Oggi la comparazione assume un'importanza sempre maggiore, soprattutto nell'ambito
dell'Unione Europea, proprio perché, mostrando l'esistenza di concetti e categorie comuni
nei sistemi giuridici che la compongono, risulta essere uno strumento utile in mano ai
giuristi che tentino di promuovere una maggiore armonizzazione del diritto europeo, al fine
(per esempio) di agevolare la libera circolazione delle persone e di merci, servizi e capitali.
Modelli Di Comparazione Giuridica
Secondo la teoria di Renè David è possibile individuare tre grandi famiglie giuridiche
contemporanee. Una è quella della tradizione romanico-germanica, basata sul formante
legislativo, una del Common Law, basata sul formante giurisprudenziale e una socialista
appartenente ai paesi di derivazione comunista caratterizzata da una forte avversione verso
la proprietà privata (oggi peraltro temperata rispetto al passato. L'altra teoria è quella
offerta da Kotz e Zweigert i quali propongono una classificazione in base allo stile dei
giuristi (che è più pratico nel sistema anglosassone rispetto a quello teorico del civil law),
alla formazione storica, alle fonti del diritto nazionale, ai fattori ideologici (es. socialismo)
e ai singoli istituti caratterizzanti ciascun ordinamento giuridico. I due studiosi giungono,
con tali criteri, a individuare prima di tutto una famiglia a matrice dogmatica cioè
fondamentalmente e prevalentemente basata sulla religione. È il caso del sistema giuridico
proprio dell'area islamica, dominato dalla legge della Sharī a scritta nel Corano o
attraverso la Sunna ( la tradizione ascritta al Profeta dell'Islam, una consuetudine), e di
quello induista, caratterizzato dalla divisione del popolo in caste. In tali ordinamenti il
soggetto è prima di tutto responsabile innanzi al Dio, prima che alla legge umana; è tenuto
ad osservare le leggi in quanto promanazione del Signore come dovere religioso prima che
civico
2
.
2
Giuseppe MORBIDELLI, Lezioni di diritto pubblico comparato. Costituzioni e costituzionalismo. Bologna
2000, Monduzzi editore;
2
Una seconda famiglia, sempre secondo tale teoria, è quella orientale rappresentata dagli
ordinamenti giapponese e cinese. Questi sono fondati non su credenze religiose ma su un
rigido sistema tradizionale laico. In particolare e brevemente la giurisprudenza in Cina,
nella storia anteriore all'ascesa di Mao Zedong era caratterizzata da una accentuata
avversione alla legge in generale. L'ordine della società doveva essere costruito
individualmente, la dottrina del Confucio, ciascun soggetto doveva attuare la condotta del
**li**, cioè un comportamento giusto, ragionevole, onesto e probo. Doveva relazionarsi
con tutti ed evitare individualmente la nascita di liti. La legge, in quanto strumento di
risoluzione delle liti, era spia di una cattiva società che non riusciva individualmente a
mantenere la pace sociale. Il buon magistrato era infatti considerato non colui che risolveva
più casi conflittuali ma chi evitava il loro sorgere. Con la rivoluzione socialista il sistema
cinese ebbe una forte deriva verso un ideale comunista, oggi infatti si può considerare un
ordinamento misto.
Il Giappone ebbe invece una storia giuridica nell'età antica influenzata dal confucianesimo
cinese, poi un età feudale chiamata età dell'Edo. In questo periodo di formò un diritto
consuetudinario non scritto anche questo basato sulla benevolenza tra i singoli e una forte
morale e coscienza collettiva. Non vi erano processi né liti perché queste venivano regolate
attraverso conciliazioni a arbitrati privati.
Una terza famiglia è quella socialista, ancora presente e caratterizzante l'ordinamento
cinese, della nord corea e Cuba. Gli altri ex-socialisti stanno lentamente tornando verso il
modello liberista occidentale.
Infine quelle dei paesi occidentali: common law e civil law (anche se lo loro differenze non
sono più così lontane come in passato).
