1
Introduzione
Il presente lavoro mette in relazione due temi di grande attualità nel panorama
economico internazionale: il private equity e la crisi economico/finanziaria
globale che ha avuto origine dalla scoppio della bolla speculativa sul mercato
immobiliare statunitense. L‟attività di private equity, il finanziamento privato da
parte di operatori specializzati ad imprese non quotate con alto potenziale di
crescita orientato alla ricerca di un rendimento elevato, funge da collegamento tra
domanda ed offerta di capitali ed è spesso al centro dell‟attenzione dei policy
makers e dell‟opinione pubblica, oltre che degli addetti ai lavori. Tale attività è
infatti oggetto di un apparentemente intramontabile dibattito tra detrattori, che la
condannano come il peggiore frutto del liberismo più sfrenato orientato
esclusivamente al profitto di pochi, e sostenitori, che in essa identificano un
potente strumento di sviluppo il quale, in relazione alla professionalità e alla
bravura degli operatori, può dare origine ad un processo di creazione di valore per
le imprese oggetto di investimento e per i contesti in cui queste vivono ed
operano. Al di là delle opinioni sulla natura dell‟attività di private equity e dei
relativi giudizi, spesso guidati da orientamenti ideologici, il dato di fatto è che
negli anni, in virtù dei numerosi successi raggiunti dagli operatori, l‟attenzione di
fondi pensioni, banche, compagnie assicurative, fondi di fondi, fondazioni
universitarie e fondi sovrani si è orientata sempre di più verso questa tipologia di
investimento diventata ormai una vera e propria asset class per gli investitori
istituzionali, come dimostrano i volumi di raccolta, sempre crescenti nel corso dei
decenni. La crisi economico/finanziaria degli ultimi tre anni, definita da Alan
Greenspan, ex Chairman della Federal Reserve, come lo Tsunami dell‟economia,
evento più unico che raro che ha scosso i mercati finanziari e l‟economia reale
provocando l‟entrata in recessione della maggior parte dei paesi industrializzati ed
il conseguente aumento della disoccupazione e dei deficit pubblici, è ancora oggi
sotto i riflettori dell‟opinione pubblica e degli specialisti e sta attraversando
sviluppi difficilmente ipotizzabili in precedenza.
Nel presente lavoro si vogliono dunque mettere a fuoco le relazioni tra la
recente crisi e l‟attività di private equity, analizzando come la prima abbia
2
impattato sulla seconda ed in particolare sui volumi di raccolta, investimento e
disinvestimento, nonché sulle performance dei fondi, calcolate in termini di
Internal Rate of Return (IRR). L‟obiettivo è da un lato il comprendere come la
crisi si sia trasferita all‟economia reale analizzandone l‟impatto su di un mercato
concreto, per coglierne meglio alcuni aspetti difficilmente comprensibili se si
considerano esclusivamente i dati macroeconomici, dall‟altro evidenziare le sfide
che si aprono per un‟industria, quella del private equity, che è di fatto un ponte tra
i mercati finanziari e quelli reali.
In relazione a questo duplice obiettivo il lavoro è strutturato in tre capitoli. Nel
primo capitolo viene definita l‟attività di private equity andando a declinarne le
principali caratteristiche in termini di sviluppo storico, di strutturazione
dell‟industria, delle tecniche operative, e delle attività principali svolte dagli
operatori. Nel secondo capitolo si affronta il tema della crisi con l‟intento di
delinearne i passaggi fondamentali e gli eventi principali. In particolare si mettono
in evidenza le principali cause ed i principali effetti della crisi allo scopo di fare
chiarezza su quali meccanismi abbiano contribuito a creare un terreno fertile per il
suo sviluppo e per la successiva propagazione. Vengono quindi studiati i
principali interventi a livello politico e monetario dei governi e delle banche
centrali volti ad arginare la crisi e a dare stimolo all‟economia. Nel terzo capitolo,
infine, dopo aver elencato le principali metodologie di calcolo delle performance,
sono messi in relazione i due argomenti implementando un‟analisi di confronto tra
i trend relativi alle attività di raccolta, di investimento e di disinvestimento, oltre
alle performance dei fondi di private equity, registrati negli anni precedenti alla
crisi, e quelli registrati durante la crisi. Nel capitolo si fa costante riferimento ai
dati relativi al mercato globale, a quello statunitense, a quello europeo e a quello
italiano, per avere una maggiore percezione dell‟impatto della crisi. Nell‟ultima
parte del capitolo viene poi analizzato l‟impatto della crisi sull‟attività di due
operatori di primo piano, il primo, Apax Partners, tra i maggiori player globali, il
secondo, Clessidra Sgr, maggiormente concentrato sul mercato italiano.
