8
Allo stesso modo, nella Relazione d’accompagnamento al d.lgs. 231/01 si enfatizza il profilo
internazionalistico della disciplina introdotta
3
per evidenziare l’ammodernamento apportato dalla legislazione
italiana, adesso fornita di una disciplina “al passo con i tempi”, allineata all’efficiente modello statunitense di
corporate accountability. I due testi normativi farebbero dunque credere che alla base della riforma del 2000-2001 vi
fosse un sentito spirito emulativo nei confronti di altri ordinamenti stranieri, più moderni del nostro in materia di
prevenzione e repressione della criminalità societaria.
A ben vedere, però, la risposta al quesito “da dove viene questa legge?” non è affatto rapida come parrebbe,
se non si vuol peccare di semplicismo; non basta “allegare” il desiderio di imitare soluzioni vincenti in altri Paesi,
tutt’altro: la necessità della nuova responsabilità “da reato” delle persone giuridiche in Italia era da tempo
avvertita e segnalata dagli operatori del diritto e dai suoi teorici. Già negli anni Settanta, in un saggio che ha fatto
storia per la sua lungimiranza, l’eminente studioso Franco Bricola denunciava quanto fosse divenuto “costoso”
4
mantenere in piedi tutto l’apparato concettuale e dottrinale che impediva qualsiasi forma di imputazione alle
persone giuridiche di fatti penalmente rilevanti commessi a loro favore. Da allora la riflessione in interiore sul tema
si è ramificata in molteplici direzioni, difficili da ripercorrere, ma tutte espressive di un’unica esigenza di fondo,
quella di approntare un’effettiva tutela ai beni giuridici minacciati dall’ascendente criminalità d’impresa.
Di conseguenza, non si può affermare che l’istituzione ex novo di una forma di ascrizione della responsabilità
ai soggetti collettivi sia stata suggerita esclusivamente dall’esperienza comparatistica e dalle indicazioni dell’UE e
dell’Ocse; la riforma colma un vuoto normativo percepito e segnalato dal mondo accademico e forense da
decenni. L’autonoma consapevolezza del problema, maturatasi internamente, quindi, costituisce la causa
profonda della novella del d.lgs. 231/01.
La stessa Relazione di accompagnamento al D.lgs. riconosce, en passant, le istanze di tutela sottese alla L. di
delega e al d.lgs. 231, segnalando le forti pressioni “dentro il sistema” per l’introduzione di forme di
responsabilità degli enti collettivi ed ammettendo che esse “appaiono ancora più consistenti” di quelle di
omogeneità e di razionalizzazione delle risposte sanzionatorie tra Stati
5
.
“Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all'articolo K. 3 del Trattato dell'Unione europea: Convenzione sulla
tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27
settembre 1996, del Protocollo concernente l'interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee di detta
Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996, nonché della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione
nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e
della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a
Parigi il 17 dicembre 1997. Delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di
personalità giuridica”. Fermarsi esclusivamente al dato letterale dell’intestazione della L. di delega rivela un errore di
prospettiva, come se il problema della criminalità d’impresa fosse soltanto avvertito a livello di Comunità Internazionale e
non di singolo Stato.
3 Il Relatore del d.lgs. de quo afferma difatti che la novella “interpreta l’esigenza, oramai diffusa, di colmare un’evidente
lacuna normativa nel nostro ordinamento, tanto più evidente in quanto la responsabilità della societas è già una realtà in
molti Paesi dell’Europa (così infatti in Francia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Svezia, Finlandia.)”
4
BRICOLA F., Il costo del principio societas delinquere non potest nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. It. Dir. Proc.
Pen, 1970, p. 951-1031;
5
Relazione ministeriale allo schema di d.lgs. legislativo recante: “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, p. 1.
9
Le ragioni politico-criminali alla base del provvedimento del legislatore italiano sono infatti da ricercare
nell’intollerabile dannosità e nell’incommensurabile pericolosità del reato d’impresa. Nell’ambito della criminalità
economica una soluzione che punti solo alla punizione delle persone fisiche o è impossibile o è impraticabile, in
quanto punire esclusivamente l’autore fisico del fatto porterebbe a una grave lacuna di tutela: spesso il soggetto
individuale è mero esecutore di direttive aziendali illegali, oppure, in maniera meno evidente, l’inerzia dell’ente
collettivo, in caso di violazione della legge penale da parte del singolo, funge quasi da “silenzio assenso” alla
commissione di reati e si inserisce in una prassi aziendale di agevolazione colposa.
Il problema è che determinati reati economici si collocano ontologicamente e fenomenologicamente
nell’area di attività imprenditoriali e societarie del tutto lecite; l’impresa in sé persegue fini legittimi e non
possiamo, dunque, utilizzare il medesimo armamentario repressivo proprio della criminalità organizzata, ben nota
al legislatore italiano. Qui si tratta di momenti relativamente episodici di deliberata illegalità, perpetrata da
operatori economici a fine di lucro e in pregiudizio a terzi, quindi a vantaggio dell’impresa e a danno di creditori,
consumatori, ambiente e salute pubblica.
