5
ridere; ma il come, il quando e il perché di questo fenomeno costante assumono di volta
in volta espressioni differenziate, sensi storicamente e culturalmente mutevoli”
1
.
Basti pensare che una bella risata di gusto, che oggi come oggi non è altro che una
manifestazione di gioia e divertimento, in passato ci sarebbe costata la nomea di persone
poco serie e prive di qualsiasi autocontrollo.
Fortunatamente le cose da allora sono cambiate e, in un certo senso, mi viene da pensare
che dare la giusta dignità ad un fenomeno come il riso, abbia giovato anche
all’umorismo e alla comicità, che sono da annoverare tra le sue cause principali. Anzi,
l’interesse nei loro confronti è uscito dalle sole speculazioni filosofiche e artistico-
letterarie per approdare a “nuovi orizzonti” come la psicologia e la psicanalisi, la
sociologia e addirittura le scienze mediche, con una valenza tutt’altro che negativa.
Oggi, infatti, possiamo far riferimento ad un numero sempre maggiore di studi empirici
sulla loro natura ed effetti in svariati ambiti: dall’intrattenimento, l’educazione, la
pubblicità fino alla salute fisica e mentale.
La prima parte della tesi, quindi, si occuperà proprio di questi temi: in primo luogo mi
soffermerò a definire i concetti di umorismo e comicità, per poi passare ad analizzarli
attraverso la storia, la letteratura e le discipline che se ne sono occupate mostrando
come il loro significato si è modificato dai tempi di Platone ad oggi. In un secondo
momento, per comprendere l’umorismo come un atto comunicativo unico nel suo
genere ho ritenuto importante presentare le teorie che hanno cercato di darne una
spiegazione complessiva (dalle teorie minori: teoria biologica, teoria della sorpresa,
teoria dell’ambivalenza, teoria psicoanalitica di Freud, a quelle maggiori: teoria della
superiorità, teoria dell’incongruenza, teoria del sollievo; con particolare attenzione per
le opere capisaldi come Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio di S. Freud
e Il riso. Saggio sul significato del comico di H. Bergson).
Infine, passerò a considerare quelli che sono considerati i benefici che ne derivano:
benefici psicologici, benefici fisici e fisiologici per la salute e, infine, benefici
sociologici.
Nella seconda parte di questa ricerca, invece, il focus sarà sul ruolo dei media e in
particolare sulla televisione e sul rapporto tra questa e l’audience. Con il supporto della
teoria degli “Usi e Gratificazioni” e del concetto di esposizione selettiva, fornitoci da
due famosi studiosi quali D. Zillman e J.S. Bryant, l’audience assumerà un ruolo
1
Carlo Sini, Il comico e la vita, Jaka book, Milano, 2003, p. 13.
6
importante nella programmazione televisiva a contenuto umoristico in quanto soggetto
attivo e partecipante nella scelta del materiale (audience-participation media: fenomeno
di identificazione e interazione parasociale).
Qual è, quindi, l’ipotesi della mia tesi? Alla luce degli effetti benefici che hanno in
svariati ambiti della nostra vita, umorismo e comicità possono divenire, inoltre,
strumenti utili, a livello individuale, per affrontare eventi stressanti e rappresentare
momenti di distrazione e sollievo dalle difficoltà che ogni giorno bussano alla nostra
porta e, a livello sociale, possono essere considerati un particolare modo di comunicare
all’interno dei gruppi sociali. Come ha sostenuto il sociologo Ervin Goffman “quando le
persone sono in presenza l’una dell’altra, possono funzionare non solo come strumenti
fisici ma anche come strumenti di comunicazione”
2
e secondo le sue definizioni, ho
visto nel riso una forma di riconoscimento sociale in quanto “processo di aperta
adesione o almeno di accettazione, all’inizio di un impegno, come quando si restituisce
un saluto o un sorriso”
3
.
Da queste premesse ho cercato di dimostrare come le persone facciano uso del materiale
televisivo a contenuto umoristico per appagare questo bisogno. Una scelta, a mio
avviso, autonoma e consapevole che rispecchia sì un gusto, una preferenza ma anche un
tentativo di mutare indirettamente uno stato d’animo anche quando non si ha la
possibilità di uscire con l’amico “buffone” (la commedia, infatti, è uno tra i generi
televisivi più famosi: tra i cento film più noleggiati e tra i programmi televisivi più visti
di tutti i tempi negli Stati Uniti, più del 40% sono commedie) o uno strumento utile nel
gestire le relazioni interpersonali e la comunicazione tra i membri di un
raggruppamento.