3
1. Il private equity: inquadramento teorico
1.1 Introduzione
1.1.1 L'attività di private equity: definizione
Il concetto di private equity richiama immediatamente quello di capitale di
rischio o equity, conferito dai soci in diverse forme a fronte della partecipazione
nella società. Più in particolare ciò che contraddistingue questa attività è la
tipologia di investimento: il private equity è l'attività di investimento istituzionale
in capitale di rischio posta in essere da operatori professionisti e specializzati.
Tale attività negli anni ha assunto sfaccettature e modalità operative diverse, a
seconda della congiuntura economica e delle tappe di sviluppo dei diversi mercati,
ma la ratio di fondo è rimasta fondamentalmente la stessa: l'acquisizione di
partecipazioni significative in imprese in un'ottica di medio - lungo periodo, volta
a raggiungere un capital gain in fase di disinvestimento, a fronte della crescita del
valore aziendale.
La European Private Equity and Venture Capital Association (EVCA) definisce
infatti l'attività di private equity come “the provision of equity capital by financial
investors – over the medium or long term – to non-quoted companies with high
growth potential”
1
e, analogamente, l'Associazione Italiana del Private Equity e
Venture Capital (AIFI), con la delibera del Consiglio Direttivo del 22 luglio 2004
ha identificato il private equity come “attività di investimento nel capitale di
rischio di imprese non quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa
oggetto di investimento ai fini della sua dismissione entro un periodo di medio -
lungo termine”
2
.
E' importante, una volta inquadrato concettualmente il private equity, di cui nel
presente capitolo declineremo le principali caratteristiche, mettere in luce la
differenza sostanziale tra le attività di private equity e di venture capital, termini
spesso confusi o usati come sinonimi, e comunque non sempre chiari ai non
addetti ai lavori. In particolare l'approccio americano intende per private equity
1 Cfr. www.evca.eu
2 Cfr. Delibera del Consiglio Direttivo AIFI del 22 luglio 2004
4
l‟attività di investimento in capitale di rischio nella sua globalità, e per venture
capital l'attività più specifica di investimento in imprese in fase di avvio, che
circoscrive, come il buyout, una sotto classe dell'attività di private equity. In
Europa si è invece per lungo tempo intesa l'attività di investimento in capitale di
rischio come suddivisa in due macro aree distinte: il private equity, riguardante
l'investimento nelle imprese in una fase di sviluppo più avanzata e il venture
capital, riguardante l‟investimento in imprese nelle prime fasi di sviluppo. Nel
presente lavoro ci si riferisce alle attività di private equity e venture capital come
definite nella prassi americana, alla luce del “processo di adattamento
terminologico e metodologico agli standard statunitensi in atto”
3
sui mercati
mondiali.