I reati d’impresa sono, in sintesi, commessi all’interno di una struttura legalmente e socialmente approvata; si
deve allora affrontare un nuovo fenomeno di criminalità sotterranea, strisciante, che suscita meno riprovazione
dalla collettività perché proveniente dal rispettabile ceto dei cd. “colletti bianchi”
6
. Il legislatore ha perciò
indirizzato la propria attenzione verso forme di patologia più “ordinaria”
7
, ossia tipiche dell’operare economico,
dove la funzionalizzazione criminosa è piuttosto rara e può discendere come “effetto collaterale” dalla proiezione
della società, sostanzialmente sana, verso una dimensione di profitto. L’ambiente criminogeno diventa oggi
l’impresa collettiva lecita, la quale, pur non essendo indirizzata alla commissione di reati (come invece lo è
l’associazione a delinquere), può adottare una diffusa politica aziendale in tal senso. Semplificando, certamente
legittimi sono gli scopi societari prefissati (incremento del profitto o dei dividendi, affermazione sul mercato, et
coetera); penalmente illeciti, invece, talvolta, i mezzi tramite cui perseguirli.
Si pensi alle esemplificazioni poste dalla Relazione
8
: innanzitutto al reato di corruzione, considerato dal
management un vero e proprio “costo d’azienda”, nonché alle truffe in finanziamenti comunitari o nazionali. In
queste due fattispecie, l’attività criminosa assume un maggior connotato di disvalore, poiché discende da
decisioni di vertice dell’ente, ed involge quindi la responsabilità di persone poste all’apice dell’organigramma
aziendale.
Un’altra area di probabile coinvolgimento dell’ente nella commissione di reati da parte del singolo è segnata
dai casi – empiricamente più frequenti, ma meno rimproverabili alla persona giuridica – in cui la situazione
criminogena non insorga da una specifica volontà sociale, bensì da un difetto di organizzazione o di controllo da
parte degli apici. L’eventualità non è affatto remota, se si considera, a titolo illustrativo, l’ipotesi dell’impiegato o
del quadro che, agendo sua sponte, se non in aperto contrasto con le direttive dei superiori gerarchici, compia un
6
SUTHERLAND E. M., Il crimine dei colletti bianchi, trad. it, Milano, 1986;
7
Relazione ministeriale allo schema di d.lgs. legislativo recante: “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, p. 2;
8
Ibidem, p. 4.
10
fatto penalmente rilevante - il quale apporti un considerevole risparmio di spesa per la società - mosso dal fine di
ottenere un avanzamento di carriera e disinteressandosi delle conseguenze penali del proprio comportamento.
La scienza criminologica, cominciando dai “pionieristici” studi di Sutherland sui white collar crimes, ha ormai
accertato che le persone giuridiche sono il vero epicentro della criminalità d’impresa, in conseguenza non tanto di
scelte operate dalle singole persone fisiche che agiscono per conto (par le compte, secondo il nuovo c.p. francese
del 1994) dell’ente, quanto di politiche dell’impresa spregiudicate o di difetti organizzativi interni alle corporations
9
.
2. (segue) Il primo vincolo al legislatore delegante. La riprova che il primo obbligo
proviene dall’interno dell’ordinamento: il coevo progetto Grosso di riforma del codice
penale, al Titolo Settimo, interamente dedicato alle persone giuridiche per ragioni
politiche e sistematiche.
Alle impellenti questioni di politica criminale, sollevate dal fenomeno in piena ascesa della criminalità
d’impresa e del white collar crime, una prima risposta è stata fornita in sede parlamentare, nell’ambito della
Commissione di Riforma del Codice Penale, presieduta dal prof. Carlo Federico Grosso. La Commissione
Grosso nel 2000, presentando sotto forma di articolato il Progetto per il nuovo c.p ha dedicato un intero Titolo,
il Settimo, alla “Responsabilità delle persone giuridiche”, negli artt. 121-131.
L’autoconsapevolezza del problema raggiunta nel dibattito nazionale de jure condendo ha fatto sì che la
Commissione Grosso ritenesse opportuno l’inserimento nel futuro (ma non emanato) codice penale di ben dieci
articoli ad hoc. La redazione pressoché contestuale del progetto Grosso e della L. di delega 300/00 prova che
l’approntare una disciplina responsabilizzante i soggetti collettivi sotto il profilo penale è stata un’opzione
legislativa doppiamente dovuta, in via primaria sul piano interno, e solo secondariamente in adeguamento ai
vincoli sovranazionali.
Il testo elaborato dalla Commissione Grosso ha evidentemente molti punti in contatto con il successivo d. lgs.
