II
trano l’inquinamento e tanti altri costi sociali che, sebbene prodotti dalla singola a-
zienda, erano a carico di tutta la collettività.
Dagli anni ‘70 in poi gruppi di pressione dei consumatori che hanno prodotto casi di
boicottaggio di aziende, operanti a livello internazionale, hanno portato alla redazione
di documenti sociali.
I consumatori sanno di non essere sovrani ma sono diventati molto critici: si diventa
socialmente responsabili per acquisire un vantaggio competivo in un mercato fatto di
prodotti omogenei.
I documenti di cui si parla sono essenzialmente due:
1. Il Codice Etico;
2. Il Bilancio Sociale.
Il primo esprime i valori predominati della gestione aziendale a cui deve attenersi tut-
ta la gestione e deve la sua origine agli Stati Uniti dopo la promulgazione di una leg-
ge che dimezzava la pena sui reati societari se fosse stato presente in azienda un Co-
dice Etico.
Dovrebbe essere così ma la realtà è molto diversa. Ai nostri giorni ci sono stati molti
scandali finanziari che hanno coinvolto organismi economici che redigevano un Co-
dice Etico: è stato così per l’Enron, responsabile di aver dovuto licenziare la maggior
parte del personale dopo aver reso vani i loro risparmi nel fondo pensione della socie-
tà, e la Fiat che è stata una dalla prime aziende italiane a redigere un Codice Etico ma
i cui amministratori sono stati coinvolti in un procedimento per tangenti.
Anche il sistema finanziario non è immune dalla tentazione di redigere detto docu-
mento: l’Associazione Bancaria Italiana ha emanato un codice di autodisciplina per
far si che gli intermediari operaressero con diligenza e trasparenza, così come le mag-
III
giori banche ma questo non ha impedito di essere partecipi a loro volta di scandali
che hanno coinvolto risparmiatori che non avevano a disposizione informazioni suffi-
cienti.
Il secondo è un documento complementare al bilancio d’esercizio, redatto volonta-
riamente in cui vengono presentati con schemi, dati, e figure, i risultati della gestione
sociale.
Il termine bilancio è improprio: in primis perché fa riferimento al termine bilanciare e
quindi al confronto di poste contabili negative e positive mentre nell’ambito sociale
difficilmente ci sono dati comparabili che riguardino obiettivi e risultati raggiunti. Il
problema è che sembra impossibile redigere due documenti separati perché signifi-
cherebbe avvallare l’idea di avere due capitali da impiegare in azienda: uno per la
produzione e uno per il sociale che è impensabile sapendo che tutti gli elementi
dell’azienda sono tesi verso il fine della sopravvivenza dell’organismo stesso.
Ci sono tuttavia posizioni intermedie che vedono il bilancio sociale come inserito in
una comunicazione aziendale di tipo economico-finanziario che integri i dati della
contabilità ordinaria con quelli presenti nella contabilità sociale.
Questa polemica è correlata a quella relativa al contenuto di detto documento: In Ita-
lia è sorto, nel 1998, il Gruppo di Studio per il Bilancio Sociale che ha pubblicato nel
2001 lo Standard di Processo Unificato, che richiama alcuni principi già presenti nel-
lo standard proposto dall’IBS. Esso si compone di tre parti:
1. Nella prima parte, chiamata “identità aziendale”, l’azienda si presenta, in
termini organizzativi, strategici, politici, valoriali;
2. La seconda parte accoglie il calcolo e distribuzione del valore aggiunto;
IV
3. L’ultima parte è la relazione sociale in cui sono analizzati i rapporti tra
l’azienda e i suoi interlocutori.
In tutti i modelli proposti di bilancio sociale una parte viene dedicata al calcolo del
valore aggiunto che si ottiene da una riclassificazione del conto economico del bilan-
cio d’esercizio. Esso indica la ricchezza prodotta dall’impresa ed è pari alla differenza
tra i valori dei beni e servizi ceduti e il valore dei beni e servizi acquisiti.