1.1.2 L'impatto economico del private equity
Alla luce della sintetica definizione proposta nel precedente paragrafo è
possibile intuire il rilevante impatto economico del private equity sulle imprese
oggetto di investimento, dette private equity-backed o, in riferimento al venture
capital, venture-backed, e di riflesso sull'ambiente in cui tali imprese vivono ed
operano. Gli operatori di private equity infatti, ricercando un rendimento da
perseguire nel medio - lungo periodo per ripagare l‟alto rischio assunto dagli
investitori, hanno la funzione di selezionare le imprese a più alto potenziale di
crescita, o quelle in cui un proprio intervento possa migliorare l‟efficienza dei
processi, aumentandone le performance e di conseguenza il valore. Lo stesso
apporto di capitale di rischio favorisce di per sé l'accelerazione di tutta una serie di
processi, come ad esempio quelli di investimento e di ricerca e sviluppo. Inoltre
l'essere oggetto di investimento da parte di investitori istituzionali, come gli
operatori di private equity, accresce l'immagine dell'impresa proprio in virtù della
selezione stessa che riconosce un valore intrinseco o comunque latente
dell'impresa target. Il contributo del private equity alle performance delle imprese
oggetto di investimento e alla crescita economica complessiva è misurato in
relazione a molteplici parametri da numerose ricerche annualmente condotte dalle
3 GERVASONI A., Private equity e venture capital, Guerini e Associati, Milano, 2004, p.16
5
associazioni nazionali di categoria in collaborazione con le più importanti società
di consulenza operanti nei singoli paesi. In questo senso una ricerca condotta nel
2009 in riferimento al 2008 dalla statunitense National Venture Capital
Association (NVCA) ha rilevato l'importanza delle venture-backed companies per
l'economia statunitense
4
, sottolineando come queste imprese abbiano
rappresentato l'11% dell'occupazione del settore privato attraverso l‟impiego di
12,1 milioni di persone ed un fatturato pari a 2,9 trilioni di dollari equivalente al
21% del PIL statunitense. In termini di crescita, nel biennio 2006-2008 e dunque
agli albori della crisi ancora in fieri, l'occupazione delle imprese finanziate da
venture capitalist sono cresciute mediamente dell‟1,6% contro lo 0,2% del settore
privato nel suo complesso ed in termini di fatturato si è registrata una crescita del
5,3% contro il 3,5%. Secondo la stessa fonte, il fatto che l'industria del venture
capital guidi la creazione di posti di lavoro e la crescita economica è legata al
sostegno finanziario e professionale che i venture capitalist assicurano agli
imprenditori, incentivando soprattutto il trasferimento dell'innovazione
tecnologica e dei progressi scientifici nei prodotti e servizi che i primi offrono al
mercato.
Spostando l'attenzione sull'Europa, uno studio della British Private Equity and
Venture Capital Association (BVCA) pubblicato nel 2008 per il periodo 2006-
2007 in collaborazione con IE Consulting
5
riguardante l'impatto delle private
equity-backed companies sull'economia inglese, ha prodotto risultati simili a
quelli raggiunti oltre oceano. Le imprese finanziate dal private equity hanno
registrato un tasso di crescita occupazionale medio dell‟8%, percentuale molto
superiore allo 0,4% medio delle imprese appartenenti al FTSE 100 e al 3% di
quelle del FTSE Mid – 250. In termini assoluti queste imprese impiegano circa tre
milioni di persone: il 21% dell'intero settore privato britannico. La ricerca indica
tassi di crescita maggiori alla media per le private equity-backed in relazione ai
ricavi, alle esportazioni, cresciute del 10% contro il 4% medio nazionale, agli
investimenti industriali e a quelli in ricerca e sviluppo. Tutti questi aspetti hanno
un riflesso diretto sull'ambiente in cui le imprese vivono ed operano che mette in
4 Cfr. NVCA, Venture Impact, Fifth Edition, USA 2009
5 Cfr. BVCA, The Economic Impact of Private Equity in the UK, pubblicazione interna, febbraio
2008
6
luce l'impatto positivo del private equity, senza il quale, come affermato dal 91%
delle imprese oggetto di indagine, quei business non sarebbero esistiti o avrebbero
avuto uno sviluppo assai più lento.
Infine si riportano risultati di una ricerca condotta nel 2006 dall'AIFI in
collaborazione a PricewatherhouseCoopers con riferimento al mercato italiano
6
,
caratterizzato da dimensioni ridotte in termini di volumi di capitali investiti, di
numero di operatori e di sviluppo del mercato, rispetto a quello statunitense e
britannico. La ricerca si focalizza sulle performance in termini di occupazione,
ricavi ed EBITDA, di un campione di 70 imprese italiane operanti in diversi
settori che, nel periodo 2002-2004, sono state oggetto di investimento da parte
degli operatori di private equity, per studiare l'impatto economico di tale
l'intervento. I risultati, assai significativi, sono riportati separatamente in relazione
all'area del buyout e a quella del venture capital. Le imprese soggette a buyout
hanno registrato una crescita media occupazionale del 10%, molto maggiore in
relazione allo 0,3% medio delle imprese industriali italiane, benchmark di
riferimento, e all‟1,1% medio nazionale. Anche in termini di crescita del fatturato
la media è stata del 10%, contro il 3,3% del benchmark, mentre l'EBITDA per le
imprese oggetto di buyout è cresciuto del 14,4% a fronte di una decrescita pari al
4,1%. Anche per quanto riguarda il settore del venture capital si sono registrati
tassi di crescita superiori in tutti i parametri considerati: l'occupazione per le
venture-backed è cresciuta mediamente del 6,5%, i ricavi del 24,3% e l'EBIDTA
del 6%.
