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Introduzione
Nell’ultimo decennio le professioni sanitarie sono state pervase da
importanti cambiamenti. Uno dei più significativi deriva dalla
modifica, da parte dei cittadini, dell’approccio al mondo sanitario.
L’aumentata consapevolezza di essere portatori di diritti e di capacità
di scelte autonome, ha di fatto, causato stravolgimenti profondi nel
concetto di autonomia e responsabilità delle professioni sanitarie,
modificando sostanzialmente i rapporti tra professionisti e cittadini, e
tra i professionisti stessi.
In questo contesto, come guida nel proprio operato, una professione
come quella dell’infermiere non guarda più alle elencazioni di compiti
o di attività, ma a criteri guida e criteri limite. I primi rappresentati
dal contenuto del proprio profilo professionale, dalla propria
formazione e dal proprio codice deontologico. I secondi rappresentati
dalle competenze delle altre professioni sanitarie, e dalla necessità di
dialogare con il destinatario del proprio servizio. Rendere il cittadino,
il più possibile, autonomo nei confronti della gestione della propria
patologia rappresenta infatti una sfida e un’opportunità, sia per i
professionisti sanitari sia per i sistemi sanitari. E si tratta di una sfida
etica ed economica di straordinaria importanza per la qualità della
vita dei singoli cittadini e delle loro famiglie. Questo cambiamento
profondo come tutti i cambiamenti reali va aldilà di semplici
acquisizioni di informazioni. Questo per ripercorrere la significativa
evoluzione normativa e sociale che sta alla base dei cambiamenti
attuali, ed è supportato da una ottima documentazione normativa.
Attraverso la raccolta di casi pratici riguardanti la responsabilità
professionale in campo sanitario, si configura come un valido
strumento per generare una nuova cultura e un nuovo approccio alla
responsabilità professionale.
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Capitolo Primo
Analisi tecnico-giuridico di Casi pratici
1.1 Il caso di Antonio
Antonio ha 48 anni, è sposato ed ha 3 figli. Di seguito ho ritenuto
opportuno riportare il suo excursus lavorativo, in quanto, per come si
è svolto, dà una chiara ed inequivocabile conferma di come un
lavoratore che cerca, sin dall’inizio della sua attività, di raggiungere
livelli professionali migliori e più qualificanti, ponendosi come meta
quella di riuscire un giorno a disimpegnare le incombenze per le quali
si sente particolarmente portato avviene che, proprio quando tutto ciò
sembra raggiunto, qualcuno decide evidentemente di far svanire
questo legittimo desiderio.
- Dal 1968 al 1974 ha prestato servizio presso un Ufficio Sanitario
come infermiere;
- dal 19.11.1974 al 09.01.1976 in servizio presso l’Aeronautica
Militare in qualità di aiutante di sanità;
- dal 30.11.1977 al 20.06.1979 ha prestato servizio presso un
Ospedale del nord Italia in qualità di ausiliario, frequentando per la
durata di un anno solare il corso di Infermiere generico, conseguendo
il relativo diploma;
- dal 21.06.1979 al 14.04. 1983, presso lo stesso Ospedale, ha svolto
servizio in qualità di infermiere generico di molo;
- dal 15.04. 1983 al 28.02.1987, trasferitosi presso l’Ospedale del suo
paese in qualità di infermiere generico, durante questo periodo ha
frequentato il corso di infermiere professionale, conseguendo il
relativo diploma nell’anno 1985;
- dall’1.03.1987 è stato inquadrato, presso quest’ultimo Ospedale, in
qualità di infermiere professionale di ruolo;
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- nell’anno 1987 ha frequentato presso l’istituto di Studi Superiori di
Napoli il corso semestrale teorico-pratico di Tecnico Strumentista di
sala Operatoria (ferrista).
- dal 1988 al 1996 il tanto desiderato e fatale servizio, in qualità di
ferrista, presso la sala Operatoria dell’Ospedale dove già prestava
servizio;
- dal 1996 al 31.08.1997 trasferito presso l’Ambulatorio di Cardiologia
dello stesso Ospedale;
- dall’ 1.09.1997 in pensione per invalidità.
E’ di tutta evidenza come la carriera lavorativa di Antonio sia stata un
continuo crescendo, grazie soprattutto alle opportunità che si è
saputo creare attraverso il conseguimento di titoli specifici che gli
hanno consentito di elevare il proprio stato professionale. La sua
storia patologica inizia quindi proprio nel momento in cui, in seguito a
domanda di trasferimento presso la sala operatoria, risultava essere il
primo in graduatoria e quindi vedeva realizzarsi il tanto agognato
desiderio. Gli esami clinici cui venne sottoposto prima della definitiva
ammissione, accettavano che non soffriva di alcuna patologia.