In realtà è possibile elevare forti critiche alla distinzione di Zweigert e Kotz e anche a
quella di David. Queste infatti sono eccessivamente eurocentriche e non tengono in
considerazione il fatto del crollo del socialismo, dell'evoluzione del diritto orientale, che si
3
è aperto maggiormente a quello occidentale, e all'attenuarsi delle differenze tra il diritto
continentale e anglossasone. Si può più semplicemente affermare che in ogni società presa
in considerazione esistono tre modelli giuridici che coesistono tra loro in ogni momento.
Quello tradizionale-religioso, quello a base politica e quello a base del diritto. Ora laddove
uno dei modelli prevale sugli altri si ha un'egemonia e il sistema giuridico della società si
caratterizza verso tale modello. Se quindi si ha un'egemonia del diritto (Rule Of
Professional Law) questo è il sistema prescelto per dirimere le controversie tra le parti, per
governare lo stato, per definire ciò che è giusto da ciò che non lo è. Cioè tutto è determinato
secondo la legge. Se c'è egemonia del fattore religioso-tradizionale si utilizzano invece i
codici religiosi (es. il Corano) o le tradizioni e se c'è egemonia politica, il dettato della
dottrina politica
3
.
3
Enciclopedia del diritto, voce Revisione costituzionale, Garzanti, Milano, 2006;
4
Capitolo I
1.1 IL PROCEDIMENTO
DI REVISIONE COSTITUZIONALE
La costituzione è il complesso delle norme che stanno a base dell’ordinamento
giuridico dello Stato, rappresentando allo stesso tempo l’immagine riflessa della comunità
statale. Il vocabolo, infatti, di chiara derivazione latina (constituere), esprime il concetto di
norma che costituisce lo Stato, più esattamente l’ordinamento giuridico statale
4
.
La dinamica interna di ogni comunità organizzata, il suo continuo evolversi nel
tempo ed il suo incessante adattarsi a mutate situazioni impongono la necessità di un
parimenti continuo e costante adeguamento delle norme giuridiche che ne disciplinano la
vita, in primis delle norme costituzionali, per l’importanza che queste rivestono nella loro
qualitas di fondamenta dell’ordinamento giuridico dello Stato. Se quindi la costituzione
riveste grande importanza, una rilevanza certo non minore deve riconoscersi alle modifiche
che ad essa possono - a volte debbono - essere apportate.
Il problema della revisione costituzionale, da sempre importantissimo in tutti gli
ordinamenti, lo è divenuto ancor di più in seguito all’avvento delle costituzioni scritte,
lunghe e rigide. Una tale tipologia di Carte costituzionali
non consente, infatti, se non entro limiti davvero ristretti, un semplice adeguamento
interpretativo delle norme preesistenti, sicché l’esigenza di garantire una continua
rispondenza tra ordinamento costituzionale e realtà sociale può essere soddisfatta soltanto
attraverso il diretto intervento dell’organo o degli organi competenti per le innovazioni
costituzionali.
L’istituto della revisione costituzionale può essere studiato da due diversi punti di
4
Dizionario enciclopedico italiano, voce Revisione costituzionale, Treccani, Roma, 2005
5
vista, a seconda che se ne ricerchi il fondamento politico e s’indaghi la natura del relativo
potere, soffermandosi peraltro anche sui limiti, assoluti o relativi, che all’esercizio di tale
potere si pongono, ovvero a seconda che invece se ne esamini la procedura. Oggetto della
presente ricerca è l’analisi puntuale e dettagliata del complesso procedimento predisposto
dalla nostra Costituzione del 1948 per la sua revisione.
L’art. 138 della Costituzione prevede per le “leggi di revisione della Costituzione e
le altre leggi costituzionali” (considerate sostanzialmente la stessa cosa dalla prevalente
dottrina ) un procedimento di formazione diverso da quello della legge ordinaria. Esso si
caratterizza per la sua maggiore complessità e si definisce, pertanto, “aggravato”.
In sede di Assemblea Costituente, data per scontata l’unanime scelta per
un sistema costituzionale rigido, fu molto dibattuta l’opportunità di adottare l’uno o l’altro
strumento di aggravamento procedurale. Le proposte avanzate dalla Commissione
ministeriale di studio consistevano in un sistema di aggravamento attraverso una duplice
deliberazione in due distinte legislature, mentre le opinioni erano molto diversificate
rispetto all’eventualità e al valore di un intervento popolare mediante autonome possibilità
d’iniziativa legislativa o referendum.