Nel complesso dunque il private equity anche in Italia ha avuto un effetto positivo
su performance e crescita occupazionale, che nella globalità per le private equity-
backed è stata mediamente dell'8,4% per il periodo di riferimento.
6 AIFI, PRICEWATERHOUSECOOPERS, The economic Impact of Private Equity and Venture Capital
in Italy, pubblicazione interna, marzo 2006
7
1.2 Nascita e sviluppo del private equity
1.2.1 Lo sviluppo del venture capital in USA
Negli Stati Uniti il mercato del private equity, nella sua forma moderna
caratterizzata dalla presenza di vere e proprie private equity firms, si è sviluppato
a partire dagli anni '40, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. In quegli
anni sono state molteplici le iniziative che hanno dimostrato come ormai fossero
maturi i tempi per un'evoluzione dell'attività di finanziamento privato del capitale
di rischio delle imprese. Già con la Rivoluzione Industriale e durante tutto il XIX
secolo infatti grandi famiglie di capitalisti, banche di investimento ed imprenditori
avevano individuato l'importanza dell'attività di investimento in imprese private
per la creazione di valore. L'attività di finanziamento a business privati nei primi
anni del XX secolo fu di fatto dominata dalle grandi famiglie come i Vanderbilts,
i Whitneys, i Morgans o i Rockfellers, che finanziarono la creazione di grandi
imprese private, come la Eastern Air Lines o la Douglas Aircraft. Tuttavia il
mercato dei capitali rimase abbastanza frammentato fino ai primi decenni del XX
secolo
7
.
E' il 1946 l'anno in cui Georges Doriot
8
, francese immigrato negli States per
conseguire un MBA alla Harvard Business School e divenuto cittadino americano
nel 1940, insieme a Ralph Flanders, allora presidente della Federal Reserve Bank,
e Karl Compton, allora presidente del MIT, fonda l'American Research
Development Corporation (ARD), una delle prime società di venture capital con
l'obiettivo di incoraggiare l'investimento privato in attività di business promosse
dai reduci rientrati dalla guerra. Doriot, professore ad Harvard e generale
dell'esercito statunitense durante la guerra, aveva intuito il forte potenziale insito
nei soldati, nella loro voglia di rivalsa e di reintegrazione nella società, e con
l'ARD gettò le basi per lo sviluppo di un mercato, quello del venture capital di cui
oggi è considerato a tutti gli effetti il padre. La creazione dell'ARD, che aveva
come obiettivo il finanziamento dell'applicazione commerciale delle tecnologie
7 Cfr. GOMPERS. P. A., The Rise and Fall of Venture Capital, Graduate School of Business
University of Chicago, Vol. 21, N.2, Winter 1994
8 Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Georges_Doriot
8
sviluppate durante la guerra, diede inizio allo sviluppo di un'attività professionale
costituita dalla raccolta di capitali di terzi, dall'investimento in start up e dal
successivo disinvestimento, e volto a ricercare un rendimento che ripagasse
l'investimento iniziale più che proporzionalmente. In relazione a questo obiettivo
Doriot enucleò alcune regole fondamentali che avrebbero dovuto essere alla base
del processo di investimento e che caratterizzarono l'operato dell'ARD lungo tutto
il periodo di attività. La società di VC doveva:
prendere in considerazione investimenti in nuove tecnologie, market concept
e/o nuove possibili applicazioni di prodotto;
assumere una rilevante partecipazione nel controllo della società;
investire in persone caratterizzate da competenze e integrità morale;
investire in attività che avessero già superato l'early prototype stage e che
fossero adeguatamente protette e difficilmente riproducibili, che avessero la
concreta prospettiva di una via d'uscita in un tempo programmabile e in cui i
venture capitalist avessero potuto apportare un contributo non esclusivamente
finanziario, ma anche strategico e operativo
9
.
L'investimento più importante dell'ARD in cui si è manifestato il successo del
venture capital process sintetizzato da Doriot fu il finanziamento, nel 1957, di
$70,000 alla Digital Equipment Corporation, quotata poi nel 1968 per il valore di
$355 milioni con un ritorno di oltre il 500%
10
.
