5
attraverso statuti e regolamenti, di costituire il proprio ordinamento così da
determinare, nel rispetto dei limiti posti dalla legge, le proprie regole di
organizzazione ed azione, con forza cogente nell’ambito del proprio territorio; sono
enti caratterizzati dall’autogoverno vale a dire che i componenti degli organi di
governo locale sono scelti dai governati stessi
2
.
Oggi la disciplina di riferimento per tali realtà è il D.Lgs. 18 Agosto 2000, n. 267
3
,
emanato dal Governo su delega conferita dall’art. 31 della L. 265/1999
4
. Il TUEL è
una legge generale della Repubblica, contenente, a norma dell’art. 1, comma 1, i
principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali (costituiscono i
“paletti” invalicabili oltre i quali la loro autonomia normativa non può estendersi). Al
fine di salvaguardare l’ordinamento degli enti locali da riforme implicite e garantire,
in una materia in continua evoluzione, la certezza del diritto, dando così stabilità al
testo normativo, l’art. 1, comma 4
5
stabilisce che i principi e le disposizione contenuti
nel TUEL non possono essere derogati se non per espressa modificazione degli stessi
da parte di leggi della Repubblica successive nel tempo.
L’attuale TUEL è il risultato di una lunga stagione di riforme originate dalle
necessità di decentramento e maggiore autonomia dei governi locali, di
razionalizzare il sistema delle pubbliche amministrazioni e risanare i conti pubblici,
di rispondere al mutamento quantitativo e qualitativo della domanda di servizi locali
da parte dei cittadini e delle imprese presenti sul territorio
6
.
Prima della L. 142/1990 con cui ha avuto inizio il processo di riforma rivolto a
rendere più autonomi gli enti locali, vigeva una disciplina legislativa
antiautonomistica, uguale, a livello statale, per tutti gli enti locali, che tendeva ad
uniformare il loro modello organizzativo e strutturale, in quanto non vi era possibilità
da parte degli enti locali di adattare questa alle proprie esigenze e caratteristiche.
2
L. 81/1993 elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del
Consiglio provinciale.
Le caratteristiche degli enti locali sono tratte da M. Paoloni, L’azienda del comune e della provincia.
Caratteristiche strutturali, gestionali, contabili e di bilancio, Giappichelli Editore, Torino, 1994, p. 5
3
D’ora in poi il D.Lgs. n. 267/2000 “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” verrà indicato
come TUEL.
4
Nota come legge Napolitano – Vigneti.
5
Essendo l’art. 128 Cost. abrogato con L.Cost. 3/2001, il comma in esame, va letto senza riferimento a detto
articolo, ma non viene meno.
6
A. Capocchi, La gestione economico finanziaria degli enti locali: la “nuova” finanza pubblica locale, in
Azienda pubblica, n. 1, 2001, pp. 9-29.
6
Gli enti locali venivano riconosciuti come elementi costitutivi dello Stato ma i poteri
conferitigli erano ancora pochi, dominante era la figura del politico-dirigente e
assenti o per lo meno inadeguati erano i controlli.
La L. 142/1990 segnò il passaggio da un regime di concentrazione totale di funzioni
di indirizzo, controllo e gestione, ad uno di separazione, almeno in linea di principio,
tra le competenze dell’apparato politico e di quello gestionale, che doveva
determinare un miglioramento nella gestione degli enti. Di fatto si assisté da una
parte, ad una resistenza della classe politica, che si sentiva espropriata di competenze
proprie e dall’altra ad un rifiuto di nuove responsabilità da parte della classe
dirigente
7
.
Un’altra importante novità introdotta dalla suddetta legge fu l’autonomia statuaria di
comuni, province e comunità montane, ossia il riconoscimento della potestà per
questi di adottare un proprio statuto, e quindi del potere di adattare la normativa
generale alle differenti e specifiche realtà locali. Tale potestà rimase però limitata in
quanto, nulla venne disposto nello specifico in materia di finanza e contabilità
8
.
Altro aspetto interessante fu l’introduzione dell’obbligo di dotarsi di un Organo di
revisione e della relativa disciplina in materia di controllo economico-finanziario
della gestione. L’art. 57 disciplinava le regole di elezione, la composizione, la durata,
le responsabilità e le funzioni di tale Organo di revisione, caratterizzate da una forte
eterogeneità che determinò l’effettiva inattuazione di un controllo concreto
9
.