L’On. Rossi, relatore sul problema della revisione costituzionale alla Seconda
Sottocommissione dell’Assemblea Costituente, fece proprio tale suggerimento e propose
d’adottare un procedimento fondato sull’automatico scioglimento del Parlamento dopo la
prima approvazione del testo di riforma costituzionale e sulla necessità quindi di sottoporre
al nuovo Parlamento, frutto della volontà popolare anche su tale problema, l’approvazione
definitiva del testo della proposta. La stessa Sottocommissione respinse, tuttavia, dopo
averlo in un primo momento accettato, il complesso e troppo rigido meccanismo proposto
dal relatore, per optare invece per quello proposto dall’On. Perassi, che rimase
sostanzialmente immutato anche in sede di Assemblea Costituente e che a tutt’oggi
rappresenta il procedimento di revisione costituzionale italiano.
Tale procedimento ha fondamentalmente in comune con quello diretto alla
formazione delle leggi ordinarie, pur con alcune differenze, la fase dell’iniziativa legislativa
e quella integrativa dell’efficacia, mentre ne differisce in maniera davvero sensibile per
6
quanto attiene alla fase costitutiva. L’organo titolare della potestà di revisione
costituzionale è lo stesso organo - le due Camere - cui è attribuita la funzione legislativa
ordinaria, ma l’approvazione delle leggi costituzionali avviene soltanto dopo una duplice
deliberazione di ciascuna Camera ad un intervallo non minore di tre mesi. In seconda
deliberazione, inoltre, non è sufficiente il raggiungimento della maggioranza semplice,
bensì è necessaria la maggioranza assoluta o quella di due terzi dei componenti. Mentre in
quest’ultimo caso la legge costituzionale è definitivamente approvata e può come tale
essere promulgata e pubblicata, nel caso invece della maggioranza assoluta la legge è
soltanto pubblicata e da tale momento comincia a decorrere il termine di tre mesi entro il
quale può essere richiesto il referendum popolare, che perciò si configura come puramente
eventuale e facoltativo.
L’aggravamento procedurale previsto dall’art. 138 della Costituzione risponde ad
una duplice e per qualche verso contrastante esigenza. Da un lato, quella di garantire una
maggiore ponderazione nell’approvazione delle leggi costituzionali, sì da evitare sia che
esse possano risultare l’espressione di maggioranze temporanee ed occasionali, sia che la
certezza delle norme fondamentali della convivenza civile possa in qualche modo essere
messa in discussione dagli “sbalzi di umore” delle forze politiche. Dall’altro lato, quella di
consentire comunque la possibilità di un rapido e completo adeguamento della Carta
Costituzionale alle mutate situazioni politiche, sociali ed economiche, sì da conservare alla
stessa il carattere d’immagine riflessa della comunità statale.
Le fonti che esplicitamente regolano il procedimento di formazione delle leggi di
revisione della Costituzione si rinvengono attualmente nella stessa Costituzione (artt. 72 e
138), nei Regolamenti Parlamentari (artt. 97-100 R.C.D. e 121-124 R.S.) e nella Legge 25
maggio 1970, n. 352, recante “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla
iniziativa legislativa del popolo”. Posto che le richiamate norme non danno vita ad una
disciplina puntuale e completa del procedimento di formazione delle leggi di revisione della
Costituzione, limitandosi al contrario a regolarne gli aspetti atipici e maggiormente
peculiari, è da ritenersi in via di principio applicabile la disciplina prevista dalla
Costituzione e dai Regolamenti Parlamentari per il procedimento di formazione delle leggi
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ordinarie, che così assume carattere di normativa generale.