Il bilancio sociale è obbligatorio solamente in Francia per le aziende con più di 300
dipendenti che prende in considerazione solo i dati riguardanti il personale mentre
nelle altre nazioni europee sono sorti organismi che cercano di standardizzare questo
documento che rimane comunque una scelta volontaria tranne che in Gran Bretagna
dove esistono infatti norme rigide che regolano i rapporti tra impresa e lavoratori, e
che spingono l’attenzione delle imprese verso il sociale esterno.
Non solo le imprese però redigono il bilancio sociale: anche gli istituti di credito sono
molto attenti al tema della responsabilità sociale.
Il nostro sistema bancario è frutto di due importanti leggi: la prima è la legge Banca-
ria del 1936 che specializzava le banche in Istituti di Credito Speciale destinati
all’erogazione di crediti a medio lungo termine, e le banche ordinarie che potevano
erogare crediti a breve termine.
La seconda è la Legge Amato che reintroduce il modello di banca mista insieme alla
forte presenza nell’azionariato delle Fondazioni e delle imprese non finanziarie.
La banca mista è stata oggetto di numerose polemiche per la mole d’informazioni che
hanno a disposizione e che porta alla nascita di rapporti, definiti incestuosi, tra banca
e impresa perchè le banche ricevono in cambio di crediti in sofferenza, pacchetti a-
zionari e dall’altra parte nell’azionariato delle banche ci sono le stesse imprese che
V
sono beneficiarie di una linea di credito che possono così accedere ad una serie di in-
formazioni privilegiate.
Un altro problema del nostro sistema bancario è la presenza delle Fondazioni: gesti-
scono un patrimonio di 35.4 miliardi d’euro con il 52,8% di partecipazioni bancarie.
Sono le capitaliste del sistema bancario e sono state promulgate molte leggi per farle
uscire dall’azionariato: dalla legge Ciampi alla legge Dini per poi arrivare a quella
Tremonti che, però ha il neo di far partecipare troppo gli enti locali rischiando di ave-
re Fondazioni di serie A e di serie B a seconda della ricchezza della regione.
Gli istituti di credito hanno un’importante funzione sociale da assolvere: i loro criteri
d’affidamento sono decisivi per lo sviluppo di un’economia,
2
possono rallentarlo non
concedendo prestiti alle imprese che generano redditi o concedendoli solo per favori-
re relazioni consolidate da scambi di pacchetti azionari.
Oltre alla funzione sociale troviamo la responsabilità sociale che è estrinsecata con la
creazione di Fondi Etici che non prendono in considerazione settori d’attività ritenute
immorali: tali investimenti sono molto proficui per il risparmiatore e per chi li gesti-
sce.
Per i primi perché hanno ottenuto una performance migliore dei fondi non etici con
un livello di rischio in ogni caso inferiore; per i secondi perché rientra nell’ambito di
diversificazione degli impieghi in un periodo di crisi di fiducia del risparmio.
In questo filone s’inserisce il tema del bilancio sociale: la maggior parte delle banche
che redige questo tipo di documento sono le banche di credito cooperativo che si ca-
ratterizzano per un rapporto stretto tra socio e banca e favoriscono le fasce economi-
camente più deboli del territorio ove si svolge la gestione.
2
Nel senso che influenzano variabili macroeconomiche come il PIL, il tasso di disoccupazione
VI
L’impegno delle banche cooperative nel campo della rendicontazione sociale è giusti-
ficato dalle finalità di questo particolare tipo di aziende e dai valori in esse condivisi
3
;
gli istituti di credito di questa tipologia hanno la necessità di rendicontare non esclu-
sivamente sull’aspetto economico della loro gestione perché la loro attività è finaliz-
zata ad offrire ai soci servizi a condizioni e a prezzi particolari, diversi da quelli ri-
scontrabili sul mercato. Proprio per questo tipo di banche
4
il bilancio sociale diventa
un documento d’importanza essenziale, per informare chi è interessato allo svolgi-
mento dell’attività della banca
5
del suo rendimento e del suo operato.
