4
civile agli articoli 1292 e seguenti; a tale problema è, infatti,
strettamente connesso quello concernente il significato e la
funzione di un’obbligazione risarcitoria gravante in solido sulle
persone alle quali è imputabile lo stesso fatto dannoso.
L’importanza di tale aspetto non è certo sfuggita agli autori
che più approfonditamente hanno dedicato la loro attenzione
all’argomento, anche se soltanto alcuni di essi hanno avuto la
felice intuizione di estendere la propria analisi ai precedenti
storici dell’art. 2055 cod.civ., dando ampio rilievo anche alle
influenze dottrinarie, in particolare di provenienza francese, che
condussero all’inserimento nel codice civile italiano del 1865
dell’art. 1156; e tra questi il Busnelli
1
, proprio al fine di proporre
un nuovo schema interpretativo dell’art. 2055 cod.civ.,
maggiormente in sintonia con la disciplina delle obbligazioni
solidali (vedi infra, par.2).
Nel codice del 1865, dunque, la responsabilità solidale per
fatto illecito era disciplinata dall’art. 1156, che così recitava: «Se
1
Busnelli, L’obbligazione soggettivamente complessa, 1974, pagg. 137 e segg.
5
il delitto o quasi-delitto è imputabile a più persone, queste sono
tenute in solido al risarcimento del danno cagionato».
Tale espressa previsione normativa evitò alla dottrina
italiana lo sfiancante lavoro critico e creativo in cui, invece,
dovettero cimentarsi gli autori transalpini del secolo scorso;
questi ultimi, infatti, si trovarono di fronte alla particolare
situazione scaturente sia dalla mancanza, nel Code Napoleon, di
una norma espressa in tema di responsabilità solidale, sia dalla
previsione di cui all’art. 1202, il quale afferma, in termini
generali, che la solidarietà non si presume mai: il che privava il
danneggiato dei numerosi vantaggi che, invece, gli sarebbero
derivati dall’imposizione di un’obbligazione risarcitoria solidale
in capo ai coautori del fatto dannoso ed era, quindi, difficilmente
conciliabile con quelle evidenti esigenze di giustizia che
suggerivano di assicurare al danneggiato una tutela analoga a
quella derivante dai principi in tema di solidarietà. Fu proprio in
tale contesto che si assistette alla nascita ed alla progressiva
definizione di una delle più originali e, al tempo stesso,
6
controverse creazioni della scienza giuridica francese: la c.d.
“obbligazione in solidum”
2
, distinta dall’obbligazione solidale in
quanto non espressamente prevista dalla legge, ed in forza della
quale ognuno dei coautori di un fatto
illecito viene ad essere considerato il solo responsabile
dell’intero danno.
Tale categoria, fondata sul principio di “equivalenza delle
cause”, è stata oggetto di vivaci critiche fin dalla sua
formulazione, ma è ormai stabilmente entrata a far parte delle
nozioni istituzionali del diritto civile francese, grazie soprattutto
alla sua affermazione per via giurisprudenziale.
Tornando ora al di qua delle Alpi, si sottolinea come tali
«discussioni ed incertezze, presso di noi, furono troncate all’art.
1156 del codice civile del 1865»
3
; ciò, ovviamente, non significa
che il legislatore dell’epoca ignorasse tale controversia
4
. Anzi,
l’interruzione «di propria iniziativa e per la prima volta nella
2
Cfr. Demolombe, Corso del Codice Civile, Prima versione italiana, XIII, 1873,
pagg. 93 e segg.
3
Così De Cupis, Il danno I, 1979, pag. 272.
4
Cfr. la testimonianza di Melucci, La teoria delle Obbligazioni solidali nel
diritto civile italiano, 1884, pagg. 293 e segg.
7
legislazione civile» di un articolo sull’argomento, dimostra come
la problematica gli fosse ben presente.
Lo stesso uso dell’espressione “in solido” fu effettuato con
cognizione di causa, attribuendole lo stesso significato
dell’apposita sezione del codice sulla solidarietà, nella quale ne
venivano determinati effetti e caratteri. In sostanza, il legislatore
del 1865 escluse «qualunque tentativo di una doppia specie di
solidalità»
5
, configurando l’obbligazione risarcitoria gravante sui
coautori di un fatto dannoso come una normale obbligazione
solidale.
Il codice vigente ha effettuato una puntuale trasposizione
dell’art. 1156 del vecchio codice nell’attuale art. 2055, che al
primo comma statuisce: «Se il fatto dannoso è imputabile a più
persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del
danno». Al di là della sostituzione dell’espressione “delitto o
quasi-delitto” con quella senz’altro più adeguata di “fatto
dannoso”, nella disposizione attualmente in vigore è riscontrabile
5
Melucci, op. cit., pag. 307.
8
anche l’inserimento di due ulteriori commi volti a disciplinare i
rapporti interni tra i corresponsabili. In particolare il 2° comma
dispone che «Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro
ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della
rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono
derivate» e il 3° comma che «Nel dubbio le singole colpe si
presumono uguali».
Tali disposizioni, se da un lato hanno contribuito ad
eliminare molte delle difficoltà teoriche e pratiche in materia di
c.d. rapporti interni sorte a seguito delle diverse teorie formulate
dalla dottrina francese (difficoltà che in parte erano state presenti
anche agli autori italiani), dall’altro, come vedremo in seguito,
hanno dato luogo a diversi e non meno importanti questioni
interpretative.
In realtà, però, l’aspetto più interessante del rapporto tra le
previsioni normative dei due articoli risiede in un dato estraneo
alla loro formulazione e derivante invece dal regime generale
delle obbligazioni delineato dai due codici. Sotto l’impero del
9
codice del 1865, infatti, nel caso in cui più soggetti fossero
obbligati per lo stesso fatto, la regola fissata dall’art. 1188 era nel
senso che si instaurassero tante obbligazioni parziarie quanti
erano i rapporti intersoggettivi, mentre la solidarietà costituiva
l’eccezione posta dalla volontà delle parti o dalla legge (come nel
caso, appunto, dell’art. 1156 cod.civ. abrogato).
Totalmente diversa, invece, è la situazione sotto la vigenza
del codice del 1942, che all’art. 1294, e dunque nell’ambito delle
disposizioni generali sulle obbligazioni, ha stabilito che: «I
condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non
risulta diversamente»; ed è proprio questa disposizione che ha
suscitato i maggiori problemi di carattere sistematico in relazione
all’art. 2055 cod.civ., che, apparentemente, verrebbe a ribadire la
suddetta norma, seppure in merito al condebito risarcitorio per
fatto illecito, qualificandosi, quindi, come superfluo
6
: problemi
sistematici che, come vedremo, sono inscindibili da quelli più
6
In tal senso Ruffini, Il concorso di colpa e di caso fortuito nella produzione
dell’evento dannoso, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale
delle obbligazioni, 1964, pagg. 53 e segg.
10
prettamente ermeneutici concernenti l’art. 2055 cod.civ., e
dunque non sono autonomamente risolvibili.
11
1) L’ART. 2055 COMMA 1° COD.CIV. COME
ESPRESSIONE DEL PRINCIPIO DELLA “CONDICIO
SINE QUA NON”.
Per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 2055 c.1°
cod.civ., è senz’altro prevalente in dottrina la teoria che lo
considera come espressione del principio di equivalenza delle
cause, pur se non si può fare a meno di riscontrare la presenza di
varie sfumature nell’ambito di tale filone (vedi infra.).
La più chiara affermazione di questo indirizzo è dovuta al
Forchielli
7
; questi, con la sua ricerca, ha inteso evidenziare il
fatto che in materia causale il diritto positivo si uniforma al
principio di equivalenza delle cause, il cui fulcro consiste nella
teoria della “condicio sine qua non”. Tale teoria identifica la
causa di un evento in tutti quegli antecedenti senza dei quali
questo non si sarebbe verificato, facendo a meno di distinguere,
peraltro, tra antecedenti prossimi e remoti. La generale critica del
7
Forchielli, Il rapporto di causalità nell’illecito civile, 1960, pagg. 95 e segg.
12
Forchielli a tale teoria, che ben potrebbe essere sostituita,
secondo lui, da quella dell’adeguatezza causale, viene a
puntualizzarsi, per l’appunto, sulla solidarietà nel campo della
responsabilità extracontrattuale, poiché la genesi di quest’ultima
sarebbe radicalmente diversa da quella della solidarietà
contrattuale. Pur sancendo, quale effetto per entrambi, il
principio di solidarietà, nell’un caso (responsabilità contrattuale)
esso «discende dal conforme impegno assunto dallo stesso
coobbligato, o, quanto meno, dalla valutazione oggettiva e
probabilistica che sta alla base del principio dispositivo della
volontà contrattuale (art. 1294 cod.civ.)». Nell’altro caso, invece
(responsabilità aquiliana), esso non è giustificabile in altro modo,
«se non come coerente corollario del principio della “condicio
sine qua non”»
8
. Tale affermazione, oltre che tramite il
riferimento all’analoga giustificazione fornita, come abbiamo
visto, dalla dottrina francese, sarebbe giustificabile anche a
contrario, poiché escludendo il fondamento causale della norma,
8
Forchielli, op. cit., pag. 96.
13
l’unico altro supporto teorico sarebbe costituito dal vantaggio
pratico che il danneggiato ne trarrebbe, concretizzantesi nella sua
maggior garanzia e comodità per la riscossione dell’obbligazione
risarcitoria. È di immediata evidenza, tuttavia, che il
riconoscimento di un tale beneficio al danneggiato non
costituisce un’esigenza di portata tale da poter essere ritenuta
sufficiente ad imporre ai danneggianti la solidarietà passiva.
