8
1) Premessa
L’articolo 223 della Legge Fallimentare
1
punisce
severamente gli amministratori che distruggono,
dissimulano, occultano, o dissipano beni appartenenti alla
società da essi amministrata, sempre che la società venga
dichiarata fallita.
L’esperienza insegna che spesso tali condotte sono realizzati
da soggetti che, seppur privi della formale qualifica
soggettiva richiesta dalla fattispecie incriminatrice,
gestiscono di fatto l’impresa societaria.
Dalla dialettica di queste due proposizioni emerge un
problema all’apparenza banale: l’amministratore di fatto
può rispondere dei reati propri degli amministratori?
Generalmente e acriticamente accolta, la positiva soluzione
del quesito si radica in un substrato in realtà priva di una
solida giustificazione sistematica.
Le cause di questo paradosso sono diverse. Tra di queste
meritano una speciale menzione:
• L’insufficiente, per non dire mancato, collegamento
con le istanze del pensiero sistematico;
• L’asfittica prospettiva monosettoriale all’interno della
quale il dibattito si è evoluto;
1
Testo coordinato del R.D. del 16 marzo 1942 n. 267, del d.l. del 14 marzo 2005 n.35, convertito,
con modificazioni, in legge del 14 maggio 2005 n. 80 e del Decreto legislativo 9 gennaio 2006 n.
5, in attuazione della delega contenuta nella legge 14 maggio 2005 n. 80
9
• L’esuberanza del dichiarato obbiettivo politico-
criminale di colmare ogni possibile lacuna di tutela.
Nel tentativo di ovviare a questi inconvenienti è sembrato
opportuno ampliare la quantità dei dati da repertare e,
soprattutto, amplificare gli elementi rilevanti per la
soluzione del problema, indagandone, ben al di là di ciò che
emerge dalle motivazioni ufficiali, la fondatezza e la
coerenza sistematica.
10
2) Lineamenti dell’indagine
Per massima consolidata tutti coloro che nell’ambito di una
società compiono, anche se non regolarmente investiti dei
relativi poteri, attività di organizzazione, gestione o
rappresentanza verso terzi, non possono sfuggire alle
responsabilità che la legge penale considera proprie degli
amministratori
2
.
Nella prassi applicativa il termine “amministratore di fatto”
viene preso in considerazione quando siamo in presenza di:
1. situazioni nelle quali l’amministratore agisce sulla base di
una nomina formalmente esistente, ma viziata;
2. ipotesi ove la gestione avviene in forza di rapporti di
potere di mero fatto, quindi in assenza di qualsivoglia
formalità di nomina;
3. casi in cui l’attività di amministrazione viene realizzata da
un soggetto del tutto estraneo all’organigramma
societario, ma per il tramite di un soggetto regolarmente
qualificato, che però altro non è che un “figura” nelle
mani di chi realmente porta avanti l’attività d’impresa
3
.
In assenza di una specifica previsione di legge, o per meglio
dire, di fronte ad un quadro normativo caratterizzato in
senso esclusivamente formale, la prassi era solita
2
G. MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali
3
G. MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali
11
giustificare tale rigoroso asserto con un esplicito riferimento
all’autonomia del diritto penale ed alle insopprimibili
esigenze di realismo ad esse connesse
4
.
Si può quindi affermare che fino ad oggi l’inclusione degli
amministratori di fatto tra i diretti destinatari di fattispecie
quali la bancarotta o le false comunicazioni sociali si è
dimostrata funzione di un principio.
Il forte scetticismo manifestato da una parte autorevole
della dottrina nei riguardi di questa opinione ha convinto
sull’opportunità di introdurre una modifica nel protocollo
della ricerca, spostando il centro dell’indagine dai principi
alla singola fattispecie
5
.
Nell’economia dell’indagine un peso non trascurabile l’avrà
anche la congettura dell’amministratore di fatto come
sineddoche ossia la prospettiva che vede in esso un
momento unificante di tutti i motivi che nel corso del tempo
hanno portato la prassi a dare vita ad una pluralità di figure
soggettive tutte accomunate dalla perfetta aderenza
all’evocativa “realtà delle cose”.
Superato l’argine della formalità della nomina, della
normatività dei poteri che da essa derivano e, quindi, della
giuridicità del vincolo che lega amministratori, direttori
generali, sindaci, liquidatori alla società nel cui interesse
agiscono, la prassi ha finito per moltiplicare il numero dei
soggetti attivi dei reati fallimentari, societari e tributari
affiancando ad ognuno di questi il suo doppione di fatto.
