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dalle persone fisiche, tradizionalmente le uniche destinatarie dei precetti
penali perché dotate della specifica “capacità di diritto penale”,
composta a sua volta dalla capacità di intendere e volere, di adeguarsi
alle regole morali di convivenza, di soffrire per le punizioni inflitte e di
poter essere quindi emendate grazie all’assoggettamento a sanzioni
munite di “miracolose” finalità rieducative.
Fino a quegli anni dunque gli studi di teoria generale sulla
responsabilità penale delle persone giuridiche, data la tacita
accettazione dell’impossibilità di realizzarne un esemplare nel nostro
ordinamento, costituivano nient’altro che l’occasione per gli studiosi di
manifestare le loro capacità raziocinanti e dialettiche; ciò è in parte
dipeso anche dalla presenza nella Costituzione Repubblicana di due
dichiarazioni di principio: quella della personalità della responsabilità
penale e quella del finalismo rieducativo delle pene. I due principi,
inseriti nell’Art. 27 della nostra Carta fondamentale e più volte
interpretati dalla Corte Costituzionale (storica la Sentenza 364/88, in cui
la Consulta, investita di una questione di legittimità costituzionale
sull’Art. 5 c.p. , sanciva la “costituzionalizzazione” del principio nulla
poena sine culpa), hanno contribuito in modo determinante a sostenere le
ragioni della dottrina, che ha quindi, quasi indisturbata, continuato a
sottolineare come la persona giuridica non potesse essere assoggettata
al rimprovero ed alle sanzioni tipici del sistema penale.
Nel 1970 finalmente una prima svolta: uno dei più grandi penalisti
italiani, Franco Bricola, pubblica un saggio intitolato “Il costo del
principio «societas delinquere non potest » nell’attuale dimensione del
fenomeno societario”; a prescindere dalla validità, dopo oltre trent’anni,
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delle soluzioni prospettate dall’A., questa pubblicazione rappresenta una
pietra miliare nello studio della responsabilità delle persone giuridiche
per due ordini di ragioni: in primo luogo il Bricola centra il tema come
nessuno prima aveva saputo fare, affrontando il problema della
responsabilità delle persone giuridiche non soltanto per compiacersi di
produrre argomentazioni di sorprendente lucidità ed arguzia, ma
partendo da un esame dei dati della realtà economica imprenditoriale sia
italiana che straniera; l’altro grande merito dell’A. è quello di essere
stato tra i primi a tentare, seppure con una soluzione poco felice, di
superare l’ostacolo costituito dai suddetti principi costituzionali, senza
andare alla ricerca di una qualificazione formale che servisse ad
aggirarlo.
Grazie a questo contributo la dottrina italiana ha trovato nuovi
stimoli, ed ha iniziato a cimentarsi nella ricerca dei fondamenti di una
responsabilità penale delle persone giuridiche non più in chiave
eminentemente teorica, ma partendo costantemente da un’analisi
empirica della situazione politica, economica e sociale del Paese e della
sempre crescente rilevanza del fenomeno dell’imprenditoria in forma
societaria.
Diversamente, nei Paesi di common law le esigenze pratiche
connesse alle istanze di politica criminale hanno avuto la meglio sulle
preclusioni dogmatiche, ed hanno fatto sì che venissero realizzati e si
evolvessero costantemente sistemi di corresponsabilizzazione penalistica
delle imprese, dai quali l’ordinamento italiano ha preso spunto nella
costruzione del sistema di responsabilità degli enti introdotto con il
Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
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Mentre la giurisprudenza di merito e di legittimità è stata
“graziata” dall’assenza, nel nostro ordinamento, di un sistema di
responsabilità penale degli enti, la dottrina, come già accennato, dagli
anni ’70 in avanti ha mostrato un interesse sempre maggiore per il tema
della responsabilità delle persone giuridiche, interesse che è poi
aumentato in modo esponenziale negli ultimi anni, da quando, in
sostanza, si è iniziata a ventilare anche nel nostro ordinamento la
possibilità di un intervento legislativo che realizzasse una forma di
responsabilità “non civile” degli enti: tutto ciò anche in una prospettiva
di armonizzazione internazionale delle normative, sulla base di quanto
suggerito da una serie di Raccomandazioni del Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa ed utilizzando l’esperienza maturata dai numerosi
ordinamenti europei ed extracomunitari già muniti o in procinto di
dotarsi di un sistema di responsabilità penale delle società.
Negli ultimi anni, mossi da un vivo interesse per il diritto penale
dell’economia ed agevolati dalla disposizione geografica
particolarmente vicina ai reali destinatari dei precetti normativi in
materia economica, sono stati certamente gli appartenenti alla Scuola
“Milanese – Pavese” a fornire i contributi più significativi sul tema della
responsabilità penale delle società: a costoro infatti, ma soprattutto a
Carlo Enrico Paliero, va il merito di essere riusciti ad operare una
rivisitazione dei principi fondamentali del diritto penale che, unita alla
valutazione del nuovo ruolo che le società commerciali hanno assunto
nella società contemporanea, permettesse di includere anche le persone
giuridiche e tutti gli altri enti collettivi tra i destinatari del diritto penale.