Il secondo pilastro fondamentale nella storia del private equity americano è poi
lo Small Business Investment Act del 1958 che consentiva alla Small Business
Administration
11
(SBA), agenzia governativa nata nel 1953 per sostenere le
piccole attività, di dare la licenza a delle Small Business Investment Companies
(SBICs) per supportare piccole attività ad alto rischio che non potevano accedere
al mercato del credito per mancanza di garanzie. Le SBICs avevano accesso ai
fondi federali per un ammontare fino a 4 volte il capitale proprio apportato e
9 Cfr. PO CHI W., Fundamentals of the Venture Capital Process, 2001
10 Cfr. GOMPERS. P. A., The Rise and Fall of Venture Capital, Graduate School of Business
University of Chicago, Vol. 21, N.2, Winter 1994
11 Cfr. www.sba.gov
9
dovevano finanziare imprese in fase di avvio. L'emanazione di questo atto mise in
luce come il governo degli Stati Uniti avesse individuato nel sostegno alle piccole
imprese orientate alla crescita un passaggio ineludibile per l'economia americana,
soprattutto, dal punto di vista strategico, nella guerra tecnologica contro l'URSS, e
favorì uno scatto nello sviluppo del mercato del private equity. Tuttavia le
eccessive agevolazioni pubbliche causarono un collasso dei meccanismi di
mercato e l'afflusso di capitali privati stentò a decollare. Negli anni '60 e nei primi
anni '70 il contributo finanziario annuale di questi soggetti fu di pochi milioni di
dollari e si concentrò sulle imprese in fase di avvio
12
. Ciò nonostante, a seguito
dei primi risultati positivi conseguiti dal venture capital, il mercato continuò a
crescere favorendo la proliferazione di imprese di private equity e venture capital
indipendenti come Kleiner Perkins, Sequoia Capital, Caufield & Byers ecc., che
nel 1973 diedero vita alla NVCA. Negli anni '80 il mercato divenne così attrattivo,
per i sempre maggiori successi di imprese venture-becked come DEC, Apple Inc.,
Compaq, Electronics Arts e di molti altri home run, che gli operatori passarono da
poche decine a 650 alla fine del decennio, tuttavia l'ammontare di capitale gestito
dai venture capitalist crebbe di soli 3 miliardi assestandosi intorno ai 31 miliardi
di dollari.
13
1.2.2 Gli anni '80 e '90 in USA: il mercato dei buyout
Gli anni '80 furono caratterizzati dal forte interesse per l'altra grande tipologia di
investimento ricompresa nell'attività di private equity: le operazioni di buyout.
Due eventi fondamentali favorirono questo passaggio. Nel 1978 il dipartimento
del lavoro apportò alcune modifiche alle norme, contenute nell'Employee
Retirement Income Security Act (ERISA) del 1974, che impedivano ai fondi
pensione di investire in operazioni troppo rischiose. Questo fatto, unito alla
riduzione dell'aliquota fiscale sul capital gain dal 49% al 28% favorì un salto
nella raccolta di capitali che passò da 39 a 570 milioni di dollari in un solo anno
14
.
12 Cfr. www.wikipedia.org
13 Cfr. POLLAK A., Venture Capital Loses Its Vigor, The New York time, 8 ottobre 1989
14 Cfr. L. TAYLOR III A., UNGEHEUER F., MORITZ M., Boom Time in Venture Capital, in Time
Magazine, 10 agosto1981
10
Nel 1981 Reagan abbassò ulteriormente l'aliquota fino al 20% rendendo ancora
più attrattivi gli investimenti ad alto rischio
15
.
Il crescente interesse delle società americane di private equity per i buyout può
essere inteso anche come la naturale conseguenza ai primi insuccessi di alcune
venture capital firms che incentivarono molti operatori impauriti ad investire su
imprese più mature, in fase di expansion o di ristrutturazione. In questi anni in
particolare si intensificò molto il ricorso all'indebitamento garantito dagli asset
delle aziende acquisite, e si aprì di fatto la stagione dei Leveraged Buyout (LBO).
