della mancanza di colpevolezza dell’ente - se il reato è commesso dal subordinato.
Ci si soffermerà sull’incidenza della diversità dei tempi sulla valutazione dell’idoneità
del modello, sul procedimento di progettazione, realizzazione ed attuazione del
medesimo, sulle varie attività propedeutiche alla sua creazione quali la predisposizione
di un codice etico, l’identificazione delle principali aree a rischio reato, la previsione di
specifici protocolli per la prevenzione dei reati nonché la previsione di un organismo
di vigilanza che diverrà il garante del modello di cui curerà l’aggiornamento e
l’applicazione, assicurandone l’effettività, attraverso i poteri di iniziativa e controllo
conferitigli.
Si tenterà inoltre di fornire alcuni suggerimenti operativi circa specifiche soluzioni che
potrebbero essere adottate nella realizzazione di tali modelli, pur con tutte le cautele
rese indispensabili dalla novità del tema e dallo stadio ancora embrionale della
riflessione in materia.
Data l’innovatività della regolamentazione e la delega alle associazioni di categoria per
l’implementazione delle norme di legge, lo scritto tratterà brevemente anche delle linee
guida elaborate da Confindustria per supportare le imprese nella costruzione dei
modelli.
Lo studio non mancherà infine di affrontare l’indicazione delle peculiarità del sistema
italiano rispetto a quello statunitense, con particolare riferimento ai Compliance
Program.
In chiusura si fornirà una testimonianza aziendale di come l’introduzione del d. lgs.
5
231/2001 sia stata vissuta nella società per la quale lavoro, General Motors Powertrain
- Europe S.r.l., alla luce delle sue specificità operative e di business.
Al termine della trattazione si proporranno delle conclusioni sintetiche su tutti gli
obiettivi d’analisi e su ogni questione rilevante affrontata nella trattazione.
In definitiva lo scritto si pone l’obiettivo di affrontare il tema della responsabilità
penale delle persone giuridiche partendo dall’evoluzione storica dell’istituto ma
accordando maggiore importanza all’attuale contesto giuridico che garantisce,
attraverso l’adozione di adeguati modelli organizzativi e gestionali, benefici a quelle
società che decidono, nella conduzione dei propri affari e delle proprie attività
aziendali, di conformarsi alle prescrizioni del decreto.
6
CAPITOLO I:
LA DISCIPLINA DELLA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI
ENTI DIPENDENTE DA REATO
1.1. Il quadro giuridico tradizionale – 1.2. La genesi e le convenzioni internazionali di riferimento del
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 – 1.3. Le linee guida contenute nella legge delega numero 300
del 2000 – 1.4. I problemi generali della responsabilità prevista dal decreto legislativo 231 del 2001 –
1.5. Principi e ratio legislativa della normativa
1.1. Il quadro giuridico tradizionale
L’ordinamento italiano è tradizionalmente improntato all’irresponsabilità penale degli
enti tanto per motivi d’ordine giuridico e sistematico
1
, quanto per le teorie poste alla
base della concezione stessa dell’organizzazione. Esistono, infatti, molteplici
previsioni normative che, pur non vietando espressamente la soggettività penale delle
persone giuridiche, forniscono indicazioni univoche in tal senso. Così la dottrina
ancorata al brocardo “societas delinquere non potest” ricava fondamentali appigli
nell’articolo 27 della Costituzione, in cui, al primo comma, si sancisce che “la
1
Il tema è stato ampiamente dibattuto in dottrina, opinioni rilevanti ai fini della comprensione del
dibattito tradizionale risultano essere: Battaglini G., “Responsabilità penale delle persone giuridiche?”,
in Riv. it. dir. pen., 1930, 661 ss.; Bricola, “Il costo del principio “societas delinquere non potest”
nell’attuale dimensione del fenomeno societario”, in Riv. it. dir. proc. pen.,1970, 1010 ss.; Pecorella,
“Societas delinquere potest” in Riv. giur. lav., 1977 IV, 365.