4
G. MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali
5
G. MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali
12
Il quadro si è così arricchito di richiami funzionali a
specifiche figure soggettive quali l’imprenditore di fatto, il
sindaco di fatto, il direttore generale di fatto, il liquidatore di
fatto, il datore di lavoro di fatto, il sostituto d’imposta di
fatto, il commerciante di fatto. Inoltre al di fuori del diritto
penale dell’impresa si discute anche di funzionari di fatto,
direttori responsabili di fatto, militari di fatto, famiglie di
fatto, organi di fatto, alludendo però sempre alla medesima
sostanza, facendo applicazione allo stesso metodo
interpretativo
6
.
Di questa complessa galassia non incuriosiscono le
particolarità di dettaglio; molto più interessante è, per così
dire, il suo significato sistematico. Delle figure che la
compongono si parlerà nella misura in cui segnalino la
presenza di indizi capaci di smagliare l’arcigna linea di
difesa eretta attorno all’idea che considera l’amministratore
di fatto naturale destinatario delle norme penali fallimentari,
societarie e tributarie in ragione di non meglio precisate
esigenze realistiche proprie dello strumento penale.
Uno studio che si appagasse di verificare il fondamento e
l’estensione dell’equiparazione rimarrebbe comunque
incompleto. Non meno importante, infatti, è la verifica degli
effetti che essa produce all’interno del sistema delle
responsabilità connesse alla gestione dell’impresa, specie
dopo la definitiva approvazione dell’articolo 11, lettera e)
della legge n. 336/2001
7
.
6
G. MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali
7
La norma riconosce legalmente l’amministratore di fatto come possibile soggetto attivo dei reati
societari.
13
Bisogna infatti ricordare che una così spiccata
manifestazione di autonomia del diritto penale viene
chiamata ad operare all’interno di un contesto di regole e
principi che non sempre tollerano di buon grado una loro
riconversione in termini meramente funzionali.
14
3) La situazione normativa e i progetti di
riforma
Prima dell’introduzione della riforma, entrata in vigore il 16
aprile 2002, il diritto penale societario era sostanzialmente
costituito da un nucleo storico di fattispecie contenute nel
Codice civile dall’articolo 2621 all’articolo 2642. Tale
catalogo si è poi arricchito, negli ultimi anni, di numerose
leggi speciali, come ad esempio le disposizioni della Legge
Fallimentare riguardanti la bancarotta societaria, che ne
hanno notevolmente appesantito e complicato il sistema,
senza peraltro assicurare apprezzabili miglioramenti.
Inoltre, fino a quel momento non vi era ancora alcun
esplicito riferimento all’amministratore di fatto. In relazione
a questo primo raggruppamento soltanto il ricorso ad
interpretazioni “creatrici” consentiva di includere
l’amministratore di fatto tra i soggetti attivi dei reati in
parola.
Nonostante l’evidente sterzata realistica, la figura
dell’amministratore di fatto non aveva però ancora trovato
un riconoscimento generalizzato. Se si prescinde dal TUB, il
cui apparato sanzionatorio penale e penale-amministrativo
è interamente incentrato su di una descrizione
funzionalistica dei soggetti attivi, non era infrequente
trovare, anche all’interno di un unico corpus legislativo,
15
fattispecie nelle quali il soggetto attivo era indicato con
riferimento a chi svolge funzioni di amministrazione poste a
fianco di altre che, invece, continuava a riferirsi
all’amministratore sic et sempliciter.
L’introduzione della riforma del diritto penale societario ha
portato importanti cambiamenti. Per quanto riguarda la
figura dell’amministratore di fatto bisogna soffermarsi in
modo particolare su quanto viene affermato dal nuovo
articolo 2639 del Codice Civile: “per i reati dal presente
titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o
titolare della funzione prevista dalla legge civile è
equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione,
diversamente qualificata, sia chi esercita in modo
continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla
qualifica o alla funzione”
8
.
In posizione maggiormente defilata si staglia il sistema
penale tributario. Il Decreto Legislativo m. 74/2000 ha
infatti privilegiato un’impostazione “sincretica”, per non dire
elusiva, incentrate su ambigue formule descrittive nelle
quali coesistono spunti a favore del riconoscimento
dell’amministratore di fatto (come il richiamo alla “qualità
dell’amministratore” contenuto all’articolo 1 lettera c) e
precisazioni che rendono oltremodo dubbia la possibilità di
giungere a siffatta conclusione estensiva (come, ad
esempio, la sottolineatura, presenta all’articolo 1 lettera e,
del rapporto organico che deve legare la persona fisica
8
GIUNTA F. (a cura di), I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società
commerciali: commentario del D. Lgs. 11 aprile 2002, n.61, Giappichelli Editore, Torino
16
soggetto attivo del reato con la persona giuridica per la
quale si agisce).