Si noti, però, che nonostante la coincidenza di talune norme regolatrici (in primis
dell’art. 71 Cost. in materia d’iniziativa legislativa e dell’art. 73 Cost. in materia di
promulgazione e pubblicazione della legge), il procedimento “aggravato” previsto per la
formazione delle leggi di revisione della Costituzione non è una semplice variante di un
procedimento di formazione della legge da considerare in modo unitario. Esso, al contrario,
è un procedimento a sé stante, compiutamente disciplinato, direttamente o per rinvio, dalla
Costituzione e dai Regolamenti Parlamentari, con norme che presentano un contenuto che
soltanto in parte coincide con quello delle norme poste per il procedimento di formazione
della legge ordinaria.
La procedura “aggravata” di formazione della legge prevista dall’art. 138 della
Costituzione dev’essere adottata, innanzitutto, nell’ipotesi di esplicita modifica del testo
della Costituzione, incluse le deroghe o “rotture”, in quanto produttive di una regola
giuridica diversa da quella generale. Il ricorso al suddetto procedimento s’impone pure per
la modifica di principi o norme desumibili dal testo della Costituzione, nonché
nell’ipotesi in cui si voglia
costituzionalizzare una materia precedentemente disciplinata da legge ordinaria. In ogni
altro caso, si deve invece far ricorso al procedimento di formazione della legge ordinaria.
La scelta del procedimento applicabile spetta ai soggetti ex lege titolari del potere
d’iniziativa legislativa e dev’essere da questi operata al momento dell’esercizio dello stesso
potere. E’ peraltro possibile il passaggio dal regime procedimentale della legge ordinaria a
quello della legge costituzionale (e viceversa), qualora l’intento di modificare la
Costituzione emerga (o venga meno) in un momento successivo all’iniziativa legislativa, in
seguito a modifiche apportate al progetto di legge nel corso del suo procedimento di
formazione. Ciò purché non siano ancora state esperite fasi esclusivamente proprie dell’uno
o dell’altro regime (ad esempio, un progetto di legge costituzionale che non raggiungesse la
maggioranza assoluta in seconda deliberazione, non potrebbe ritenersi approvato come
legge ordinaria in base alla prima deliberazione).
Poste queste necessarie - e necessariamente brevi - premesse, è ora possibile
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passare all’esame puntuale e approfondito del procedimento di formazione delle leggi di
revisione della Costituzione, come risulta disciplinato
dall’art. 138 della stessa Carta Costituzionale e dalle altre norme innanzi richiamate, sicuri
della perenne attualità del tema che ci accingiamo a trattare, soprattutto in tempi di profondi
cambiamenti e di auspicate riforme, quali sono quelli che stiamo vivendo.
1.2 LA FASE INTRODUTTIVA:
L’INIZIATIVA LEGISLATIVA
1.2.1. La generale fungibilità del potere d’iniziativa legislativa ordinaria
nei confronti delle leggi costituzionali.
La prima fase del procedimento di formazione della legge costituzionale è quella
dell’iniziativa legislativa, consistente nella presentazione ad una delle due Camere di un
progetto di legge costituzionale. Il procedimento di revisione, come quello legislativo
ordinario, può iniziarsi indifferentemente in seno all’una o all’altra Camera, essendo con
tutta evidenza un residuo della vecchia prassi parlamentare prefascista quella che oggi fa sì
che il Governo presenti di norma i suoi disegni di legge prima alla Camera dei Deputati e
poi al Senato.
L’iniziativa della revisione è variamente disciplinata nei diversi ordinamenti. Per
alcuni competente per l’iniziativa di revisione è il solo Governo, per altri le sole Camere,
per altri ancora insieme il Governo e il Parlamento, per altri il Capo dello Stato; altre
costituzioni affidano poi l’iniziativa al popolo; è infine possibile che sia la stessa
costituzione a prendere l’iniziativa della propria revisione, stabilendo che vi si proceda ad
intervalli periodici prestabiliti (ad esempio, ogni dieci o vent’anni).
Con riferimento all’ordinamento italiano, la dottrina è pressoché unanime nel
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ritenere che tutti i soggetti ai quali sia attribuito il potere d’iniziativa delle leggi ordinarie
abbiano anche, salvo l’esistenza di espresse disposizioni contrarie, il potere d’iniziativa
delle leggi costituzionali. Di conseguenza, si afferma comunemente l’applicabilità in via di
principio al procedimento aggravato delle norme previste per il procedimento ordinario, in
primis degli articoli 71, 99 co. III e 121 co. II della Costituzione, disciplinanti il primo
l’iniziativa governativa, parlamentare e popolare, il secondo l’iniziativa del Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro, l’ultimo l’iniziativa delle Regioni.
