INTRODUZIONE
Perchè scrivere ancora sulla responsabilità della struttura sanitaria?
L’idea di una tesi sulla responsabilità sanitaria è mossa da esperienze personali di
chi scrive e dall’importanza che questo tema ha nella società odierna: la tutela del
“malato” è oggigiorno “di moda”, ma non per questo è sempre piena ed efficace.
Il proliferare di azioni giudiziarie a carico dei sanitari e delle strutture sanitarie in
cui i essi lavorano, ha spinto dottrina e giurisprudenza ad occuparsi più
approfonditamente del problema apportando, ormai da una trentina d’anni,
significative innovazioni in materia.
La salute è un diritto soggettivo: secondo l’art. 32 Cost., essa è un fondamentale
diritto dell’individuo la cui tutela è affidata alla Repubblica nel senso di una
pluralità di soggetti tanto ampia quanto indistinta: << la Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti >>.
L’Assemblea Costituente del 1946-48 giunse ad affermare una tutela forte della
salute, quale diritto della persona alla base dell’esplicazione di ogni attività umana
nella sfera morale, intellettuale ed economica: la salute non è solo assenza di
malattia o di infermità, ma consiste in uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale. [
I
]
I
M. RUOTOLO, Il diritto alla salute della persona reclusa. Diritti dei detenuti e Costituzione,
Giappichelli, 2002, Pen. 00 0000424, pag. 1
Il concetto costituzionale di “salute” dunque si estende fino alla prevenzione della
malattia oltre che alla promozione del generale benessere psicofisico della
persona.
In concreto tutti i soggetti pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni) sono
impegnati a rendere effettivo tale diritto intervenendo sia direttamente, attraverso
apposite strutture assistenziali, sia indirettamente, mediante la predisposizione
degli strumenti idonei a consentire anche a soggetti privati lo svolgimento della
stessa funzione.
Il diritto alla salute inteso come interesse della collettività spiega e giustifica
l’attività di prevenzione che i soggetti pubblici sono tenuti a svolgere (si pensi alla
prevenzione delle malattie infettive) ed, in secondo luogo, le disposizioni
legislative che prevedono trattamenti sanitari obbligatori.
La lesione, pertanto, di questo fondamentale diritto può dar luogo a risarcimento
non solo nei casi di danno patrimoniale, ma anche nei casi di danno biologico;
tuttavia, tale diritto non comporta un connesso dovere individuale a mantenersi in
buona salute, nel senso che non comporta nessun obbligo di sottoporsi a
determinati trattamenti sanitari, salvo i casi previsti dalla legge (nella normale
attività di prevenzione a tutela dell’interesse della collettività) e sempre nel
rispetto della persona umana (l’art. 32, 2° c. Cost. recita infatti << Nessuno può
essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana >>).
La nuova dimensione giuridica del bene “salute” ha generato di pari passo con lo
sviluppo tecnologico e scientifico nel campo medico nuove posizioni soggettive in
capo ai pazienti, oggi titolari anche del diritto all’informazione, prodromo
necessario alla prestazione di un consenso informato, che deve precedere e
sottendere la sua sottoposizione alla terapia e alla prestazione medica in generale.
[
II
]
Il grande sviluppo della tutela del diritto alla salute nel nostro ordinamento, al pari
di quello di altri Paesi sviluppati (primo fra tutti gli U.S.A., la cui esperienza di
malpractice è documentata da centinaia di articoli e saggi che trattano svariati
problemi della responsabilità sanitaria) è un dato giuridico e sociale. [
III
]
II
M. RUOTOLO, Il diritto alla salute della persona reclusa, Diritti dei detenuti e Costituzione,
Giappichelli, 2002, Pen. 00 0000424, pag. 1
III
M. RUOTOLO, Op. Cit., Giappichelli, 2002, Pen. 00 0000424, pag. 1
Il conseguente dilagare di azioni giudiziarie in tema di sanità è dovuto a
importanti fattori come: l’evoluzione tecnico-scientifica, che si traduce per il
sanitario nella sua crescente potestà in termini di mezzi, strutture e
specializzazioni, sì da arrivare a travolgere la classica teoria dell’errore scusabile;
l’esistenza di una responsabilità della struttura sanitaria sganciata da quella del
medico dipendente; il passaggio da una c.d. medicina paternalistica ad una
medicina informata, con rinnovati riflessi sul rapporto medico-paziente, il quale,
in tale veste, acquisisce nuovi diritti tutelati dall’ordinamento.
