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Introduzione
“... Even in the 20th century with faith, courage and a just cause
David will still beat Goliath”-Haile Selassie I
La tesi propone un breve excursus cronologico sugli eventi che hanno l’evolvere dei
rapporti fra la popolazione etiope e l’invasore italiano negli anni che vanno dal 1935,
anno dell’invasione italiana, al rientro del negus Haile Selassie I in Addis Abeba il 5
maggio 1941 con il sostegno dell’esercito inglese. In particolare la mia ricerca si occupa
del fenomeno della resistenza etiope e della sua repressione da parte italiana,
concentrandosi sui principali autori che hanno trattato questi temi nella storiografia
italiana ed inglese, mancando traduzioni dei testi accademici scritti da etiopi
sull’argomento.
I rapporti fra gli italiani e le loro colonie hanno potuto essere affrontati con la necessaria
serenità e serietà solo recentemente e solo dopo aver superato il muro innalzato dalle
renitenze di coloro che avevano vissuto in quegli anni, inoltre quanti si sono confrontati
con questi argomenti in Europa, hanno potuto confrontarsi principalmente con la
versione europea degli eventi e solo negli ultimissimi anni hanno incominciato ad uscire
testi che riportassero il punto di vista etiopico rispetto a quello stesso periodo.
Queste difficoltà hanno fatto sì che gli eventi della resistenza etiope appaiano per lo più
in posizione marginale rispetto alla più grande storia dell’A.O.I., finendo del tutto
oscurati dallo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale, tanto che per seguirne gli
sviluppi è stato necessario seguire le operazioni militari inglesi contro l’A.O.I.
Per questi motivi, partendo dai principali autori che si sono occupati di storia delle
colonie italiane in Italia e Inghilterra, la tesi prova a rimettere insieme una breve storia
della resistenza e della repressione. Questa ha inizio con la dichiarazione della conquista
dell’Etiopia del maggio 1936 che vedrà un primo insorgere della resistenza etiope,
soffocata nel febbraio 1937, che però è più che altro un proseguire della guerra fra lo
stato etiope e l’Italia. Infatti in questa prima fase i rivoltosi non sono altri che i ras
etiopi nel loro ruolo di generali dell’esercito negussita. A questa fase di resistenza
“governativa”, cioè legata al vecchio governo del negus, segue una ribellione
“popolare” innescata dalle repressioni attuate dal vicerè Graziani che occuperà le forze
italiane fino allo scoppiare della guerra e che metterà in seria difficoltà il dominio
italiano sulla regione.
6
Lo scoppiare della guerra in Europa oscura a tal punto la piccola storia etiope nella
storiografia che per seguirne l’evoluzione è necessario spostare lo sguardo sulla
particolare vicenda di Haile Selassie, imperatore in esilio in Inghilterra, e sul suo rientro
con l’appoggio inglese in Etiopia. Questo cambio di prospettiva ci permette però di
notare i limiti della rivolta nazionale etiopica, legata per lo più alla cultura amhara che
aveva da sempre dominato l’altopiano etiope e che in tempi recenti si era espansa
sottomettendo popoli diversi. La natura di “Impero” esteso su più popolazioni dello
stato etiope è la causa di quel limitato sostegno che l’invasore italiano riesce a
riscontrare presso alcune popolazioni ed anche della lenta avanzata della piccola forza
che scorta il negus verso la capitale.
L’importanza rivestita dalla resistenza etiope può meglio essere apprezzata se si
considera che, delle regioni occupate dagli italiani, l’Etiopia è l’unica a ribellarsi
sistematicamente al dominio straniero, manifestando un tenace sentimento nazionale
precoce nel suo manifestarsi, perlomeno nell’ambito dell’Africa subsahariana.
