2
conseguenza un pregiudizio al paziente che può variare dalle lesioni
personali colpose al vero e proprio omicidio colposo.
Verrà di seguito preso in considerazione il ruolo che il consenso di
quest’ultimo ha acquisito nel tempo, se non come vero e proprio
fondamento di liceità, quanto meno come requisito di validità
dell’intervento sanitario stesso.
Infine, strettamente collegata con la disciplina del consenso, ma non meno,
come è ovvio, con lo stesso esame della responsabilità penale del medico,
si tenterà di affrontare la questione assai complessa, controversa, anche se
profondamente sentita sia dal punto di vista sociale che giuridico,
dell’eutanasia. Tale analisi si presenta , del resto, difficoltosa già sul
nascere, data l’assenza, nel nostro ordinamento, a differenza di altri, di una
disciplina specifica se non come semplice omicidio del consenziente o
aiuto al suicidio.
Tuttavia, considerate le innumerevoli dispute dottrinarie in materia e le
posizioni prese dalla recente giurisprudenza, nonché le fondamentali
innovazioni legislative adottate in Europa, sembra giusto azzardare l’esame
di un argomento così scottante.
3
Definizione di trattamento sanitario
Preliminare all’indagine sulla liceità del trattamento sanitario risulterà
sicuramente un’analisi sulla definizione di quest’ultimo. In effetti, nella
letteratura medico-legale, varie sono le definizioni di trattamento medico
chirurgico, ed in questo elaborato si dovrà darne conto così da poter
ricavare un ambito possibilmente definito della responsabilità del suddetto
professionista.
La meno lata, e anche più antica, definizione sembra essere quella del
Grispigni
1
che è del 1914.”Una modificazione dell’organismo altrui
compiuta secondo le norme della scienza, per migliorare la salute fisica e
psichica delle persone”.
Da questa definizione , però, rimanevano fuori alcune attività mediche
effettuate non sull’uomo, ma indirizzate lo stesso alla tutela della salute
della persona: le attività diagnostiche.
1
Così il GRISPIGNI F., La responsabilità penale per il trattamento medico-chirurgico arbitrario, p.673 e
segg., 1914; nello stesso senso l’INTRONA F., La responsabilità professionale nell’esercizio delle arti
sanitarie, Cedam, Padova 1955
4
Così interveniva il Crespi
2
, in termini di maggiore latitudine, definendo
trattamento sanitario” qualsiasi azione posta in essere da parte di un medico
nell’esercizio della sua attività professionale, diretta al fine di favorire le
condizioni di vita di un essere vivente”. Si rileva così che anche gli atti
diagnostici rientrano nell’ambito degli atti terapeutici perché si inseriscono
in un complesso di attività finalizzate a giovare alla salute del paziente.
Ed infatti il Cattaneo
3
puntualizza che” vanno compresi nel generico
concetto di trattamento medico chirurgico tanto le operazioni chirurgiche,
quanto i rimedi di medicina interna ed anche le cure psichiche Vi rientrano
anche gli interventi diagnostici, quelli diretti cioè ad accertare quale sia la
malattia di cui soffre il paziente…
Si può dire poi che il fine di giovare alla salute è presente anche nell’azione
del medico diretta a diminuire la sofferenza fisica, nonché in quella diretta
a rinforzare l’organismo. Restano invece al di fuori di questo concetto le
altre attività, non per questo necessariamente illecite, per le quali occorre
fare un discorso a parte…Inoltre restano fuori tutte le attività non
2
In tal senso il CRESPI A., La responsabilità penale del trattamento medico chirurgico con esito
infausto, Priulla, Palermo1955, p.6
3
Così il CATTANEO G., La responsabilità del professionista, Milano 1958, p.226
5
obiettivamente dirette ad un miglioramento della salute, oppure eseguite in
modo contrario ai dati della scienza , oppure non consentite dal paziente né
giustificate dall’urgenza e dallo stato di incoscienza di quest’ultimo.”
Ancora altri autori
4
propongono una definizione assai più ampia che arriva
a contemplare tutti gli elementi dell’insieme considerato come trattamento
medico chirurgico e si tratta di tutte quelle azioni od omissioni che il
medico pone in essere, secondo i dettami della scienza, sulla persona del
paziente, come:
a) visita medica(ossia l’esame del corpo del paziente);
b) attività preparatorie a fine diagnostico(indagini radiologiche, prelievi di
sangue, ecc.), a fine operatorio(narcosi prima delle operazioni, ecc.) o al
fine di preparare l’esecuzione di altri interventi;
c) profilassi(con vaccini, sieri, ecc.);
d) trattamenti antidolorifici(somministrazione di mezzi o iniezioni
antidolorifiche, ecc.);
4
Così ALBAMONTE A., CALCAGNO C., CUTTICA F., LEDDA F., Cittadino Salute e Ambiente,
Istituto Internazionale della Medicina, Roma 1980, p.63 e segg.