Conseguentemente “bonum et commodum creditoris”
costituirebbero soltanto la necessaria implicazione logica della
scelta effettuata dal legislatore in favore della solidarietà
extracontrattuale, e determinata dal carattere causalmente
condizionante di ciascuna delle concause imputabili all’evento
9
.
L’ulteriore sviluppo dell’indagine del Forchielli scaturisce
nell’affermazione che il presupposto dell’applicazione della
solidarietà per fatto illecito sarebbe costituito dall’equità. A tale
conclusione l’autore addiviene dopo aver rilevato l’inoperatività
del principio di equivalenza delle cause nei rapporti interni tra i
9
Cfr. Forchielli, op.cit. loc.cit.
14
corresponsabili, a norma dell’art. 2055 comma 2° cod.civ.:
mentre infatti nella solidarietà contrattuale la ripartizione interna
della responsabilità dipende dalla struttura originaria
dell’obbligazione, ed è quindi ad essa connaturata, in ambito di
responsabilità aquiliana la ripartizione appartiene ad una fase
successiva ed è determinata non da ragioni di carattere
sistematico (poiché in tal caso, applicando in modo integrale il
criterio di equivalenza delle cause, se ne potrebbe anche
prescindere), bensì proprio da «insopprimibili esigenze di equità
di giustizia distributiva».
In sostanza, se il legislatore avesse deciso di applicare ai
rapporti interni il principio di equivalenza delle cause, comunque
avrebbe consentito al condebitore escusso di agire in regresso
verso gli altri corresponsabili; ma stabilendo che la quota
risarcitoria gravante su ciascuno di essi sia proporzionata alla
entità della loro colpa e delle conseguenze derivatene, esso
avrebbe effettuato una chiara scelta volta ad evitare la possibilità
che soggetti con una colpa minima fossero tenuti a rifondere una
15
quota pari a quella di persone colpevoli di azioni ben più
determinanti nella produzione del danno: una scelta, appunto,
motivata da ragioni di equità.
Tali premesse, come anticipato, consentono di individuare
nel Forchielli uno dei primi e più convinti sostenitori della teoria
della “condicio sine qua non” come fondamento della solidarietà
tra i più coautori di un evento dannoso. Tuttavia l’autore stesso
giunge, paradossalmente, a criticare tale fondamento, pur da lui
riscontrato, e ciò sulla scorta di due criteri: quello equitativo e
quello razionale.
Dal primo punto di vista lo studioso, chiaramente attestato
su posizioni “garantiste”, ritiene largamente insoddisfatte le
esigenze di giustizia distributiva che, in base alla sua analisi,
ispirerebbero il comma 2° dell’art. 2055 cod.civ.: ciò proprio
perché la tanto avversata equivalenza delle cause sarebbe esclusa
soltanto nell’ambito dei rapporti interni, mentre nei rapporti tra i
condebitori ed il danneggiato l’applicazione del principio della
responsabilità integrale porterebbe all’aberrante risultato di
16
ammettere la possibilità che un soggetto, responsabile in minima
parte soltanto, sia obbligato a risarcire il danno per intero e sia
poi costretto ad affrontare le difficoltà pratiche dell’azione di
regresso verso gli altri coobbligati, nonché il rischio della loro
insolvenza. Su questo aspetto hanno insistito in dottrina varie
altre voci; in particolare, una posizione alquanto radicale rileva
come tale norma porti in molti casi i creditori a rivolgersi a quelli
tra i corresponsabili, che pur avendo avuto una colpa assai
modesta nella causazione del danno, sono però in grado di
garantire il buon esito dell’escussione per le loro migliori
condizioni economiche. Su tale base si arriva addirittura a
paventare un profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 2055
comma 1° cod.civ. per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto
introduttivo di una discriminazione dei cittadini dinanzi alla
legge in ragione delle loro condizioni sociali
10
.
Non si può, però, non evidenziare che, anche tenendo
conto delle comprensibili preoccupazioni degli studiosi più
10
Cfr. Degli Uberti, La solidarietà nella responsabilità extracontrattuale, in
Responsabilità civile e previdenza, 1969, pagg. 290 e segg.
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spiccatamente garantisti, non è condivisibile un’impostazione che
pervenga a simili conclusioni, poiché nella valutazione effettuata,
il legislatore ha sicuramente tenuto conto dell’eventualità che
potesse verificarsi una situazione analoga a quella descritta da
Degli Uberti, ma a fronte di questa mera eventualità ha ritenuto
preferibile accordare la più piena tutela a chi ha subito
ingiustamente un danno a causa del fatto illecito di altri
individui; ciò nell’ambito di una libera e ponderata valutazione di
interessi, come tale sempre discutibile, ma non certo censurabile
sotto il profilo e per i motivi dedotti.