Le problematiche sottese a questa nuova configurazione del diritto alla salute
riflettono la necessità di stabilire la natura della prestazione del sanitario e della
struttura sanitaria da cui dipende, data per acquisita - e oramai superata - la
definizione classica di cui al combinato disposto degli artt. 1176 e 2236 c.c., il
primo riguardante la diligenza da usarsi nell’adempimento delle obbligazioni
inerenti all’esercizio di un’attività professionale, e il secondo riguardante i casi in
cui la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà,
nei quali il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di
colpa grave.
La Suprema Corte negli ultimi anni, ha costantemente inquadrato la responsabilità
della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sostenendo che
l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita
ambulatoriale, comporti la conclusione di un contratto: << l’accettazione del
paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza
sanitaria-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta
la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità >>
IV
.
Per quanto riguarda l’aspetto probatorio, l’orientamento giurisprudenziale si
spinge verso una nuova distribuzione del rischio dell’incertezza probatoria
all’insegna del “principio di riferibilità” o di “vicinanza della prova”.
Ciascun aspetto della materia verrà approfondito nei capitoli che seguono,
cominciando dall’analisi della sentenza 577/2008, importante pronuncia delle
Sezione Unite che fissa i punti esenziali in materia di responsabilità sanitaria.
Montemurro Stefania
IV
Cass. Civ., Sez. III, n. 8826/2007, in Juris Data
CAPITOLO I
Panoramica sul concetto di responsabilità sanitaria alla
luce della sentenza Cass. Civ. 577/08
Rapida esposizione dei fatti ed introduzione alla sentenza Cass. Civ. n. 577/08
Ritengo sia utile esaminare dapprima una recente sentenza delle Sezioni Unite sul
tema della nuova qualificazione giuridica della responsabilità dei medici e delle
strutture sanitarie (pubbliche o private) e della continua evoluzione, soprattutto
giurisprudenziale, in fatto di risarcimento dei danni causati ai pazienti .
Veniamo subito ad analizzare alcuni motivi di tale sentenza, che saranno
maggiormente approfonditi nei singoli capitoli della trattazione, in quanto temi di
essenziale importanza in materia di responsabilità delle strutture sanitarie:
- la responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata nei confronti del paziente;
- la prova del nesso di causalità, superata la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed
obbligazioni di risultato;
- la responsabilità contrattuale e l’inadempimento rilevante nelle obbligazioni così dette
di comportamento;
- gli obblighi a carico della struttura ai fini della declaratoria della sua responsabilità,
nell’ipotesi del contagio da emotrasfusione eseguita all’interno della struttura sanitaria.
Fatti
La vicenda giudiziaria che ha dato luogo alla pronuncia delle Sezioni Unite trae
origine da una richiesta di risarcimento dei danni per una malattia (l’epatite “C”):
il paziente lamenta di aver contratto l’epatite C attraverso le trasfusioni
praticategli in occasione di un intervento chirurgico.
1
Uguaglianza fra strutture pubbliche e private in nome di una maggior tutela
della salute
L’indagine sui criteri di imputazione della responsabilità civile verrà condotta
unitariamente sia per la casa di cura privata che pubblica: proprio nella sentenza
di cui si sta trattando infatti, le Sezioni Unite ricordano che la salute è un diritto
fondamentale previsto dalla Costituzione, e dunque non vi possono essere
limitazioni di responsabilità o differenze in tema di risarcimento in base alla
natura del soggetto danneggiante.