231/2001, soprattutto circa la previsione di particolari modelli organizzativi per le società, con la finalità di
prevenire entro l’ente collettivo la commissione di reati. Il contenuto delle disposizioni del Progetto Grosso circa
la responsabilità delle persone giuridiche non è, in effetti, sovrapponibile in toto a quello del d.lgs. 231/01, dato
che sotto alcuni aspetti i due testi sono divergenti ed in certi casi adottano soluzioni addirittura contrastanti. Tali
differenze specifiche saranno descritte ed analizzate nel seguito della trattazione; per ora è importante mettere in
risalto il generale proposito di sanzionare le persone giuridiche per fatti commessi dai propri dipendenti e nel
proprio interesse.
Soprattutto dalla prospettiva interna al nostro diritto penale, i vantaggi connessi alla punizione delle persone
giuridiche sono consistenti
10
. È improrogabile un confronto con l’attuale realtà societaria: le responsabilità sono
9
DE MAGLIE C., L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Milano, 2002, p. 263s.;
10
MEREU A., La responsabilità “da reato” degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, in Ind. pen.,
2006, fasc. 1, p. 34;
11
sempre più “polverizzate” all’interno delle moderne aziende, a causa di un’organizzazione non più verticale, bensì
“orizzontale”, caratterizzata da frammentazione, decentramento e specializzazione delle mansioni aziendali
11
.
Diventa perciò problematico riferire giuridicamente ad un preciso soggetto le condotte poste in essere
dentro l’impresa e si ingenera la cd. organisierte Unverantwortlichkeit, ossia un fenomeno di “irresponsabilità
organizzata”, che rende quasi impossibile l’individuazione della persona fisica autrice del reato, accentuando il
pericolo di configurare per prassi giurisprudenziale una responsabilità da posizione o addirittura una
responsabilità oggettiva in capo ai superiori, pure qualora siano estranei al fatto
12
.
Sanzionare direttamente gli enti contribuisce, dunque, ad assicurare nei confronti delle persone fisiche dei
dirigenti il rispetto delle garanzie poste alla base del diritto penale, prima fra tutte il principio di personalità della
responsabilità penale. Il Progetto Grosso, perciò, prevede una forma di responsabilità diretta della persona
giuridica, all’art. 121, co. 1
13
, per fatti commessi nell’interesse o nello svolgimento dell’attività d’impresa. La
motivazione fornita dalla Relazione al Progetto alla nuova disciplina sulle persone giuridiche era di rendere il
sistema punitivo “più equo e trasparente”, riequilibrando e razionalizzando una serie di istituti penalistici
preesistenti. Con il nuovo Titolo Settimo, difatti, si sarebbe potuto finalmente “spezzare” quell’“intreccio
ambiguo ed iniquo fra giudizio penale nei confronti di persone fisiche, e interessi risarcitori o reintegratori il cui
soddisfacimento, proprio nei casi di maggior rilievo, eccede le possibilità degli imputati”
14
e finisce,
inesorabilmente, con l’essere accollato dalla persona giuridica, di fatto tenuta (sebbene non formalmente
chiamata) all’esborso delle somme pecuniarie dovute dall’individuo condannato.
La contemporaneità nella stesura da un lato del Titolo Settimo del Progetto Grosso, frutto della riflessione
dottrinale italiana, e dall’altro della delega legislativa, in attuazione di obblighi internazionali, non è, chiaramente,
una banale coincidenza, ma rivela quanto alla base della novella del 2001 vi sia un continuo movimento dall’alto
verso il basso e viceversa, tra l’esterno e l’interno del nostro ordinamento. Da entrambi i lavori preparatori si
coglie l’attenzione continua e “sinergica” con cui la Commissione Grosso ha seguito i quasi contestuali lavori
parlamentari della l. di delega n. 300/2000 in attuazione di obblighi internazionali ab externo, instaurando una
costruttiva interlocuzione a distanza, dall’interno dell’ordinamento italiano, al di là degli effettivi margini di
coincidenza tra i due testi rispettivamente adottati.
11
Tale difficoltà di ascrizione delle responsabilità si combina con il frequente fenomeno della fissazione, da parte del
management ai vertici, di obiettivi difficilmente raggiungibili dai managers operativi se non ricorrendo all’illecito penale. La
predeterminazione nelle “alte sfere” di obiettivi di crescita insostenibili e di prestazioni rapide ed efficaci, ben oltre la
normale capacità dei sottoposti, produce automaticamente un dirompente effetto criminogeno secondo FEDERICO STELLA,
nel suo articolo Criminalità d’impresa: lotta di sumo e lotta di judo, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ, 1998, p. 465;
l’Autore, infatti, scrive che “il risultato di questa situazione è del tutto prevedibile: quando la pressione dei dirigenti è
intensificata, i mezzi illegali diventano allettanti per un manager che non ha ripari contro un modo d’intendere la
responsabilità aziendale che tiene conto solo dell’obiettivo del massimo profitto.”
12
GARGANI A., Individuale e collettivo nella responsabilità della societas, in Studi senesi, 2006, p. 239-294;
13
Il testo del co.1 dell’articolo citato del Progetto Grosso: Art. 121. Ambito di responsabilità.