Si cercò di lavorare sui limiti, che hanno determinato il parziale fallimento della
prima fase di riforma e si è così giunti al D.Lgs. 77/1995, che ha disciplinato la
gestione finanziaria e la contabilità degli enti locali. Si fissarono i principi generali
per predisporre i regolamenti, soprattutto in materia contabile, lasciando tuttavia
ampia libertà ad ogni singolo ente, sempre nel rispetto delle disposizioni generali che
non possono essere violate. Questi principi inderogabili diventano fondamentali in
un’ottica di decentramento, per arrivare all’integrazione ed al coordinamento previsti
dalla riforma del titolo V della Costituzione.
7
E. Barusso, Le competenze degli Enti Locali, 2002 Maggioli Editore, pag. 41.
8
E. Barusso, Le competenze degli Enti Locali, 2002 Maggioli Editore, pag. 45.
9
Per un ulteriore approfondimento di questo aspetto vedi il Capitolo II di questa trattazione.
7
Questo ebbe un riscontro positivo anche per quanto riguarda l’attività di revisione: il
regolamento diventò un punto di riferimento fondamentale nel quale fissare i criteri
da seguire per svolgere tale attività.
Con il D.Lgs. 77/95 si riuscì, inoltre, a dare attuazione al principio di separazione tra
il momento della programmazione e di indirizzo (affidato agli organi di governo) e il
momento della gestione (affidato agli organi di gestione), dotando i responsabili dei
servizi, delle risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi
10
. Come già
sottolineato, la figura dell’Organo di revisione acquistò maggiore importanza: con
l’affermarsi della separazione tra politica e gestione divenne fondamentale il suo
ruolo di assistenza e collaborazione, oltrechè di controllo.
I principali effetti di tale processo di riforma sono stati la realizzazione del
decentramento amministrativo e del federalismo fiscale, entrambi riconducibili al
principio della sussidiarietà.
L’impianto normativo è stato poi profondamente rivisitato alla luce dei principi e
delle innovazioni introdotte dalle Leggi Bassanini (L. 59/97, L. 127/97), in
particolare il principio di sussidiarietà
11
che, ribaltando il criterio guida che
informava il riparto di competenze amministrative tra Stato e le autonomie locali,
hanno inteso attuare un più ampio decentramento amministrativo (di funzioni
amministrative, dallo Stato in favore delle regioni e degli enti locali), così da
estendere l’ambito delle funzioni esercitabili dagli enti locali.
Tale principio di sussidiarietà, di derivazione comunitaria in quanto enunciato per la
prima volta dal Trattato di Maastricht del 1992 e quindi inserito nell’ordinamento
della Comunità Europea per frenare l’invadenza del diritto comunitario a vantaggio
del diritto interno degli Stati, è stato introdotto e adottato nell’ordinamento italiano
con la Legge Bassanini (L. 59/97) nella sua duplice configurazione: verticale e
orizzontale, per disciplinare i rapporti tra le pubbliche amministrazioni e le
10
E. Barusso, Le competenze degli Enti Locali, Maggioli Editore, 2002, pag. 74.
11
Tale principio, richiamato anche dall’art. 118 Cost., opera sia a livello verticale che orizzontale: nel primo
caso opera come criterio di ripartizione delle competenze fra diversi livelli di governo della cosa pubblica e le
funzioni amministrative vengono distribuite dall’amministrazione centrale agli enti locali; nel secondo come
criterio di ripartizione delle competenze fra P.A. e soggetti privati e gli enti locali si servono di altri soggetti
presenti sul territorio per la gestione di alcune funzioni o servizi.
A. Capocchi, La gestione economico finanziaria degli enti locali: la “nuova” finanza pubblica locale, in
Azienda pubblica, n. 1, 2001, pp. 9-29.