Con la sentenza in esame si è posto quindi fine al regime di differenziazione, nelle
cause di risarcimento per danni, fra le strutture sanitarie private e gli enti pubblici
ospedalieri poiché, secondo la Corte << per quanto concerne la responsabilità
della struttura sanitaria nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una
casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente
equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il
fruitore dei servizi >>
1
. L’assunto viene spiegato in ragione di una maggior tutela
del paziente che ha subìto un grave danno, e nell’interesse dei familiari in caso di
decesso del paziente: << […] anche nella giurisprudenza si riscontra una
equiparazione completa della struttura privata a quella pubblica quanto al
regime della responsabilità civile anche in considerazione del fatto che si tratta di
violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale
dalla Costituzione, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze
risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata, della struttura
sanitaria >>
2
.
1
Cass. Civ., n. 577/2008, Responsabilità civile e previdenza, 2008, 4, pag. 851
2
Cass. Civ., n. 577/2008, Op. Cit., 2008, 4, pag. 851
2
Obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato
In dottrina e in giurisprudenza, l’utilizzo della distinzione tra obbligazioni di
mezzi e di risultato all’interno della categoria delle obbligazioni di fare (a
differenza che in Francia dove rappresenta una summa divisio valida per tutte le
obbligazioni), ha originato contrasti sia in ordine al contenuto dell’obbligazione,
sia in relazione all’onere della prova (e quindi, allo stesso fondamento della
responsabilità del professionista). [
3
]
Per definizione, l’obbligazione di mezzi è un’obbligazione in cui il debitore è
tenuto a svolgere una determinata attività tenendo un << “comportamento
diligente”, cioè l’impiego diligente di mezzi idonei a realizzare un risultato >>
4
,
senza tuttavia garantire il risultato che da questa attività il creditore si attende.
Di conseguenza l’obbligato non può essere ritenuto responsabile in caso di
mancata realizzazione dell’interesse del creditore, a meno che quest’ultimo non
provi la colpa del debitore. Le obbligazioni di risultato invece, sono tale per cui il
debitore è tenuto a raggiungere necessariamente un determinato risultato
corrispondente all’interesse del creditore: in questo caso quindi, è sufficiente che
il creditore provi l’inadempimento, spettando al debitore dimostrare la mancanza
di colpa.
3
G. MOMMO, Medici e ospedali: qualificazione giuridica della responsabilità e onere probatorio,
in http://www.altalex.com/index.php?idnot=40189
4
Le garzantine, Enciclopedia del Diritto, Garzanti, 2001
3
La dicotomia tra obbligazione di mezzi e di risultato è stata spesso utilizzata per
ampliare la responsabilità contrattuale del professionista, tramutando
l’obbligazione di mezzi in quella di risultato: ciò avviene, sostiene la Cassazione
stessa nella sentenza in esame, << attraverso l’individuazione di doveri di
informazione e di avviso, definiti “accessori” ma integrativi rispetto all’obbligo
primario della prestazione, ed ancorati a principi di buona fede, quali obblighi di
protezione, indispensabili per il corretto adempimento della prestazione
professionale in senso proprio >>
5
.
Negli anni passati, la Corte di cassazione ha individuato degli standards di
condotta alla luce dei quali la teoria della colpa, del nesso causale e dello stesso
danno (sotto il profilo sostanziale e probatorio), venne profondamente mutata
rispetto agli archetipi tradizionali: in particolare, è la colpa, l’elemento soggettivo
dell’illecito.
In pochi casi l’art. 2236 c.c. è stato realmente applicato, limitando la
responsabilità del professionista: << se la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei
danni, se non in caso di dolo o di colpa grave>>.