Il fascino della storia etiope, e ciò che mi ha spinto ad approfondirne la conoscenza,
risiede proprio nella sua unica evoluzione che sembra ricalcare la storia della
formazione degli stati europei. Infatti partendo da uno stato feudale costantemente
dilaniato dai conflitti nati dai desideri di autonomia dei ras, e minata dallo scontro fra il
negus e la Chiesa Copta che pretende un ruolo decisionale non riconosciutole
dall’imperatore, lo stato si sviluppa poi intorno al contrastato assolutismo del negus
Haile Selassie nei suoi brevi anni di regno, ma i suoi sforzi saranno vanificati
dall’invasione italiana del 1935. Questo evento accelera ancora l’evoluzione dello stato
etiope con lo sviluppo di un sentimento nazionalistico di tipo moderno che però si trova
a convivere con le antiche rivendicazioni autonomistiche feudali così come con le
antiche affiliazioni tribali e religiose. Basti pensare che, mentre il primo nucleo di
studenti universitari e cadetti va sviluppando una mistica nazionale concentrata intorno
alla figura del negus, gli invasori si preoccuperanno di punire indovini e cantastorie che
ne predicano la prossima caduta.
Sono molti gli aspetti, di indubbio interesse, che andrebbero ancora approfonditi e
studiati, purtroppo la necessità di mantenere un andamento unitario e non dispersivo
non mi ha permesso per ora di far altro che raccogliere insieme gli eventi principali
della resistenza etiope per poterne meglio seguire gli sviluppi.
8
Capitolo I– L’Etiopia conquistata
1.1 Le condizioni dell’Etiopia alla proclamazione dell’Impero.
Il 9 Maggio 1936 Mussolini proclamava dinanzi all’Italia la “riapparizione dell’Impero
sui colli fatali di Roma” ma la nuova aggiunta ai possedimenti coloniali italiani non era
un qualsiasi ritaglio di terra d’Africa, bensì l’Etiopia, uno stato che poteva vantare una
civiltà antichissima risalente secondo alcuni studiosi al VII-V sec.a.C. Sviluppatasi
attorno al regno di Axum, una civiltà che era stata in stretto contatto con la cultura
egiziana, come testimoniato dalle sue stele di pietra così simili agli obelischi egizi, ma
anche con le culture semitiche dell’altra sponda del Mar Rosso: la versione leggendaria
che vorrebbe il regno etiopico fondato dal figlio della regina di Saba, la stessa che
secondo la Bibbia aveva recato preziosi doni al saggio re Salomone
1
è probabilmente
legata al ricordo di arcaiche invasioni di popolazioni yemenite nell’altipiano abissino.
Dominazione testimoniata dalla lingua, il gheez, di tipo semitico e ancora in uso per le
funzioni religiose, e dalla quale discendono le attuali lingue tigrè, tigrignà e amharignà.
La cultura che nacque sull’altopiano si mostrava quindi particolarmente evoluta: l’uso
di un vestiario completo, gli armamenti prossimi a quelli asiatici, una raffinata
oreficeria, un’agricoltura relativamente progredita sono elementi di netta distinzione
dalle culture subsahariane, cui si aggiungeva un ordinamento sociale particolarmente
complesso, formato da un’organizzazione politica monarchico-feudale e una società
strutturata in caste e gerarchie, attente alle differenze di classe e perfino alle differenti
specializzazioni, che comprendevano monaci, funzionari regi, cortigiani, giudici, nobili,
anziani, agricoltori, commercianti, artigiani, cantori, soldati. In cima a tale
organizzazione piramidale era posto il negus neghesti (re dei re) al di disotto del quale si
trovavano i ras, i signori feudali che governavano le varie regioni di cui era formato il
regno. In seguito l’adozione del Cristianesimo, nel IV sec.d..C., fornì ulteriori elementi
di coesione con il mondo semitico e, successivamente, con quello romano e poi
cristiano-bizantino fino alla conquista araba delle coste eritree e del bassopiano etiope,
che isolò per secoli la civiltà abissina, rinchiusasi nell’altopiano e in costante guerra con
l’invasore mussulmano.
1
I Re,10, Cern. Sul Nav., ed.Garzanti, 1964, p.474
9
L’arrivo dei portoghesi, convinti dopo la circumnavigazione dell’Africa di aver scoperto
il regno di Prete Gianni, il mitico regno cristiano che si doveva trovare oltre l’Impero
Ottomano, porta ai primi contatti con l’Europa, permettendo un’alleanza ai danni
dell’invasore musulmano ma, nonostante qualche vittoria militare, il regno Abissino
non riuscì a cogliere quest’occasione per espandersi e consolidarsi. Anzi i lunghi anni di
debolezza del trono abissino sfociarono nel periodo di torbidi e di lotte intestine note
come “Zamana Masafent” o Era dei Principi, a causa del gran numero di nobili che si
dichiaravano re, che permise la massiccia immigrazione di popolazioni Galla o Oromo,
tribù nilotiche di pastori nomadi provenienti dal centro dell’Africa con cultura, lingua e
persino religione profondamente diverse dalla quella sviluppatasi semitica
sull’altopiano
2
.