In un’ottica diametralmente opposta si collocano alcune
delle disposizioni riguardanti la disciplina della
responsabilità delle persone giuridiche. Infatti, l’articolo n. 5
comma 1 lettera a) del Decreto Legislativo n. 231/2001
individua in coloro che rivestono “funzioni di
amministrazione o di direzione nonché nelle persone che
esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo stesso”
i soggetti in grado di impegnare la responsabilità dell’ente
nel cui interesse agiscono.
La ricerca ha trovato un ulteriore spunto di riflessione nelle
soluzioni approntate dallo “Schema di legge-delega al
Governo per l’emanazione di un nuovo codice penale”,
elaborato dalla c.d. commissione Pagliaro
9
. L’ipotesi della
commissione era quella di introdurre un’apposita
disposizione di parte generale, attraverso l’articolo 9,
contenente una parificazione tra soggetti di fatto e soggetti
di diritto, qualora, mediante il concreto esercizio di
determinate attività, l’esercente fosse divenuto titolare dei
doveri e dei poteri della figura di riferimento
10
.
Tale scelta costituisce una significativa e meritoria
innovazione
11
: non solo perché risolve in maniera chiara ed
univoca un problema annoso, ma perché, pur senza
rinunciare all’esigenza di non intorpidire eccessivamente la
reazione repressiva, si fa carico di contemperare la
9
G. MARRA, La responsabilità penale dell’amministratore di fatto
10
G. MARRA, La responsabilità penale dell’amministratore di fatto
11
G. MARRA, La responsabilità penale dell’amministratore di fatto
17
necessità di dare rilievo al concreto esercizio dei poteri tipici
di una funzione con l’esigenza “sistematica” di non
svincolare completamente la fattispecie incriminatrice dalle
interferenze di origine extrapenale
12
. La collocazione
sistematica e l’introduzione di precisi limiti alla rilevanza
dell’esercizio di fatto di funzioni sta a dimostrare che
l’eventuale riconoscimento della responsabilità
dell’amministratore di fatto è destinato a ripercuotersi su
alcuni dei temi più caldi del diritto penale dell’impresa e
che, di conseguenza, non può essere abbandonato a sé
stesso, disperdendolo all’interno di una qualsiasi
disposizione della legislazione complementare.
12
G. MARRA, La responsabilità penale dell’amministratore di fatto
18
4) Confronto comparatistico tra i paesi
europei
Il frastagliato quadro che emerge da questa preliminare
messa a fuoco del materiale normativo suggerisce di
appuntare l’attenzione sul dato comparistico nella speranza
di selezionare alcune “costanti” dell’intervento penale.
L’operazione, oltre che per ragioni metodologiche, è resa
allettante dal fatto che i materiali oggetto di comparazione
presentano un grado di omogeneità difficilmente
riscontrabile altrove
13
.
In questa prospettiva l’opzione funzionalistica del legislatore
italiano è il frutto di un lento processo di maturazione che si
conforma ad una linea evolutiva da tempo in atto in gran
parte dei sistemi penali
14
. L’amministratore di fatto è infatti
al centro delle attenzioni di gran parte delle legislazioni
europee (come, ad esempio, Francia, Germania, Inghilterra,
Spagna, Portogallo, Irlanda, Belgio e Svizzera) ed
extraeuropee (in modo particolare bisogna ricordare quella
americana, quella australiana e Hong Kong), esibendo in
ogni luogo le sue ottime credenziali applicative. In
controtendenza si muove, invece, l’ordinamento austriaco
13
M. DONNINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica
14
M. DONNINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica
19
dove il tema dell’amministratore di fatto non può giovarsi di
alcun espresso riferimento legislativo e, soprattutto, si vede
la strada sbarrata dalla posizione assunta dalla prevalente
dottrina che, con forza, ritiene inapplicabili gran parte dei
reati propri, tra i quali anche quello della bancarotta, a chi
svolge di fatto funzioni di amministrazione
15
.
Nonostante la comunanza di interessi politico-criminali, le
soluzioni approntate dai singoli paesi sono tra loro
eterogenee per collocazione sistematica e per ambito
applicativo. Queste diversità non pregiudicano la linearità
dell’indagine a condizione di operare una preliminare
semplice classificazione mediante la creazione di due
macrocategorie descrittive:
• Classe a “tipicità diretta”
• Classe per “clausole generali di equivalenza”
4.1) Le soluzioni a “tipicità diretta”: Il caso inglese e
francese
La volontà di affrontare il problema dell’amministratore di
fatto a livello di singole fattispecie si caratterizza per una
spiccata manifestazione di autonomia del diritto penale il
quale prescinde totalmente da qualsiasi riferimento ai poteri
e doveri di fonte extrapenale. Questa prospettiva è stata
15
M. DONNINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica
20
approfondita, in particolare, dall’ordinamento inglese e da
quello francese. Entrambi hanno superato ogni possibile
dubbio sulla responsabilità penale dell’amministratore di
fatto facendo riferimento alle funzioni in concreto esercitate
come criterio fondante l’individuazione dei soggetti attivi del
reato.
