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Poche parole, ma una dedica speciale: all’”Italia Migliore”, quell’Italia che lavora o
che cerca lavoro. Un lavoro che stia a significare emancipazione, benessere,
realizzazione e soprattutto rispetto
6
Introduzione
La crisi finanziaria e reale che a partire dal 2008 ha tragicamente investito
l’economia globale, sembra aver risvegliato in Italia quello spirito riformista ormai
sopito da molti anni.
In molti si sono interrogati sul da farsi affinché il Paese possa rinascere dal
disastro.
Al centro del dibattito il mercato del lavoro ed in particolare l’articolo 18, cui
sono state attribuite, a torto o a ragione, gran parte delle responsabilità di un sistema
produttivo poco flessibile che non ha saputo rispondere adeguatamente al drastico calo
della domanda.
Oggetto di questo studio è un’analisi scrupolosa della legislazione attinente, tale
da garantire quel bagaglio di conoscenze necessario affinché si comprenda realmente la
situazione italiana.
Inizialmente viene ripercorsa la storia della flessibilità
1
, andando a vedere prima
la disciplina dei licenziamenti e poi la diffusione dei contratti c.d. atipici, esplosi
fondamentalmente a partire dalla fine degli anni novanta, con la progressiva fuga delle
imprese dal lavoro standard a tempo pieno e indeterminato.
Parallelamente si assiste allo sviluppo drammatico del fenomeno del precariato,
che va a toccare la vita di milioni di persone. Il secondo capitolo, di stampo prettamente
economico, affronta questo tema, cercando di estrapolare un legame tra i nuovi
strumenti a disposizione e la diffusione dei lavoratori c.d. outsiders, soggetti ad
un’elevata discontinuità occupazionale, mal pagati e insufficientemente protetti in caso
di disoccupazione. Non solo, in quanto viene mostrato come queste riforme possano
aver inciso negativamente anche sulla performance delle imprese, segnata da un
crescente gap di produttività rispetto ai competitors europei.
La terza parte dell’analisi vede un profondo cambiamento di strategia da parte
delle istituzioni, che abbandonano la flessibilità in entrata per concentrarsi su soluzioni
alternative, in grado di alleggerire le rigidità in uscita dal rapporto.
1
Con la parola flessibilità si intende la regolazione sempre più fine degli assetti aziendali per
massimizzare la capacità di risposta alle richieste di un’economia dinamica.
7
È il caso del Collegato Lavoro e dell’articolo 8 del “Decreto di Ferragosto”,
entrambi ad opera dell’ex Ministro del Lavoro Sacconi. Nel primo caso si cerca di
velocizzare i contenziosi sia incentivando l’utilizzo degli strumenti stragiudiziali, sia
vincolandoli a tempistiche stringenti. Con l’altro provvedimento invece si ripercorre la
via, appena accennata ma incompiuta nel Collegato, del superamento dell’inderogabilità
in pejus di norme di legge e, con questo, la possibilità di prevedere accordi aziendali (o
territoriali) che vadano a detrimento delle tutele in tema di licenziamento.
Il capitolo termina con la più recente Legge 92/2012, c.d. Riforma Fornero, una
normativa dalla portata vasta che interviene direttamente sull’articolo 18, destando non
poche polemiche.
Questa, osservata sotto diversi punti di vista, apre la strada all’ultima parte dello
studio nella quale si valutano gli ultimi provvedimenti nel loro insieme, formulando
ipotesi sull’effettiva utilità di un intervento modificativo della reintegrazione sul posto
di lavoro.
Per poi concludere con delle riflessioni sulle possibili soluzioni da prendere in
considerazione per l’efficientamento strutturale del mercato del lavoro italiano.
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CAPITOLO I
La disciplina dei licenziamenti e la flessibilità in entrata
1.1 L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro
Con una solenne dichiarazione di apertura la nostra Carta fondamentale colloca il
lavoro e i suoi diritti tra gli elementi fondanti della nuova comunità nazionale.
Una scelta di rottura rispetto al passato
2
assunta dal legislatore costituente con
l’intento di riequilibrare il rapporto tra i diversi fattori della produzione, negli anni in
cui la condizione di minor protezione coincideva in larga misura con l’area del lavoro
subordinato
3
.
“Da questo punto di partenza si dipanano poi diversi corollari, in forza dei quali il
lavoro viene considerato più specificatamente nella sua funzione economica e sociale
come destinatario di una tutela particolare proprio in ragione del ruolo centrale che gli è
riconosciuto nella vita associata e, di conseguenza, nel quadro istituzionale, quale forza
propulsiva e dirigente in una società che tende ad essere liberi ed eguali”
4
.
