, Torino, 1948, pp. 27-28).
27
Ibid., p. 77.
14
spirituale”
28
, che cioè, al di là della specificità delle singole arti, ciascuna
trovava la propria vera ragion d’essere nella soggettività ispirata, base
comune, pertanto, di un rinnovato dialogo tra i diversi linguaggi artistici:
nell’ambito di queste esperienze si inscrive il dramma musicale per baritono,
coro e orchestra La mano felice che, proprio nel tentativo di stabilire un più
intimo e motivato nesso tra le varie componenti dell’opera, segnava il
definitivo distacco dalla concezione wagneriana. Sulla scia di questi
esperimenti si colloca inoltre la tecnica vocale più tipicamente
schönberghiana, lo Sprechgesang, anch’essa interpretata da Rognoni come un
ritorno a quella dimensione prelinguistica e preconcettuale nella quale è dato
alla soggettività creatrice di operare liberamente: il canto parlato, rivisitando
il rapporto vigente tra testo e musica, consentiva infatti di trascendere i limiti
convenzionali del linguaggio verbale per attingere a quel significato
emotivo-gestuale, immanente all’essere sonoro e articolatorio della parola, di
cui Merleau-Ponty trattò ampiamente.
A Luigi Rognoni va inoltre ascritto il merito di aver riconosciuto la
continuità e la comunanza di intenti tra le composizioni atonali
schönberghiane e le sue successive opere dodecafoniche, al contrario di
Adorno, il quale vide invece, come ho accennato, una rottura radicale tra le
due esperienze compositive:
Si suole ... localizzare nell’immediato dopoguerra il periodo di una nuova
organizzazione ‘razionale’ dello spazio sonoro mediante la dodecafonia, con
la quale la posizione espressionista verrebbe ormai abbandonata come
un’esperienza storica conclusa ... Eppure il fondamento espressionista, sia
28
G. P. Minardi, Il cavaliere azzurro e la scuola di Vienna, «Quaderni del Teatro
Regio», XXII, Parma 1989, p. 203.
15
come dimensione morale, sia come caratterizzazione di mezzi ‘espressivi’
non si smentisce affatto nello Schönberg dall’op. 25 al Moses und Aron
29
.
Pur avendo rilevato la centralità della dimensione percettiva nella
creazione artistica, Rognoni era tuttavia convinto, sulle orme di Husserl, che
“partire dalla percezione vuol dire cominciare sempre ... dal soggetto”
30
: la
sua interpretazione dell’espressionismo e della dodecafonia risentiva
insomma, come cercherò dimostrare, di quelle medesime contraddizioni che
Merleau-Ponty rilevò nel pensiero husserliano.
Così scriveva Claude Lefort nella sua postfazione a L’occhio e lo spirito:
E’ certo che il rifiuto di seguire Husserl nell’elaborazione di un nuovo genere
di idealismo deriva dall’analisi delle contraddizioni nelle quali un simile
tentativo si dibatte, nessun dubbio che esso si fondi anche sull’osservazione
dei paradossi di cui si nutrono l’espressione, l’arte e la pittura in particolare.
Questa non si adagia nell’illusione di un puro ritorno all’esperienza muta, di
una messa a nudo delle peculiarità in cui si riconoscerebbe l’opera della
coscienza trascendentale. Il lavoro del pittore persuade Merleau-Ponty
dell’impossibilità di dividere la visione e il visibile
31
.
Merleau-Ponty, sul cui pensiero alcuni inediti husserliani esercitarono
una notevole influenza, mise in discussione fin dagli esordi della sua
produzione filosofica la possibilità di una riduzione totale del mondo alla
coscienza trascendentale
32
, individuando una dimensione esistenziale
30
L. Rognoni, Fenomenologia della musica radicale, op. cit., p. 217.
31
M. Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito, SE, Milano 1989, p. 74.
32
“Se noi fossimo lo spirito assoluto, la riduzione non sarebbe problematica. Ma
poiché invece noi siamo al mondo, poiché anche le nostre riflessioni prendono posto nel
flusso temporale che cercano di captare... non vi è pensiero che abbracci tutto il nostro
pensiero” (Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003, p. 23).
16
primaria e originaria rispetto a quei dualismi di stampo platonico di cui la
fenomenologia di Husserl conservava ancora le tracce.
In una prospettiva merleau-pontyana, non è allora l’husserliano
ritorno al soggetto il vero scopo delle ricerche di musicisti e pittori di inizio
Novecento, bensì l’esplorazione della profondità invisibile e inudibile che
costituisce il tessuto carnale del reale, nel problematico tentativo di un
superamento della limitatezza e della parzialità cui ogni cosa e ogni
soggettività sono costretti (argomento di La Scala di Giacobbe
33
, oratorio di
ispirazione biblica, il cui testo risale al 1917 e su cui Schonberg lavorerà fino
al 1950 senza ultimarlo): la profondità, dimensione nella quale tutti gli
opposti si trovano reciprocamente implicati in un rapporto di chiasma,
detiene un primato ontologico sia rispetto all’oggetto sia, soprattutto, rispetto
al soggetto, giacché presiede, mediante la reversibilità, al costituirsi di
entrambi. Fin da Fenomenologia della Percezione, Merleau-Ponty dimostrò
infatti che, così com’è errato ridurre il percepito a pura passività, cioé a
correlato dell'attività percettiva di un soggetto, altrettanto errato è ridurre il
soggetto a puro recettore, vuota apertura all’esistenza oggettiva del mondo.
La cosa percepita, lungi dal possedere la determinatezza di un oggetto, si
configura piuttosto come una concrezione provvisoria e mutevole, un nodo
dell’ampia trama del sensibile che vive esclusivamente delle connessioni con
ciò che la circonda: questa complessa interrelazionalità definisce il livello
esistenziale pragmatico, la cui esclusione dall'impalcatura ideale platonica
produsse l’inestricabile paradosso del Cratilo, di cui mi occuperò nel capitolo
33
Così Alan Philip Lessem sintetizza il contenuto di quest’opera: "visione di una
lotta spirituale che coinvolge l'intera specie umana nel suo passaggio attraverso il ciclo:
agonia, morte e rinascita. Gli individui, colti in varie fasi del loro sviluppo etico e
personale, descrivono e difendono le loro ambizioni, le tribolazioni e i successi, e,
ciascuno è preparato dall'arcangelo Gabriele, consigliere e giudice, ad affrontare la
morte e la reincarnazione" (A. P. Lessem, Schönberg espressionista. Il dramma, il gioco, la
profezia, Marsilio, Venezia 1988, p. 228).