1. La persona giuridica può essere chiamata a rispondere ai sensi di questo titolo: a) per delitti dolosi commessi per conto o comunque nell'interesse
specifico della persona giuridica, da persona che aveva il potere di agire per la persona giuridica stessa; b) per i reati realizzati nello svolgimento
dell'attività della persona giuridica, con inosservanza di disposizioni pertinenti a tale attività, da persone che ricoprono una posizione di garanzia
ai sensi dell'art. 22, comma 2. Sono esclusi i reati commessi in danno della persona giuridica.
14
Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta dal prof. Grosso, Relazione, Roma, 12 settembre
2000;
12
3. Il secondo dovere, dalle fonti internazionali adottate nella l. di delega del
2000, solo in parte attinenti alla disciplina delegata della “responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica” contenuta nel d.lgs. 231/2001
Ripercorrendo il percorso legislativo all’origine del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, stavolta per il verso opposto
(non più dal basso delle esigenze interne di politica criminale, bensì dall’alto delle prescrizioni sovranazionali), si
giunge alla seconda tipologia di doveri vincolanti il legislatore delegante del 2000, vale a dire quelli posti ab externo
dagli organismi internazionali: sanzionare determinate manifestazioni dell’odierna criminalità economica.
L’occasione legislativa in concreto è stata offerta nel 2000 dall’obbligo di attuare certe convenzioni europee
ed internazionali, ma sarebbe semplicistico rimarcare il profilo dell’obbligazione sovranazionale, dando l’idea di
una riforma del sistema dell’imputabilità e delle sanzioni agli enti meramente “dovuta” e non “voluta”. Come ha
sostenuto De Vero
15
, una soverchia sottolineatura di questo aspetto, da parte della dottrina e più in generale da
parte degli operatori del diritto, potrebbe tradire una sorta di “malcelata insofferenza”, verso un vincolo
sostanzialmente avvertito come eteronomo.
In altre parole, come sopra si è cercato di mostrare, comune era l’intento del legislatore interno e di quello
sovranazionale: approntare un “microsistema integrato di tutela”, prevedendo sanzioni “efficaci, proporzionate e
dissuasive” e soprattutto proteggendo dal rischio che le imprese restino impunite per gli illeciti penali commessi
nel loro interesse.
Venendo adesso alle tre fonti internazionali che vincolano il legislatore delegante del 2000, il titolo stesso
della l. di delega elenca: la Convenzione di Bruxelles del 1995, sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità
Europee, la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle
Comunità Europee o degli Stati membri dell’Unione Europea, fatta a Bruxelles nel 1997 ed infine la
Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche
internazionali, stipulata a Parigi nel 1997.
In realtà, le prime due Convenzioni, concluse in ambito comunitario, non dispongono specificamente
riguardo alla sanzionabilità delle persone giuridiche per fatti costituenti reato, bensì si limitano a prevedere
l’incriminazione dei dirigenti delle imprese per illeciti commessi per conto delle stesse dai loro dipendenti.
Soltanto la Convenzione Ocse prescrive, agli artt. 1 e 2, di prendere le misure necessarie
16
al fine di stabilire
la responsabilità delle persone giuridiche per corruzione di un pubblico ufficiale straniero in operazioni
15
DE VERO G., Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato. luci ed ombre
nell’attuazione della l. di delega, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2001 e ID in AA.VV. , Responsabilità degli enti per illeciti
amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI G., Padova, 2004, p. 3-55;
16
Questo il testo degli articoli sopra sintetizzati:
Articolo 1 Reato di corruzione di pubblici ufficiali stranieri
1. Ciascuna Parte deve adottare le misure necessarie affinché la propria legge consideri come illecito penale il fatto di chi
intenzionalmente offra, prometta o dia qualsiasi indebito beneficio pecuniario o di altra natura, direttamente o per
mezzo di intermediari, ad un pubblico ufficiale straniero, per lui o per un terzo, affinché l’ufficiale compia o si astenga
dal compiere atti in relazione a doveri d’ufficio, per conseguire o conservare un affare o un altro vantaggio indebito
nell’ambito del commercio internazionale.
13
economiche internazionali; la stessa Convenzione, inoltre, dispone all’art. 3 riguardo alle sanzioni, senza
indicarne la natura, ma solo affermando la necessaria sussistenza dei tre “classici” requisiti dell’efficacia, della
proporzionalità e della dissuasività
17
.
La prima delle Convenzioni europee ratificate con la l. 29 settembre 2000 n. 300 è la Convenzione sulla
Protezione degli Interessi Finanziari delle Comunità Europee, stipulata a Bruxelles il 25 luglio 1995, altrimenti
nota con l’acronimo “Convenzione PIF”. Particolare rilevanza ai nostri fini riveste in realtà non tanto il testo
principale del trattato eseguito con la legge del 2000, quanto piuttosto uno dei suoi allegati, il Secondo Protocollo
alla Convenzione Pif, adottato e firmato a Lussemburgo il 19 luglio 1997, per il quale non si è dato corso alla
ratifica in seguito alla mancanza della relazione esplicativa.