Concetti molto forti che richiamano il principio di uguaglianza “sostanziale”
sancito nell’art. 3, 2° comma, per cui
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
2
Il termine lavoro non compare mai nello Statuto del 1848
3
Art. 2094 c.c. (Prestatore di lavoro subordinato): È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale
alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. La subordinazione viene identificata con la
dipendenza o sottoposizione del debitore al potere del creditore del lavoro e, in particolare, all’autorità
dell’imprenditore; ed infatti il prestatore è vincolato all’osservanza delle direttive e delle altre
disposizioni per la disciplina e l’esecuzione del lavoro impartite dal datore nella sua qualità di titolare del
potere direttivo (art. 2104 c.c.) e disciplinare (art. 2106 c.c.). questo concetto della subordinazione
tecnico-funzionale è riaffermato in negativo dalla norma dell’art. 2222 c.c. (Contratto d’opera): Quando
una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente (…). Mentre
nel contratto d’opera l’oggetto della prestazione è un facere finalizzato al compimento di un’opera o di
un servizio con l’attività prevalentemente personale del lavoratore, nel lavoro subordinato il facere è
finalizzato alla collaborazione e cioè all’utilizzazione dell’attività del debitore, il quale è obbligato a
mettere le proprie energie od opere a disposizione del creditore e della sua organizzazione.
4
Così M. Ruini nella relazione al Progetto di Costituzione, 1947.
9
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
È grazie a queste previsioni che il principio lavoristico assume concretezza e
diviene il nucleo essenziale di qualsiasi intervento mirante a rimuovere i fattori di
esclusione e di marginalità prodotti dagli squilibri sociali e a promuovere ed estendere i
diritti di cittadinanza.
La dimensione sociale entro cui è inserito il principio di uguaglianza esalta il
valore del lavoro come strumento privilegiato di affermazione della dignità individuale,
indissolubilmente collegato al fine dell’integrazione sociale.
Il lavoro è un diritto che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini e per il quale
si impegna a promuovere le condizioni che ne rendano effettivo il godimento” (Art. 4
Cost., 1 co.)
Non si tratta di un diritto già assicurato, ma potenziale, legato agli adempimenti
degli obblighi prescritti alle istituzioni, affinché sia garantito il pieno esercizio del
diritto a svolgere un’occupazione retribuita e il conseguimento del pieno impiego,
attraverso non solo la disciplina del rapporto e del mercato del lavoro, ma anche gli
indirizzi generali della politica economica.
Con questo articolo il legislatore decide di chiudere i principi generali riguardanti
la materia.
Utilizza, non a caso, una norma dalla portata ampia che tacitamente introduce le
norme sul lavoro contenute nel titolo III
5
della Carta, attraverso le quali cerca di
regolare i principali aspetti del rapporto di lavoro con l’intento di superare la storica
posizione di svantaggio del prestatore d’opera rispetto al datore.
Sono disposizioni più dirette, legate alla previdenza, alla formazione, alla
retribuzione e altro ancora, che tuttavia verranno analizzate successivamente e solo in
parte, per non dilungare in trattazioni che, seppur importanti, potrebbero far perdere di
vista il focus dello studio: la compatibilità fra flessibilità e tutele, con particolare
riguardo all’estinzione del rapporto di lavoro.
5
Rapporti Economici
10
1.2 Licenziamenti individuali e sistema sanzionatorio
L’obiettivo sarà ora quello di concentrare l’analisi sulla disciplina post
costituzionale di tutela del lavoratore sul fronte della estinzione del rapporto di lavoro.
Prima di entrare nel dettaglio della norma simbolo, l’articolo 18, è bene premettere
alcune considerazioni storiche.
Superata la fase di riorganizzazione del primo dopoguerra, il sistema produttivo si
rimette in moto. Nonostante le tutele costituzionali i lavoratori non vivono affatto bene
questo periodo, “aggrediti” da una brutale strategia padronale che fa leva sulla
disponibilità di quel grande esercito di disoccupati e sotto-occupati che caratterizza
l’Italia. Divieto di manifestazioni di opinioni politiche, trasferimenti di attivisti,
riduzione dei trattamenti minimi, ambienti insalubri, licenziamenti discriminatori sono
all’ordine del giorno.
La norma cardine in tema di licenziamenti è l’art. 2118 c.c., in virtù del quale
ciascuno dei contraenti poteva recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato
con l’unico obbligo di dare un congruo preavviso, ovvero corrispondere un’indennità
sostitutiva.
A questo si affianca l’art. 2120 c.c. che aggiunge un ulteriore vincolo alla libera
recedibilità. L’indennità di anzianità, che quella norma garantiva ad ogni lavoratore
subordinato nel caso di perdita del posto non a lui imputabile era infatti, in realtà,
un’indennità di licenziamento, disincentivo al recesso unilaterale.