6
e) somministrazione di farmaci per varie vie(orale, sottocutanea,
intramuscolare, endovenosa, endoarteriosa, ecc.);
f) interventi terapeutici vari a favore del paziente(operazioni, elettroshock,
cure fisiche e psichiche, ecc.)
g) interventi a favore di terzi( trapianto di organo, trasferimento di parti
della cute, trasfusione del sangue, ecc.)
h) interventi con finalità non terapeutiche( inseminazione artificiale,
trattamento cosmetico e plastico, sperimentazione sulla persona umana,
ecc.)
5
.
In effetti la definizione è piuttosto ampia. Tuttavia, per quanto ampia,
proprio perché arriva ad abbracciare tutti i casi di contatto diretto e
immediato tra medico e paziente, risulta essere la più adeguata a soddisfare
la questione della liceità del trattamento medico chirurgico, poiché non v’è
dubbio che tale problema si ponga ogni qualvolta si verifichi un’ingerenza
del medico, inerente alla sua professione, nella sfera dei cd. beni personali
5
In tal senso il RIZ R., Il trattamento medico e le cause di giustificazione, Padova 1975, p. 27 e segg., il
quale esclude dal concetto di trattamento medico chirurgico solo gli interventi su persona non vivente ( ad
es. necroscopia).
7
del soggetto, come la libertà psichica e l’integrità fisica, espressamente e
particolarmente protetti dal nostro ordinamento.
Sebbene così lata questa definizione non deve portare a confondere il
trattamento medico con il più generale concetto di “atto medico” in cui
rientrano tutte quelle prestazioni di carattere esecutivo e materiale nonché
gli atti medici formali, come pareri, prescrizioni, indicazioni di cura ecc
6
.
6
Per un’ampia accezione del concetto di trattamento medico chirurgico si veda anche BILANCETTI M.,
La responsabilità civile e penale del medico, Cedam 1998.
8
Fondamento della liceità penale del trattamento medico-chirurgico
Se dunque, come poc’anzi affermato, si considera valida la definizione di
trattamento sanitario nel suo senso più ampio, perché omnicomprensiva di
tutte le possibili ingerenze dell’intervento medico nei beni personalissimi
del soggetto, verrebbe spontaneo pensare che tali ingerenze arrivino, per
loro natura, a configurare necessariamente condotte penalmente rilevanti.
Del resto, ad una prima approssimativa analisi, verrebbe naturale
riscontrarne alcune .
Ne sono alcuni tra gli esempi più comuni: la narcosi preoperatoria, che
procura un temporaneo stato di incapacità di intendere e volere, che può
delineare il reato ex art.613 c.p.
7
ovvero lo stato di incapacità procurato
mediante violenza; o la stessa asportazione di un organo nel corso di un
intervento chirurgico che paradossalmente potrebbe configurare il reato di
7
Art.613 c.p.: “Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia, o mediante somministrazione di
sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il suo consenso,
in stato d’incapacità di intendere o di volere(artt.85, 86) , è punito con la reclusione fino ad un
anno(artt.690, 691, 728)….
9
lesioni personali volontarie ex art.582 c.p.
8
in quanto, appunto, inerente al
bene dell’integrità fisica.
Tuttavia, come è ovvio che sia, non si può condannare a priori un’attività,
come quella medico-chirurgica, così nobile, e soprattutto utile per la tutela
degli beni primari dell’individuo, solo a causa dell’inevitabile rischio,
insito in sé stessa, di intaccare questi ultimi.
A questo riguardo, perciò, la dottrina si è ampiamente pronunciata nella
ricerca di un unico criterio su cui fondare la liceità di tale attività, anche se,
per il vero, a tutt’oggi, dato il notevole divario di opinioni, non si è ancora
giunti ad un’intesa .
Diverse infatti sono state, nel tempo, le teorie proposte dai giuristi a
riguardo.
