5
La persona giuridica rimaneva da sempre indenne sul piano delle conseguenze
sanzionatorie (diverse dal risarcimento del danno) rispetto ai reati commessi in suo
vantaggio da amministratori e/o dipendenti.
Sul piano penale esisteva soltanto la disposizione dell’art. 197 c.p. che prevedeva, e
prevede tuttora, un’obbligazione civile di garanzia a carico della persona giuridica per
il pagamento di multe o ammende in caso di insolvibilità dell’autore materiale del
fatto.
Proprio il carattere sussidiario di tale responsabilità rafforzava la convinzione,
fermamente radicata nell’ordinamento e nella dottrina italiana, della impossibilità di
considerare l’ente quale soggetto attivo del reato.
Per comprenderne l’importanza dell’innovazione sull’argomento è necessario
ricostruire i motivi tradizionalmente posti a fondamento del principio societas
delinquere non potest e il graduale percorso che ha portato al d.lgs. 231/01.
associazioni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, p. 418 e ss.; ALESSANDRI, Commento all’art. 27, comma 1 Cost, in
Rapporti civili, Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca e A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1991, p.
150 e ss.; ID., Reati di impresa e modelli sanzionatori, Milano, 1984; DE MAGLIE, Sanzioni pecuniarie e
tecniche di controllo dell’impresa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 89 e ss.; ID., Societas delinquere potest,
Un’indagine di diritto italiano e comparato, Padova, 1999, p. 14 e ss; DE SIMONE, Il nuovo codice francese e la
responsabilità penale delle personnes morales, in Riv. it. dir. proc. pen.,1995, p. 189 e ss.; ID., Societas
delinquere et punir ipotest. La questione della responsabilità penale degli enti collettivi tra dogmatica e politica
criminale, Como, 2000; ROMANO, Societas delinquere non potest (Nel ricordo di Franco Bricola), in Riv. it. dir.
proc. pen., 1995, p. 1031 e ss.; PALIERO, Problemi e prospettive della responsabilità penale dell’ente
nell’ordinamento italiano, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1996, p. 1173 e ss.; STELLA, Criminalità d’impresa: lotta di
sumo e lotta di judo, ivi, 1998, p. 459 e ss.; MANNA, La responsabilità delle persone giuridiche: il problema
delle sanzioni, ivi, 1999, p. 919 e ss.; BERNARDI, Società commerciali e sistema sanzionatorio: prospettive di
riforma, ivi, 1990, p. 23 e ss.; MILITELLO, La responsabilità penale dell’impresa societaria e dei suoi organi in
Italia, ivi, 1992, p. 101 e ss; ID., Attività di gruppo e comportamenti illeciti: il gruppo come fattore criminogeno,
ivi, 1998, p. 367 e ss.; DOLCINI, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in Riv. it.
dir. proc. pen., 1999, p. 19 e ss.; MARINUCCI-ROMANI, Tecniche normative nella repressione penale degli abusi
degli amministratori di società per azioni, in AA.VV., Il diritto penale delle società commerciali, a cura di P.
Nuvolone.
6
1.2. Le ragioni a base del divieto di responsabilità penale delle
persone giuridiche.
Gli ostacoli che si sono frapposti alla configurazione di una responsabilità penale degli
enti si concretizzano nei seguenti argomenti tradizionalmente posti a fondamento del
principio societas delinquere non potest.
A) Incapacità di azione dell’ente. Esso derivava da una sorta di barriera ideologica
secondo la quale i criteri di imputazione e le categorie del sistema penale sarebbero
stati ideati e costruiti con destinatario esclusivo l’uomo (Individualstrafrecht) e non
estendibili quindi agli enti collettivi. Il dogma societas delinquere non potest era
considerato la coerente derivazione dei principi dell’azione (intesa come movimento
corporeo) propri ed esclusivi della persona umana
2
.
B) Il secondo ordine di obiezioni trovava fondamento nei principi costituzionali, in
particolare nell’art. 27, commi 1 e 3 Cost
3
.
Con riferimento al comma 1, l’irresponsabilità delle persone giuridiche discenderebbe
dal principio del carattere personale della responsabilità penale, sia nella sua accezione
più ristretta sia secondo l’accezione più ampia.
In ossequio al divieto di responsabilità “per fatto altrui” la società non potrebbe
penalmente rispondere per un reato commesso da altri (la persona fisica); mentre se si
identifica il carattere personale della responsabilità con il “principio di colpevolezza”
4
l’ente non potrebbe rispondere in quanto incapace di un atteggiamento volitivo
colpevole (incapacità di colpevolezza).