8
formazioni sociali
12
. Secondo la prima, che sancisce che Stato e regioni possono
conferire compiti e funzioni agli enti locali, la ripartizione in senso verticale delle
funzioni tra Stato, regioni, province, città metropolitane, comunità montane e
comuni, va fatta tenendo conto delle loro dimensioni, che devono essere idonee per
esercitarle. Il suddetto principio è quindi finalizzato al conferimento delle funzioni
amministrative al livello territoriale più vicino ai cittadini interessati dallo
svolgimento di quella data funzione (il comune) per soddisfare le richieste di questi
ultimi con tempestività e con il minor costo possibile, lasciando agli enti
sovraordinati
13
solo quelle funzioni, che quindi gli stessi devono trattenere a sé, che
per la loro natura, non possono essere svolte localmente, in quanto incompatibili con
le dimensioni degli stessi, quindi solo per ragioni connesse al loro migliore
soddisfacimento; la generalità delle competenze e delle funzioni amministrative deve
essere quindi attribuita, in ordine gerarchico inverso, innanzitutto ai comuni, quindi
alle province e alle comunità montane, poi alla regione e infine allo Stato, il quale da
ultimo, cede a sua volta all’UE, in sede di legislazione comunitaria, le sole funzioni
che non possono essere svolte in ambito statale (funzioni comuni di interesse
sovranazionale). La configurazione orizzontale delimita la sfera di intervento dei
pubblici poteri rispetto all’attività autonomamente svolta dalle formazioni sociali
14
,
per cui la generalità delle competenze e delle funzioni deve essere affidata ai pubblici
poteri solo quando l’iniziativa privata economica e sociale non sia capace di
svolgerle in modo adeguato ed efficiente.
Questo principio è stato accolto anche dall’attuale TUEL, nell’art. 3, comma 5, nella
cui prima parte si dice che a comuni e province possono essere conferite funzioni
amministrative con legge statale e regionale (sussidiarietà verticale), e nella seconda
parte che le amministrazioni locali svolgono i loro compiti utilizzando anche le
iniziative autonomamente svolte dai cittadini e dalle loro formazioni sociali
(sussidiarietà orizzontale); la formulazione di questo ultimo principio è tuttavia
12
F.Pitera e R. Bigotti, Riforma degli enti locali commento al D.Lgs. del 18/08/2000 n. 267, UTET, 2002, pag.
17.
13
Lo Stato nei confronti delle regioni e degli enti locali, come l’UE nei confronti degli Stati membri.
14
F.Pitera e R. Bigotti, Riforma degli enti locali commento al D.Lgs. del 18/08/2000 n. 267, UTET, 2002, pag.
18.
9
ancora limitata, in quanto presuppone una partecipazione dei cittadini a funzioni che
restano nella titolarità degli enti locali
15
.
Il principio di sussidiarietà è stato successivamente costituzionalizzato in seguito alla
riforma del titolo V della Costituzione, unitamente ai principi di differenziazione e di
adeguatezza che ne costituiscono delle variabili, con la novità che, per effetto del
nuovo art. 118 Cost., che riconosce l’attribuzione in via generale e a titolo originario
delle funzioni amministrative in capo ai comuni (e non più allo Stato), non è più
necessario stabilire con legge quali funzioni sono da conferire ai comuni e quali agli
altri enti (come esigeva la Bassanini), ma occorrerà, tramite legge statale o regionale,
individuare in via esplicita solo le funzioni che sono sottratte alla competenza dei
comuni, per essere attribuite, al fine di assicurane l’esercizio unitario, agli altri enti di
dimensioni via via superiori. In particolare, la nuova versione dell’art. 118 segna il
tramonto del principio del parallelismo
16
delle funzioni (già attenuato con la legge
Bassanini), in base al quale sussisteva un tendenziale collegamento tra aree di
competenza legislativa e aree di competenza amministrativa, e individua il principio
di sussidiarietà come regola per il riparto di competenze fra i diversi livelli di
governo a prescindere dalla titolarità delle potestà normative. L’art. 118 recepisce a
livello costituzionale anche il principio di sussidiarietà orizzontale, dove al comma 4
sancisce di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini nell’attività pubblica.
In questa fase quindi diventa attore principale il comune che, essendo il livello più
vicino ai cittadini, direttamente ne individua e ne interpreta i problemi e può disporre
di soluzioni per gli stessi più idonee.
Per quanto riguarda il decentramento amministrativo ne è risultata una ridefinizione
dei rapporti tra Stato ed enti locali e tra questi e comunità locali: lo Stato ha
rinunciato ad un controllo stretto e diffuso su tali enti attribuendo loro maggiore
autonomia in termini finanziari e gestionali determinando così, nella produzioni dei
servizi, un avvicinamento di tali enti alle proprie comunità di riferimento.
