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Capitolo I
L’ORDINAMENTO SPORTIVO
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1.1. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DI
SPORT
Ai fini dell’analisi penalistica dei delitti contro la vita e l’incolumità
individuale nell’ambito dello sport, è necessario anzitutto
determinare un concetto di sport che rende possibile una spiegazione
sufficiente dello stesso per lo sviluppo della problematica della
violenza sul fenomeno sociale preso in considerazione. Diremo
pertanto che lo “sport” consiste in comportamenti corporei che si
pongono in essere in generale secondo certe regole, e che sono
realizzati in una competizione agonistica insieme con altri e servono
ai fini dello svolgimento proprio del gioco ovvero al conseguimento
di prestazioni prevalentemente corporee. Sono state proposte nel
corso degli anni diverse differenziazioni delle attività sportive, tra le
quali, a mio avviso, la più convincente è quella formulata da Proto
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Diego, che classifica lo sport o come forma di divertimento del
tempo libero, che noi vogliamo chiamare “parasportivo”, ovvero
come sport che richiede alte prestazioni, chiamato “professionale”,
oppure sotto forma di giochi “metasportivi”, che includono come
fattispecie:
a) quei tipi di manifestazioni tradizionali ludiche in cui episodi di
violenza fisica sulle cose o sugli uomini trovano un’ascendenza
comunitaria (come ad es. le corse di cavalli rappresentativi delle
contrade del Palio di Siena);
b) nonché quei tipi di manifestazioni spettacolari in cui la violenza
contro l’avversario o gli avversari è elemento costitutivo rivolto
per fini esclusivamente lucrativi a fornire al pubblico una forma
di soddisfacimento degli istinti più bassi dell’umano e ad eccitarlo
al tempo stesso, con intemperanze, a forme indotte di violenza (ci
riferiamo ad es. al catch o al full contact).
Ai fini dell’incidenza della violenza nella tematica sportiva non
verranno considerate quelle manifestazioni sportive che si svolgono
nell’ambito individuale o personale (ad es. il conseguimento del
primato mondiale di profondità in apnea di acque marine), dove già
per principio è esclusa una prestazione fisica svolta su altri o insieme
ad altri; ove si pongono quindi problemi di responsabilità penale
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riconducibili non tanto all’attività dell’atleta, quanto all’omissione
eventuale del medico- garante a cui si affida lo sportivo prima di
effettuare la prova. La suddetta ripartizione dei vari sports formulata
da Proto Diego assume un’importanza rilevante, per i suoi riflessi
penalistici, poiché questa analisi è rivolta al tentativo di superare le
difficoltà inerenti a una definizione dello sport congeniale al
problema penalistico della violenza e alle conseguenze che ne
derivano. Da questo punto di vista la soluzione da approntare,
dunque, va vista sotto il profilo della legittimazione – nell’ambito di
un dato sistema giuridico – ad esercitare quella tale attività sportiva,
e compatibilmente con la struttura ontologica del gioco a “poterla”
esercitare entro certi limiti anche con violenza sulle persone.
Nell’ambito della dottrina italiana si è tentato di differenziare il gioco
dal punto di vista della violenza sulle persone. Il Delogu
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già
affermava nel lontano 1932 che i giochi sportivi sono di tre specie:
a) quelli che si praticano esercitando una violenza diretta e
necessaria sull’avversario (quali la boxe e la lotta in tutte le sue
varie forme);
b) quelli che consistono in un misto di violenza su una persona e su
una cosa contemporaneamente (esempio tipico il rugby);
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DELOGU, La teoria del delitto sportivo, in Annali dir., prov. Pen., 1932, 1302, p.77
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c) quelli che “dovrebbero teoricamente prescindere da ogni
violenza sulle persone” (tali il calcio, il basket, il ciclismo, ecc.).