Le banche ordinarie redigono un documento sociale, invece, rifacendosi allo standard
proposto dall’ABI, più completo rispetto a quello proposto dal GBS perché tiene con-
to del feedback delle informazioni e della dinamica del tempo. Il modello si compone
di sei sezioni precedute da una lettera del Presidente che esplica le importanti novità
dell’esercizio passato:
1. Introduzione descrittiva dell’identità aziendale: viene spiegata la storia
della banca dalla sua nascita al suo assetto odierno;
2. Rendiconto: è lo schema formale per il calcolo e la distribuzione del Valore
Aggiunto con la presentazione del bilancio riclassificato e d’indici gestionali
creati ad hoc per far risaltare la socialità della gestione bancaria;
3. Relazione Sociale: vengono rappresentati i rapporti tra l’istituto di credito e
l’ambiente circostante;
4. Sistema di rilevazione: è la parte dove trovano spazio i giudizi, i consensi e
i reclami sulla conformità del comportamento della banca ai principi enun-
ciati;
3
Centralità dell’uomo, solidarietà, cooperazione
4
Così come per tutte le imprese cooperative
5
In particolar modo i destinatari dell’azione mutualistica – i soci
VII
5. Proposta di miglioramento: è la sezione programmatica particolarmente
importante se si è alla prima redazione del documento sociale;
6. Attestazione di verifica da parte di una società di revisione.
In questo lavoro sono stati esaminati i bilanci sociali di tre tra le banche maggiormen-
te rilevanti nel nostro sistema: sono comunque bilanci molto eterogenei tra loro diffi-
cili da confrontare e che non rispecchiano il modello ABI.
Il primo documento è del Gruppo Unicredito che redige un bilancio socio-ambientale
dove è facile reperire informazioni non solo sui riflessi sociali della gestione bancaria
ma anche quelli ambientali come l’utilizzo della carta o l’inquinamento.
Il documento è diviso in due sezioni, la Corporate Identity e le Aree della Sostenibili-
tà dove vengono presentati tutti i dati riguardanti la storia e la missione del gruppo e
il Calcolo del Valore Aggiunto.
Nella seconda sezione si evidenziano i rapporti tra la banca e i suoi interlocutori con
particolare cura nell’affermare della fine del finanziamento delle operazioni che trat-
tano armi.
Nel 1999 l’Unicredito Italiano è l’intermediario per la commessa d’apparati elettroni-
ci per l’aeronautica degli Emirati Arabi Uniti.
Nel 2000 troviamo nella Relazione del Consiglio di Ministri sia l’Unicredito che il
Credito Italiano e cominciano ad arrivare numerose lettere di protesta dei risparmiato-
ri indignati e che hanno aderito alla campagna e che vogliono sapere la destinazione
dei propri risparmi.
VIII
Il motivo d’indignazione risiede anche nella contraddizione tra l’acquisizione di un
fondo etico e che quindi prevede l’esclusione del commercio d’armi come settore
d’investimento ed essere intermediatrici di questo tipo d’operazioni.
Per tutta risposta nel bilancio socio-ambientale del 2001 troviamo un’affermazione di
disimpegno che invita tutte le banche del gruppo a recedere da questo tipo
d’operazioni, perfettamente legali, ma che nuocciono alla buona reputazione del
gruppo che cerca di conquistare un ruolo sociale.
Il problema è che gli importi sono molto elevati e che ci vorrà molto tempo: inoltre i
risparmiatori trovano ancora la loro banca nell’elenco delle cosiddette banche armate
anche nel 2002 per un importo autorizzato di 99.6 milioni d’euro.