15
Come da nota n. 5 del commento al TUEL di S. Minieri e A. Piccoli.
16
Il nuovo art. 118 Cost. porta ad una completa scissione tra la titolarità della potestà legislativa (appartenente
esclusivamente a Stato e regioni) ed esercizio delle funzioni amministrative (attribuite in via generale ed
originaria ai comuni).
10
Dal punto di vista del federalismo fiscale, costituzionalizzato dal riformato art. 119
Cost. che riconosce piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa agli enti locali,
la riduzione dei trasferimenti finanziari dallo Stato agli enti locali (compensata dal
riconoscimento a questi ultimi della autonomia impositiva) ha reso necessaria una
maggiore razionalità nell’utilizzo delle risorse e nell’organizzazione delle attività.
Con l’emanazione del TUEL furono abrogati i precedenti T.U. datati 1934 e 1915,
già in parte soppressi con le precedenti riforme.
A seguito della riforma del titolo V della Costituzione, per mezzo della L.Cost. 3/01,
si sono resi necessari, a causa di problemi interpretativi, alcuni correttivi
dell’originario TUEL. Questi sono stati introdotti soprattutto in materia contabile e
finanziaria sia con le leggi finanziarie del 2003 e del 2004, che con la “Legge La
Loggia” del 2003, in attesa della revisione e riordino delle norme del TUEL per
renderle compatibili con la costituzione riformata previsto dalla delega al Governo, in
quest’ultima contenuta, per una riforma complessiva dell’ordinamento degli enti
locali che ne ridefinisca gli aspetti più importanti
17
.
Il costante riferimento che le leggi considerate fanno ai principi di efficacia,
efficienza e economicità, hanno innescato negli enti locali un processo di
“aziendalizzazione” che dovrebbe condurre ad una gestione più razionale, dal punto
di vista economico, della cosa pubblica, ad una maggiore congruenza tra risorse
impiegate e risultati ottenuti responsabilizzando di conseguenza i dirigenti pubblici.
Alla luce di quanto detto è possibile affermare che il fine istituzionale degli enti
locali consiste nel soddisfare i bisogni della collettività che vive nel territorio di sua
competenza nel rispetto delle condizioni di economicità ed efficienza della gestione.
Allo scopo di perseguire tale fine gli enti locali svolgono sia funzioni proprie, che,
puntualmente definite dalla legge, si sostanziano in quelle funzioni amministrative
non espressamente attribuite ad altri soggetti istituzionali dalla legge statale o
regionale, che funzioni conferite dallo Stato e dalla regione con le rispettive leggi
18
,
in base al principio di sussidiarietà e nelle materie di rispettiva competenza. Pur
17
S. Minieri e A. Niccoli “Premessa” del commento al TUEL, 2004
18
Art. 3, 5° comma, D.Lgs. 267/2000; le precedenti considerazioni circa il fine istituzionale degli enti locali si
rifanno a M. Paoloni, L’azienda del comune e della provincia. Caratteristiche strutturali, gestionali, contabili
e di bilancio, Giappichelli Editore, Torino, 1994, p. 7.
11
essendo la legge l’unica fonte dotata della potestà di definire sia le funzioni proprie
sia quelle assegnate agli enti locali in base ad un conferimento, l’ente locale esercita
dette funzioni a titolo originario, per cui dispone in via esclusiva del potere di
disciplinarne l’organizzazione e lo svolgimento mediante regolamento.
La soddisfazione dei bisogni della collettività avviene attraverso la produzione di
beni e servizi che possono essere definiti pubblici. A tal proposito l’art. 112 del
D.Lgs. 267/2000 al 1° comma afferma che: “Gli enti locali, nell’ambito delle
rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per
oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere
lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, in base a tale disposizione si
può affermare che gli enti locali sono delle aziende composte
19
; la legge stabilisce i
servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province.