La ricerca da me svolta, infatti, è stata impostata su due livelli empirici: in una prima
fase ho analizzato, con il metodo dell’intervista libera e dell’osservazione partecipante,
quelli che sono i benefici, a livello individuale, procurati dalla fruizione di materiale
comico e, in un secondo momento, ho utilizzato il metodo del focus group per
confrontare ad un livello, invece, sociale i benefici e le dinamiche all’interno di un
gruppo. In entrambe le fasi della ricerca, l’oggetto di analisi è stato studiato durante e in
seguito alla visione di uno specifico genere televisivo: la situation comedy, della quale
analizzerò la storia, la struttura, le caratteristiche e le teorie correlate, passando in
2
Ervin Goffman, Il comportamento in pubblico. L’interazione sociale nei luoghi di riunione.
Edizioni di Comunità, Torino, 2002, p. 25.
3
Ivi, p. 114.
7
rassegna quelle più celebri del passato per giungere alle più conosciute dei giorni nostri.
Probabilmente la scelta di questo genere televisivo è stata definitivamente presa in
seguito alla lettura di un libro di Richard F. Taflinger sulla struttura delle sitcoms, il
quale a conclusione di un paragrafo sostiene: “Quindi la situation comedy sembra
essere uguale a tutti i programmi televisivi di mezz’ora. Ciò che la differenzia è che
dovrebbe essere divertente. La sua ragione prima per esistere è di provocare una risata
alla sua audience”
4
.
4
Richarf. F. Taflinger, Sitcom: what it is, how it works, 1992, cit. in http://www.wsu.edu.
8
1. Definizioni e storia dell’umorismo
1.1. Umorismo, Comicità e Riso
Come prima cosa, mi sembra utile fare una, anche se non semplice, distinzione tra i
termini che sovente ricorreranno nelle prossime pagine: umorismo, comico e riso. Dalle
semplici definizioni standard da vocabolario, cercherò poi di ampliare i concetti con il
sostegno di quelle che sono state le interpretazioni di voci illustri a riguardo.
Umorismo: Capacità di rilevare e rappresentare il ridicolo delle cose, in quanto non
implichi una posizione ostile o puramente divertita, ma l’intervento di una intelligenza
arguta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente simpatia umana.
Comicità: Capacità di provocare il riso, implicita in una situazione fortuita o
combinata.
Per ultimo ma non meno importante, “colui” che è la conseguenza e la manifestazione
visiva e sonora delle definizioni precedenti, la prova o meno (in caso di sua assenza)
della loro riuscita e del loro successo: il Riso.
I suddetti termini sono intrinsecamente correlati; si possono distinguere per la loro
natura originaria e per le peculiari caratteristiche del loro essere sia in potenza che in
atto, ma è impensabile volerli analizzare separatamente. L’autore Liborio Termine, ad
esempio, con parole più opportune delle mie, apre l’introduzione della sua antologia
sulla storia del comico e del riso con l’affermazione:“l’unità del riso e del comico è
inscindibile, essendo il primo la reazione, la risposta, insieme emotiva e corporea, a un
meccanismo d’azione o di situazione che il secondo attiva”
5
.
Continua, poi, sostenendo che nell’evoluzione delle caratteristiche del comico e del
significato del riso, questi assumono sempre più una forma dicotomica che li lega e li
oppone, essendo il primo espressione della cultura e il secondo della natura.
Lucie Olbrechts-Tyteca dichiara nel suo libro Il comico del discorso che il riso è il
criterio effettivo di ogni studio sul comico anche se ammette che si tratta di un criterio
di applicazione difficile per una serie di motivi, primo tra tutti l’esistenza di un riso
puramente fisiologico (il comico suscita a volte il riso, a volte il sorriso rendendo
5
Liborio Termine, Storia del comico e del riso: Itinerari antologici nella cultura e nell’arte.
Testo & Immagine, Torino, 2003.
9
quest’ultimo un criterio sussidiario e di difficile osservazione diretta che ci “relega” al
piano delle presunzioni) e di una serie di reazioni molto simili al riso che le fanno
concludere che “il riso supera largamente il comico”
6
.
Alcuni definiscono l’umorismo come ciò che ci fa ridere. Ma come ricordano alcuni
ricercatori tra i quali P. Keith-Spiegel
7
, ci sono, allo stesso tempo, diverse cose che ci
fanno ridere senza possedere le caratteristiche specifiche dell’umorismo, come il
solletico, il protossido d’azoto (gas esilarante), il nervosismo, il gioco e la gioia.