5 Cass. Civ., n. 577/2008, Responsabilità civile e previdenza, 2008, 4, pag. 851
4
La valutazione della “non gravità” della colpa del medico risulta implicitamente
contenuta nel giudizio espresso sulla natura dell’intervento, mentre la regola
inversa (elaborata per la prima volta da Cass. 6141/1978) della facilità
dell’intervento e del risultato peggiorativo come presunzione di colpa tout court è
risultato il primo passo verso la sostanziale trasformazione dell’obbligazione del
professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di (quasi) risultato. Con la
sentenza in esame la Cassazione sostiene invece che << l’intervento medico di
tipo routinario non può portare alla creazione di una ipotesi di responsabilità
oggettiva, ex art. 2050 c.c. perché altrimenti si passerebbe da una obbligazione di
mezzi ad una obbligazione di risultati >>
6
.
Negli ultimi anni infatti, nell’ambito degli atti ordinari della professione << si è
giunti a chiedere al danneggiato soltanto la prova del nesso causale, e della
facilità di esecuzione dell’intervento (intervento cd. di routine), mentre la colpa,
anche lieve, si presume sussistente ogni volta che venga accertato un risultato
peggiorativo delle condizioni del paziente >>
7
.
Il codice civile infatti distingue tra prestazioni implicanti la soluzione di problemi
tecnici di particolare difficoltà e interventi definiti di facile esecuzione.
Inoltre, l’attenuazione di responsabilità ex art. 2236 c.c. non si applica a tutti gli
atti del medico, ma solo ai casi di particolare complessità o perché non ancora
sperimentati o studiati a sufficienza, o perché non ancora dibattuti con riferimento
ai metodi terapeutici da seguire.
6 Cass. Civ., n. 577/2008, Responsabilità civile e previdenza, 2008, 4, pag. 851
7 Cass. Civ., n. 10297/2004, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2005, BC RIV. D 8,
pag. 783
5
Nella prima categoria, << la responsabilità può essere ravvisata unicamente in
presenza di un errore inescusabile, derivante o dalla mancata applicazione delle
cognizioni generali e fondamentali, o dal difetto di quel minimo di abilità o
perizia tecnica nell’uso di mezzi manuali o strumentali, che non deve mai
mancare in chi esercita l’arte sanitaria >>
8
Nei c.d. interventi di routine, invece, soccorre la disciplina generale contenuta
nell’art. 1176 c.c., per cui il medico risponde del danno anche nel caso di colpa
lieve: << in queste ipotesi si richiede che sia stata scelta la più idonea e sicura
delle terapie adottabili per risolvere lo stato morboso >>
9
L’attenuazione di responsabilità è, peraltro, ulteriormente limitata dalla richiesta,
in capo al professionista, di una scrupolosa attenzione, pretendendosi dallo
specialista uno standard di diligenza superiore al normale: così, il richiamo al
concetto di colpa grave non vale più come criterio di valutazione di una
grossolana divergenza dalla diligenza media, ma come scarto di diligenza esigibile
da uno specialista.
8
Cass. Civ., n. 10297/2004, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2005, BC RIV. D 8,
pag. 786
9
Cass. Civ., n. 10297/2004, in Op. Cit., 2005, BC RIV. D 8, pag. 786
6
La distinzione tra prestazione di facile o difficile esecuzione non rileva ai fini
della ripartizione dell’onere della prova, ma per la valutazione del grado di
diligenza richiesto, spettando al medico fornire comunque la prova che la
prestazione sia di particolare difficoltà o, in mancanza, che la prestazione sia stata
eseguita in modo diligente e che gli esiti pregiudizievoli siano stati determinati da
un evento imprevisto e imprevedibile (vedi paragrafo sull’onere della prova).