1.2 La struttura organizzativa
Particolare importanza nella disciplina della struttura organizzativa di un ente locale,
assumono documenti quali lo statuto e i regolamenti, che gli stessi enti hanno il
potere di emanare, dal momento che il TUEL e la Costituzione riconoscono loro
autonomia statutaria e regolamentare oltrechè organizzativa. Questo è anche
sottolineato dalla Circolare del Ministero dell’Interno 7 giugno 1990 che recita: “Il
conferimento della potestà statuaria costituisce l’espressione più qualificante
dell’autonomia dei comuni e delle province. Consentire a ciascun ente la
deliberazione del proprio statuto significa consacrare il principio secondo cui non è lo
Stato che regola autoritariamente ed uniformemente la vita delle amministrazioni
19
Classificando le aziende in riferimento ai caratteri distintivi del loro oggetto di attività, è possibile
individuare due fondamentali tipologie aziendali: le aziende di erogazione e le aziende di produzione per lo
scambio nel mercato. Le prime (es. le famiglie) producono beni e servizi non destinati allo scambio, ma con lo
scopo di soddisfare i bisogni dei componenti dell’azienda. Le aziende di produzione (es. le imprese) invece,
producono beni e servizi destinati allo scambio nel mercato con lo specifico scopo di ottenere un reddito. Sono
infine configurabili le aziende composte che presentano congiuntamente i caratteri delle une e delle altre, visto
che la loro attività produttiva di beni e servizi, in larga parte, non è destinata al mercato, ma a soddisfare i
bisogni dei suoi componenti, ovvero i cittadini (soprattutto attraverso un processo di erogazione di servizi
pubblici). Tale classificazione è tratta da M. Paoloni, L’azienda del comune e della provincia. Caratteristiche
strutturali, gestionali, contabili e di bilancio, Giappichelli Editore, Torino, 1994, pp. 1-4.
12
elettive, ma sono esse stesse che, nell’ambito loro riconosciuto, si dotano di strumenti
di autogoverno adattando la propria struttura gestionale alla peculiarità della realtà
sociale che sono chiamate ad interpretare”.
Si viene a creare così una gerarchia tra le fonti normative in tema di organizzazione
che vede al primo posto il TUEL, al secondo lo statuto e al terzo i regolamenti. Se il
TUEL fissa i principi generali di organizzazione degli enti, lo statuto nell’ambito dei
principi fissati dalla legge, “stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione
dell’ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi […] stabilisce, altresì,
i criteri generali in materia di organizzazione dell’ente, le forme di collaborazione fra
comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell’accesso
dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi”, così recita l’art. 6,
2° comma del TUEL; infine i regolamenti “nel rispetto dei principi fissati dalla legge
e dallo statuto” vengono adottati dagli enti “nelle materie di propria competenza ed in
particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi
di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio
delle funzioni”, così afferma l’art. 7 del TUEL.
Facendo un quadro generale, possiamo dire che gli assetti organizzativi fondamentali
degli enti locali sono determinati, su previsione della Costituzione, dalla legge (il
TUEL ha il potere di individuare gli organi di governo e di stabilire quali siano le
funzioni fondamentali degli enti locali), ma completati e specificati da statuti e
regolamenti. Lo statuto stabilisce la normativa di base e di principio in materia di
organizzazione amministrativa dell’ente, spettando poi ai regolamenti, che
costituiscono la cd. normativa di dettaglio, disciplinare in modo più puntuale e
completo quanto contenuto nelle linee essenziali dallo statuto e dalle leggi, ovvero
l’organizzazione dell’ente e lo svolgimento e la gestione delle funzioni ad esso
attribuite. Gli statuti e i regolamenti, consentono quindi agli enti locali di regolare
autonomamente la propria organizzazione e i modi di esercizio delle proprie
competenze.
Negli enti locali si distinguono gli organi di governo (organi politici ed elettivi) e gli
organi di gestione (o burocratici). Ai primi sono attribuiti poteri di indirizzo e
controllo politico-amministrativo. Ai secondi (dirigenti e uffici) è affidata la gestione
13
amministrativa, finanziaria e tecnica dell’ente e la responsabilità in via esclusiva di
detta gestione e dei risultati raggiunti.
L’art. 36 stabilisce che sono organi di governo del comune il consiglio, la giunta e il
sindaco; sono organi di governo della provincia il consiglio, la giunta e il presidente.
Il Consiglio, sia comunale che provinciale, rappresenta il massimo organo
istituzionale, rappresentativo della comunità locale in quanto eletto direttamente dal
corpo elettorale ai sensi della L. 81/1993.