A porre fine a questo sistema provvede, inizialmente, la L. 15 luglio 1966, n. 604,
valida per i rapporti standard
6
, con la quale viene introdotto il principio di
giustificazione del licenziamento. La legge recepisce una disciplina contrattuale già in
uso al tempo, specialmente tra i datori con più di 35 dipendenti, facendone proprio il
campo di applicazione e la tutela obbligatoria, attraverso la quale, nel caso di
licenziamento ingiustificato, il datore è obbligato alla riassunzione o, alternativamente,
al pagamento di una penale a titolo di risarcimento.
6
Così vengono definiti i rapporti di lavoro subordinati a tempo pieno e indeterminato.
11
La nuova normativa si va a sovrapporre all’art. 2119 c.c., riguardante sia i
contratti a tempo indeterminato che quelli a termine, attraverso cui si autorizza
l’interruzione immediata del rapporto in presenza di una giusta causa tale da non
consentirne la prosecuzione neppure provvisoriamente.
Inoltre stabilisce che l’indennità di cui all’art. 2120 c.c. venga pagata al lavoratore
in tutti i casi di cessazione del rapporto, compresi il caso di licenziamento giustificato
da sua colpa e quello delle dimissioni.
Tuttavia, dall’applicazione della norma non si hanno gli effetti sperati, ed il grado
di protezione per il lavoratore anziché aumentare, diminuisce. Ciò è dovuto in
particolare alla trasformazione dell’indennità di anzianità, che perde la natura di firing
cost assumendo la veste di retribuzione differita (dopo la riforma l’indennità non funge
più da disincentivo, dovendo essere pagata comunque a tutti). L’unica sanzione riguarda
l’eventuale condanna a corrispondere un risarcimento in caso di licenziamento
illegittimo, che tra l’altro non interessa tutte le imprese con organico inferiore a 36
dipendenti.
Dopo l’esperienza abbastanza negativa dei primi anni di applicazione della legge
604 del ‘66 interviene lo “Statuto dei Lavoratori
7
”, simbolo dell’insorgenza operaia e
sindacale, attraverso il quale i lavoratori, dopo un ventennio di crescita, riescono
finalmente a incassare la loro parte del “miracolo economico”, realizzando significativi
miglioramenti sia degli ambienti lavorativi che della condizione lavorativa.
L’articolo 18 della suddetta Legge 300 del 20 maggio 1970, rende più severa la
disciplina del recesso, inasprendo la sanzione attraverso l’automaticità della
reintegrazione del lavoratore licenziato illegittimamente, in aggiunta ad un risarcimento
commisurato a tutte le retribuzioni perdute (c.d. tutela reale).
Inoltre ne amplia il campo di applicazione coinvolgendo “per le imprese
industriali e commerciali”, “ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto
autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle
imprese agricole che occupano più di cinque dipendenti. Le norme suddette si
applicano altresì, alle imprese industriali e commerciali che nell’ambito dello stesso
comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo
7
L. 20 maggio 1970, n. 300.
12
ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti.”
8
La tutela viene ulteriormente estesa con la L. n. 108/1990 che prevede il reintegro
per tutte le imprese più piccole nel caso di licenziamento discriminatorio (al quale va
ricondotto, secondo la giurisprudenza, anche il c.d. licenziamento per ritorsione
9
ossia
intimato a seguito di comportamenti sgraditi al datore di lavoro) ai sensi dell’articolo 4
della 15 luglio 1966, n. 604, e dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall’articolo 13 della legge 9 dicembre 1977
10
, considerato nullo
indipendentemente dalla motivazione addotta.
In pratica, con l’articolo 18, a fronte di un licenziamento illegittimo, sia esso
inefficace per mancata osservanza dei requisiti di forma, annullabile per mancanza di
giustificato motivo, o nullo perché discriminatorio o altrimenti vietato, il datore è
condannato sia alla reintegrazione che al risarcimento del danno
11
.
OLTRE I LIMITI SOSTANZIALI
Casi di nullità Vincoli formali e procedurali
Art. 35 d. lgs. 198/2006: le clausole di
qualsiasi genere, contenute nei contratti
individuali e collettivi, o in regolamenti, che
prevedano comunque la risoluzione del
rapporto di lavoro delle lavoratrici in
conseguenza del matrimonio sono nulle.
Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a
causa di matrimonio.
Art. 54 commi 1, 6, 7 e 9 d. lgs 151/2001: le
lavoratrici non possono essere licenziate
dall’inizio del periodo di gravidanza fino al
Art. 2 l. 604/66: il datore (…) deve
comunicare per iscritto il licenziamento al
prestatore di lavoro.