A tale proposito è interessante analizzare brevemente la sentenza 9471/2004:
l’attrice era stata ricoverata presso l’USL di Orvieto per essere sottoposta ad un
intervento chirurgico di cambiamento di sesso attraverso l’asportazione del pene e
la contestuale creazione di una vagina artificiale; il medico aveva eseguito
l’intervento non correttamente, avendo realizzato una vagina di profondità
insufficiente, onde l’impossibilità di poter intrattenere normali rapporti sessuali ed
è stato quindi ritenuto responsabile della mancata riuscita dell’intervento, e tenuto,
in solido con la USL in cui lavorava, al risarcimento dei danni. [
10
]
10
Cass. Civ., n. 9471/2004, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2005, BC RIV. D 8,
pag. 578
7
Secondo la Corte, negli anni, la colpa medica è giunta a sfiorare, << […]
capovolgendo la situazione originaria di protezione “speciale” del professionista,
una dimensione paraoggettiva della responsabilità […] salva prova di avere
eseguito la propria prestazione con la dovuta diligenza: il quadro che
complessivamente emerge dallo screening giurisprudenziale di legittimità e di
merito degli ultimi anni postula, così, il compimento di un complesso
accertamento che si indirizzi: 1) sulla natura, facile o non facile, dell’intervento
del professionista; 2) sul peggioramento o meno delle condizioni del paziente; 3)
sul nesso causale e sulla sussistenza della colpa (lieve nonché presunta, se in
presenza di operazioni di routine o ben codificate, grave, nel senso sinora
specificato, se relativa ad operazione che trascende la preparazione media ovvero
non sufficientemente studiata o sperimentata, con l’ulteriore limite della
particolare diligenza richiesta in questo caso, e dell’elevato tasso di
specializzazione nel ramo imposto al sanitario); 4) sul corretto adempimento
dell’onere di informazione circa gli esiti dell’intervento e sull’esistenza del
conseguente consenso del paziente >>
11
, il tutto sotto il profilo dell’indagine
circa la natura della relazione sanitario-paziente nell’ambito di una struttura
ospedaliera, ricondotta, negli ultimi anni, ad una responsabilità contrattuale.
11
Cass. Civ., n. 9471/2004, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2005, BC RIV. D 8,
pag. 578
8
La Corte, dopo aver specificato che il contatto tra il paziente e il sanitario genera
un rapporto negoziale, pone a carico del prestatore d’opera una presunzione di
colpa: << ricostruendo l’obbligazione del professionista come un’obbligazione di
risultato, infatti, si grava il paziente del solo obbligo di dimostrare l’esistenza del
contratto e l’aggravamento della situazione o l’insorgenza di nuove patologie per
effetto dell’intervento, attribuendo al sanitario e all’ente ospedaliero la prova
liberatoria >>
12
.
12
Cass. Civ., n. 9471/2004, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2005, BC RIV. D 8,
pag. 579
9
L’onere della prova
Sotto il profilo dell’onere della prova dunque, la distinzione fra obbligazioni di
mezzo e risultato veniva utilizzata per sostenere che mentre nelle obbligazioni di
mezzi, essendo aleatorio il risultato, sul creditore incombesse l’onere della prova
che il mancato risultato era dipeso da scarsa diligenza, nelle obbligazioni di
risultato, invece, sul debitore incombeva l’onere della prova che il mancato
risultato era dipeso da causa a lui non imputabile.
Con la sentenza n. 577/2008 la Corte ribadisce che non deve essere il ricorrente a
dimostrare il danno subìto, ma sono l’Ente o il medico che devono evidenziare in
giudizio che non v’e stata alcuna complicanza provocata da disattenzione o
incuria, senza richiamarsi in alcun modo alla distinzione tra obbligazioni di mezzi
e di risultato.
Il tribunale di Roma così come la Corte di appello di Roma avevano rigettato
rispettivamente la domanda e l’appello, ritenendo che << […] l’attore non aveva
provato il nesso di causalità tra l’emotrasfusione e l’epatite C, poiché non era
stato provato con la documentazione, tempestivamente prodotta, che alla data del
ricovero non fosse portatore già della patologia lamentata, come avevano
concluso i c.t.u., mentre non poteva tenersi conto della documentazione relativa
ad esami ematici effettuati, prodotta dall’attore in primo grado dopo i termini di
cui all’art. 184 c.p.c. e riprodotta in appello >>
13
.
13
Cass., Civ., n. 577/2008, Responsabilità civile e previdenza, 2008, 4, pag. 851
10