Vari autori, tra cui il Cattaneo e il Fiore, affiancati dal Bettiol in particolare
in riferimento ad interventi con esito fausto ritengono, per esempio, che il
trattamento medico-chirurgico debba considerarsi lecito poiché consiste in
8
Del resto già il CARNELUTTI F. aveva sostenuto “ che dal punto di vista della forma, cioè
dell’elemento fisico dell’atto, è nettamente ciò che la nostra legge una lesione personale…ciò che
distingue è l’elemento psicologico dell’operatore”., in Obblighi, poteri e diritti del medico e del chirurgo,
Arch. Antropol. Crim. Psichiatria Med. Leg. 1938
10
un’attività volta all’utilità sociale
9
.
Una sorta di liceità intrinseca al trattamento sanitario, quindi, che non
richiede cause di giustificazione esterne anche nel caso di eventuale esito
infausto, andando a configurare, di conseguenza, “danni socialmente
adeguati”.
Ma, come è facile intuire, il concetto di “azione socialmente adeguata”
risulta assai vago e quindi insufficiente per fondare la base giuridica della
nostra questione.
Altri autori, come l’Altavilla, ma prima ancora il Carrara avevano
rinvenuto la ragione della liceità penale del trattamento medico-chirurgico
nella totale assenza dell’elemento soggettivo, ossia l’intento di nuocere al
paziente arrecando volutamente un danno, nonostante la condotta del
medico configuri effettivamente la materialità del reato previsto dalla
norma penale
10
.
9
E’ la Teoria dell’azione socialmente adeguata. Così il CATTANEO, op. cit., ma anche il FIORE C.,
L’azione socialmente adeguata nel diritto penale, Morano, Napoli 1966, e BETTIOL G., Diritto penale,
parte generale, Cedam, Padova 1973
10
E’ la Teoria della carenza dell’elemento soggettivo sostenuta dapprima dal CARRARA F.(1805-
1888), Programma di diritto criminale, poi ripresa dall’ALTAVILLA E., Consenso dell’avente diritto, in
Novissimo Digesto It., Torino 1960
11
Ma analizzando i principi di applicabilità della norma penale, come gli
stessi Grispigni e Carnelutti
11
avevano sottolineato, si evince che non è
necessario un intento malvagio, bensì basta che l’evento sia stato
coscientemente voluto. Risulta così evidente che il medico, prevedendo e
volendo, ovviamente, i risultati del suo operato, non potrebbe essere
esonerato dalla responsabilità penale per carenza dell’elemento soggettivo.
Il Grispigni, pertanto, seguito dall’Antolisei, nonché dall’Introna, riteneva
si dovesse accertare il fondamento di liceità del trattamento medico nel
fatto che esso configura l’esatto opposto del reato di lesioni personali in
quanto volto ad ottenere un miglioramento dell’integrità fisica del soggetto
ed in base a questo sarebbe considerato lecito dall’ordinamento
12
.
Questa valutazione resterebbe valida anche nel caso di esito infausto
dovendo attribuire quest’ultimo ad imprevedibili fattori biologici
dell’organismo del paziente non sempre controllabili dal medico
13
.
11
Cfr. GRISPIGNI F., Il fondamento della liceità del trattamento medico- chirurgico, in Riv. Di Dir. e
Pro. Penale 1914 e CARNELUTTI, op. cit.
12
E’ la Teoria dell’assenza del fatto tipico del reato, tesi sostenuta dal GRISPIGNI, op. cit., ripresa da
ANTOLISEI F., Manuale di dir. penale, parte generale, Giuffrè, Milano 1969
13
In tal senso anche lo SPIEZIA V., I limiti di liceità del trattamento medico chirurgico, Morano, Napoli
1933, p.10
12
Ma se fulcro della teoria è il rilievo dato allo scopo, ovvero ai motivi
dell’atto, scarsamente rilevanti nel nostro diritto positivo rispetto ad
un’ipotesi di reato, risulta evidente l’inadeguatezza della suddetta come
base del fondamento di liceità del trattamento medico
14
.
Altra autorevole dottrina, capeggiata da Vassalli
15
, ha individuato il
fondamento di liceità del trattamento sanitario “nel fatto che l’attività
medico chirurgica corrisponde ad un alto interesse sociale, la cura degli
infermi, interesse che lo Stato riconosce, autorizzando, disciplinando e
favorendo l’attività medesima”. Viene teorizzata, così, una causa di
giustificazione non codificata che dovrebbe trovare fondamento in una
espressa previsione legislativa di liceità dell’attività sanitaria.
Ma, pur esistendo tale previsione legislativa, il Riz
16
interviene
sottolineando come appaia avventato farne derivare nuove cause di
giustificazione oltre la previsione legale, vista la loro natura eccezionale.