Tornando invece ad una definizione che, per quanto sia possibile, dovrebbe essere
scevra da personali interpretazioni, il riso è un’espressione più o meno intensa di ilarità
o di euforia, caratterizzata da una modificazione del ritmo respiratorio e da quella
mimica del volto.
La risata, così come il sorriso (o anche alcune forme di verbalizzazione), sono processi
in cui, in risposta a un determinato stimolo, che viene percepito comico, si produce un
vissuto di piacere. Essa è un comportamento istintivo, programmato dai nostri geni,
attraverso il quale emettiamo suoni, eseguiamo movimenti ed esprimiamo sentimenti.
Tale comportamento motorio viene governato dalla parte più primitiva del nostro
cervello ma si può dire, come sosteneva Aristotele, nel De partibus animalium, che la
risata sia peculiare degli esseri umani. Infatti, anche le scimmie ridono, se solleticate,
oppure sotto l’effetto dell’alcool, ma la struttura armonica delle loro risate differisce da
quella degli esseri umani, a causa di meccanismi neuromuscolari che sono differenti
negli uomini e nei primati e che consentono solo ai primi di parlare.
Esiste, tuttavia, anche tra i singoli individui, un’estrema variabilità nel modo di ridere,
così come nella diversa suscettibilità agli stimoli umoristici.
Come ci racconta Obrechts-Tyteca, il riso non ha sempre avuto il medesimo significato.
In molte civiltà antiche esso apparteneva al simbolismo religioso e si è laicizzato più
completamente del pianto. Ma ci sono popolazioni come gli indiani bora e iawa che
ridono nel corso di alcune cerimonie di scambio o alcune popolazioni africane che
conoscono la “parentela per scherzo”. Per questi ultimi, il riso, più che segno di
divertimento, sarebbe spesso segno di sorpresa, di imbarazzo, di stupore cosa che non
possiamo escludere nemmeno per la nostra civiltà.
6
Lucie Olbrechts-Tyteca, Il comico del discorso: un contributo alla teoria generale del comico
e del riso, Feltrinelli,. Milano, 1997.
7
P. Keith-Spiegel, Early Conceptions of Humor: Varieties and Issues, in J. H.
Goldstein, P.E. McGhee, The Psychology of Humor: Theoretical Perspectives and
Empirical Issues, Academic Press, New York, 1972, p. 13.
10
Molti studiosi hanno cercato di conoscere gli stimoli che provocano il divertimento
studiando materiale comico e le possibili differenze tra le culture umane; si va
dall’umorismo bonario che considera il comico come svago, alla tragicommedia che
provoca il riso attraverso il pianto, all’umorismo raffinato e intellettuale che si esprime
nei motti di spirito, nei giochi di parole e nelle arguzie, al comico usato nella satira
come nella parodia. Valendosi, quindi, di testi scritti, romanzi, barzellette, vignette, film
e spettacoli televisivi, gli studiosi hanno formulato svariate teorie e ipotesi sulla natura
del comico e dell’umorismo.
Non sentendomi ancora del tutto soddisfatta dei risultati trovati, ho consultato anche la
misera enciclopedia di casa e alla voce umorismo mi sono subito imbattuta in questa
definizione: “La categoria dell’umorismo non pare avere nessuna possibilità di
differenziazione teorica con quella del comico e va piuttosto individuata partendo dalle
locuzioni quotidiane in cui la troviamo impegnata per designare varie manifestazioni
che la categoria del comico definirebbe in modo troppo generico e
impreciso”…cominciamo bene! Più conosco, più cerco di approfondire e più mi si
confondono le idee. Ma non desisto e cerco delucidazioni. L’umorismo viene spesso
identificato con la capacità di improvvisare in ogni situazione dei motti di spirito e in tal
senso l’umorismo si associa allo spirito - la battuta scherzosa e arguta - che denota
capacità di “acutezze” e “concettosità” linguistiche, al wit inglese, al witz tedesco e
all’esprit francese. Ma, in effetti, la battuta di spirito altro non è che un’azione comica
che viene rappresentata anziché tra personaggi, tra parole o frasi. Henri Bergson, nel
Saggio sul riso
8
, analizza egregiamente la meccanica della battuta spiritosa mostrando
come in essa si realizzino appunto quei capovolgimenti di situazione, quegli scambi tra
lettera e spirito di una frase, quelle riduzioni all’assurdo di situazioni comuni che sono
le condizioni stesse del comico.