Pur essendo risultato primo, dopo l’ammissione in sala operatoria, per
ben sei mesi, approfittando anche della contemporanea assenza del
responsabile, alcuni colleghi, allo scopo di non dividere con lui
l’indennità economica definita di reperibilità, per invidia o per
competizione hanno sempre accuratamente evitato di fargli
disimpegnare le mansioni di ferrista che gli competevano,
assegnandogli mansioni di basso profilo come la pulizia dei ferri e
dell’ambiente.
Ritornato in sevizio il responsabile di sala, dopo numerose insistenze,
ad Antonio è stata consentita la vestizione e conseguentemente la
partecipazione alle sedute operatorie. Tale nuova situazione non
poteva essere certamente accettata da alcuni colleghi, i quali, hanno
attuato un nuovo boicottaggio consistente nel fatto che, quando
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Antonio era in servizio all’interno della sala operatoria, coloro che
dall’esterno avrebbero avuto il compito di passargli tempestivamente
i ferri sterili o altro materiale occorrente nella sala, affinché questi li
passasse ai chirurgo di servizio, intenzionalmente ritardavano o
omettevano queste operazioni, in modo che all’interno del plesso
operatorio la colpa veniva addebitata al predetto.
Comprensibili le reazioni del chirurgo di turno che, in quei momenti
accusava Antonio di incapacità, inefficienza ed inettitudine,
riprendendolo aspramente e duramente in presenza di altri,
investendolo con parole offensive e frasi denigratorie, di fronte alle
quali il lavoratore dopo le prime iniziali timide difese, rimaneva
annichilito senza avere la forza di reagire, stante il timore di perdere
l’incarico a lungo desiderato, inoltre, tante altre delicate situazioni si
creavano, in presenza dei pazienti, che lo inducevano a subire, per
cui la pressione psicologica aumentava quanto più la tensione
diventava insostenibile, con un evidente compiacimento di quei
colleghi che lo avevano sabotato provocandone le circostanze. Ogni
qualvolta provava a rappresentare il suo caso ai superiori, la
questione non veniva presa in seria considerazione e ci scherzavano
su senza adottare provvedimenti. All’esterno incontrava i colleghi che
lo guardavano in senso beffardo e sorridevano ironicamente, quasi a
voler mostrare la sicurezza di rimanere impuniti e, immediatamente,
veniva sottoposto a turni di lavoro che superavano l’orario normale,
gravosi ed a reperibilità continua anche di notte.
Questi episodi si sono protratti ordinariamente per tutto il periodo in
cui il ricorrente ha lavorato in sala operatoria, cioè dal 1988 al 1996,
senza che egli avesse il coraggio di reagire o protestare per
dimostrare di aver ceduto o di essere considerata una “spia’, subendo
quindi nuovi attacchi e nuove angherie che gli provocavano un forte
“patos” emotivo con attacchi di ansia e di panico che più volte l’hanno
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portato a pungersi con aghi infetti per mancanza di coordinamento
nelle azioni.
Proprio in conseguenza di quest’ultimi eventi ha contratto epatite
virale di tipo B che è stata regolarmente riconosciuta dipendente da
causa di servizio.
Durante la sua permanenza in sala operatoria, numerosi sono stati i
primari responsabili della direzione del reparto, che più o meno
apertamente o velatamente erano a conoscenza di questo stato di
cose ma quasi tutti fingevano di non sapere o minimizzavano la
questione.
A causa dell’epatite è rimasto assente dal servizio per un periodo di
tre mesi ed al rientro, nonostante il suo precario stato di salute nono
era venuta meno la volontà di continuare con volontà e senso di
responsabilità il lavoro al quale si sentiva particolarmente portato e
legato. Ma questi buoni propositi, evidentemente, non erano
sufficienti a far cambiare l’atteggiamento di quei colleghi che,
inesorabilmente, si riunivano in gruppo per denigrarlo e deridendolo,
facendo battute ironiche e discorsi a doppio senso sul suo conto.
Quando lo vedevano arrivare fingevano indifferenza e cambiavano
subito argomento o atteggiamento, mostrandosi dediti ad altre cose.
Nessuno gli rivolgeva spontaneamente la parola e se lui si rivolgeva
ai colleghi, questi lo ignoravano e si allontanavano; spesso veniva
lasciato da solo a pulire per lungo tempo i ferri chirurgici senza
possibilità di vedere alcuna persona.