L’incoronazione di Teodoro II nel 1855 portò una svolta alla monarchia etiope, infatti
per opera sua e dei suoi successori il regno riuscì non solo a riottenere il controllo
dell’intero altipiano, ma anche a espandersi nei territori limitrofi scontrandosi in più di
un’occasione con alcuni ingombranti vicini, fra cui l’Egitto, poi l’Inghilterra e infine
l’Italia, cui la bruciante sconfitta di Adua nel 1896 rimase impressa nella memoria.
Il regno etiope entrava così nel ‘900 conservando la propria integrità territoriale, mentre
il resto dell’Africa veniva spartito fra le potenze coloniali europee ed anzi l’abilità del
ras Tafari Makonnen permise di superare gli scetticismi e le mire inglesi e italiane e
ottenere l’ammissione dell’Etiopia alla Società delle Nazioni il 28 settembre 1923,
unico stato africano ad accedervi come nazione indipendente. Questi sposando la figlia
dell’Imperatore Menelik II, Zauditu, ottenne prima la reggenza e poi l’incoronazione
con il nome di Haile Selassie I, il 2 novembre 1930, dando il via a una serie di riforme
che avrebbero dovuto trascinare l’Etiopia fuori da quello che lui stesso definì “un lungo
letargo”
3
. La modernizzazione coinvolse tutti i settori nei quali l’Etiopia era carente,
influenzata anche dal viaggio che Tafari aveva compiuto in Europa nel 1923,
coinvolgendo da subito l’istruzione: con l’apertura di scuole governative
4
,
preoccupandosi di chiamarvi a insegnare professori stranieri nel tentativo di
europeizzare la futura classe dirigente. Per lo stesso motivo, in assenza di scuole
secondarie e di università, lo stesso Tafari si curò di mandare a studiare all’estero circa
200 studenti
5
, mentre alla vigilia della guerra veniva aperta la prima Accademia militare
2
cfr. N. Piccioni, V.L. Grottanelli, Africa. Gli etiopici settentrionali, Roma, 1955 pp178 e ss.
3
A Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. La Conquista dell’Impero, Bari, ed. Laterza,1979, p.107
4
Del Boca parla di 600-700 ragazzi istruiti, in:op.cit., p.108
5
Del Boca., cit., p.108
10
in Etiopia a Oletta, i cui cadetti, addestrati da militari svedesi, svolgeranno in seguito un
ruolo importante nella resistenza.
Come per l’istruzione anche la sanità subì notevoli miglioramenti: furono costruiti
ospedali nelle maggiori città e la capitale Addis Abeba passò dall’unico esistente ai sei
nosocomi fatti costruire da Haile Selassie I
6
; seguirono i collegamenti moltiplicando i
percorsi stradali e istituendo un primo reticolo di collegamenti telefonici e telegrafici.
Naturalmente tutto ciò non poteva che apparire lontano dall’idea di modernità che
avevano gli occidentali
7
senza contare che in pieno Novecento in Etiopia era ancora
diffusa, seppur formalmente illecita, la schiavitù domestica, abitudine questa che
appariva inaccettabile in Europa, tanto che una dura campagna mediatica inglese nel
1922 invocava il protettorato per cancellare questa piaga
8
.