Paradossalmente, proprio questo quarto documento internazionale, l’unico non vigente nel corposo
pacchetto normativo internazionale in materia di responsabilità delle imprese
18
, prende una posizione esplicita e
abbastanza dettagliata a proposito della responsabilità degli enti per corruzione di pubblico ufficiale straniero. Il
Secondo Protocollo prevede, in relazione ai delitti di frode, riciclaggio, corruzione attiva ai danni degli interessi
finanziari delle Comunità europee e corruzione nel settore privato, che le persone giuridiche siano “passibili di
sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive”, lasciando comunque ai legislatori nazionali la scelta sulla natura
della responsabilità, se penale, amministrativa o civile.
Quanto sopra detto in sede UE coincide in pieno con quanto affermato nei primi tre articoli, indietro citati,
della Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni internazionali,
Articolo 2 Responsabilità delle persone giuridiche
Ciascuna Parte deve adottare le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle
persone giuridiche in caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero.
17
Non si può d’altronde ritenere queste tre caratteristiche sufficienti ad orientare il legislatore interno. I tre requisiti
sono richiamati oramai in tutti i più recenti testi normativi internazionali, specialmente europei, al punto che sono
diventati talmente ricorrenti da far sorgere il sospetto che si siano trasformati in una clausola di stile, la quale lasci in
sostanza ampia libertà di attuazione nei singoli sistemi punitivi nazionali.
Particolare interesse per l’ordinamento italiano riveste la previsione contenuta al co. 2 dell’art. 3, nel quale si considera il
caso in cui non esista nella legislazione nazionale una forma di responsabilità penale degli enti. In tale situazione si
richiamano i tre generali canoni cui debbono conformarsi tutte le sanzioni, anche non penali, cioè che siano “efficaci,
proporzionate e dissuasive”.
Così recita l’articolo de quo della Convenzione Ocse del 1997:
Articolo 3 Sanzioni
1. La corruzione di pubblico ufficiale straniero deve essere passibile di sanzioni penali efficaci, proporzionate e
dissuasive. La gamma delle sanzioni applicabili deve essere comparabile con quella prevista per la corruzione di pubblici
ufficiali della Parte interessata […]
2. Nel caso in cui, secondo il sistema giuridico di una Parte, la responsabilità penale non è applicabile alle persone
giuridiche, la Parte in questione deve assicurare che le persone giuridiche siano passibili di sanzioni non penali efficaci,
proporzionate e dissuasive, incluse le sanzioni pecuniarie, in caso di corruzione di pubblico ufficiale
straniero.
18
Fa notare MICHELINI G., in Responsabilità delle persone giuridiche e normativa internazionale multilaterale, in Quest. Giur., 2002,
p. 1079ss., che nell’ipertrofia che pure talvolta caratterizza la produzione normativa internazionale, il pressante
richiamo all’individuazione di forme più pregnanti di responsabilità delle imprese è una costante da almeno un
decennio. La maggiore sensibilità delle istituzioni comunitarie ed internazionali nei confronti dell’introduzione di una
responsabilità diretta derivante da reato delle persone giuridiche in materia lato sensu economica è dovuta al fatto che
nell’ottica di una economia globalizzata, la mancata adozione di una soluzione normativa uniforme del problema della
responsabilità degli enti e la sua remissione all’autonoma valutazione di ciascuno Stato membro veniva considerata
come un potenziale fattore di squilibrio del sistema economico europeo.
14
eseguita con la Legge 300/2000. Il Secondo Protocollo PIF, dunque, redatto dal Consiglio dell’Unione Europea
il 19 luglio 1997, seppure non vigente nell’ambito comunitario, dopo pochi mesi ha fatto da modello in sede
internazionale per la successiva stesura (17 dicembre 1997) della Convenzione Ocse, specialmente in materia di
sanzionabilità delle persone giuridiche.
Volendo l’Unione Europea dotarsi di un corpus unitario di regole inerenti la tutela dei propri interessi
finanziari, il recepimento del contenuto del Secondo Protocollo alla cd. Convenzione PIF era stato
originariamente inteso come indispensabile per realizzare efficacemente tale scopo; poi, questo documento
europeo è rimasto ineffettivo e tuttavia, pur non potendo essere oggetto di ossequio formale da parte del
legislatore italiano, ha costituito - ecco il paradosso
19
- la sua reale fonte di ispirazione riguardo alla responsabilità
delle persone giuridiche.
Si è verificata, per di più, un’attuazione asimmetrica, se non palesemente contraddittoria, degli obblighi
legislativi assunti nel cd. Terzo pilastro dell’Unione Europea: le due Convenzioni oggetto di esecuzione nella l.d.
300/00, ad un’attenta analisi, tra l’altro, non sono state adottate in modo coerente.
Da un lato, i due accordi prescrivevano l’incriminazione dei singoli dirigenti delle imprese, a titolo
individuale e non collettivo, per gli illeciti commessi per conto delle società dai dipendenti soggetti alla loro
autorità: tale fattispecie penale risulta invece assente dal d.lgs. 231. Il legislatore italiano, pertanto, ha
colpevolmente omesso
20
di sanzionare un’autonoma fattispecie di reato colposo ascrivibile al dirigente d’impresa
per l’illecito commesso dal subordinato, mentre la sua introduzione era imposta da queste due Convenzioni
ratificate in materia di criminalità economica.