La banca MPS redige un documento socio-ambientale dal 2000 come l’Unicredito e
come questa ha cambiato la suddivisione delle sezioni che nella prima edizione si
compone di sei parti che nel 2002 si riducono a quattro data l’eliminazione della se-
zione riguardante l’impegno verso il futuro.
Il bilancio della MPS presenta il notevole vantaggio per il lettore di comparare i dati
presentati con quelli dell’anno precedente per quanto possibile visto che nel 2002 è
avvenuta la fusione per incorporazione della Banca 121: è stata quindi redatta una si-
tuazione comparativa prendendo in considerazione anche gli aggregati della banca
121.
Da qui nascono i maggiori reclami riscontrati nell’anno 2002 dovuti alla vicenda My
Way e For You sottoscritti come semplici piani d’accumulo o di investimento ma che
prevedevano l’accensione di un finanziamento quindicennale o trentennale.
IX
Notevoli sono state le richieste d’annullamento avanzate dalle Associazioni dei Con-
sumatori fino a pervenire ad un accordo tra queste e la banca ma che comunque non
hanno evitato un grave danno d’immagine.
Il documento redatto dalla S. Paolo IMI è un bilancio sociale riferito solamente alla
Capogruppo, alla prima stesura, che prende in considerazione il modello dell’ABI ma
comunque elabora un modello che si adatta meglio alle esigenze di rappresentazione
delle informazioni rilevanti per migliorare la sua reputazione.
Di contro si riscontra che si ha ancora in sospeso il problema di essere comunque in-
vischiati nel caso delle “banche armate”. Il problema è stato risolto istituendo un Co-
mitato Crediti di Gruppo che si occupa di effettuare una verifica su questi tipi di cre-
diti che vengono erogati a favore di operazioni concluse con i Pesi NATO e comun-
que per sole finalità di sicurezza.
Un successivo problema è la vicenda del Fondo Azioni Italia per cui è stata commina-
ta una multa dalla Consob per il sospetto travaso di fondi da Soluzione 6 e Soluzione
7 al Fondo Azioni Italia.
1
INTRODUZIONE.
Il nostro mondo è caratterizzato dalla presenza di norme etiche assunte nella morale,
anche se, non sono codificate in nessun codice giuridico (almeno non tutte).
Si può pensare all’etica come un insieme di regole, una costruzione dell’uomo per
contemperare la realizzazione personale dell’individuo e la solidarietà nella società.
In realtà, più la società diventa globalizzata e più si sente l’esigenza di far entrare
l’etica nella gestione degli organismi economici e di trovare la giustificazione morale
del profitto.
1.La teoria economica e l’etica.
Il dibattito sulla dicotomia tra economia ed etica si perde nella notte dei tempi.
Aristotele affermò che l’etica non ha regole precise come la geometria perché appar-
tiene alla coscienza individuale di ognuno.
Aristotele fu ripreso e tradotto anche dalla Scolastica, la corrente di pensiero filosofi-
ca preponderante fino al periodo rinascimentale in cui il modo di produzione preva-
lente era quello precapitalistico.
In tale periodo la moneta ha la funzione di essere scambiata con beni reali e la Chiesa
esercita una forte pressione sulle anime.
2
Adam Smith
1
separa la sfera morale e privata da quell’economica:
in questo modo
viene data una legittimazione etica all’attività d’accumulazione dei moralisti inglesi
trascinati nel commercio e nell’industria nel secolo XVIII.
La sua teoria della mano invisibile che si trova nel saggio del 1776, “Indagine sulla
natura della Ricchezza delle Nazioni” vede il sistema economico governato da una
forza invisibile che mantiene in equilibrio il mercato. Nell’andare a massimizzare il
proprio tornaconto, il singolo individuo, rende possibile la massimizzazione dei bene-
fici per l’intera collettività e quindi se cresce il reddito del singolo, cresce anche quel-
lo nazionale.