Con riferimento al comma 3 dell’art. 27 Cost., il finalismo rieducativo proprio della
pena si sarebbe posto come un ostacolo insormontabile alla responsabilità penale
dell’ente: le persone giuridiche, a differenza delle persone fisiche, non sarebbero in
2
Cfr. cfr., MARINUCCI, Il reato come “azione”. Critica di un dogma, Milano, 1971, p. 173 e ss.; DE SIMONE,
Societas delinquere et puniri potest, cit., p. 195 e ss.
3
Per un quadro sulle opinioni in proposito cfr. C. F. GROSSO, voce Responsabilità penale in Noviss. dig. It,
1968, p. 710 e ss.
4
Il principio accolto espressamente dalla Corte Costituzionale a partire dalla “storica” sentenza 24 marzo 1988
n. 364, impone di fondare la responsabilità penale su un fatto riconducibile al soggetto attivo oltre che
materialmente, anche psicologicamente a titolo di dolo o colpa (responsabilità per fatto “proprio” colpevole).
Cfr. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, nota a margine della sentenza in
Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 686 e ss.
7
grado di risentire degli effetti afflittivi della sanzione penale e di interiorizzarli
(insensibilità alla pena)
5
.
C) Ingiustizia della punizione dei soci incolpevoli. Ultimo argomento a sostegno del
societas delinquere non potest era quello secondo cui la sanzione penale applicata
all’ente avrebbe avuto ripercussioni negative nei confronti dei componenti estranei
all’illecito (i c.d. soci innocenti) ledendo, anche sotto questo aspetto, l’art. 27, comma
1 Cost.
6
1.3. Le esigenze politico-criminali di superamento del principio
societas delinquere non potest.
Questo atteggiamento di chiusura che da sempre ha caratterizzato il dibattito italiano
sull’argomento è stato messo in crisi da alcuni fattori dirompenti.
Già a partire dagli anni ’60 si è intravisto, e se ne è preso compiutamente atto negli
anni ‘90, uno scenario sul piano politico-criminale caratterizzato dalla crescente
diffusione e gravità della criminalità d’impresa o societaria (il c.d. business crime)
7
.
Sul piano criminologico è attualmente possibile registrare le seguenti tendenze:
a) Incremento della criminalità del colletto bianco (c.d white collar crime)
8
che si
differenzia da quella individuale per prescindere da motivazioni individuali arrivando
ad esprimere vere e proprie scelte aziendali.
b) Aumento delle forme di illiceità tipiche della società del rischio
(Risikogesellschaft)
9
, lesive sia di beni individuali (si pensi alla tematica degli
infortuni sul lavoro) che superindividuali (si pensi all’ambiente).
5
Cfr. ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in AA.VV., La responsabilità amministrativa
degli enti, Milano, 2002, p. 47 e ss.
6
Per un esame delle posizioni su tale tema cfr. DE SIMONE, Societas delinquere et punir ipotest, cit. p. 227 e ss.
7
A smuovere il dibattito italiano è stato il fondamentale saggio di Franco Bricola (Il costo del principio, cit.), il
quale segnalava il costo in termini di efficienza punitiva e di reale tutela dei beni giuridici del dogma secondo cui
gli enti non potessero commettere reati.
8
Cfr., SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, Milano, 1987 (trad. di G. Forti). Sul tema vedi anche il libro,
di recentissima uscita, di GREEN, I crimini dei colletti bianchi. Mentire e rubare tra diritto e morale, Ed. Un.
Bocconi, Milano, 2008.
9
Sull’argomento cfr. il noto saggio di ULRICH BECK, Risikogesellschaft, 1986, Frankfurt, Suhrkamp; trad. it. La
società del rischio: verso una seconda modernità, Roma, 2000.
8
c) Creazione degli illeciti a “vittimizzazione di massa”, in cui la tradizionale dialettica
autore/vittima è sostituita da una relazione collettiva tra l’organizzazione complessa
nella veste di soggetto attivo e una pluralità di vittime come soggetti passivi.
Quanto ai caratteri dell’illecito societario, esso distingue dal reato del singolo per
essere inserito in una struttura organizzata. Esso, nella maggioranza dei casi, non è
frutto di una scelta autonoma ed individuale del soggetto singolo ma ha origine
nell’impresa ed è strumentale al raggiungimento di un obiettivo che non è direttamente
dell’autore ma prevalentemente della societas.
Nella criminalità di impresa è possibile registrare alcune fondamentali costanti
criminologiche.
La prima è la progettazione razionale: il crimine economico, la cui condotta è
orientata a conseguire risultati di arricchimento, si inscrive sempre in un contesto
caratterizzato da una progettazione razionalmente svolta.