Dall’altro lato, la punibilità delle persone giuridiche per i medesimi fatti esula dalle indicazioni di
provenienza comunitaria ed è stata quindi introdotta dalla L. di delega e dal d.lgs. 231 – fortunatamente - “in
eccesso” rispetto alle previsioni dei Trattati de quibus.
Il considerevole scollamento tra gli strumenti internazionalistici ratificati e la l. di delega di esecuzione
interna fa riflettere sull’effettiva incidenza degli obblighi sovranazionali nel nuovo sistema di responsabilità degli
enti collettivi. Guardando realisticamente al problema, conviene riconoscere che, oltre a fornire un’utile occasio
legis nella contingenza, l’assunzione di doveri nella Comunità Internazionale ha svolto la funzione di direttiva
generalissima, quasi di moral suasion
21
sul legislatore italiano, per niente di “ordine impartito dal superiore”.
Verso la creazione di uno spazio giuridico europeo, ovvero nel quadro di un’armonizzazione del diritto
penale degli Stati membri dell’UE, vi sono dei veri e propri documenti di pura “persuasione morale”, non ancora
vincolanti giuridicamente; tra questi spicca il Corpus Juris, un documento prodotto da uno studio elaborato di
19
DE VERO G., Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato. Luci ed ombre nell’attuazione della l. di delega,
in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2001, p. 1127;
20
Ibidem
21
Si utilizza l’espressione in senso figurato, dato che le tre Convenzioni attuate nella l. del 2000 sono legally binding, ovvero
vincolano giuridicamente l’Italia sul piano internazionale al loro rispetto e alla loro osservanza, non sono tecnicamente delle
moral suasions. Il ridimensionamento della fonte extra-ordinamentale opera qui in riferimento al procedimento di formazione
ed al contenuto della disciplina sugli enti collettivi del d.lgs. 231/01, ma non vuole assolutamente mettere in discussione lo
status giuridico in generale delle norme pattizie all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Si è soltanto tenuto conto, inter
alia, dell’inevitabile approssimazione e indeterminatezza propria di ogni Trattato multilaterale e dell’altrettanto
imprescindibile lavoro di riempimento semantico e normativo affidato alla discrezionalità dello Stato parte.
15
giuristi europei, per conto del Parlamento europeo e con la supervisione della Commissione dell’UE
22
.
All’interno del Corpus Juris, che ha avuto una prima versione nel 1996 ed una seconda nel 2000, l’art. 13 disciplina
la responsabilità penale delle persone giuridiche per una serie di reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione
Europea.
In conclusione, l’origine della riforma della responsabilità degli enti collettivi derivante da reato va ricercata
nella precisa consapevolezza, maturatasi da almeno trent’anni, soprattutto dall’angolo visuale interno, che si era
resa improrogabile ed indilazionabile un’efficace difesa di beni collettivi rilevanti, minacciati e lesi dall’ascendente
criminalità d’impresa. Non commettiamo l’errore prospettico di ritenere la nostra nuova disciplina meramente un
modello di corporate accountability importato da altri ordinamenti, soltanto perché al momento della redazione del
d.lgs. 231 era in fermento un ampio dibattito a livello comunitario ed internazionale.
Se dunque si rivela riduttivo ricondurre l’intentio legislatoris alla mera ottemperanza di obblighi assunti in sede
internazionale, più appropriato sarà affermare che la delega recepisce sì le indicazioni delle Convenzioni
internazionali, tale essendo l’occasio legis, ma “le eleva e le estende”
23
, a rango di disciplina generale, con evidenti
aspirazioni di completezza.
22
La Motivazione del Corpus Juris sostiene che “Questo elaborato è un insieme di norme penali che costituiscono una sorta
di Corpus Juris, limitatamente alla tutela penale degli interessi finanziari dell’UE, a volte garantire, in uno spazio giudiziario
ampiamente unificato, una repressione più giusta, più semplice, più efficace.”
23
GUERNELLI M., La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale-amministrativo interno dopo il D. Legisl. 8 giugno 2001, n.
231, in Studium Juris, 2002, fasc. 3, p. 281s.
16
Capitolo secondo
La compatibilità del d.lgs. 231/01 con la Costituzione
“Il catalogo dei beni giuridico-penali non è stato stilato definitivamente il giorno dopo l’entrata in vigore della Costituzione.
Va continuamente aggiornato, da parte del legislatore, al quale competono eventuali nuove scelte incriminatrici:
altrettante risposte alla domanda di protezione reclamata da nuovi beni
la cui importanza è messa in risalto dalle forme di aggressione innescate dalle trasformazioni sociali, economiche, tecniche.”
DE MAGLIE C., L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Milano, 2002, p. 343.