L’ordinamento penale inglese in materia di società
commerciali si articola lungo due direttrici di tutela:
o la prima collegata a leggi generali poste a presidio del
patrimonio (Theft Act del 1968);
o la seconda snodandosi attraverso le disposizioni
“speciali” contenute nella normativa dedicata alla
disciplina delle società commerciali (Companies Act del
1985).
Il Theft Act contiene importanti disposizioni in tema di
falsificazione di comunicazioni sociali: alcune di queste sono
costruite come reati comuni e, pertanto, si riferiscono alla
generalità dei consociati; altre, invece, si riferiscono
soltanto ai company’s officers. Assai più significative per
l’indagine sulla responsabilità penale dell’amministratore di
fatto sono le disposizioni del Companies Act. Qui, a
differenza delle scarne indicazione del Theft Act, il problema
è affrontato senza ambiguità, grazie ad un intervento
articolato e complesso. In questa sede, stante la
preponderanza numerica dei reati a soggettività ristretta, il
legislatore, per evitare ogni possibile fraintendimento, circa
l’esatta individuazione dei destinatari del precetto penale,
ha definito espressamente la nozione di amministratore e,
21
soprattutto, quella di “amministratore ombra”.
L’ammonimento che il giurista italiano può trarre dalla
certosina precisione del Companies Act è quanto mai
evidente: in presenza di reati propri degli amministratori, se
si vuole rimanere fedeli alla legalità del fatto tipico, non si
può procedere ad una sua correzione in senso
funzionalistico in sede interpretativa tutte le volte in cui si
intende trascinare sul banco degli imputati anche chi, pur
non essendo titolare di alcuna carica, eserciti di fatto i
poteri spettanti agli amministratori. Agli occhi del
comparatista la definizione si rivela preziosa anche per aver
saputo nettamente distinguere la questione
dell’amministratore di fatto da quella dell’amministratore
occulto. Infatti, pur se si tratta di facce della stessa
medaglia, le due figure non sono totalmente
sovrapponibili
16
.
Anche il legislatore francese, come già accennato, utilizza
ampiamente una soluzione a tipicità diretta. Lo stesso
legislatore ha stabilito in modo esplicito l’equiparazione tra
amministratore legale e dirigente di fatto. In modo
particolare l’articolo 423 della legge n. 66-537 del 24 luglio
1966 prevede che chiunque “direttamente o per interposta
persona, abbia di fatto esercitato la direzione,
l’amministrazione o la gestione della società, debba essere
considerato al pari di un vero e proprio amministratore della
stessa”
17
. Potranno così rispondere, ad esempio, delle
diverse ipotesi di omessa informazione agli azionisti, della
16
N. ABRIANI, Gli amministratori di fatto nelle società di capitali
17
N. ABRIANI, Gli amministratori di fatto nelle società di capitali
22
violazione delle disposizioni relative all’assunzione di
partecipazioni incrociate o dell’abuso di beni sociali anche
coloro che in “piena sovranità ed indipendenza esercitano
una positiva attività di gestione e direzione della società”
18
.
Al di fuori di questo settore, l’amministratore di fatto si è
ritagliato un suo spazio anche nel diritto penale
fallimentare. Va ricordato, inoltre, che l’articolo 99 della
legge del 1967 conteneva una disposizione, in parte
sovrapponibile al già citato articolo 423, che individuava i
destinatari delle fattispecie criminose in “tutti gli
amministratori, anche di fatto, apparenti od occulti”
19
. La
differenza, tutt’altro che marginale, tra le due definizioni
consisteva nel riferimento specializzante contenuto
nell’articolo 99
20
. Pur apprezzabile per il suo intento di
coniugare legalità ed effettività, la disposizione si rilevava
carente sotto il profilo dell’esatta individuazione dei poteri il
cui esercizio poteva dar luogo ad una qualificazione del
gerente come amministratore di fatto. A questa lacuna
aveva però sopperito un’attenta attività giurisprudenziale i
cui risultati vengono ancor oggi ampiamente utilizzati per
assicurare un volto all’altrimenti enigmatica figura del
dirigente di fatto
21
.
18
N. ABRIANI, Gli amministratori di fatto nelle società di capitali
19
M. DONNINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica
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M. DONNINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica
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G. MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali