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A livello strutturale, la tesi è suddivisa in tre parti distinte, ciascuna
dedicata ad un aspetto specifico della trattazione in esame. Nella prima di
queste sezioni viene affrontato il tema della responsabilità sociale delle
imprese da un punto di vista teorico. Ad un’analisi dell’evoluzione storica
del concetto (paragrafo 1), segue una definizione formale dello stesso
(paragrafo 2). I paragrafi 3 e 4 si focalizzano invece sui principali strumenti
elaborati e riconosciuti a livello mondiale per misurare la portata concreta
delle azioni intraprese dalle aziende e dalle organizzazioni internazionali. Se
da un lato appaiono ovvi i benefici derivati da una condotta responsabile
(paragrafo 7), dall’altro è risultato necessario anche analizzare quali sono le
critiche sollevate nei confronti di una tematica considerata dai più scettici
una moda passeggera e per questo priva di reale efficacia (paragrafo 6).
La seconda parte dell’elaborato entra nel vivo dell’analisi scelta. Nel
primo capitolo viene fornita una descrizione di quanto avviene sullo
scenario internazionale (paragrafo 2), con particolare attenzione rivolta alle
iniziative promosse dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico (paragrafo 2.2) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite
(paragrafo 2.3). Questa visione di insieme si è rivelata necessaria al fine di
offrire una panoramica globale, utile per inquadrare al meglio le due
dimensioni nazionali oggetto di questa tesi. Il terzo capitolo illustra le
politiche e le strategie in materia di CSR adottate in Italia (paragrafo 3),
sviluppate nel contesto dell’Unione Europea (paragrafi 1 e 2). Al fine di
fornire una migliore prospettiva, la trattazione si è sviluppata lungo due
filoni distinti: quello istituzionale, rappresentato dalle iniziative promosse
dal Governo centrale e dagli Enti locali (paragrafi 3.1 e 3.2), e quello
concreto che mira a fotografare come ed in quale misura le imprese abbiano
deciso di allinearsi a questo nuovo trend mondiale (paragrafo 3.3).
Conclusa la panoramica della situazione italiana e comunitaria, la
dissertazione si sposta nell’estremo oriente per focalizzarsi su quanto
avviene in Giappone. Tuttavia, se nel capitolo precedente si è reso i
necessario un approccio che valutasse soprattutto il contributo fornito dalle
istituzioni, per quel che concerne lo Stato asiatico, a causa di una scarsa
influenza dimostrata dagli organismi centrali, è stata privilegiata un’analisi
di stampo storico che evidenziasse come nel tempo si è evoluto il
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comportamento delle imprese nazionali. Termina la seconda parte l’analisi
comparativa delle due dimensioni nazionali, valutate per quanto concerne le
soluzioni adottate (paragrafo 1), i temi principali di interesse (paragrafo 2)
ed i rapporti regionali ed internazionali (paragrafo 3)
Terza e ultima parte è quella dedicata ai due casi di studio scelti come
esempio concreto di come nella realtà delle imprese venga affrontato il tema
della CSR. Da un lato il Gruppo Fiat (capitolo 5), espressione
dell’imprenditorialità italiana e dall’altro la Toyota Motor Corporation
(capitolo 6), simbolo internazionale dell’industria giapponese. Per entrambi
è stata scelto lo stesso percorso di analisi, tale poi di agevolare la
comparazione tra le due imprese. Dopo una breve illustrazione storica,
l’attenzione si è focalizzata sui diversi strumenti ideati per misurare ed
esplicitare la portata dell’impregno aziendale a favore di comportamenti
maggiormente sensibili alle problematiche ambientali e sociali. Segue
dunque un’analisi delle principali iniziative adottate, divise per stakeholder
di riferimento: ambiente, fornitori, risorse umane, clienti, società globale e
comunità locale.
Infine l’ottavo capitolo mette a confronto i principali risultati raggiunti
da queste due imprese, cercando in maniera critica di valutare quanto alle
parole sono corrisposti fatti concreti che realmente testimoniano un interesse
in materia di CSR. Duplice l’obiettivo di questa analisi. Da un lato si è
valutato in quale misura le due aziende in questione siano espressione delle
rispettive politiche nazionali e dall’altro ci si è focalizzati su come i
rinnovati comportamenti assunti dal management si integrino nel contesto
internazionale.