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Grazie infatti ad una metodica, anche se poco romantica ed
ampiamente contestata dai puristi del diritto criminale, “a-
moralizzazione” dei principi di personalità della responsabilità penale e
di colpevolezza, ed alla smitizzazione della finalità rieducativa delle
sanzioni penali, unite alla consapevolezza che ormai le società
commerciali intrattengono rapporti giuridici prevalenti sia per numero
che per rilevanza economica rispetto a quelli di cui sono titolari le
persone fisiche, finiscono per cadere le tradizionali obiezioni sia alla
fondatezza teorica che alla necessità politico-criminale di
criminalizzazione delle persone giuridiche.
In questa prospettiva si inseriscono la legge 300/2000 ed il
Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che, in attuazione dell’Art. 11
della suddetta legge, introduce un sistema di responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche e degli enti anche privi di
personalità giuridica; nel nostro ordinamento prima di allora, per motivi
sia dogmatici che di ordine costituzionale, le imprese coinvolte in
vicende penalmente rilevanti potevano al massimo essere assoggettate al
pagamento di una somma di denaro, che però rappresentava comunque
un’estensione sul versante soggettivo della responsabilità delle persone
fisiche un po’ forzata. Il sistema di responsabilità realizzato dal
legislatore delegato è formalmente qualificato come amministrativo, ma
la presenza di previsioni di stampo tipicamente penalistico (ad esempio
l’affermazione del principio di legalità, la previsione di criteri di
imputazione del fatto orientati soggettivamente, la predisposizione di un
sistema sanzionatorio che contempla anche sanzioni interdittive ed un
modello di computo della pena pecuniaria “per quote” , e l’attribuzione
al giudice penale della cognizione degli illeciti delle società) ha lasciato
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perplessa la quasi totalità della dottrina, che è intervenuta più volte
dando spesso una diversa qualificazione di questa responsabilità.
Sembra infatti che quasi tutti gli studiosi italiani di diritto penale siano
particolarmente affascinati da questo nuovo “microsistema” costituito
dal D. Lgs. 231, e dunque negli ultimi mesi si è assistito ad una
proliferazione dei contributi dottrinali sull’argomento; spesso però
vengono pubblicati studi privi di qualunque spirito innovativo o di
valutazioni critiche, che, con una sinteticità degna dei famosi
“bignamini” e motivati unicamente dal fatto che la responsabilità delle
persone giuridiche è diventata “di moda”, si limitano ad esporre
laconicamente i contenuti della riforma.
Lo schema della ricerca condotta si articola in tre parti: una
prima finalizzata all’individuazione, in chiave storico-evolutiva, del
significato che il termine “persona”, e quello più tecnico di “persona
giuridica”, ha assunto nelle varie culture europee, dal periodo
ellenistico fino all’età moderna.
Infatti uno dei padri della filosofia greca, Platone, aveva già dato
un’interpretazione ontologica delle collettività che, con gli
accomodamenti necessari, è perfettamente compatibile con le moderne
teorie di ricostruzione della volontà delle persone giuridiche; nel tempo
poi gli aspetti prettamente filosofici hanno lasciato spazio a quelli
tecnico-giuridici, ed il “problema delle persone giuridiche” è diventato
quello dell’individuazione del loro substrato: da un lato infatti vi erano i
fautori della “teoria della finzione” (risalente, nella versione originaria
di Sinibaldo dei Fieschi, alla metà del secolo XIII e poi ripresa nel XIX
da Federico Carlo di Savigny), che affermavano il carattere fittizio delle
collettività, i cui diritti e doveri erano in realtà riconducibili ai singoli
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loro membri; dall’altro i sostenitori della più recente “teoria della
realtà”, costruita a metà del XIX secolo e fondata sulla convinzione della
natura “reale” degli enti collettivi. Si è poi cercato di compiere una
ricostruzione dei principi generali del diritto penale che rendesse questi
compatibili con una ipotetica responsabilizzazione delle persone
giuridiche: attraverso una graduale “denaturalizzazione” dell’indole
soggettivistica del sistema penale si è tentato di fornire
un’interpretazione del principio di personalità della responsabilità
penale, del principio di colpevolezza e del ruolo della finalità rieducativa
della sanzione penale che si adattino ad un sistema di
corresponsabilizzazione delle società commerciali e delle altre persone
giuridiche. Dando per dimostrato poi che la responsabilizzazione delle
persone giuridiche sia concettualmente fondata e che gli ostacoli di
ordine dogmatico e costituzionale siano superabili, si è cercato di
valutare come si possa inserire un sistema di responsabilità di questo
tipo, alla luce delle soluzioni adottate da altri ordinamenti e tenendo
presente anche i progetti di costruzione di un diritto penale riconosciuto
in tutta Europa, in nuovo capitolo del diritto penale, sia esso un settore
autonomo, specificamente dedicato al diritto penale dell’economia, o una
“Parte Generale” di un diritto penale comune, applicabile in tutti gli
ambiti del “penalmente rilevante”.
Infine, dopo la disamina delle singole disposizioni inserite nel D.
Lgs. 231/01, si è cercato di fare luce sulla reale natura della
responsabilità da questo introdotta, e si ammette fin da ora che se le
conclusioni raggiunte sono chiaramente di parte, per la pregiudiziale
convinzione che il legislatore delegato ha realizzato un sistema di
responsabilità che, nato con l’etichetta di “amministrativo”, sulla carta
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si dimostra “fin troppo penale”, si è anche consapevoli della legittimità
di una tale chiave di lettura.