La seconda è la c.d dominante collettiva: la criminalità d’impresa si fonda
sull’assunzione di decisioni non individuali ma collegiali, che sono l’epilogo di una
molteplicità di fasi, le quali a loro volta prevedono l’intervento di una pluralità di
soggetti.
La terza è la capacità dell’ente di indurre la criminalità di impresa: l’azienda è un
“organismo vitale” capace di elaborare ed esprimere una propria cultura ed un proprio
indirizzo strategico ed operativo, capace di manifestare uno stabile sistema di idee e
valori.
Tutto questo può produrre cicli virtuosi oppure piegarsi verso prassi scorrette o illecite.
La scelta dell’illegalità societaria quindi, non è quasi mai effetto di un “corto
circuito”, di una degenerazione individuale ma rappresenta il frutto di un azione
organizzata, di una cultura d’impresa che non ha interiorizzato (intenzionalmente o
per carenze organizzative) la cultura della legalità.
10
Rispetto a tali tipi di reato una criminalizzazione del singolo si rivela insufficiente e
inefficace sul piano della protezione dei beni giuridici
11
, non solo per la sostituibilità
10
Cfr. BASTIA, Implicazioni organizzative e gestionali della responsabilità amministrativa delle aziende, p. 3 su
Societas punir ipotest. La responsabilità da reato degli enti collettivi (Testi del Convegno di studio di Firenze
del 15-16 marzo 2002).
11
Cfr. EUSEBI, Politica criminale e riforma del diritto penale, in Dem. dir., 2000, p. 114 e ss.
9
dei soggetti sanzionati all’interno dell’impresa ma soprattutto per la sostanziale
indifferenza della società agli effetti della vicenda punitiva.
La pena detentiva applicata al singolo non tocca la società, la pena pecuniaria è invece
assorbita dall’ente come un costo sostanzialmente irrisorio.
L’ente, quindi, rimane del tutto immune sul piano delle conseguenze sanzionatorie
(neppure raggiungibile dalla confisca ex art. 240 c.p. in quanto estraneo al reato) ma
per altro verso incamera direttamente il profitto procurato dall’illecito.
Inoltre come è stato giustamente osservato “nei confronti della moderna
organizzazione d’impresa […] è sempre – e lo sarà sempre di più – problematica
l’individuazione dell’autore del fatto, di colui che merita la punizione. […] le
decisioni delle grandi imprese sono quasi sempre frazionate […]. I casi di
coinvolgimento attivo e solitario dei soggetti di vertice sfugge, ovviamente a questo
modello: ma non sono frequenti su larga scala e semmai attengono prevalentemente a
dinamiche di dolosa spoliazione (dei terzi o dei creditori). Quand’anche si raggiunga
l’identificazione dell’autore del fatto […] si è ormai tutti consapevoli che sarebbe
frettoloso e incompleto chiudere la partita: l’autore del fatto, quando agisce nelle
organizzazioni complesse, esprime un disvalore, suscettibile di rimprovero, che non è
solo di sua pertinenza”
12
.
In conclusione, nella criminalità di impresa quasi mai autore esclusivo del reato è la
persona fisica.
Non è un caso che gli ordinamenti di common law, tradizionalmente più pragmatici,
meno condizionati da schemi e categorie dogmatiche e più sensibili alle esigenze della
realtà (specie economica) abbiano, già a metà dell ‘800, risolto positivamente la
questione dell’assoggettabilità delle corporations alla sanzione penale.
In Gran Bretagna il principio societas delinquere potest nasce nel 1842 con il caso
Birmingham and Gloucester Road Railway Co. Avente oggetto danni arrecati dalla
ferrovia.
L’evoluzione è partita dalla responsabilità per colpa ed omissiva fino ad arrivare alla
identification theory per la quale l’atto del dirigente è direttamente atto della società.
12
ALESSANDRI, Attività d’impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, par. 6. Lo scritto è
consultabile anche sulla sezione aree/diritto penale e penale commerciale/ricerca del sito www.idc.unibocconi.it
10
Negli Stati Uniti esso risale agli inizi del ‘900 con la sentenza New York
Central/Hudson river con cui l’azienda di trasporti di New York rispose per violazioni
inerenti le tariffe su merci
13
.
Quanto ai paesi di civil law, il percorso è stato ben più faticoso ma il numero degli
ordinamenti che hanno mantenuto fermo il principio societas delinquere non potest si
è andato progressivamente riducendo
14
, a conferma di quanto siano sentite nella prassi
le esigenze politico-criminali prima riferite.