7
responsabilità penale è personale” e, nel terzo comma, si enucleano il principio di
umanità e la funzione di rieducazione proprie della pena nell’attuale ordinamento
giuridico italiano. La natura personale della responsabilità implica la capacità del reo
di porre in essere un preciso processo valutativo in ordine alla realizzazione della
condotta criminosa, segnato dalla consapevolezza dell’antigiuridicità della stessa.
L’ente diverso dalla persona fisica non avrebbe la capacità di autodeterminazione
necessaria per formare ed attuare una volontà criminosa segnata dai requisiti
indispensabili del dolo o, quanto meno, della colpa. A tali disposti si aggiunge
l’interpretazione a contrariis dell’articolo 197 del cod. pen. che, fissando
un’obbligazione solidale di garanzia in capo all’ente per i reati commessi da chi ne
abbia rappresentanza legale, indica l’impossibilità di configurare la persona giuridica
quale soggetto attivo delle norme penali.
Inoltre l’intero sistema codicistico sembra indirizzarsi alle persone fisiche, ad esempio
prevedendo la necessità dell’elemento soggettivo per il perfezionarsi della
responsabilità penale. E’ questa l’emblematica indicazione di come il tradizionale
approccio alle organizzazioni, che sarebbero in sé prive di ogni possibilità di
manifestare scelte volontaristiche, unito alle disposizioni legislative vigenti e alle
accreditate finalità rieducative e preventive della pena, porti ad escludere la
responsabilità penale degli enti. Le aporie date dall’attuazione di questa impostazione
8
si evidenziarono in primo luogo nei paesi
2
in cui il processo d’evoluzione
dell’economia fu più rapido, a causa dell’evidente inefficacia repressiva del sistema
penale così delineato nei confronti di attività illecite poste in essere da enti collettivi,
specialmente qualora sia di difficile individuazione il soggetto agente ed autore
materiale del fatto penalmente rilevante. Ancor più esplicita appare l’incongruenza
dell’irresponsabilità penale della società qualora il reato, seppur perpetrato da persone
fisiche, sia finalizzato a generare profitti o vantaggi imprenditoriali all’ente.
1.2. La genesi e le convenzioni internazionali di riferimento del decreto legislativo
8 giugno 2001, n. 231
Il legislatore italiano ebbe la prima opportunità di affrontare la questione inerente alla
responsabilità diretta degli enti in occasione della ratifica di convenzioni internazionali
di cui si dirà in seguito; infatti, con la legge n. 300 del 2000 conferì delega al governo
per la ratifica ed esecuzione di alcuni atti internazionali e per la contestuale formazione
di una disciplina organica in tema di responsabilità degli enti. Tale ratifica riguardava
gli atti internazionali elaborati in base all’articolo k 3 del Trattato sull’Unione europea
e precisamente:
y Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, siglata a
Bruxelles il 26 luglio 1995;
2
E’ il caso dei paesi anglosassoni ed in particolare degli U.S.A.
9
y Primo Protocollo di tale Convenzione, siglato a Dublino il 27 settembre 1996;
y Protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale di detta Convenzione,
da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, con annessa
dichiarazione, siglato a Bruxelles il 29 novembre 1996;
y Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione in cui siano coinvolti
funzionari delle Comunità europee o degli stati membri dell’Unione, siglata a
Bruxelles il 26 maggio 1997;
y Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle
operazioni economiche internazionali, con annesso, siglata a Parigi il 17 settembre
1997.
Sin dalla mera enunciazione degli atti internazionali recepiti si evince che
l’impostazione tradizionale basata sul principio “societas delinquere non potest” è
fortemente minata dalle esigenze di repressione di alcuni illeciti, tra cui la corruzione
di pubblico ufficiale straniero, dilaganti nella attuale economia transnazionale.