14
In tal senso AVECONE P., La responsabilità penale del medico, Vallardi, 1981, p.21
15
E’ la teoria della causa di giustificazione non codificata. Così il VASSALLI G., Alcune considerazioni
sul consenso del paziente e lo stato di necessità nel trattamento medico chirurgico, Arch. Pen. P.81 1973
16
Cfr. RIZ R., Il trattamento medico e le cause di giustificazione, Padova 1975, p.27 e segg
13
Risulta inoltre insufficiente il criterio dell’alto contenuto sociale, in quanto
indefinito, a giustificare la liceità di tale attività che in nome di questo
verrebbe esonerata da qualsiasi rilevanza penale.
Simile alla precedente è la teoria del Liszt
17
, nota come quella dello scopo
riconosciuto dallo Stato. In questo caso l’antigiuridicità del trattamento
sanitario è esclusa da un fine espressamente riconosciuto dallo Stato il
quale rende leciti, quindi, gli attacchi all’integrità fisica del paziente se
posti in essere dal medico con lo scopo di guarire.
Ma la stessa teoria si allarga poi alla considerazione che l’assenza del
consenso del paziente può portare a configurare responsabilità per lesioni
personali volontarie anche in caso di esito fausto della prestazione.
Verrà dunque spontaneo criticare Liszt non solo per l’evidente
contraddizione nella sua stessa teoria, dato che non v’è dubbio che il
medico che ottiene la guarigione del paziente, anche senza il preventivo
consenso, ha agito comunque in nome dello scopo riconosciuto dallo Stato;
ma anche perché, come era simile nel principio alla causa di giustificazione
17
Così LISTZ FRANZ von, Lehrbuch des deutschen Strafrecht 1932.
14
non codificata, sarà simile anche nei limiti, ovvero l’indeterminatezza del
principio stesso
18
.
Un’ennesima formulazione dottrinale, di origine francese ma ripresa in
Italia dal Mantovani, trova il fondamento di liceità nell’esercizio di un
diritto riconosciuto dal legislatore
19
: “se la legge definisce, regolamenta e
autorizza la professione sanitaria, implicitamente autorizza tutti i mezzi che
ne rendono possibile ed effettivo l’esercizio.”
Ma se è vero che il medico è effettivamente esonerato da responsabilità
penale perché abilitato dal proprio ordinamento, è vero altresì che questa
teoria costituirebbe una discriminazione per quei medici che non
appartengono al nostro ordinamento e per i quali verrebbero a configurarsi
reati ben più gravi del semplice esercizio abusivo dell’arte sanitaria. Inoltre
la legge si limita a stabilire le premesse e i requisiti per l’esercizio
dell’attività ma non stabilisce affatto la liceità dei singoli atti inerenti
18
In tali termini L’INTRONA, op. cit.
19
E’ la Teoria dell’attività autorizzata dall’ordinamento, propria della dottrina francese. In Italia vicina
ad essa è la posizione del MANTOVANI F., I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e
straniero, Cedam 1974, p.203
15
all’esercizio di questa . E’ evidente quindi come non possa esonerare il
medico dalla responsabilità penale dei singoli interventi
20
.
Ultima di questo lungo elenco di teorie è quella, condivisa da molti autori,
delle cause di giustificazione codificate, nelle quali si è tentato di rinvenire
la ragione della liceità dell’opera del sanitario. Si è quindi presa in
considerazione l’esimente dello stato di necessità prevista dall’art.54c.p.
21
che ricorrerebbe però solo per interventi pericolosi, rendendo l’opera del
medico non punibile perché necessaria alla salvezza del malato. Nel caso di
assenza di rischio, quindi, tale esimente non opererebbe e dovrebbe essere
ricercata nel consenso del paziente
22
. Si è poi analizzata la scriminante
dell’art.51c.p:nel caso in specie l’adempimento del dovere di intervenire
sulla malattia del paziente per impedirne il peggioramento o la morte o,
sempre ex art.51c.p, l’esercizio del diritto di esercitare l’attività sanitaria
riconosciuto dal legislatore, quasi a configurare una sorta di “diritto
professionale”
23
.
20
In tal senso l’INTRONA, op. cit. che sottolinea i rischi di tale concezione, i quali renderebbero il
medico assoluto despota della salute dell’infermo, essendo quest’ultimo sprovvisto di potere decisionale.
21
Così AZZALLI G., Stato di necessità, in Novissimo Digesto, Utet 1971
22
Tesi sostenuta dal DE MARSICO A., Diritto penale, Napoli 1937
23
Il MANZINI, in Trattato di diritto penale, Utet 1981, colloca in via generale nell’ambito di tale causa
di giustificazione l’attività medica