Sulla scia delle agevolazioni fiscali e normative nacquero a cavallo tra gli anni '70
e '80 diverse imprese che sarebbero state le protagoniste nelle operazioni di LBO
degli anni a seguire: KKR, Cinven, Forstmann Little & Company, Welsh, Carson,
GTCR, Anderson & Stowe ecc.. Il decennio si aprì con l'acquisizione della Gibson
Greetings nel Gennaio del 1982 al prezzo di 80 milioni di dollari di cui solo 1
milione fu apportato dalla Wesray Capital Corp. che concluse un'IPO del valore
di 290 milioni di dollari solamente sei mesi più tardi, realizzando un capital gain
di 66 milioni di dollari
16
. Nel 1983 ci furono 36 operazioni di LBO per un valore
di 7 miliardi di dollari
17
, in tutto il decennio se ne registrarono oltre 2000 e
l'industria del private equity crebbe di circa 2,4 miliardi di dollari all'anno.
L'ultima grande operazione di LBO di quegli anni fu anche la più grande
operazione passata alla storia in termini di prezzo reale pagato: il takeover di RJR
Nabisco chiuso nel 1989 da KKR per 31,1 miliardi di dollari dopo una feroce
scalata che vide il prezzo delle azioni saltare dalla prima offerta di 79 dollari a
quella finale di 109
18
.
A una fase di grande espansione seguì nei primi anni '90 un periodo di crisi
principalmente legato alla tensione sul mercato degli high yield bond
19
. Il collasso
15 Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Economic_Recovery_Tax_Act_of_1981
16 Cfr. L. TAYLOR III A., ZAGORIN A., REDMAN C., Buyout Binge, in Time Magazine, Jul.16, 1984
17 Ibidem
18 Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/History_of_private_equity_and_venture_capital
19 Obbligazione a cui le maggiori agenzie di rating assegnano la classe di rating BB+ o inferiore e
le obbligazioni di qualità equivalente. A causa della loro scarsa qualità di credito gli high yield
bond offrono un rendimento maggiore rispetto ai titoli con una migliore solvibilità, ma
comportano anche rischi più elevati. Gli high yield bond vengono prevalentemente emessi
dalle società e dai mercati emergenti. Cfr. www.ubs.com
11
di Drexek Burnham Lambert, la principale banca di investimento che aveva
sostenuto il boom del private equity durante gli anni '80, a causa di alcuni scandali
legati ai suoi principali dirigenti, fu il primo passo verso la crisi del mercato dei
junk bond
20
. Il tasso di default degli high yield bond passò dal 2,2% del 1988 al
6,9% nel 1990, provocando un forte aumento del costo del debito e il conseguente
rallentamento delle operazioni sostenute dalla leva finanziaria.
La crisi fu comunque superata e dal '92 fino al marzo 2000 la raccolta di capitali
passò dai 20,8 miliardi di dollari a 305,7 miliardi. La scoppio della bolla internet,
che travolse principalmente l'area del venture capital, ebbe comunque un effetto
devastante anche per il mercato dei buyout ed in particolare per il mercato del
LBO. Le imprese di private equity avevano infatti investito nel mercato delle
telecomunicazioni sia a livello di early che di late stage. Il crollo del mercato ICT
favorì una crisi di fiducia degli investitori che si concretizzò in una drastica
riduzione delle operazioni in termini numerici e di valore complessivo. Nel 2001,
per la prima volta nella storia del private equity, il mercato europeo dei buyout
superò quello americano in termini di valore dei deals conclusi: 44 miliardi contro
10,7 miliardi. Il mercato del private equity è poi ripartito nel 2003 e ha
attraversato un periodo di rinascita che è durato fino alla recente crisi finanziaria:
alla vigilia della crisi subprime, la raccolta dei fondi di private equity aveva
raggiunto quota 347,7 miliardi di dollari e gli investimenti ammontavano a circa
600 miliardi di dollari.
1.2.3 Cenni storici sullo sviluppo del mercato europeo ed italiano
Il mercato europeo del capitale di rischio ha avuto uno sviluppo differente da
quello americano. Tuttavia anche in Europa, ed in particolare nel Regno Unito, a
partire dalla Rivoluzione Industriale, le grandi banche e le famiglie più facoltose
realizzavano molteplici investimenti in imprese di vario genere. In particolare
durante il corso del XIX secolo i maggiori operatori che svolgevano tale attività di
finanziamento erano fondi comuni di investimento o investment trust, che
nell'ottica della diversificazione del rischio implementavano diversi investimenti
20 I Junk bonds sono titoli ad alto rendimento emessi da imprese ad alto rischio, è sinonimo di
high yield bonds.