1.3. Le linee guida contenute nella legge delega numero 300 del 2000
Premesse, dunque, le forti spinte internazionali ed il continuo dibattito interno non
possono stupire né la travagliata genesi dell’articolo 11 della legge 300/00, né i copiosi
tentativi della dottrina penalistica d’interpretare le disposizioni di delega in esse
contenute. Le maggiori problematiche si riscontrarono nell’attuazione delle norme
10
contenute negli articoli 2 e 3 della convenzione OCSE, in cui si prevede che ciascuno
Stato aderente adotti le misure necessarie per stabilire la responsabilità diretta delle
persone giuridiche per la corruzione di pubblico ufficiale straniero. Tuttavia, in
occasione dei lavori parlamentari
3
, emerse con estrema chiarezza come l’obbligo posto
da tali norme non configurasse la necessità d’introdurre fattispecie di responsabilità
penale, in quanto i citati articoli avrebbero posto soltanto vincoli di efficacia e di
potenzialità dissuasiva della disciplina, nulla disponendo, invece, in merito allo
strumento giuridico da adottare. Così, il legislatore delegante optò per la soluzione
della responsabilità “amministrativa” degli enti, pur indicando, nella Relazione del
governo alla Camera dei Deputati, come non esistessero ostacoli costituzionali al
riconoscimento della responsabilità penale degli stessi. In particolare, si escluse che il
principio della personalità della responsabilità penale, contenuto nell’articolo 27 della
Costituzione, potesse costituire un divieto per le previsioni di responsabilità di soggetti
diversi dalle persone fisiche.
Inoltre, con questa legge delega, il Parlamento attribuì al legislatore delegato non solo
il compito di ratifica ed esecuzione dei citati atti internazionali, bensì dispose
l’approvazione immediata di una disciplina organica sulla materia, costruita intorno a
tre ampi principi ispiratori:
- l’esclusione della responsabilità, in nomine, penale degli enti;
3
A tale riguardo si veda l’intervento di De Maglie al Convegno “Gli Amministratori di Società”,
organizzato dall’Ita a Milano il 28 e 29 novembre 2000.
11
- la previsione di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti delle persone
giuridiche, qualora i responsabili abbiano commesso il reato a loro vantaggio o nel
loro interesse;
- la previsione, in ipotesi connotate da maggior gravità del fatto materiale, di sanzioni
diverse, tra cui la confisca, la chiusura o la sospensione dell’attività dell’ente.
A fronte di una delega di così vasta portata, però, il legislatore delegato ha inteso
elaborare una disciplina alquanto selettiva, di fatto attuando soltanto una ratifica ed
esecuzione degli obblighi minimi imposti dalla convenzioni e dai protocolli
internazionali, addivenendo, in tal modo, alla formazione del decreto legislativo dell’ 8
giugno 2001, n. 231, disciplinante la responsabilità “amministrativa” delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.
1.4. I problemi generali della responsabilità prevista dal decreto legislativo 231
del 2001
L’intento di delineare una forma di responsabilità dell’ente compatibile con le istanze
dottrinali e i principi normativi ha indotto il legislatore delegato a costruire una
responsabilità amministrativa “ibrida”. Questa scelta, che porta gli estensori della
normativa a dichiarare nella Relazione di aver istituito un tertium genus nella
responsabilità diretta, ha indotto parte della dottrina a ridimensionare la portata
innovativa della disciplina contenuta nel decreto, affermando che una vera
12
responsabilità penale dell’ente si avrebbe solo qualora un singolo reato fosse
addebitabile all’organizzazione in via autonoma senza il passaggio per
l’identificazione della persona fisica agente
4
. Altre riflessioni penalistiche sul tema si
sono indirizzate, coerentemente con le enunciazioni della Relazione al decreto, sulla
peculiarità del modello creato, evidenziando come gli interessi societari e le
responsabilità correlate coinvolgano istituti di carattere amministrativo commerciale e
penale, conseguentemente valutando come doverosa la scelta legislativa per una
responsabilità amministrativa assistita dalle garanzie, anche processuali del diritto
penale
5
. Il dibattito scaturito dal tentativo di inserire nelle tradizionali categorie del
diritto una siffatta responsabilità ha mostrato i suoi caratteri di questione
rilevantemente formale allorché alcuni dei componenti della Commissione delegata
alla formazione del decreto hanno affermato come, in definitiva, la stessa rappresenti
un sistema intermedio tra diritto amministrativo e diritto penale: la tipologia di
sanzioni comminabili di natura indubbiamente afflittiva, e l’apparato processuale la
accomunano al sistema penale, a cui, comunque, non risulta completamente
ascrivibile, “mancando del necessario aspetto simbolico”
6
. Molteplici altre ipotesi di
identificazione del “nomen” della responsabilità prevista sono state avanzate, nessuna,
tuttavia, si è rilevata in grado di delineare precisamente l’ambito giuridico di
4
Cfr. Caraccioli, “Una sfida diabolica per i magistrati” in Il sole 24 Ore, 3 maggio 2001, 19.