Nell’Ottocento
si fa strada la teoria economica del liberismo che vede la società for-
mata da liberi individui. Questa scuola definita neoclassica o marginalistica, ripudia
la scuola classica e ridefinisce le categorie economiche: trionfa la sovranità del con-
sumatore e l’accumulazione come solo mezzo per perpetuare i consumi.
Il consumatore non è sovrano di nulla, ma vittima della creazione di un mercato da
parte delle imprese, grazie anche a metodi di comunicazione ricercati che fanno pen-
sare che quel prodotto possa assolvere un bisogno creato ad hoc, anch’esso dal
mercato.
Ogni proposito etico ha il solo effetto di rallentare la crescita in un mercato che dà so-
lo propone l’equa distribuzione delle risorse tra individui, sullo stesso piano, ma che
svolgono solo funzioni economiche diverse.
2
La perfezione della teoria liberista, in cui etica ed economia si danno la mano solo per
avvallare l’egoismo dell’individuo, cade sotto il crollo di Wall Street in cui si capisce
1
Titolare di cattedra di Filosofia Morale all’Università di Oxford
2
Gli individui sono Homo oeconomicus razionali che si scambiano beni sotto l’egida del reciproco
vantaggio.
3
che da solo il mercato non garantisce l’equa distribuzione, l’ottimo paretiano dove
nessuno può migliorare la propria condizione se non viene peggiorata la condizione
di un altro soggetto. L’impianto keynesiano propone un intervento esterno, la spesa
pubblica effettuata attraverso il prelievo fiscale equo. Si fa strada un modello di redi-
stribuzione della ricchezza dall’alto che poi sfocierà ai nostri giorni nella contratta-
zione sindacale.
Il sistema capitalistico è un modo di produzione criticato per la cattiva distribuzione
delle risorse che genera e come diceva Engels “il modo di produzione capitalistico va
bene e può continuare ad esistere ma il modo di distribuzione deve sparire”.
3
Un altro aspetto del capitalismo è il profitto.
L’economista che più di tutti ha criticato il sistema capitalistico è stato Marx: il si-
stema capitalistico sfrutta i lavoratori e si appropria del pluslavoro che si traduce in
plusvalore, il profitto di cui si appropria il capitalista.
4
Gli economisti sono tutti d’accordo nell’affermare che il profitto è il fine del capitali-
smo.
Come affermava Keynes “il motore dell’impresa è il profitto, non la parsimonia”
quindi si devono cercare le giustificazioni di esso sul piano morale.
Il profitto viene giustificato come l’assolvimento del contratto morale con gli investi-
tori che si aspettano una gestione efficiente e conseguire un rendimento da
quell’investimento.
3
Antidühring II. 1, III 4.
4
Il capitalista paga un monte salari per acquisire forza lavorativa che userà per tutto il tempo che gli è
necessario. Il salariato lavorerà sia per il tempo necessario a riprodursi come operaio e per un tempo
non coperto dal salario che poi sarà definito pluslavoro. Questo poi determinerà il profitto: le merci in-
corporano il valore dell’operaio che le ha lavorate e se questo non è stato pagato per un certo ammon-
tare, il capitalista ne guadagnerà.
4
Nel 1929 nascono gli studi di business ethics secondo i quali l’impresa non è fine a se
stessa ma deve pensare ai riflessi della gestione sulla società e sull’ambiente; la busi-
ness ethics può riferirsi a diversi settori quali il mercato, le aziende, la finanza e per-
fino la comunicazione.
Si sente l’esigenza di codificare i principi morali in norme che debbono essere osser-
vate dal mercato e quindi dagli operatori per fare uscire il capitalismo dalla crisi di
sovrapproduzione in cui si trova.
Il profitto non può prescindere dalla ricerca di consenso con gli interlocutori sociali
per avere basi solide ma soprattutto durature.