Nei confronti, poi, delle distinzioni degli sports proposte dalla più
recente dottrina (teoria del contatto) in tre categorie fondamentali:
a) a seconda che sia consentito l’immediato contatto fisico tendente
a mettere l’avversario in stato di inferiorità fisica (lotta, pugilato);
b) ovvero in cui il contatto rappresenta un’eventualità (calcio,
basket);
c) ovvero in cui è assolutamente vietato tale contatto
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;
il Chiarotti rileva criticamente che “nessuna di queste distinzioni, pur
soddisfacendo tutte entro certi limiti all’identificazione dei criteri di
differenziazione degli sports, assicura una sistemazione che
ubbidisca alla fondamentale esigenza della riferibilità di tutti i casi
analoghi allo stesso principio idoneo alla soluzione di essi”. Pertanto,
è solo con molta genericità che possono raggrupparsi in relazione al
comune denominatore della lotta libera. Infatti, mentre il
regolamento del pugilato consente, sia pure con l’osservanza di certe
norme che lo costituiscono, di mettere in stato di inferiorità
l’avversario utilizzando l’uso della violenza, quello sulla lotta, nella
quale si tende alla sconfitta dell’avversario per atterramento, vieta le
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ALTAVILLA, Responsabilità colposa in una partita di calcio, in Giust. Pen., 1951, p. 230 ss.
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prese irregolari o consente le sole prese, proibendo rigorosamente
ogni caduta violenta. Il Chiarotti rileva che nella lotta “la violenza è
consentita solo nel senso della nozione che di essa si abbia ai fini
dell’atterramento dell’avversario, ma non nel senso di lesione
volontariamente inferta all’avversario medesimo”, diversamente che
nel pugilato dove la violenza fisica è mezzo per raggiungere lo
scopo, cioè l’abbattimento dell’avversario. Ne consegue che la
distinzione che appare più adeguata è quella che si fonda sul criterio
della liceità o meno della condotta intenzionale lesiva.
A conclusione di questa analisi critica della distinzione di cui sopra,
il Chiarotti
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afferma che il pugilato va considerato a sé, laddove in
diversa categoria vanno collocati gli altri sports in cui, pur
tendendosi a mettere l’avversario in condizione di inferiorità (lotta),
od essendo quanto meno consentito il contatto fra gli avversari
(rugby, calcio), non è lecita attività lesiva a danno del competitore,
neppure per le norme che regolano tali pratiche sportive.
Ora poniamo l’accento su altre dottrine specialistiche che hanno
rilevato diversi criteri di differenziazione. Quella tedesca, ad
esempio, piuttosto che usare come indice la violenza come tale,
considera il grado della messa in pericolo del corpo e della salute
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CHIAROTTI, La responsabilità penale nell’esercizio dello sport, p. 289 ss.
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dello sportivo, la quale è talvolta collegata alla specie di sport che si
considera. Siccome lesioni personali (o la morte) si presentano
all’accadere sportivo in molteplici “forme di manifestazione”
(Erscheinugsformen), le quali dal punto di vista penale non si
lasciano tutte trattare allo stesso modo, si ritiene opportuno
differenziarle nell’analisi di diversi gruppi di specie sportive, distinti
fra di loro sulla base del sopraddetto criterio di differenziazione. Di
qui la ripartizione in tre gruppi che devono essere separatamente
analizzati:
1) lesioni personali che si manifestano negli sports che vengono
praticati l’uno accanto all’altro (per esempio nello scontro tra
sciatori);
2) lesioni personali che si manifestano negli sports che vengono
praticati l’uno contro l’altro (come nel gioco del calcio);
3) lesioni personali che si manifestano negli sports esercitati l’uno
contro l’altro al fine di produrre un danno fisico all’avversario
(per esempio nel pugilato).