5
Cfr. Rordorf R., “Prime riflessioni sulla responsabilità amministrativa degli enti collettivi per reati
commessi nel loro interesse o a loro vantaggio”, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli
enti, Ipsoa, Milano, 2002.
6
Cfr. Paliero – Pulitanò D., “Imprese, una responsabilità su misura”, in Il sole 24 Ore, 12 luglio 2001,
20.
13
collocazione. Si può però ragionevolmente affermare che la particolare disciplina in
esame è parte di quel diritto amministrativo a carattere afflittivo tanto simile, per
connotati e funzioni, ad un diritto penale propriamente inteso. Dell’esistenza di
etichette “di facciata” è conscia larga parte della dottrina che rileva tre argomenti
principali a suffragio:
- la connessione diretta, non solidale con la commissione di reati da parte del soggetto
agente;
- la cognizione relativa alla responsabilità prevista dal decreto è interamente
demandata al giudice penale;
- l’autonomia della responsabilità dipendente da reato della persona giuridica, che
persiste anche quando risulta impossibile l’identificazione dell’autore del reato.
1.5. Principi e ratio legislativa della normativa
Il decreto legislativo n. 231 del 2001 si impernia sui capisaldi indicati dal legislatore
delegante e, in conseguenza, sulle disposizioni degli atti internazionali da ratificare. La
responsabilità dell’ente sorge per connessione con la realizzazione di un reato da parte
di una persona fisica legata da un rapporto funzionale con l’organizzazione. Il fatto
generatore di responsabilità è, dunque, quello della persona fisica che costituisce per
l’autore il fondamento dell’imputazione penale e per l’ente il punto di partenza per una
possibile responsabilità da vagliarsi secondo canoni di collegamento tra fatto-reato e
14
persona giuridica; filtri di qualificazione di natura oggettiva consistenti nella
finalizzazione del reato stesso al vantaggio o all’interesse della persona giuridica
7
.
L’illecito dell’ente pare, dunque, costituito da una fattispecie a struttura complessa
costituita da due elementi essenziali: la realizzazione di un reato - integrato
nell’elemento oggettivo e soggettivo
8
- e la commissione dello stesso nell’interesse o a
vantaggio dell’ente
9
, ed in questi termini può ritenersi differente ed autonomo dal reato
commesso dalle persone fisiche, che ne costituisce un elemento. Sottolinea la natura
diretta ed autonoma della responsabilità dell’ente e, dunque, la natura autonoma
dell’illecito dell’ente la circostanza che la sua integrazione, ai sensi dell’art. 8, comma
1, lett. a)
10
, non presuppone l’accertamento della responsabilità di una persona fisica
determinata.
Il tipo di rapporto funzionale che lega l’autore del reato alla persona giuridica è
determinante per individuare il criterio d’imputazione soggettivo della responsabilità
7
De Vero, “Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato”, in Riv. it.
dir. proc. pen., fasc. 4, 2001, 1126 ss.
8
Cfr. Pecorella C., “Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità“, in AA.VV., La
responsabilità amministrativa degli enti, Ipsoa, Milano, 2002, 81.
9
Cfr. De Simone, “I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la “parte
generale” e la “parte speciale” del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231“, in Responsabilità degli enti per
illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. Garuti, Padova, 2002, 81.