A sostegno dell’esposta tesi, la dottrina richiama soprattutto i lavori preparatori.
Il progetto di Carta costituzionale sottoposto all’Assemblea Costituente proclamava, infatti,
all’art. 130: “L’iniziativa della revisione costituzionale appartiene al Governo ed alle
Camere”. Ebbene, tale comma è scomparso nella redazione definitiva dell’art. 138, sicché,
in mancanza di un’apposita norma sull’iniziativa della revisione, devono in questa materia
ritenersi applicabili le norme previste per l’iniziativa legislativa ordinaria
5
.
In secondo luogo, il fatto che nessuna disposizione si riferisca positivamente al
potere d’iniziativa delle leggi costituzionali, sebbene altre disposizioni regolino,
direttamente o per rinvio, il procedimento per la loro approvazione, sta a significare – si è
detto – che quel potere è evidentemente considerato come già esistente nell’ambito del
sistema.
Si è evidenziato, infine, che la terminologia usata in Costituzione per l’iniziativa
legislativa ordinaria (artt. 71, 99 co. III e 121 co. II), riferendosi alle “leggi” in genere senza
ulteriori specificazioni, ricomprenderebbe, o quanto meno non escluderebbe, anche le leggi
costituzionali.
La generale fungibilità del potere d’iniziativa legislativa ordinaria nei confronti
delle leggi costituzionali non implica necessariamente, però, che nel nostro ordinamento
titolari del potere d’iniziativa delle leggi costituzionali siano, in fatto, proprio tutti i soggetti
5
S. GAMBINO - D'IGNAZIO GUERINO, La revisione costituzionale e i suoi limiti. Fra teoria
costituzionale, diritto interno, esperienze straniere. Giuffrè editore, Milano, 2007
10
titolari del potere d’iniziativa legislativa ordinaria. E’ il caso dei Comuni, titolari ex art.133
co. I Cost. di un limitato potere d’iniziativa in materia di leggi per “il mutamento delle
circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito di una Regione”,
ma senza dubbio privi di un correlativo potere d’iniziativa costituzionale.
Ad escluderlo è la stessa disposizione richiamata. Infatti, le leggi della Repubblica,
l’iniziativa delle quali il primo comma dell’art. 133 attribuisce ai Comuni, sono certamente
leggi ordinarie, come si desume da un lato dall’identità d’espressione con il secondo
comma dell’art. 132 e dall’altro dalla contrapposizione con i diversi tipi di legge,
rispettivamente costituzionali e regionali, previsti dal primo comma dell’art.132 e dal
secondo comma dell’art. 133 . L’art. 133 co. I, quindi, proprio perché i mutamenti
territoriali regolati dagli artt. 132 e 133 sono reciprocamente differenziati per la loro diversa
importanza ed entità in funzione del tipo di atto che li potrà regolare, prevede l’iniziativa
dei Comuni per le sole leggi ordinarie.
Ugualmente privo del potere d’iniziativa costituzionale doveva
ritenersi, a norma dell’art. 10 co. II della Legge 5 gennaio 1957 n. 33, il Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Detta limitazione è però venuta meno dopo la
riforma dell’organo ad opera della Legge 30 dicembre 1986 n. 936.
Si noti, infine, che a tutti i soggetti titolari del potere d’iniziativa costituzionale
spetta anche il potere di ritiro, da esercitarsi nella stessa forma dell’atto d’iniziativa ed entro
il termine costituito dall’approvazione in prima deliberazione da parte della Camera adita
per prima.
1.2.2. L’iniziativa costituzionale del Governo.
In applicazione del principio della generale fungibilità del potere d’iniziativa
legislativa ordinaria nei confronti delle leggi costituzionali, possono considerarsi titolari del
potere d’iniziativa costituzionale il Governo, ciascun membro del Parlamento, il popolo, il
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, i Consigli Regionali, nonché gli organi
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