Dell’umorismo non se ne gratifica solamente colui che è “spettatore” ma anche chi,
nell’osservare la vita che lo circonda, sa mettere immediatamente in risalto gli aspetti
più risibili, colui che sa individuare non tanto il comico in atto ma il comico possibile.
In tal senso l’umorismo starebbe al comico come il genere lirico al drammatico; il
comico agisce sempre in modo tale che, data una situazione d’inizio, se ne stabilisce il
“risvolto” da cui nasce appunto lo scoppio del riso; mentre il discorso, lo schizzo
umoristico, non suscita il riso ma il sorriso, e si arresta al di qua del colpo di scena. Mi
8
Henri Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico, Laterza, Bari, 2003.
11
verrebbe da affermare che il comico arriva sbattendo la porta quando l’umorismo si fa
strada in punta di piedi, quasi volteggiando.
Si ha umorismo non solo quando il comico è individuato in potenza e preannunciato in
sordina, ma in particolare quando il rilievo delle potenzialità comiche e il giudizio sul
personaggio sono legati a un moto di simpatia e comprensione o, si pensi a certi film di
Charlie Chaplin, a un sentimento di pateticità. Di tale natura è l’umorismo secondo
Pirandello: esso nascerebbe da “un senso del contrario”, un tipo di riflessione che dietro
a “vesti risibili” svela, in realtà, la presenza del drammatico e del patetico, in uno
sfumarsi di sentimenti opposti. Ma umorismo può acquistare anche un significato
diverso quando viene usato come traduzione dell’espressione inglese humor, così come
viene intesa nell’accezione moderna corrente. Si parla allora di sense of humor come di
una rara capacità, tipica dei popoli anglosassoni, di descrivere o commentare
comportamenti umani e situazioni con apparente serietà, con assoluta freddezza, così
che risulti visibile non l’avvenimento o il personaggio in se stesso ma il rapporto tra la
serietà, la compostezza del tono e la vacuità delle cose descritte. Ritorna di nuovo utile
una distinzione fatta da Bergson tra ironia e humor: mentre la prima si attua in una
trasposizione di tono per cui enuncia ciò che dovrebbe essere, fingendo di credere che
corrisponda alla realtà di fatto; lo humor descrive meticolosamente il reale, fingendo di
credere che il modo in cui vanno le cose sia quello esatto.
Non so quanto possa considerarsi corretto e probabilmente non ha alcuna validità
teorica, ma nel mio forsennato tentativo di semplificazione sono tentata di associare
l’umorismo alla sfera mentale e il comico a quella fisica di uno stesso fenomeno che ha
come obbiettivo il ridere. E’ impresa ardua quindi non confondere i due termini che
sono spesso considerati intercambiabili.
Nella prima parte della tesi, che riguarda l’aspetto teorico della ricerca, farò
maggiormente riferimento al termine umorismo, mentre prediligerò il termine comico
nella seconda, quando verrà studiato e applicato ad un genere televisivo.
12
1.2. L’evoluzione del significato nella storia e nella letteratura: da Platone a
Umberto Eco
Dire che non si ride di niente, ma di o per qualcuno, qualcosa
9
- come sostiene Liborio
Termine nel testo al quale soprattutto mi rifaccio per questo capitolo – è come dire che
non si ride mai da soli, in quanto il riso viene considerato una relazione naturale a un
evento o ad una situazione che ha carattere sociale e culturale. Esso, però, ha anche una
natura fisiologica che gli conferisce due accezioni differenti a seconda di come lo si
definisce: in quanto reazione naturale il riso sembra un atto originario; ma, in quanto
evento sociale implica una organizzazione culturale che gli dia un senso ed una forma.
Due cose che, proprio in quanto frutto dell’uomo, non sono state sempre le stesse ma
sono mutate insieme ai cambiamenti sociali e culturali che si sono susseguiti nell’arco
della storia. Inoltre, non si è modificato solo il significato del riso, ma anche la sua
relazione con il comico.
Il primo impiego della parola humor per indicare qualcosa di divertente o scherzoso
risale al 1682 ed è attribuita all’Oxford English Dictionary. Ma il fatto che la sua
associazione con il comico sia una nozione specificatamente moderna, non significa che
prima non ci fosse lo humor. Prima di quella data, “humor” significava umore,
un’accezione derivata dall’antica dottrina medica greca dei quattro umori, o fluidi, che
costituivano e regolavano il corpo: sangue, flemma, bile e atrabìle (melanconia).
Nel mondo greco arcaico, infatti, il riso non era legato al comico e nemmeno
esclusivamente all’uomo; per gli Ariani e gli antichi Elleni era piuttosto legato alla
serenità. Negli Achei la radice linguistica indicava il sorriso, inteso come espressione
dell’“equilibrio degli elementi del proprio corpo e della propria anima”: riso
dell’armonia e della gioia rasserenatrice.
Più tardi il riso venne associato al buffo e si sviluppò l’idea di “sensibilità al ridicolo”,
testimoniata in Omero, a cui si fa risalire la prima forma del sorgere del comico: la
derisione dello sconfitto, in particolare di colui che si credeva superiore.
Si fanno strada fin dall’inizio tematiche che furono poi le fonti principali delle teorie sul
comico, come in questo caso l’emergere del sentimento di superiorità verso qualcuno,
accompagnato il più delle volte da una buona dose di aggressività, e il tema del
9
L. Termine, op. cit., p. 15.
13
contrasto; infatti non ride solo il forte del debole ma anche il contrario (“Così Ettore
rideva di Paride”).
E’ nelle fasi di questa evoluzione che si definiscono le caratteristiche della produzione
del comico e del senso del riso, legati e contrapposti dalla dicotomia che riconosce nel
comico l’espressione della cultura e nel riso della natura e furono proprio due tra i
filosofi più illustri a percorrere per primi i due itinerari.
La più antica teoria tramandataci si deve a Platone (427-348 a.C.), la cui attenzione fu
rivolta più alle conseguenze negative del riso, visto come una delle maggiori minacce
della società, che al piacere che provoca. Le tre critiche che egli rivolse alla poesia
comica furono: quella di porre in ridicolo uomini illustri e dei, quella di condurre
l’animo alla volgarità e, la più grave, quella di sconvolgere e turbare l’equilibrio della
nostra psiche. Infatti, “quando uno si lascia andare ad una forte risata, ciò provoca anche
un forte sconvolgimento del suo animo”
10
e per questo raccomanda addirittura una
revisione della letteratura al fine di spogliarla da accenni a dei o eroi sopraffatti da
attacchi di ilarità. Platone, infatti, condannò sia il riso che la commozione dolorosa della
poesia perché entrambi rappresentavano un fattore di disturbo per l’ideale di equilibrio e
moderazione, fondamentale per la pace dell’anima. Ma lui stesso, con il maturare del
suo pensiero si rese conto della sua intransigenza nei confronti di questo fenomeno e
nelle ultime opere finì per giustificarne l’esistenza. Nel Filebo, parlando di comico,
ammette che non si tratta di un vero atteggiamento aggressivo, ma che il ridicolo sorge
solo a condizione che l’intenzione di chi beffeggia sia innocuo (l’idea avrà sviluppo nel
pensiero di Aristotele). E’, però, nelle Leggi che ne dà la definizione più comprensiva
rifacendosi all’idea di equilibrio tra elemento serio ed elemento faceto perché, come in
natura, ogni cosa ha bisogno del suo contrario: “senza le cose comiche non si possono
neppure apprendere le cose serie, come una cosa non si può apprendere senza il suo
contrario”.
11
Da qui prende le mosse l’estetica del comico di Aristotele, il quale divise tutta la poesia
in seria e faceta e, in opposizione a Platone, prese le difese della poesia comica nel
secondo libro della sua celebre Poetica, che purtroppo è andata perduta. Riguardo alle
critiche di Platone, Aristotele ribatte con il principio dell’innocuità del ridicolo; il
comico, vale a dire, non deve porre in ridicolo nessuna persona che susciti odio o pietà.
Nonostante riconosca anch’egli i caratteri volgari presenti nella commedia, che il
10
Plat. Resp., 338 e. in L. Termine, op. cit., p. 25.
11
Plat.Leg., 816 c. in ivi, p. 27.
14
ridicolo sia un aspetto di ciò che è brutto e vile e spesso sancisca l’inferiorità di chi
viene deriso, Aristotele ammette che ci possa essere una commedia non volgare, ma
urbana, rappresentata dalla commedia nuova. Così la teoria di Aristotele sorse e fu
influenzata dalla nascita della commedia greca, che proprio allora si stava evolvendo
dall’antica alla nuova e che il filosofo riconobbe nel passaggio dal turpiloquio
all’allusione: non più turpiloquio bensì il comico.
Mi sembra importante a questo punto fare una breve digressione sull’origine della
commedia, un genere che in un secondo momento della mia tesi porrò in parallelo con
la situation comedy in quanto “potenziale versione moderna” della prima.