Il suo funzionamento e la sua organizzazione sono disciplinati dal regolamento, che
deve essere approvato dal Consiglio stesso a maggioranza assoluta, il cui contenuto
minimo è indicato nell’art. 38 del TUEL.
Tale regolamento fissa anche le modalità per la gestione delle risorse attribuite al
Consiglio per il suo funzionamento, il quale ultimo è così dotato della potestà di
gestire direttamente le proprie risorse.
Il Consiglio, infine, ha le seguenti funzioni
20
:
ξ di indirizzo politico: che si esplica attraverso la partecipazione del Consiglio alla
definizione delle linee guida, dell’indirizzo di politica generale, ossia dei fini
politico-amministrativi dell’ente e dei programmi di carattere generale di medio-
lungo termine;
ξ di controllo politico-amministrativo: consiste nel monitoraggio svolto sull’attività
posta in essere dagli organi politici e gestionali al fine di accertarne la conformità
all’indirizzo politico-amministrativo dell’ente.
I cittadini, contestualmente all’elezione del Consiglio, eleggono direttamente il
Sindaco e il Presidente della Provincia, i quali a loro volta nominano i componenti
della Giunta e sono a capo di quest’organo definito “esecutivo” il quale, a norma
dell’art. 48 “collabora con il sindaco o il presidente della provincia nel governo del
comune o della provincia […] compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell’art. 107,
commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla
legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo
statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento;
20
Così come disciplinato dall’art. 42, comma 1; al comma 2, vengono indicate analiticamente le specifiche
competenze del Consiglio, esercitate da esso in via esclusiva, tra cui l’approvazione di fondamentali atti di
programmazione.
14
collabora con il sindaco e con il presidente della provincia nell’attuazione degli
indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria
attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso. E’, altresì,
di competenza della giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e
dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio”. La Giunta ha quindi
il compito di curare l’attuazione degli obiettivi e programmi di carattere generale
predisposti dal Consiglio, trasformando gli stessi in direttive e atti di indirizzo più
dettagliati per gli organi gestionali (funzione di indirizzo sulla gestione), mediante il
PEG, ed assume essa stessa decisioni di tipo strategico nel rispetto delle proprie
specifiche competenze.
Per quanto riguarda il Sindaco e il Presidente della Provincia, che sono organi
individuali di vertice delle amministrazioni locali con ruolo di direzione politico-
amministrativa, le loro competenze sono disciplinate nell’art. 50 a norma del quale
essi “sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia
[…] rappresentano l’ente […] nominano i responsabili degli uffici e dei servizi,
attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione
esterna”.
Altra figura di assoluto rilievo, ed obbligatoria negli enti locali, è il Segretario
comunale o provinciale. La normativa relativa a quest’organo ha subito una
risistemazione organica: prima con la L. 142/90 che ne confermava lo status di
funzionario statale; poi con le novità introdotte dalla L. 127/97 che prevedono un
rapporto di tipo fiduciario tra il Segretario e il Sindaco o Presidente della Provincia,
inquadrandolo come dipendente di un’Agenzia autonoma e non più del Ministero
dell’Interno com’era stato fino ad allora.
L’attuale TUEL ne riconferma lo status di funzionario o dirigente pubblico, non più
statale, ma dipendente da apposita Agenzia nazionale, ed iscritto all’Albo nazionale
di cui all’art. 98.
Con l’entrata in vigore della L.Cost. 3/2001 si è messa in discussione la presenza di
questo antico istituto e si sono avanzate delle proposte per la sua soppressione; la
sopravvivenza di questo è stata confermata ma si sono avute delle modifiche rispetto
a quanto inizialmente previsto dal TUEL.
15
Il suo ruolo e le sue funzioni sono disciplinate nell’art. 97 a norma del quale egli
“svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa
nei confronti degli organi dell’ente […] sovrintende allo svolgimento delle funzioni
dei dirigenti e ne coordina l’attività”, in caso, relativamente a quest’ultima funzione,
di mancanza del Direttore Generale, il quale ultimo può essere facoltativamente
nominato negli enti locali di maggiori dimensioni.
Il Segretario viene nominato con un atto proprio del Sindaco o del Presidente della
Provincia, in base ad una scelta di questi ultimi del tutto personale a cui non si
collegano alcun tipo di pareri, scegliendolo tra gli iscritti all’Albo.