Ma oltre che dall’Europa il potere del negus era minacciato costantemente dalla stessa
società feudale che lo incoronava, e anche Tafari era giunto al potere deponendo nel
1916 suo cugino, il ligg Yasu che nel 1908 era stato designato suo successore da
Menelik, e da allora aveva dovuto districarsi in una fitta serie di complotti di palazzo ed
insurrezioni aperte contro un potere accentratore mal sopportato da chi era abituato a
governare in piena sovranità i propri territori, . Nei loro confronti, Hailé Selassié attuò
sempre una politica di cauto equilibrio, giocando anche, ma in realtà con scarso
successo, sulle alleanze matrimoniali
9
, per poi approdare ad alcune riforme istituzionali
nate con l’intenzione di attuare quell’accentramento di potere necessario per traghettare
l’Etiopia nella modernità. Prima e più importante riforma fu quella di dotare il paese di
una Costituzione, la prima dell’Etiopia, emanata subito dopo l’incoronazione, con il
preciso intento di concentrare il potere nelle mani del negus. Infatti, come ricorda Del
Boca, “più della metà dei suoi 55 articoli servono a definire i suoi immensi poteri”
10
. A
questa seguirono varie riforme dagli esiti diversi: fallimentare quella di eliminare il
sistema tributario in vigore, che vedeva i gabbar, i contadini, costretti a pagare tributi
vessatori ai propri signori in una società che dopo l’espansione del regno di Menelik II
vedeva “la popolazione(...)divisa fra conquistatori e conquistati”
11
, questi ultimi spesso
6
AA.VV., L’Impero fascista. Italia ed Etiopia 1935 – 1941, a cura di R.Bottoni , Bologna, ed.Il Mulino, 2008, cit., p.72
7
Del Boca., cit., p.109
8
Del Boca., cit., p.99
9
A. Mockler, Il mito dell’Impero.Storia delle guerre italiane in Abissinia e in Etiopia, Milano, ed.Rizzoli 1977, pp.35 e
ss.
10
Del Boca., cit.,p.125
11
Bottoni, cit., p.76
11
anche etnicamente e religiosamente separati dai conquistatori Amhara che gli
imponevano ras e tributi.
Se i tentativi di immettere una tassazione unica non approdarono a nulla, scontrandosi
con l’ostilità dei ras e la mancanza di apparati per censire la popolazione, meglio andò
l’ammodernamento dei ministeri i quali lentamente approdarono all’uso delle
comunicazioni scritte
12
.
Altro grande freno all’azione riformatrice di Haile Selassie fu la Chiesa Copta, custode
della tradizione etiope e ostile ad ogni innovazione, cui si dovette far accettare il viaggio
di Tafari in Europa nel 1923 che rompeva la tradizione che voleva che i sovrani etiopi
non lasciassero il paese se non per il caso del “mitico viaggio della regina di Saba e di
suo figlio”
13
, ricorrendo a un lungo cerimoniale e invocando la benedizione del
metropolita sul viaggio. Lo stesso clero si oppose in seguito alla costruzione della prima
scuola statale, che avrebbe distolto i giovani dalla religione, e all’introduzione delle
tecnologie moderne tanto da far rispedire al mittente il primo aereo introdotto dal
sovrano nel paese
14
.
Ma nonostante opposizioni e resistenze interne, l’Etiopia di Haile Selassie era un paese
in via di modernizzazione, una modernizzazione che preoccupava il principale
avversario dell’Etiopia, l’Italia fascista. Se il desiderio di rivalsa per la bruciante
sconfitta di Adua era rimasto latente nei governi liberali, questo non poteva non essere
soddisfatto da chi le prometteva un futuro di grande potenza. Già nei primi anni dalla
sua ascesa al potere il negus sospetta degli italiani
15
, accusati di fomentare le rivolte
contro il nuovo potere statale che il negus sta tentando di imporre, e per prevenire
ulteriori manovre prova persino a legarsi all’Italia da un patto di amicizia nel 1928. Ma
le manovre di Haile Selassie I non riescono a mutare le mire fasciste, soprattutto
quando, al sopraggiungere del decennale della Marcia su Roma, il regime necessita di
ravvivare i consensi intorno a sé, decidendo la conquista dell’Etiopia nel 1932
16
.
Preparati i piani militari e aumentati i contingenti di truppe nelle colonie limitrofe,
l’occasione offerta da un incidente di frontiera a Ual Ual nel dicembre ’34 che “nella
storia dei rapporti italo-etiopici non era certo il primo nè il più grave”
17
, fornì il pretesto
della difesa dei propri confini coloniali per giustificare la guerra, condotta nonostante
12
Bottoni, cit., pp.76-77
13
Bottoni, cit.,.p 71
14
Bottoni, cit., p.72
15
Del Boca, cit., pp.101-114-120
16
Del Boca, cit., pp.170 -178
17
Del Boca, cit. p.254