Proprio per il taglio pratico che si è voluto garantire a questo
elaborato, accanto a testi generici che approfondiscono da un punto di vista
teorico gli aspetti della responsabilità sociale, molte sono state le fonti
attinte da internet ed, in particolare, dagli stessi documenti pubblicati a
livello istituzionale (governi centrali, associazioni, ecc.) ed aziendale (codici
di condotta, rapporti di sostenibilità, ecc.). Ancora oggi, troppo poche sono
infatti le risorse circa il rapporto che intercorre tra Unione europea e
Giappone. Attraverso questa tesi dunque, si cerca di rilanciare un dibattito
che ha tra i suoi protagonisti due importanti attori sulla scena internazionale.
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PARTE PRIMA
UN APPROCCIO TEORICO
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I. Responsabilità sociale d’impresa: sviluppo ed evoluzione
1. Storia di un concetto
Sebbene il concetto di responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social
Responsibility o CSR in breve) sia stato elaborato quasi un secolo fa, è solo
negli ultimi dieci anni che la società è diventata testimone di una vera e
propria crescita d’interesse circa le iniziative promosse in merito da
imprese, università, governi nazionali e amministrazioni locali.
L’espressione, nell’accezione moderna, venne introdotta dalle business
school americane nel secondo dopoguerra, ma affonda le sue origini in
alcuni studi apparsi trent’anni prima, nei quali si rifletteva sulla necessità da
parte dell’impresa di operare non solo nei confronti degli azionisti, ma
anche di altri interlocutori. Superate le difficoltà economiche causate dalla
grande depressione e dal successivo conflitto mondiale che avevano fatto
passare in secondo piano tali preoccupazioni, comincia a diffondersi l’idea
che le aziende debbano valutare gli effetti del loro impatto circa il contesto
ambientale. È a partire dal 1960 che gli studiosi cominciano ad elaborare un
corpus letterario in ambito di CSR, arrivando ad analizzare
progressivamente i concetti ad essa correlati, quali ad esempio quello di
stakeholder o di corporate social performance, entrambi introdotti nella
seconda metà degli anni ottanta.
Malgrado questa prospettiva storica ci aiuti a capire su quali basi si
appoggi il concetto in questione, è innegabile come siano stai solo gli ultimi
anni a vedere una vera e propria esplosione del tema, portato alla ribalta dai
fenomeni della globalizzazione e dell’internazionalizzazione. In breve, la
crescita d’importanza attribuita alla responsabilità sociale d’impresa può
essere spiegata come il risultato di due forze che, muovendosi in direzione
opposta, cercano un equilibrio che ancora tarda ad essere stabilito. Sacconi
si riferisce loro chiamandole tendenza alla privatizzazione delle decisioni
economiche rilevanti e tendenza alla responsabilizzazione dei decisori
economici di fronte ai differenti interessi sociali coinvolti (Sacconi, 2005).
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Sia i paesi di origine anglosassone che l’Europa continentale hanno
assistito ad un forte processo di finanziarizzazione dell’economia che ha
decretato il successo del capitalismo di mercato. Quei paesi caratterizzati da
un consistente intervento dello stato in economia e dal Welfare State hanno
visto entrare in crisi l’intero sistema, accusato di costi troppo elevati. La
progressiva privatizzazione di settori tradizionalmente gestiti dalle
istituzioni pubbliche ha portato inoltre ad uno spostamento del campo di
battaglia dalla politica al mercato e, di conseguenza, ha coinvolto le
procedure che determinano le decisioni manageriali. All’aumento delle
prerogative associate alle imprese corrisponde una crescita della domanda di
equità che, se non soddisfatta, rischia di compromettere la nuova
distribuzione dell’autorità. Per questo motivo, la tradizionale concezione del
mercato che non chiede altro alle imprese se non di massimizzare i profitti
nel rispetto della legge viene progressivamente abbandonata a favore di una
maggiore cooperazione alla creazione del benessere sociale. Oltre a questi
cambiamenti a livello di top management, il passaggio al ventunesimo
secolo è contrassegnato da una serie di fatti e tendenze che hanno avuto
l’effetto di stimolare la domanda di comportamenti responsabili da parte
dell’impresa.
In primo luogo, la società ha cominciato a esprimere il proprio
scontento verso il fenomeno della globalizzazione che, al contrario di
quanto si pensava in origine, non si è rivelato in grado di assicurare
un’allocazione più equa della ricchezza, causando un peggioramento delle
disuguaglianze economiche e sociali. Si ha come la percezione di
partecipare ad un gioco in cui i paesi più poveri (quelli africani in
particolare) sono tagliati fuori dal sistema degli scambi internazionali,
schiacciati dalla concorrenza globale. Infatti, gli indubbi vantaggi che le
imprese transnazionali ottengono nel delocalizzare la produzione in paesi
con costi decisamente inferiori se da un lato sono dovuti all’abbondanza di
risorse presenti in loco, dall’altro sono garantiti da una minore tutela dei
diversi stakeholder coinvolti. I movimenti di opinione che sostengono la
domanda di CSR quindi, propongono nuovi stimoli alle imprese, soprattutto
alle multinazionali, che necessitano una revisione del proprio approccio al
mercato globale per sostenere la propria domanda.
