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L’art. 66 della legge fallimentare dispone che “il curatore può
domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore
in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile”. Tale
norma rinvia quindi alla disciplina dell’art. 2901 e ss. c.c. e ci
permette di considerare la scelta del curatore sotto due profili: per un
verso offre la possibilità di revocare quegli atti pregiudizievoli che
non rientrano nelle categorie individuate dagli artt. 64 e ss. l. fall. (ad
es., un’ipoteca costituita contestualmente al credito un anno e mezzo
prima del fallimento); per altro verso la tutela offerta dalla azione
revocatoria ordinaria è una tutela più limitata, infatti possono essere
impugnati solo gli “atti di disposizione del debitore”. E fra gli atti di
disposizione non vi rientrano gli “atti dovuti”
1
e questo è confermato
dal fatto che lo stesso art. 2901 c.c. al terzo comma recita che ”non è
soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto”, mentre l’art.
67, 2° comma, l. fall., prevede la revoca anche dei “pagamenti di
debiti liquidi ed esigibili”. La ragione per cui probabilmente il
legislatore ha voluto escludere la revocabilità di tali pagamenti, si basa
sul fatto che il pregiudizio per il creditore, ovvero l’insolvenza del
debitore, non è presupposto dell’atto, ma è ad esso conseguente, per
cui occorre che questo pregiudizio sia illegittimo: se l’atto è compiuto
1
Così GUGLIELMUCCI, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2000, p. 156.
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nell’adempimento di un dovere, non può derivarne un pregiudizio
illegittimo, e pertanto l’atto non sarà revocabile
2
. Fra gli atti di
disposizione non vi rientrano, inoltre, gli “atti di amministrazione”,
cioè quelli che, pur essendo frutto di una libera scelta del debitore,
costituiscono il modo ordinario di amministrare i propri beni (ad es.,
la locazione di un immobile, il quale invece è revocabile ex art. 67 l.
fall. siccome atto a titolo oneroso). Bisogna precisare inoltre che gli
atti di disposizione devono essere compiuti dal debitore: non vi
rientrano gli atti che incidono sulla garanzia patrimoniale senza il
concorso del debitore (ad es., l’ipoteca giudiziale, revocabile nel
fallimento ex art. 67, 1° comma, n. 4).
La revoca ex art. 2901 c.c. suppone la ricorrenza, inoltre, di due
presupposti: uno soggettivo, variamente configurato, e consistente
nella conoscenza, da parte del debitore (o del terzo per gli atti a titolo
oneroso), del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore
o nella sua dolosa preordinazione nel caso di atto anteriore al sorgere
del credito; uno oggettivo, consistente nel pregiudizio alle ragioni dei
creditori, comunemente denominato danno.
2
In tal senso v. SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1996, p. 208.
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2. I presupposti della revocatoria fallimentare: la conoscenza
dello stato d’insolvenza - Se invece spostiamo la nostra analisi sui
presupposti dell’azione revocatoria fallimentare, al cui complesso di
norme si aggiunge tale disciplina di diritto comune, registreremo
considerazioni diverse. Il legislatore, infatti, non ha preso in
considerazione lo stato soggettivo del debitore e da ciò sorge il dubbio
se la revocatoria fallimentare prescinda dal consilium fraudis oppure
se il requisito sia previsto, ma incorporato nel presupposto oggettivo
della revocatoria. In realtà, la revocatoria fallimentare “non si fonda
sull’illecito, ma su di una particolare valutazione d’interessi, in cui
l’elemento soggettivo sfuma nella sua portata”
3
. Bisogna tenere
presente, infatti, che il presupposto della revoca non si rivela a seguito
di una diretta inadempienza contro il creditore poiché il debitore non
viola una norma che abbia diretta attinenza col momento finale del
vincolo, ma una norma rivolta invece ad assicurare che la vicenda
obbligatoria creata dalle parti si svolga in modo normale. In sostanza,
quindi, nella violazione del dovere di correttezza, qual è appunto
quello di non compiere atti pregiudizievoli, rileva il fatto oggettivo
della diminuzione del patrimonio e, se la revocatoria ordinaria trova
fondamento nella consapevolezza del danno come conoscenza
3
Così RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, p. 203.
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dell’ammontare del patrimonio del debitore, nel fallimento tale
consapevolezza costituisce già uno dei requisiti della fattispecie
revocabile.
Nei confronti del terzo l’elemento soggettivo si pone
diversamente, poiché in alcuni casi si ha una presunzione assoluta di
conoscenza dell’insolvenza (revoca ex lege), in altri una presunzione
relativa e in altri si ritorna al principio dell’onere della prova. Così,
negli atti a titolo gratuito (art. 64 l. fall.) e nei pagamenti anticipati
(art. 65 l. fall) lo stato soggettivo del terzo è irrilevante, non però
nell’azione revocatoria fallimentare, di cui costituisce presupposto
necessario. Come accennato poc’anzi, l’onere della prova di tale fatto
costitutivo dell’azione non è tuttavia sempre posto a carico del
curatore, essendo talora presunta la conoscenza dello stato
d’insolvenza in considerazione dell’anormalità dell’atto (art. 67, 1°
comma, l. fall.) o dei rapporti esistenti tra le parti (art. 69 l. fall.).