§1. La natura sostanzialmente penale della nuova responsabilità degli enti, nonostante il nomen juris di “amministrativa”, 12; §2. La
conformità alla Costituzione e al brocardo societas delinquere non potest. Un falso problema? Le interpretazioni dell’art. 27, co. 1, in
rapporto alle differenti teorie sulla persona giuridica, 14; §3. (segue) la colpevolezza dell’ente. Altre obiezioni avanzate contro l’imputazione
diretta all’ente: le questioni del cd. socio innocente e della duplicazione delle responsabilità, 18; §4. La congruità della sanzionabilità delle persone
giuridiche ex d.lgs. 231 con il terzo comma dell’art. 27 Cost. : come si può rieducare un ente collettivo?, 22.
1. La natura sostanzialmente penale della nuova responsabilità degli enti,
nonostante il nomen juris di “amministrativa”
La disciplina del 2001 sulla responsabilità cd. amministrativa degli enti collettivi, per i reati commessi nel
loro interesse o a loro vantaggio ha innegabilmente una portata innovativa di rilevanza “storica”. L’intervento di
una legge è stato a lungo invocato da più parti, fino all’8 giugno 2001, data in cui è stato finalmente promulgato il
d.lgs. 231/01, per entrare in vigore il 4 luglio dello stesso anno.
Sorge però un interrogativo, del tutto legittimo: se davvero si erano fatte così pressanti le esigenze di politica
criminale, perché si è aspettato circa trent’anni
24
ad emanare una normativa in materia? La risposta è che
l’inserimento di una forma di incriminazione delle persone giuridiche potrebbe incontrare diversi ostacoli
all’interno del nostro ordinamento giuridico, in special modo trovare una barriera al massimo livello gerarchico
delle fonti normative, nella Costituzione Repubblicana del 1948.
Il problema alla radice è quindi di stabilire se la responsabilità introdotta con il d.lgs. 231 sia di natura
amministrativa, secondo la littera legis, o non piuttosto penale, come la dottrina assolutamente prevalente
afferma
25
. Secondo qualche commentatore al d.lgs. 231, il legislatore avrebbe operato una “frode delle
etichette”
26
, poiché ha definito amministrativa una responsabilità penale a tutti gli effetti.
24
Si fa convenzionalmente risalire l’inizio del dibattito sulla responsabilità penale della societas al 1970, anno di pubblicazione
del fondamentale scritto di BRICOLA F., Il costo del principio societas delinquere non potest nell’attuale dimensione del fenomeno
societario, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1970, p. 951-1031;
25
Per la natura penale della responsabilità delle persone giuridiche e degli enti collettivi, anche privi di personalità giuridica,
dipendente da reato si sono pronunciati, tra gli altri: DE MAGLIE C., Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, in
Dir. Pen. Proc., 2001, P. 1348S.; DE VERO G., Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato. luci ed ombre
nell’attuazione della l. di delega, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2001, p. 1126- 1167; PADOVANI T., Diritto Penale, Parte gen., VII ed.,
Milano, 2004, p. 88s.; PALIERO C. E., il D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in
Corr. Giur., fasc. 7, p. 845s.; PULITANÒ D., La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen.,
2002, fasc. 2, p. 415-438; RORDOF R., Prime (e sparse) riflessioni sulla responsabilità amministrativa degli enti collettivi per reati commessi
17
Gli indizi a favore della natura penale dell’imputabilità delle persone giuridiche sono decisamente consistenti:
innanzitutto, l’ente collettivo risponde in conseguenza alla commissione di un reato e la sua responsabilità è
accertata all’interno del medesimo processo penale istruito per la persona fisica autrice del fatto.
In secondo luogo, l’apparato punitivo del d. lgs. 231 comporta l’applicazione all’ente di sanzioni afflittive e
stigmatizzanti
27
, che possono giungere alla cancellazione totale della persona giuridica condannata, tramite una
sorta di pena capitale inflitta alla società colpevole.
La discussione sulla qualifica penale della responsabilità ex d.lgs. 231 rischia di rivelarsi sterile
28
, di ridursi a
pura questione accademica
29
, priva di qualsiasi risvolto applicativo: a prescindere dall’etichetta “penale” o
“amministrativa” apposta alla responsabilità dell’ente, ciò che conta davvero è assicurare le garanzie rese
necessarie dalla sostanza punitiva dell’istituto, garanzie tutte di matrice penalistica, che saranno oggetto di analisi
nel prossimo capitolo.
Data per assunta la qualifica de facto penale della nuova responsabilità degli enti, occorre compiere un passo
indietro e domandarsi nuovamente per quale motivo il legislatore abbia assegnato il nomen juris di
“amministrativa” a una responsabilità evidentemente penale.