Infine vi sono i dirigenti ai quali, a norma dell’art. 107, 1° comma, spetta “la
direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e
dai regolamenti”; l’articolo prosegue disciplinando analiticamente le funzioni dei
dirigenti e specificando al 6° comma, a proposito della loro autonomia operativa, che
“i dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi
dell’ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della
gestione”; è importante infine sottolineare che come afferma lo stesso art. 107, vige il
principio per cui i poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo spettano agli
organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita
ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane,
strumentali e di controllo. In sostanza, ai dirigenti è affidato il compito di gestire
l’ente finanziariamente, tramite l’adozione di atti necessari per l’acquisizione delle
entrate e per l’erogazione delle spese, il potere di gestire e di organizzare le risorse
umane e strumentali loro affidate e il conseguente controllo degli uffici e dei servizi
che dirigono; il riconoscimento di un loro autonomo ruolo decisionale ne ha
comportato poi una maggiore responsabilità, anche manageriale, che va oltre la
valutazione della mera regolarità formale dell’azione amministrativa, avendo di mira,
soprattutto, la qualità degli obiettivi raggiunti.
16
1.3 Disposizioni in materia finanziaria
Le disposizioni sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali sono
contenute nella Parte II del TUEL. In seguito alla riforma del titolo V della
Costituzione
21
, la nuova normativa detta importanti prescrizioni nel segno del
federalismo fiscale e attribuisce a comuni, province e regioni una piena e completa
autonomia finanziaria in tema di entrate e di spesa, che consiste nella potestà di
stabilire e gestire in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitano per la
realizzazione delle funzioni loro attribuite. Per finanziare dette funzioni i suddetti enti
dispongono di risorse proprie che si articolano in tributi ed altre forme di entrate
proprie, che essi stabiliscono ed applicano, e nella compartecipazioni al gettito di
tributi statali che provengono dal loro territorio
22
.
Quanto detto è previsto compatibilmente con i principi costituzionali, con i principi
di coordinamento della finanza pubblica e col sistema tributario nazionale; tale
riserva costituzionale mira a dettare un minimo di coordinamento fra la finanza
statale con quella degli enti territoriali, indispensabile per la disciplina dell’attività di
entrata e di spesa delle autonomie locali, soprattutto in un contesto in cui il sistema
nazionale deve sempre più rapportarsi alla dimensione europea.
Più specificamente la legge assicura agli enti locali, come elemento essenziale
costitutivo dell’autonomia finanziaria, potestà impositiva autonoma nel campo delle
imposte, tasse, tariffe, che consiste nel potere dell’ente di imporre propri tributi e
quindi di provvedere all’acquisizione delle entrate in maniera diretta, e la possibilità
di disciplinare con regolamento tutte le entrate proprie con esclusione
dell’individuazione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota
massima dei singoli tributi, riservati alla disciplina statale.
L’autonomia finanziaria degli enti locali è fondata sulle risorse proprie e sulle risorse
trasferite
23
.
21
L.Cost. 3/2001.
22
Secondo quando disposto dall’art. 119, comma 1 e 2 della Costituzione e dall’art. 149, comma 2 del TUEL.
23
Costituiscono risorse (o entrate) proprie, i tributi locali (imposte, tasse, addizionali e compartecipazioni
ecc.), le entrate derivanti dall’erogazione di servizi pubblici, quelle ricavate dalla gestione del loro patrimonio.
Costituiscono risorse trasferite o derivate, i trasferimenti erariali (dallo Stato) e quelli regionali.
17
Per quanto concerne le entrate da trasferimenti (cd. finanza derivata), i contributi
statali possono essere ordinari o straordinari e possono essere finalizzati al
finanziamento della spesa corrente o degli investimenti. Vi sono poi i trasferimenti
erariali “perequativi” che garantiscono una perequata distribuzione delle risorse per
attenuare gli squilibri della fiscalità locale. I contributi ordinari di parte corrente sono
destinati, a norma dell’art. 149, comma 7 del TUEL, al finanziamento dei servizi
pubblici indispensabili, al quale concorrono anche le entrate fiscali, le quali sono
destinate prioritariamente al finanziamento dei servizi pubblici necessari per lo
sviluppo della comunità. Il principio basilare è dunque che i fondi erariali sono
utilizzati per assicurare i servizi indispensabili degli enti locali, mentre maggiori o
nuovi servizi, comunque “ritenuti necessari per la comunità locale”, sono finanziati
nell’ambito delle entrate tributarie degli enti stessi.