15
Si pensi che la Germania, l’ordinamento che sembrava più rigido al divieto, dispone di
un sistema di responsabilità amministrativa per le persone giuridiche previsto nel
Ordnungwidrigkeitengestetz (OwiG) del 1975, modificato nel 1986.
In Francia, la responsabilità penale delle persone giuridiche è stata introdotta con il
nuovo codice penale del 1994
16
.
1.4. La colpa dell’ente nel common law.
A questo punto, prima di osservare le scelte effettuate dal legislatore italiano, è
opportuno vedere alcuni concetti e categorie sulla responsabilità delle persone
giuridiche (corporate liability) elaborati nei sistemi di common law, i primi, come si è
13
Cfr. LEIGH, The criminal liability of corporations in english law, London, 1969; SMITH-HOGAN, Criminal
Law, 5a ed., 1983; ALLEN, La responsabilitè pénale de societés privées en droit américan, in Revue int. droit
penal, 1957, p. 47 e ss.; PARISI, Theories of corporate criminal liability, in AA.VV., Corporations and
criminals, a cura di Hochstedler, 1984.
14
Sul “declino” del divieto in questione cfr. AMARELLI, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del
principio societas delinquere non potest, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2003, p. 941 e ss.
15
A livello comparatistico cfr. TIEDEMANN, La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto comparato, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 615 e ss.; MARINUCCI, Societas puniri potest: uno sguardo sui fenomeni e sulle
discipline contemporanee, ivi, 2002, p. 1193 e ss.; CASTELLANA, Diritto penale dell’Unione Europea e principio
“societas delinquere non potest”, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1996, p. 747 e ss.; BERTEL, La responsabilità penale
delle persone giuridiche, ivi, 1998, p. 59 e ss.; SELVAGGI, La responsabilità penale delle persone giuridiche: un
dibattito europeo, in Cass. pen., 1999, p. 1336 e ss.
16
Article 121-2 del Code pénal: “ Les personnes morales, à l'exclusion de l'Etat, sont responsables
pénalement, selon les distinctions des articles 121-4 à 121-7 et dans les cas prévus par la loi ou le règlement,
des infractions commises, pour leur compte, par leurs organes ou représentants.
E’ da evidenziare come a seguito della riforma apportata dalla Loi 2004-204 du 9 mars 2004 art. 207 IV sia sia
passati da un sistema costruito su ipotesi tassative di reati ad un sistema aperto (a clausola generale): Loi 2004-
204 du 9 mars 2004 art. 207 IV : Les termes "et dans les cas prévus par la loi ou le règlement" sont supprimés à
compter du 31 décembre 2005.
11
visto, ad introdurre questo istituto nei propri ordinamenti penali e da sempre i più
pragmatici e sensibili sull’argomento
17
.
Si tratta di categorie ed istituti che saranno utili alla comprensione dei temi che si
tratteranno in seguito
Il nodo della questione dell'attribuzione di una responsabilità penale ad una persona
giuridica è sempre consistito nell’individuazione di una nozione di "colpa societaria"
effettiva e non fittizia: occorre cioè elaborare una nozione di colpevolezza dell'ente che
da un lato consenta di rispettare i fondamentali principi penalistici sull'imputazione
soggettiva del fatto e dall'altro risulti distinta dall'atteggiamento psicologico dell'autore
del reato.
Far coincidere puramente e semplicemente l'elemento soggettivo dell'ente con quello
della persona fisica rischia infatti di tradursi nient'altro che in una finzione.
1.4.1. Le teorie tradizionali.
Le teorie tradizionali proprie dei sistemi di common law sono due.
La prima è la teoria della vicarious liability ("respondeat superior").
Si tratta, in sostanza, dell’affermazione di una responsabilità per fatto altrui: un ente
collettivo può essere ritenuto responsabile per gli atti dei suoi dipendenti.
La responsabilità dell’ente si aggiunge cumulativamente a quella primaria dell’autore
del reato secondo il modello della responsabilità del datore di lavoro per fatto del
dipendente.
Questa teoria, nata nel campo della responsabilità omissiva, risulta quella
prevalentemente seguita dalle Corti federali statunitensi.
17
Vedi "Corporate liability rules in the common law jurisdictions of Australia, Canada, England and Wales,
New Zealand and The United States", a cura di CELIA WELLS, Professore dell'Università del Galles di Cardiff,
per il Gruppo di lavoro dell'OCSE sulla corruzione nelle transazioni commerciali internazionali, 2000; ANNE-
MARIE BOISVERT, Professore dell'Università di Montreal, "Corporate criminal liability: a discussion paper",
1997