Sono stati anni duri e bui, durante i quali Antonio, divenuto vittima
della situazione creatasi, è definitivamente caduto in uno stato
irreversibile di profonda prostrazione, accompagnata da senso di
impotenza e sensi di colpa, disistima personale e perdita di fiducia in
se stesso. Il quadro patologico che ne è derivato, è stato accertato da
uno specialista di tutto rilievo che ha somministrato al paziente test
specifici inventati dal noto scienziato svedese Prof. Leymann, cui si
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deve la scoperta del mobbing. Lo specialista cui si fa riferimento è
stato, tra l’altro, allievo del predetto Professore. Per Antonio sono
stati necessari ulteriori interventi assistenziali per cui è stato anche in
cura presso la Clinica del Lavoro di Milano, distintasi per essere in
Italia la prima in questa specializzazione.
Le distonie neurovegetative formatesi hanno avuto cassa di risonanza
e ripercussioni nei rapporti familiari e la vittima in data 22.11.1991
non ha retto più alla situazione creatasi ed ha pensato
ossessivamente al suicidio, se non fosse intervenuto
tempestivamente un noto Psichiatra.
Come se la situazione non fosse già oltremodo estenuante, nell’anno
1994, rimase coinvolto in un incidente avvenuto in sala operatoria. Fu
ritrovata della garza nell’addome di una paziente e pur essendo
evidente che la colpa non era a lui riconducibile, ha dovuto
sopportare lunghe indagini che i colleghi e superiori commentavano
dovunque in senso a lui sfavorevole. La notizia di questo grave
episodio venne divulgata di proposito con maldicenze che circolavano
oltre che in tutto l’ospedale, anche in paese. L’opinione pubblica che
si era formata diceva apertamente che la colpa era del ferrista
Antonio, senza che fosse mai stata accertata. L’iter giudiziario,
relativo a questo incidente, è stato lungo e sofferto e, nonostante la
remissione della querela a seguito di accordo economico tra i veri
responsabili e la danneggiata, Antonio veniva ancora indicato come
responsabile, cosicché la sua situazione di salute già precaria
continuò ad aggravarsi.
Ormai nell’ambiente di lavoro per punizione fu sollevato dall’incarico e
veniva guardato male da tutti, per cui, fu disposto il trasferimento in
un ambulatorio per evitare, a giudizio della Commissione
Competente, contatti con sangue ed emoderivati in virtù della
patologia epatica di cui il dipendente era affetto. (il verbale della
Commissione Medico Ospedaliera, che riconosceva l’epatite di tipo B è
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datato 1991, il trasferimento in attività ambulatoriali, con le predette
motivazioni, datano inizio 1996). Nonostante le terapie, lo stato di
salute di Antonio andava sempre peggiorando, non riusciva a stare in
mezzo alla gente, si sentiva osservato e continuamente deriso. Da
quando iniziarono questi problemi e le conseguenti terapie, il suo
peso aumentò spaventosamente fino a raggiungere lo stato di obesità
di 2° grado e dopo alterne vicissitudini e diverse terapie, alla fine fu
dispensato dal servizio a seguito di verbale, emesso dalla
Commissione Medica Collegiale di prima Istanza, che lo giudicava
“non idoneo permanentemente a qualsiasi proficuo lavoro” per le
patologie cui lo stesso era affetto e riconoscendo tra l’altro l’esistenza
di una “sindrome ansiosa depressiva con spunti deliranti a carattere
cronico e ribelle alle cure”.
Attualmente Antonio, dopo alcuni episodi di ricovero, assume
psicofarmaci, ha paura di uscire ed affrontare le gente, ha tendenza
all’isolamento, soffre di ansia, depressione ed attacchi di panico: è un
relitto umano rispetto al 1988 anno in cui, in seguito a visita
periodica, veniva definito “soggetto in buone condizioni cliniche
generali”.
La vita in famiglia è divenuta un inferno ed egli scarica tutte le sue
angosce e paure sulla moglie ed i figli, rendendo loro la vita
insopportabile.
In relazione al suddetto rapporto di lavoro, il dipendente in
argomento, ha invitato senza alcun esito l’Amministrazione convenuta
ad un tentativo di bonario componimento ma la Commissione di
Conciliazione ha comunicato l’esito negativo del tentativo di
conciliazione esperito ad istanza del ricorrente, non avendo l’Ente
convenuto provveduto a nominare un proprio rappresentante.
Si è inoltre ricorsi al T.A.R., ma il giudice amministrativo,
preventivamente adito in relazione all’oggetto di che trattasi, ha
declinato la sua giurisdizione con sentenza passata in cosa giudicata.