La spiegazione è semplice: non urtare la pruderie
30
di quanti si dichiarano ideologicamente contrari ad
ammettere un’autentica responsabilità penale in capo alle persone giuridiche ed invocano a sostegno della loro
tesi sia la tradizione dottrinale italiana che il dettato costituzionale. La scelta legislativa è stata dunque dettata dalla
preoccupazione che una penalizzazione delle persone giuridiche potesse sollevare questioni di incostituzionalità,
poiché, come vedremo tra poco, è discusso se la nostra Costituzione consenta o meno l’introduzione di una
responsabilità stricto sensu penale a carico degli enti collettvi.
nel loro interesse o a loro vantaggio, in AA. VV., La responsabilità amministrativa degli enti. D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2002;
26
Accusa mossa provocatoriamente da MUSCO E., Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, in Dir.
e Giust., 2001, n. 23, p. 8; tale perentoria critica al d.lgs. è stata però tacciata di parzialità, dovuta a un’eccessiva vis polemica, dal
resto della dottrina penalistica.
27
MUSCO E., Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, in Dir. e Giust., 2001, n. 23, p. 8, in tal senso
infatti si pronuncia l’Autore, che tale responsabilità “di amministrativo presenta solo il nome, apparendo, con una
probabilità che rasenta la certezza, un mascheramento di quella responsabilità penale della persona giuridica di cui si predica
da anni la necessità e/o l’opportunità di una valorizzazione anche nel sistema penale italiano”;
28
PULITANÒ D., La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2002, fasc. 2, p. 417;
29
Anzi, quella dell’etichetta è addirittura una “pseudo-questione” a parere di DE SIMONE G., I profili sostanziali della
responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la parte generale e la “parte speciale” del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in AA.VV. , Responsabilità
degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI G., Padova, 2004, p. 77;
30
Così ironicamente viene definita la tradizione riluttanza alla incriminabilità delle persone giuridiche da DE VERO G., in
Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato. Luci ed ombre nell’attuazione della l. di delega, in Riv. It. Dir.
Proc. Pen., 2001, p. 1158;
18
2. La conformità alla Costituzione e al brocardo societas delinquere non potest.
Un falso problema? Le interpretazioni dell’art. 27, co. 1, in rapporto alle
differenti teorie sulla persona giuridica
Secondo la dottrina più risalente, le persone giuridiche ontologicamente non possono essere ritenute responsabili
di fatti penalmente rilevanti, poiché, come recita il brocardo, societas delinquere non potest. Forti di questa tradizione
giuridica secolare, molti giuristi avanzano vari argomenti a conferma dell’impossibilità di prevedere fattispecie
penali imputabili a soggetti collettivi.
Primo fra tutti, un notevole punto d’appoggio è fornito dal disposto del co. 1 dell’art. 27 Cost., il quale
sancisce il principio di personalità della responsabilità penale, stabilendo che “La responsabilità penale è
personale”.
Per la norma costituzionale de qua è stata sostenuta da Bricola
31
una lettura “minimalista”, ossia che il
legislatore del 1948 intendeva semplicemente bandire qualsiasi forma di responsabilità penale per fatto altrui. Di
conseguenza, la lettura restrittiva del comma 1 dell'art. 27 Cost. ha avuto immediate ripercussioni anche sul
dibattito concernente la responsabilità penale degli enti.
Partendo da una tesi finzionistica dell’ente collettivo
32
, è agevole concludere che, ipotizzando l'attribuibilità
del reato alla persona giuridica, si finirebbe proprio col violare il divieto di responsabilità per fatto altrui, in
quanto si occulterebbe la responsabilità dei veri agenti, le persone fisiche membri della societas.
Adottato invece l’altro possibile punto di vista, quello della teoria organica, si capovolge la risposta
all’interrogativo se un fatto penalmente illecito possa essere considerato “proprio” dell’ente o in ogni caso ad
esso estraneo. Grazie a questa teoria, ormai latamente condivisa, la persona giuridica è considerata un autonomo
centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, nonché “matrice di
decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell’interesse dell’ente”
33
. Esistono
di fatti degli obiettivi che per estensione e durata trascendono le energie individuali, che non possono essere
perseguiti con successo dagli individui “isolati”, ma solo attraverso la struttura complessa ed organizzata degli
enti collettivi possono essere raggiunti.
Ecco che l’ente collettivo, assurto dalla teoria organica a corpo speciale dotato di “vita propria”, non può
assolutamente essere considerato una mera astrazione, né un’entità “fittizia” rispetto alla persona fisica, poiché de
facto le persone giuridiche, al pari di quelle fisiche, possiedono una volontà autonoma e connaturata alla struttura
di soggetti collettivi, ovvero la cd. volontà societaria, espressa e realizzata per mezzo dei loro organi.
31
BRICOLA F., Il costo del principio societas delinquere non potest nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. It. Dir. Proc.
Pen., 1970, p. 1010;
32
Secondo la - ormai obsoleta - teoria finzionistica, la persona giuridica è un istituto artificiale, creato nel diritto con un’abile
fictio, ma priva di un’autonoma esistenza, riducendosi a espressione sintetica di una pluralità di soggetti partecipanti alla
societas, che restano i veri centri di imputazione delle situazioni giuridiche.
33
Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta dal prof. Grosso, Relazione, Roma, 12 settembre
2000;