Aristotele fa risalire il termine konoidia al canto (oide) che veniva elevato dalla folla
delirante nella festa dionisiaca (komos). Durante i riti dionisiaci che avvenivano di notte,
nei boschi, i membri meno potenti della polis, quali donne, schiavi e contadini, si
aggiravano ebbri di vino, con potenti torce, danzando, toccandosi i genitali l’un l’altro e
cantando versi osceni. Senza ruoli sociali, senza certezze ricordavano l’esistenza di un
altro mondo, contrario all’ordine costituito e alle gerarchie. Quel mondo notturno e
soprattutto femminile si faceva beffe del mondo diurno e apollineo. Questi riti furono
vietati, ma qualcuno dei potenti capì che quella forza eversiva non poteva essere
soppressa ma andava affidata a luoghi e tempi prestabiliti. Venne così dato spazio al
comico durante le rappresentazioni teatrali, durante le quali fu possibile mettere alla
berlina aspetti della società ma con la differenza che le persone, da protagoniste
divennero spettatori e che le donne, escluse dalla recitazione, perdettero il diritto di
espressione. La commedia fu inserita dopo le rappresentazioni tragiche inscenate
dall’alba al tramonto e rappresentarono una sorta di ricreazione umoristica rispetto alla
gravità della tragedia. Priva della componente femminea e sensuale, il comico diventa
meno pericoloso e la sua carica eversiva viene placata.
Grazie a questa parentesi risulterà allora più chiara un’ulteriore risposta di Aristotele
alle critiche di Platone e cioè quella della catarsi comica: uno sfogo equilibratore dei
nostri sentimenti che, se fossero lasciati liberi di scatenarsi, provocherebbero una specie
di isterismo. Per il primo, infatti, il riso non è sconvolgimento, bensì un sollecitamento
dell’animo che ne risulta migliorato e sollevato, sereno e disposto al bene. Il riso
diviene una forza di coesione e di equilibrio tra gli uomini. Per questo motivo,
coerentemente alla dottrina della commedia come “imitazione”, essa doveva basarsi
sulla somiglianza alla realtà, cioè alla verosimiglianza.
15
Proprio a causa dell’origine della commedia e alla sua oscenità durante rituali e
festività, nel primo cristianesimo aumenta la tendenza a sottolineare gli aspetti
pericolosi e negativi del riso dal momento che la Chiesa considerava l’osceno opera del
demonio. Secondo alcuni esponenti del clero, il demonio s’incarnava nei giullari
girovaghi, che si esibivano nelle piazze e nei villaggi durante le feste, stimolando la
gente a risate e ad azioni peccaminose simili a quelle dei baccanali greci e romani.
Ma, paradossalmente, fu proprio durante il Medioevo che si ebbe una svolta nel
pensiero del comico; una svolta che non si attuò tanto nella filosofia quanto nella
letteratura e soprattutto con le opere di Rabelais, di cui Bachtin fu il grande esegeta.
Quest’ultimo afferma che il comico, in questa fase, assume la forma del carnevale, dove
i buffoni di corte non erano più attori che personificavano un personaggio, ma
rimanevano buffoni e stolti sempre e comunque, trovandosi, così, in una sorta di sfera
intermedia tra la vita e l’arte. Emerge l’«immaginario» come forza che investe sia l’arte
che la vita vicendevolmente ma che per agire ha bisogno di un luogo fisico in cui
rappresentarsi e questo luogo diviene il corpo. In origine il comico si situa nel contrasto
(come abbiamo visto prima nel mondo ellenico) tra ideale e reale, ma ora che essi sono
strettamente correlati, il contrasto diviene “rovesciamento” e il corpo è il mondo
rovesciato, non il suo riflesso nell’individualità
12
. Il corpo diviene, secondo questa
accezione, il risultato e ciò che dà espressione al realismo del grottesco tipico del
comico medievale, che consiste nell’abbassamento di tutto ciò che è alto e ideale sul
piano materiale e corporeo. Come fenomeno corporeo, il riso si presta ad un confronto
con altri fenomeni convulsivi come l’orgasmo e il pianto e in quanto tale viene
contraddistinto da quella che può considerarsi: “una perdita di auto controllo, intesa
come rottura tra la persona e il suo corpo”
13
. Da Descartes e da un’intera tradizione di
autori fino a Charles Baudelaire, Andrè Breton e Plessner, il riso è considerato
un’esplosione espressa con il corpo o come lo definisce Kant “oscillazione degli
organi”.