Inoltre, di fronte alla chiara dizione letterale della legge che fa
riferimento alla conoscenza, non vi è nessuna ragione di porsi il
problema se presupposto dell’azione revocatoria fallimentare sia la
“conoscenza” o la “conoscibilità”
4
dello stato d’insolvenza.
4
GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 162.
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Solo eccezionalmente la conoscenza dello stato d’insolvenza
può risultare da una ammissione del terzo (come nel caso in cui
proponga o minacci di proporre un ricorso per dichiarazione di
fallimento) o dello stesso debitore (come nel caso in cui proponga una
moratoria o un concordato giudiziale). Quando l’onere della prova è a
carico del curatore, egli può assolvervi, allora, provando la
conoscibilità e, su questa base, presuntivamente la conoscenza dello
stato d’insolvenza. Il rilievo indiziario dei sintomi d’insolvenza può
essere contrastato dal convenuto, attraverso la prova di non essere
venuto a conoscenza dei sintomi d’insolvenza o di aver tenuto un
comportamento atto ad escludere la c.d. scientia decotionis. Da ciò
consegue che la prova della mancata conoscenza dell’insolvenza ha
per oggetto l’assenza di quegli stessi sintomi, la cui sussistenza deve
essere provata dal curatore quando l’onere della prova è a suo carico.
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3. Insolvenza e pregiudizio - Per quanto riguarda invece
l’elemento oggettivo della revocatoria fallimentare, e cioè il
pregiudizio dei creditori, possiamo effettuare alcune riserve in
considerazione del fatto che talvolta è stata ammessa la revocatoria
fallimentare anche in presenza di un attivo sufficiente all’integrale
pagamento debiti.
A tal proposito, quindi, il concetto di pregiudizio
comprenderebbe
5
, non soltanto una diminuzione patrimoniale, ma
anche che l’atto abbia provocato una diseguale distribuzione del
patrimonio del debitore fra i creditori. Ulteriore conferma a tale tesi la
ritroviamo nel fatto che nella formulazione delle norme relative
all’azione revocatoria fallimentare, il legislatore sembra essersi
disinteressato della circostanza che il terzo conoscesse o meno il
rapporto tra l’atto compiuto e il pregiudizio che da esso potrebbe
derivare.
Effettivamente, nella legge fallimentare il concetto di
pregiudizio non è di agevole definizione, ma non per questo il
pregiudizio, potendosi configurare ipotesi di revoca che prescinda
dalla diminuzione patrimoniale, non potrebbe fondare la revocabilità
dell’atto.
5
V. RAGUSA MAGGIORE, op. cit., p. 204 e ss.
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La necessità di ripartire tra la più ampia collettività dei creditori
la perdita che accompagna il dissesto economico-finanziario del
fallito, è una formula meramente descrittiva del fenomeno e, d’altro
canto, il semplice fatto che l’atto abbia causato o possa causare una
ineguale distribuzione del patrimonio fra i creditori è chiaro indizio
che, non potendosi esso distribuire equamente, è stato arrecato un
“pregiudizio” alla massa. Proprio su tale concetto, infatti, si fonda
l’accennato principio secondo il quale l’attivo sufficiente all’integrale
pagamento dei debiti non esclude la revoca ove si sia manifestata
l’insolvenza. Il pregiudizio, invero, si ricollega all’insolvenza, ovvero
all’insufficienza di attivo liquido necessario per il pronto
soddisfacimento dei creditori. Tuttavia, non è esatto dire che l’atto è
revocabile perché il debitore versava in stato d’insolvenza e non
perché l’atto lo abbia reso insolvente, giacché l’atto revocabile
concorre ad aumentare quel pregiudizio di cui l’insolvenza
rappresenta un contesto più generale. Il giudice deve difatti accertare
un pregiudizio di ordine generale che si verifica nell’insolvenza, per
cui, mentre nella revocatoria ordinaria il pregiudizio sarebbe il
presupposto della revoca (ed essendo esercitata dal singolo creditore il
giudice deve accertare solo il singolo pregiudizio), nella revocatoria
fallimentare tale pregiudizio starebbe nell’insolvenza ex se.
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L’insolvenza è però una condizione necessaria ma non
sufficiente, e il semplice pregiudizio non giustifica la revocatoria
fallimentare, dovendosi quest’ultima rivolgere contro certi atti
compiuti in un determinato periodo - di cui parleremo fra poco -
ricadente nella fase reputata d’insolvenza che è di per sé
pregiudizievole (salva poi la dimostrazione che l’insolvenza non si sia
aggravata).
Inoltre, la conoscenza nel terzo del rapporto tra atto e
pregiudizio è irrilevante, essendo sufficiente la sua conoscenza di uno
stato pregiudizievole di ordine generale nel patrimonio del debitore, a
meno che, ovviamente, il terzo non dimostri che l’atto compiuto col
debitore non abbia aumentato il pregiudizio (salva la presunzione
legale che l’atto sia di per sé pregiudizievole: nn. 2, 3 e 4 dell’art. 67,
1° comma, l. fall., nel qual caso sarà sufficiente che il terzo dimostri di
avere ignorato lo stato pregiudizievole generale). Ciò vale a rafforzare
la considerazione secondo la quale il pregiudizio della par condicio
creditorum viene ricollegato dal legislatore al fatto stesso
dell’insolvenza, conseguendone perciò la sua presunzione e, per
converso, la facoltà per il terzo di dimostrare che in realtà nessun
pregiudizio si è verificato.