Nell’ambito di questi tre raggruppamenti, però, non troverebbe posto
quel tipo di attività sportiva contrassegnata da un indice di altissima
pericolosità per l’integrità fisica dei contendenti, come gli sports
automobilistici e motociclistici, nonostante che le lesioni fisiche o la
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morte “si manifestino” in attività in cui lo sportivo gareggia l’uno
contro l’altro. Tuttavia tali sports devono essere ricompresi nella
prima categoria come una sottospecie di questa, dove i contendenti
stanno “l’uno accanto all’altro” e nella quale la violenza non è la
“regola”, bensì una mera eventualità fenomenica. Chi vi scrive, ad
ogni modo, si permette di dissociarsi da ogni collocazione di tali
attività in un qualsiasi ambito sportivo; poiché lo sport “deve
migliorare le condizioni psico-fisiche dell’uomo”, questa finalità non
sembra raggiunta in questi precisi contesti. In conclusione,
coniugando la violenza con le c.d. forme di manifestazione delle
lesioni personali o della morte, si possono ricondurre in tre gruppi i
vari tipi di sports:
A) a seconda che le lesioni contro la persona si manifestino in
contegni nei quali, anche se contrassegnati da alto rischio per
l’incolumità, esula il dato ontologico della violenza, in quanto gli
sportivi gareggiano l’uno accanto l’altro, o comunque, l’uno
accanto all’altro in istanti diversi:
B) a seconda che le lesioni contro la persona siano cagionate da
contatti in cui la violenza è connaturata, entro certi limiti, come
dato ontologico alla “regola” del gioco in quanto i contendenti
gareggiano l’uno contro l’altro;
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C) a seconda che le lesioni o la morte della persona siano causate da
atti violenti rivolti contro l’avversario al fine di arrecargli un
danno fisico, che costituisce mezzo necessario per il
conseguimento della vittoria e in cui il dato ontologico della
violenza si specifica nella sua finalità lesiva.
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1.2. L’AUTONOMIA DELL’ORDINAMENTO
SPORTIVO
L'ordinamento giuridico statuale, limitandosi a regolare le materie che
toccano più da vicino i suoi scopi, non è l'unica fonte normativa;
accanto ad essa ve ne sono altre , proprie di ordinamenti
gerarchicamente inferiori che, pur non disciplinando aspetti essenziali
del vivere sociale, nondimeno fissano regole di condotta che devono
essere osservate: uno di questi è l'ordinamento sportivo.
Prima di passare all'analisi prettamente giuridica del comportamento
dell'atleta nelle varie discipline sportive, apriamo una parentesi di
carattere strutturale descrivendo i modi in cui si organizza il nostro
ordinamento sportivo, a partire dalle sue origini storiche, per poi
proseguire con le sue funzioni, la sua evoluzione normativa e i suoi
rapporti con l'ordinamento centrale.
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L'ordinamento sportivo trae la sua origine da un sistema organizzativo
molto particolare che la comunità sportiva si è data spontaneamente.
Il fattore originale dello sport italiano è rappresentato
dall'associazionismo sportivo, caratterizzato da un'ampia autonomia
economica e normativa, nel quale viene individuato l'asse portante da
cui dipende la diffusione della pratica sportiva. A grandi linee si può
localizzare il graduale sviluppo di questo fenomeno sociale a partire
dalla seconda metà dell'Ottocento, quando si assiste ad un primo
processo di "autonormazione disciplinare" dello sport. A tale scopo
vengono creati organismi sia a livello internazionale che nazionale, con
regole proprie (accettate e quindi ritenute vincolanti per tutti i membri)
tendenti a garantire la par condicio ai partecipanti con lo scopo di
desumere, in maniera imparziale, una valutazione comparativa dei
risultati e quindi una graduatoria delle prestazioni.
In particolare va ricordato che, a seguito del congresso internazionale
degli sports atletici del 1894, viene costituito il Comitato Olimpico
Internazionale (CIO) con la sua carta olimpica che rappresenta lo statuto
dell'ordinamento sportivo internazionale. Esso ha il carattere
dell'originarietà e natura sovranazionale: differisce dall'ordinamento
internazionale in senso stretto, che ha come destinatari delle norme i
singoli stati, i quali costituiscono, invece, per l'ordinamento sportivo
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mondiale soltanto sedi di riferimento delle articolazioni interne, formate
da persone fisiche ed enti.