Con Renè Descartes si apre, però, la strada all’epoca moderna portatrice di una nuova
concezione del corpo, che da macchina di produzione simbolica diviene macchina
fisiologica e di conseguenza l’individuo assume le sembianze di uomo-macchina, di
automa. Perciò Descartes studiò il funzionamento dell’organismo e descrisse il riso
come un meccanismo fisiologico dato dal fatto che il sangue, venendo dalla cavità
12
L. Termine, op. cit., p. 19
13
H. Plessner, cit. in Simon Critchley, Humor, Il melangolo, Genova, 2002, p. 15.
16
destra del cuore attraverso la vena arteriosa, e gonfiando i polmoni all’improvviso,
costringe l’aria in essi contenuta a uscir con impeto per la trachea, dove forma un suono
inarticolato e sconosciuto. Inoltre indicò due cause al gonfiarsi del polmone: “La prima
è la sorpresa della meraviglia: alla gioia, essa può aprire tanto rapidamente gli orifizi del
cuore, che una gran copia di sangue, penetrando all’improvviso nel lato destro per la
vena cava, si rarefá, e passando di là per la vena arteriosa, gonfia il polmone. La
seconda causa è la presenza di qualche liquido che aumenti la rarefazione del sangue”
14
.
Ma in tutti i casi che portano allo scoppio della risata, Descartes riconosce all’origine
una lieve ragione d’odio o almeno di stupore; termine, anche quest’ultimo, che
ritroveremo quando parleremo delle teorie.
Attraverso questa dettagliata descrizione il filosofo francese arriva a conclusioni che
fornirono una base importante per quella che sarà la riflessione filosofica sul riso e sul
comico. Egli, infatti, fa risiedere la sede dell’anima nell’ipofisi, una piccola ghiandola
che si trova nel cervello; questa ghiandola, dove la psiche si connette al corpo e dove
convergono i processi del sentire, spiega anche il funzionamento del sistema nervoso.
Così “i nostri impulsi, immagini, ricordi, passioni, derivano dal potere che l’anima ha di
distribuire e fornire questa materia sottile, che il sangue trasporta ove è necessario e che
scorre altresì sui nostri conduttori nervosi”
15
.
La dicotomia psiche-corpo che emerge non è solo un segno di distacco dall’epoca
medievale, ma anche un’eredità che la modernità ha trasmesso alla contemporaneità.
Una dicotomia che diventerà presto meccanismo del comico, a cui il riso risponde con
l’espressione malinconica di una coscienza divisa, che verrà meglio definita
dall’umorismo.
Vorrei, a questo proposito, introdurre Simon Critchley, professore e Direttore del
Dipartimento di Filosofia presso l’Università dell’Essex e autore del libro Humor, che
ha fornito interessanti spunti per il mio studio. Ne parlo ora perché Critchley si rifà alla
tradizione filosofica, e in particolare a Descartes e Henri Bergson, per supportare una
teoria sul comico, definita da lui stesso “post-colonica”, basata sul divario fra corpo e
anima e cioè, egli sostiene, tra l’aspetto fisico e quello metafisico dell’essere umano. Ma
della sua speculazione tratterò in seguito; quello che mi preme riportare è il riferimento
a Descartes che ci illumina ulteriormente sulla visione che il filosofo francese aveva
14
René Descartes, Le passioni dell’anima, Laterza, Bari, 1966, in L. Termine, op. cit., p. 50.
15
Ivi, p. 20
17
della filosofia, la quale comincerebbe nel momento in cui si assume un atteggiamento
contemplativo che permette un distacco dell’anima dal corpo e alla cui base ci sarebbe
la convinzione che non si può dubitare del fatto che c’è una cosa pensante che dubita. E’
proprio in questo distacco dell’anima dal corpo, riferisce Critchley, che lo humor
affonda le sue radici perché è solo in questo momento che il corpo può prendere la
precedenza sull’anima. “Quel che è buffo, in fondo, è il fatto di avere un corpo. Ma
trovarlo buffo significa prendere una posizione filosofica, vedere il mondo e se stessi in
modo disinteressato[…] E’ famosa, e forse giusta l’affermazione di Descartes che si può
fare metafisica al massimo per qualche ora all’anno. La grande virtù dello humor è il
suo essere filosofia in azione”
16
.
Tornando al nostro excursus storico, siamo arrivati ad un punto molto importante
nell’evoluzione del significato del riso che, con la dicotomia psiche-corpo, diventa
sempre più lo specchio dell’interiorità profonda dell’uomo, crogiuolo delle pulsioni più
nascoste e dei sentimenti svelati. Un’interiorità che (come riconobbe anche Freud)
Thomas Hobbes (1588-1679) colse e ripose nel palcoscenico sociale della vita ma non
quello della socialità e della vita collettiva, bensì quello dell’interiorità, dove l’Io solo e
fragile ricerca nel mondo le ragioni del suo essere e le conferme per la sua autostima.