I contributi ordinari per gli investimenti sono invece destinati alla realizzazione di
opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico.
I contributi straordinari sono fissati di volta in volta da leggi speciali per fronteggiare
situazioni ed eventi di carattere eccezionale. Lo Stato deve inoltre compensare gli
enti locali con risorse alternative nel caso si stabilisse la gratuità di un determinato
servizio o si prevedesse per esso prezzi o tariffe inferiori al costo effettivo di
produzione.
Per quanto riguarda i contributi straordinari, è dovuta la presentazione del rendiconto
all’amministrazione erogante entro il termine previsto dall’art. 158 del TUEL, pena
la restituzione dello stesso, per documentare contabilmente la relativa spesa nonché i
risultati ottenuti in termini di efficacia
24
ed efficienza
25
dell’intervento.
Da quanto detto risulta che l’autonomia finanziaria trova riscontro anche nell’ampia
libertà riconosciuta agli enti locali nell’utilizzo delle risorse trasferite: la
finalizzazione dei contributi ordinari per investimenti risponde a criteri molto
generici aumentando la possibilità di accesso.
24
Concerne il rispetto degli obiettivi e la capacità di soddisfare i bisogni dei propri cittadini, tratto da G.
Farneti, Gestione e contabilità dell’ente locale, Maggioli Editore, Rimini, 2005.
25
Permette di controllare la produzione, nelle finalità di minimizzare le risorse impegnate o di massimizzare la
azioni definite dalla legge statale.
18
Uniche eccezioni sono costituite dal Fondo Speciale
26
per gli investimenti e dai
contributi per situazioni eccezionali, che essendo considerati contributi straordinari
sono soggetti, come detto, all’obbligo di rendicontazione.
Per quanto riguarda i trasferimenti e la somma della compartecipazione degli enti
locali alle entrate statali, l’ammontare è fissato dalla legge ed inserito nel bilancio
pluriennale che non può più essere modificato nell’arco del triennio
27
in cui questo ha
validità.
Gli enti locali sono sostenuti inoltre, da finanziamenti da parte della regione di
appartenenza per la realizzazione e il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nel
Programma regionale di sviluppo
28
e per la copertura finanziaria delle funzioni ad
essi trasferite. A differenza della contribuzione statale di tipo ordinario, i
trasferimenti regionali hanno carattere finalizzato, e sono correlati all’esercizio di
specifiche funzioni esercitate dagli enti locali per conto della regione di
appartenenza; la loro natura di contributi finalizzati li vincola in ogni caso alle
disposizioni dell’art. 158 del TUEL, che ne prevede la rendicontazione.
Uno degli organi che funge da raccordo tra l’autonomia dell’ente e la necessità degli
apparati centrali di controllare la loro attività, è l’Osservatorio sulla Finanza e la
Contabilità degli enti locali
29
.
I suoi compiti principali sono quello di promuovere la corretta gestione delle risorse,
la salvaguardia degli equilibri di bilancio, l’applicazione dei principi contabili
contenuti nel TUEL, di studiare la validità generale del sistema di trasferimenti
erariali e di presentare al Ministero dell’Interno, presso cui è istituito, una relazione
annuale sullo stato di applicazione delle norme contabili. In sostanza, dovrebbe
contribuire alla corretta ed uniforme applicazione dei principi contabili stabiliti dal
TUEL ed alla manutenzione dell’ordinamento contabile, proponendo adeguamenti ed
innovazioni, in relazione alle necessità degli enti locali e ai tempi.
26
Definito dall’art. 149, comma 10 del TUEL che stabilisce il suo utilizzo secondo criteri perequativi per
investimenti nel territorio degli enti locali i cui organi sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose e degli enti in
gravissime condizioni di degrado.
27
Art. 149, comma 11 del TUEL.
28
Previsto dall’art. 11 del D.P.R. 616/1977 che fissa gli obiettivi della programmazione regionale.
29
Istituito con il D.Lgs. 410/1998.