Come afferma Bauman “una posizione morale è ciò per cui opterebbe una mente cal-
colatrice dopo aver fatto bene i suoi conti”.
Si tenta di conciliare l’economia con l’etica ma spesso si è etici per essere economici,
per produrre ricchezza e l’etica smette di essere tale, viene snaturata in propositi non
rispettati, scritti per attrarre consumatori o risparmiatori.
5
2.L’etica e la finanza.
La finanza è stata molto criticata sul piano morale. Polonio mette in guardia il figlio
“Non indebitarti e non prestar soldi”. Aristotele condanna il far soldi con soldi e
quindi il tasso d’interesse.
Gesù scacciò i mercanti dal tempio, le regole di condotta ebraiche vietavano la pratica
del tasso d’interesse; l’Islam lo vietò addirittura con delle leggi.
S. Tommaso condanna la pratica del tasso d’interesse nell’economia statica del Me-
dioEvo quando l’usuraio presta al povero per sfruttarlo.
Cicerone riporta il giudizio di Catone il Censore: la sua opinione sull’usura è la stessa
che ha sull’omicidio.
Da questi brevi cenni si capisce che la finanza non è considerata un’attività benevola
anche se svolge un ruolo propulsivo nell’economia molto forti; certamente non si sa-
rebbe avuta la Rivoluzione Industriale.
Il credito veniva definito da Marx come il giudizio economico sulla morale di un in-
dividuo ma il prestito alla produzione ha avuto una legittimazione morale nel periodo
capitalistico proprio perché inscindibile da esso.
La finanza non ha parametri morali a cui appellarsi, si presta denaro in ragione del
tasso d’interesse che compensa sia della mancata liquidità sia del rischio.
Inoltre molte pratiche finanziarie sono spesso contestate: una di essa è la speculazio-
ne.
Essa è una pratica effettuata per conseguire lauti guadagni attraverso le operazioni fi-
nanziarie con obbligazioni, azioni o prodotti derivati.
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Si tratta di semplici pratiche di compravendite dove il totale delle perdite si annulla
con quella dei guadagni ma la ricchezza viene distribuita in maniera diseguale.
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La speculazione avviene nel mercato finanziario dove esercitano gli operatori finan-
ziari e i risparmiatori: anche se la normativa prevede l’obbligo di trasparenza
i pro-
blemi della speculazione ricadono sui soggetti che meno di tutti dispongono delle in-
formazioni necessarie, in altre parole i risparmiatori.
6
Gli speculatori non si limitano a cogliere le opportunità di profitto ma, spesso, con la
grande disponibilità di capitale, influenzano le oscillazioni dei titoli e delle valute.
Si ricorderà nel periodo tra il 1992 e il 1995 quando alcuni speculatori che dispone-
vano di marchi provocarono la svalutazione della lira, difesa strenuamente dalla Ban-
ca d’Italia, per un valore del 65%.
Gli speculatori poterono vendere i marchi detenuti in portafoglio a 1.274 delle vec-
chie lire con un lauto profitto che gli permise di ripagare ampliamente i debiti contrat-
ti per il loro acquisto.
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Per questo si condanna la finanza, per il suo potenziale destabilizzante.
Un altro caso di speculazione è l’O.P.A.
dove l’obiettivo è il controllo di una deter-
minata società per poi smembrarla, rivenderla e realizzare le plusvalenze dopo aver
coperto i costi operativi.
Non è solo la speculazione, il problema del settore finanziario; esso investe solo su
stesso e i movimenti finanziari nel mondo equivale a circa il doppio del Prodotto In-
terno Lordo Italiano.
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Il capitale monetario impiegato nella speculazione viene definito capitale fittizio da Marx.
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Come afferma Schimidt nella speculazione è inevitabile che una parte divori l’altra, altrimenti la ric-
chezza sarebbe ripartita in parti uguali.
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Magari intrapresi con le banche italiane.