Le federazioni sportive internazionali rientrano nella figura delle
organizzazioni non governative, le quali raggruppano, secondo una
struttura federativa di tipo privato, corrispondenti organismi nazionali e
sono per lo più costituite in virtù di un atto o statuto approvato in
occasione di un congresso internazionale. Lo Stato italiano iniziò ad
occuparsi seriamente dello sport nel nostro paese con la creazione del
Comitato Olimpico Nazionale (C.O.N.I.), il quale, istituito nel 1907
come organismo con la finalità di curare la partecipazione degli atleti
alle olimpiadi, si costituisce nel 1914 in un'organizzazione più
complessa a carattere permanente, con funzioni di coordinamento e
controllo di tutta l'attività sportiva, rivestendo nel contempo la qualità di
soggetto dell'ordinamento sportivo internazionale, quale ente fiduciario
del C.I.O.
L'ingerenza dello Stato si fa più massiccia nel 1922, allorché il comitato
viene inserito nell'organizzazione pubblica e ancor più nel 1927,
allorché il conferimento delle cariche sociali è riservato al Partito
Nazionale Fascista, sino a quando nel 1934 al C.O.N.I. viene attribuita
la capacità giuridica quale ente dipendente dall'apparato governativo.
Con la legge n.426/42 viene impressa al C.O.N.I. la natura di ente
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pubblico, senza che ciò faccia venir meno all'ente la piena libertà
d'azione, relativamente all'organizzazione e partecipazione della
rappresentanza alle olimpiadi. Sono così attribuiti all'ente ed agli altri
organi dell'ordinamento sportivo poteri di controllo ed ingerenza nel
campo del coordinamento, della vigilanza e della disciplina delle attività
sportive nei confronti degli enti sportivi ad esso aderenti. L'ordinamento
sportivo viene così sempre più a caratterizzarsi come ordinamento
giuridico di settore, il quale, anche se non dotato di sovranità, è
caratterizzato da un'ampia sfera di autonomia.
Le finalità che l'ordinamento statale persegue sono quelle individuate
sotto forma di compiti istituzionali che l'art. 2 della L.426/42 definisce
attribuendo al C.O.N.I. l'organizzazione ed il potenziamento dello sport
nazionale e l'indirizzo di esso verso il perfezionamento atletico; per
"delega" del C.O.N.I., tali funzioni di potenziamento ed indirizzo
possono essere eventualmente attribuite alle federazioni. Cosicché
queste ultime, quali organi dell'ente pubblico, pongono in essere
un'attività di natura pubblicistica in ogni caso rilevante per
l'ordinamento statale: a carattere regolamentare quando prevedono
normativamente quell'attività, a carattere provvedimentale -
amministrativo allorché la svolgono materialmente.
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Alla stregua di quanto esposto, va sottolineato ancora una volta che
l'ordinamento sportivo, pur non essendo dotato di sovranità, gode pur
tuttavia di un'ampia sfera di autonomia sotto il profilo
dell'organizzazione e della normativa interna, e pertanto vanno
necessariamente preservati, per la stessa volontà statuale da cui
promanano, quei principi-cardine e finalità istituzionali su cui esso si
fonda
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. Già la Corte di Cassazione, con la sentenza n.625
dell'11/2/1978, compì uno sforzo notevole fornendo alcuni punti fermi
nella disamina dei rapporti tra ordinamenti, precisando che:
A) per la coincidenza tra la funzione amministrativa dell'ordinamento
sportivo e la funzione amministrativa dell'ordinamento statale nel
settore sportivo, quest'ultimo non si limita a riconoscere l'ordinamento
giuridico sportivo, ma gli attribuisce anche la sua funzione
amministrativa nella materia sportiva;
B) l'ordinamento giuridico sportivo, quale insieme di norme, è utilizzato
dall'ordinamento giuridico statale per l'esercizio "in via indiretta" della
funzione amministrativa nel settore sportivo, sì che l'efficacia degli atti
amministrativi e della normativa regolamentare si estende nell'ambito
dell'ordinamento giuridico statale.
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Frascaroli R.; Sport (Diritto pubblico e privato), in Enciclopedia del Diritto, Vol.XLIII, Milano, 1990,
p.108