Il prestatore di lavoro può chiedere, entro
quindici giorni dalla comunicazione, i motivi
che hanno determinato il recesso: in tal caso il
datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla
richiesta, comunicarli per iscritto.
Il licenziamento intimato senza l’osservanza
delle disposizioni di cui ai comi 1 e 2 è
inefficace.
8
Art. 35 L. n. 300/1970
9
Da ultimo Cass. 09/07/2009, n. 16155
10
“È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) Subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una
associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) Licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei
trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua
affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti ai fini di
discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata
sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”
11
E. Ghera, Diritto del lavoro, Cacucci Editore, 2011, 192 ss
13
termine dei periodi di interdizione dal lavoro
(…), nonché fino al compimento di un anno di
età del bambino.
È altresì nullo il licenziamento causato dalla
domanda o dalla fruizione del congedo
parentale e per la malattia del bambino da
parte della lavoratrice o del lavoratore.
In caso di fruizione del congedo di paternità
(…) il divieto di licenziamento si applica
anche al padre (…)
Le disposizioni del presente articolo si
applicano anche in caso di adozione e di
affidamento.
Art. 7 l. 300/70: le norme disciplinari relative
alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle
quali ciascuna di esse può essere applicata ed
alle procedure di contestazione delle stesse,
devono essere portate a conoscenza dei
lavoratori mediante affissione in luogo
accessibile a tutti. Esse devono applicare
quanto in materia è stabilito da accordi e
contratti di lavoro ove esistano.
Il datore di lavoro non può adottare alcun
provvedimento disciplinare nei confronti del
lavoratore senza avergli preventivamente
contestato l’addebito e senza averlo sentito a
sua difesa.
Sta proprio qui la grande differenza dalla tutela obbligatoria, in cui il datore
condannato può scegliere tra riassunzione o indennità.
Altro aspetto rilevante è l’entità del risarcimento che, mentre nel secondo caso è
ben definito e può variare da un minimo di 2,5 mensilità fino a un massimo di 6
12
, nel
caso della tutela reale è molto più imprevedibile in quanto, essendo l’indennità
commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
dell’effettiva reintegrazione, è strettamente legato alla tempistica del percorso
giudiziale.
1.2.1 Giustificato motivo oggettivo e discrezionalità del giudice
Se il livello di protezione dipende dall’entità del costo che la legge impone a
carico del recedente, con l’articolo 18 la tutela migliora notevolmente.
Considerando poi la durata lunga dei processi e la scarsa prevedibilità dell’esito
del giudizio, la crescita è esponenziale.
12
Maggiorato fino a 10 per dipendenti con anzianità superiore a dieci anni o a 14 mensilità per quelli
con anzianità superiore a venti
14
Ciò non vuol dire che sia necessariamente un bene per il sistema produttivo, in
quanto si rischia di favorire comportamenti opportunistici da una parte e abusi in frode
alla legge dall’altra.
È opportuno indagare sul significato di giusta causa e giustificato motivo di
licenziamento per avviare in seguito una discussione consapevole sulle problematiche
sollevate a proposito della tutela reale.
Per quanto riguarda la giusta causa, prima dell’entrata in vigore della L. n. 604 del
1966 veniva identificata, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, come ogni fatto che
menomasse il rapporto di fiducia personale tra datore e suo dipendente, tale da
giustificare la risoluzione in tronco del rapporto.
A seguito dell’introduzione della nuova normativa sui licenziamenti individuali,
proprio il carattere della gravità assume principale importanza nel marcare una linea tra
la diverse modalità di giustificazione.
Si genera così l’idea, in gran parte della dottrina e della giurisprudenza, che la
definizione di giusta causa debba essere puntualizzata sul concetto del notevole
inadempimento
13
sul quale si fonda il giustificato motivo soggettivo, e dal quale si
differenzierebbe solo sul piano quantitativo (maggiore gravità)
14
.
Grande merito di chiarificazione va dato ai contratti collettivi che, pur non
essendo considerati elemento vincolante
15
per il giudice, individuano più o meno
precisamente l’elenco delle infrazioni tali da giustificare il licenziamento, con o senza
preavviso
16
.
13
Art. 1455 c.c.:
14
Non si risolve nel mero inadempimento contrattuale, ma si espande ad ulteriori comportamenti pur
esterni al rapporto, ma idonei a ledere la fiducia del datore
15
Anche se lo scostamento della valutazione del giudice va adeguatamente motivato
16
Previsto solo nel caso di licenziamento per giustificato motivo. Nel caso in cui il recedente non
adempia questo obbligo, è tenuto a corrispondere all’altra parte una indennità di natura risarcitoria pari
all’importo delle retribuzioni che sarebbero spettate per il periodo di preavviso