Giudice crudele di questa sfida è appunto il riso che non ha sostanza morale ma
aggressiva: “La passione di chi ride è l’improvvisa stima di sé che deriva dalle
sconvenienze altrui. Di niente, infatti, si ride, se non è improvviso; né le stesse persone
ridono della stessa cosa o degli stessi scherzi più volte. Non si ride, inoltre, delle
sconvenienze degli amici o dei consanguinei, giacché non sono degli altri. Gli elementi
che muovono il riso sono, dunque, tre, congiunti insieme: la sconvenienza, il fatto che
questa è degli altri, il fatto che questa è improvvisa”
17
. Un riso, quindi, crudele proprio
perché sanziona e perché, per affermare la superiorità dell’Io, ha bisogno di umiliare
l’Altro. Hobbes costruisce la propria speculazione filosofica sul concetto (derivato da
Platone e Aristotele) che associa la risata all’affermazione della propria superiorità sul
prossimo e per questo tutti e tre vengono annoverati tra i rappresentanti di una teoria del
riso tra le più famose: la teoria della superiorità, che ha dominato la tradizione
filosofica fino al Settecento e che risulterà utile per quanto riguarda una particolare
tipologia di umorismo: lo humor etnico.
16
S. Critchley, op. cit., p. 60.
17
Thomas Hobbes, L’uomo, in Elementi di filosofia, UTET, Torino, 1972, pp. 606-607.
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Riflessioni più cognitive sono quelle elaborate da Immanuel Kant (1724-1804), che
nella Critica del giudizio afferma: “Il riso è un’affezione, che deriva da un’aspettazione
tesa, la quale d’un tratto si risolve nel nulla[…] l’aspettazione non deve risolversi nel
suo contrario positivo – perché questo sarebbe sempre qualche cosa che potrebbe
contristare – ma deve risolversi in nulla”. Da una parte, quindi, c’è il riso (e il comico a
questo connesso) che si risolve in un “niente”, in un vuoto per l’intelletto e dall’altra, in
quanto “affezione” che nell’atto di ridere viene completamente assunta dal corpo, esso
svela la natura delle relazioni che intercorrono tra organismo e coscienza. E allora la
causa del riso risiede proprio nella rappresentazione sul corpo e nella conseguente
reazione del corpo sull’animo; infatti, dal momento che, secondo Kant, ai nostri pensieri
e alle nostre emozioni corrispondono movimenti degli organi del corpo, un alternarsi di
tensioni e rilassamenti delle viscere permettono l’espulsione dell’aria dai polmoni a
intervalli regolari.
Arthur Schopenhauer (1788-1860), altro filosofo tedesco d’impostazione cognitiva, ha
sviluppato ulteriormente l’idea di Kant, sostenendo che la risata sorge quando si ravvisa
un’incongruenza tra la percezione fisica e la rappresentazione mentale di una cosa, di
una persona o di una azione. Si fanno, infatti, risalire a questi filosofi (e a Kierkegaard)
le linee guida che portarono alla formulazione della teoria dell’incongruità da parte di
Francis Hutcheson il quale, nel 1750, definisce lo humor una percezione dell’incongruo,
prodotto appunto dal fatto di cogliere un’incongruenza fra la nostra nozione o
aspettativa di qualcosa e ciò che effettivamente accade nello scherzo, nella gag o nella
battuta.
In queste prospettive, e in particolare in quella kantiana, si sente come il corpo, vera
causa del piacere, diventi una specie di ingombro perché difficile da conciliare con la
psiche e da assumere come oggetto di un pensiero che in fondo non rappresenta niente.
Fu Hegel a risolvere questo problema eliminando la presenza del corpo che divenne un
supporto del Sé: “se nella tragedia quel che è eternamente sostanziale viene a vittoria in
modo riconciliante, in quanto cancella dall’individualità in conflitto solo la falsa
unilateralità e manifesta invece, come ciò che va mantenuto, il positivo, voluto
dall’individualità, nella sua mediazione non più discorde ma affermativa, nella
commedia al contrario è la soggettività che nella sua infinita sicurezza conserva il
predominio […] In generale non c’è nulla che sia più contrastante di ciò di cui ridono
gli uomini. Può muoverli a riso anche ciò che vi è di più piatto e banale, ma spesso
ridono pure delle cose più importanti e profonde purchè vi mostri un qualsiasi lato del