10
La norma prevede che “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato
identificato o non è imputabile”, perché - spiega la Relazione al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in
Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di Garuti G., Padova,
2002, 451 - “se il caso di autore non imputabile ha un sapore più teorico che pratico, quello della
mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è, al contrario, un fenomeno tipico
nell’ambito della responsabilità d’impresa: anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione
alle quali più forte si avvertiva l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti”; pertanto “in tutte le
ipotesi in cui, per la complessità dell’assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la
responsabilità penale in capo ad uno specifico soggetto, e ciò nondimeno risulti accertata la
commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere sul piano amministrativo”.
15
stessa dell’ente. In merito rilevano due tipi di rapporto: il rapporto di rappresentanza e
il rapporto di subordinazione. Il primo sussiste qualora l’autore del reato sia un
soggetto in posizione apicale, in grado, presumibilmente, di esprimere compiutamente
la responsabilità della persona giuridica e di impegnarla per le conseguenze
sanzionatorie.
Si avrà, in tal caso, una responsabilità tendenzialmente assoluta dell’ente per eventuali
comportamenti illeciti del soggetto
11
. Tuttavia l’ente andrà esente da sanzione
provando il concreto utilizzo dei paradigmi di prevenzione del rischio disposti per
legge, dando conseguente prova di assenza di colpa; dimostrando, quindi, di aver
attuato protocolli deontologici adeguati tanto nella fase di genesi delle decisioni
aziendali, quanto nella fase di attuazione delle stesse. Questa inversione dell’onere
della prova in capo all’ente è predisposto dal legislatore, per fatto compiuto da soggetti
in posizione apicale nell’organizzazione, al fine d’incentivare da un lato la formazione
di modelli di gestione e dall’altro l’effettività del controllo interno sulla loro
applicazione. Nella seconda tipologia di rapporto funzionale l’autore del reato è un
soggetto sottoposto all’altrui direzione e, come suggerisce la ratio del procedimento
logico esposto per il soggetto in posizione apicale, si avrà una responsabilità dell’ente
soltanto per colpa. Tale elemento soggettivo della societas trova il suo fondamento nel
dovere di direzione e controllo sull’attività dei soggetti subordinati oltre che nella
11
La tematica non è certo nuova, infatti da molti anni si discute sulla responsabilità dell’impresa per
fatto dei managers, amministratori, individuando in questi soggetti, anche giurisprudenzialmente, il
fulcro della volontà dell’ente. A tale riguardo, Iori, “Organizzazione dell’impresa e responsabilità
penale nella giurisprudenza”, Firenze, 1981.
16
concretizzazione del rischio criminoso che poteva essere evitato con adeguati
programmi di gestione volti a prevenire reati della medesima specie.
Di fondamentale importanza nella ratio legislativa sono le tipologie ed i limiti edittali
delle sanzioni previste, essendo il perno di tale sistema la sanzione pecuniaria. Essa è
strutturata in modo innovativo: si compone di un certo numero di quote, il cui numero
e valore economico è determinato dal giudice avuto riguardo alle condizioni concrete.
Questo sistema permette un’elevata duttilità della sanzione, peculiarità mutuata dalle
recenti esperienze nord americane, che consente di conciliare le esigenze di tutela della
collettività con la necessaria proporzione tra lesione concreta e sanzione. Oltre a tale
tipologia punitiva sono previste varie sanzioni interdittive, che rappresentano il
secondo nucleo sanzionatorio predisposto nel decreto, volte alla neutralizzazione delle
circostanze criminogenetiche e connotate da diversi gradi di incisività sull’ente, a
secondo della gravità effettiva del reato. Anche questa ultima tipologia di sanzioni
risulta compatibile con il modello di proporzionalità della pena, essendo le stesse
previste nelle ipotesi di maggiore lesività del fatto criminoso. Prescindendo, infine, da
considerazioni di natura processuale si può affermare che il decreto in esame non
intende fornire una disciplina per la c.d. impresa illecita, cioè quella tipologia di ente
che nasce e si sviluppa al servizio di un intento criminoso; intende, invece, regolare la
patologia dell’impresa lecita, cioè di quella organizzazione legittima nella costituzione
e negli scopi sociali che, a causa di deficit organizzativi e di controllo, sviluppa
situazioni ed attività incompatibili con la convivenza civile.
17