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Gli scandali finanziari che hanno intaccato i mercati globali come
quelli dell’americana Enron e della Parmalat in Italia, e lo scoppio delle
bolle speculative (catastrofica quella giapponese a inizio anni novanta)
hanno contribuito alla domanda di una maggiore trasparenza da parte dei
manager, rei di godere di margini di discrezionalità troppo elevati dovuti ad
un vantaggio informativo notevole nei confronti degli azionisti.
La questione principale gira quindi intorno alla gestione del processo
decisionale al quale nuovi soggetti chiedono di prender parte. Da qui anche
l’attuale dibattito sul conflitto d’interesse e sul fenomeno del revolving door
(Sacconi 2005) che fanno sì che i soggetti più forti economicamente abbiano
accesso diretto anche al potere politico, creando posizioni oligopolistiche.
Se da un lato quindi la società ha compreso appieno come sia
necessario attribuire maggiore importanza alle imprese e alle loro decisioni,
dell’altro lato non sembra essere disposta a conceder tale privilegio se non
in cambio di un atteggiamento maggiormente responsabile da parte dei
manager coinvolti. A questo, va poi aggiunto il nuovo ruolo conquistato
dalla figura del consumatore che agisce non solo come cliente, ma anche
come cittadino, consapevole dell’influenza che è in grado di esercitare
sull’offerta attraverso le sue scelte. Per poter valutare il soddisfacimento
delle aspettative degli stakeholder, appare evidente quindi, come il potere e
la discrezionalità del top management non possano prescindere dalle sempre
più forti richieste da parte della società civile di una maggiore trasparenza.
Da un punto di vista pratico, tale rivoluzione si è progressivamente
sviluppata su diversi livelli, portando alla stesura di codici di condotta
responsabile per le imprese e di modelli/standard di gestione aziendale. A
ciò va poi aggiunto il sensibile incremento dei fondi destinati a iniziative di
stampo etico, nonché lo sviluppo di nuove organizzazioni non governative
dedite al monitoraggio delle attività imprenditoriali.
Tuttavia, è innegabile come il cambiamento più significativo riguardi il
nuovo ruolo assunto dalla CSR all’interno delle aziende, non più come
ideologia marginale, ma come perno portante di una nuova impresa che, per
essere realmente competitiva all’interno del mercato globale, deve prendere
atto della sua collocazione per affermarsi non solo come attore economico,
ma anche come attore sociale in grado di contribuire al benessere della
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collettività. Sebbene molti esperti si siano proclamati più volte scettici,
giudicando la CSR come una delle tante mode manageriali di passaggio,
lentamente questo nuovo concetto ha spostato l’ago della bilancia a suo
favore, dando vita ad un nuovo modo di lavorare e di fare azienda.
Per poter capire correttamente come opera un’impresa è dunque
necessario analizzarne le politiche ponendole in relazione con l’ambiente
esterno con il quale essa si relaziona e dal quale riceve continuamente
stimoli cui è tenuta a rispondere in modo corretto e funzionale. L’azienda
appare dunque immersa in un ambiente che comprende l’economia, il
quadro sociale, istituzionale, politico e giuridico cui si deve adattare
modellandosi sulle tendenze esterne in corso di formazione.
Questo capitolo introduttivo si pone come obiettivo quello di chiarire
quali siano state le forze che hanno contribuito a portare alla ribalta il
concetto di responsabilità sociale d’impresa, definendone gli aspetti fondanti
e gli strumenti.
2. Una definizione di CSR
Espresso per la prima volta nel 1984 da R. Edward Freeman nel suo
saggio Strategic Management: a Stakeholder Approach, il concetto di
responsabilità sociale d’impresa si è da subito rivelato estremamente
promettente e ha aperto la strada a molteplici studi in materia. In Italia, già
nel 1968, l’economista Giancarlo Pallavicini, nel suo testo Strutture
integrate nel sistema distributivo italiano, affermava che l'attività d'impresa,
pur mirando al profitto, deve tenere esplicitamente presenti una serie di
istanze interne ed esterne alla stessa, anche di natura socio-economica
(Pallavicini, 1968).
Data l’assenza di uno standard internazionale univoco tuttavia, diversi
sono stati i tentativi di definire tale concetto con risultati spesso non
condivisi dagli esperti. Nella raccolta di saggi intitolata Guida critica alla
responsabilità sociale d’impresa, Lorenzo Sacconi propone la seguente
definizione: