2
trait d’union tra il cinema muto e quello parlato; Fernandel ha unito alla mimica eccezionale una
notevole verve comica in cui il gesto e il tono della voce giocano un ruolo importante; Louis de
Funès ha poi aggiunto all’ammiccamento una parlantina straordinaria ed un ritmo capace di
travolgere lo spettatore in un intreccio fitto di azioni, gags e spunti comici di ogni genere, tra i quali
spicca il gusto per il travestimento.
Alla luce di questi processi che hanno formato il background di Veber, ho scelto una scena
particolarmente esilarante del film Le dîner de cons, quella della telefonata di François Pignon a
Juste Leblanc, amico di vecchia data di Pierre Brochant. Per sapere se sua moglie si trova da
Leblanc, suo ex-compagno, Pignon deve fingersi produttore cinematografico, intenzionato a
comprare i diritti di un romanzo di Leblanc; la scena si svolge nella prima parte del film ed è stata
oggetto di un’attenta analisi mirata a sottolineare le differenze tra la versione francese e quella
italiana al fine di comprendere i motivi delle scelte traduttive attuate. Analogamente ho analizzato
altre scene che, pur apparendo secondarie, contribuiscono in modo determinante a creare un milieu
che faccia da sfondo ai protagonisti della vicenda e ad arricchire di sfumature le figure principali in
modo da non offrire delle macchiette, ma dei personaggi ben individuati; ciò era manifestamente
nelle intenzioni di Veber, come dimostra il fatto che pur avendo creato un personaggio mite,
bonario e ridicolo come Pignon egli preferisca affidare questo ruolo ad attori differenti durante il
corso della sua carriera registica.
Il capitolo Osservazioni sulla resa italiana dell’originale francese prende in considerazione
i fenomeni traduttivi più rilevanti individuati ed il capitolo seguente Analisi di una scena intera:
Brochant e Pignon si sofferma sulle singole battute proponendo le ipotesi più probabili sulle scelte
traduttive attuate nella resa in italiano.
Questo lavoro di analisi ha messo in luce gli elementi originali della comicità francese,
individuando di contro le differenti caratteristiche della comicità italiana che ha comunque
permesso di proporre al pubblico un prodotto efficace ed esilarante in grado di decretare il successo
del film anche nelle nostre sale.
3
Parte I
Riflessioni sulla comicità in Francia dalle origini del
cinema
4
1. Henri Bergson, “sur la signification du comique”
Tra i vari argomenti affrontati da Henri Bergson
1
, particolarmente pregiata è la riflessione
sui meccanismi che scatenano il riso. Ad essa sono dedicati tre importanti articoli pubblicati dal
filosofo nel 1899 sulla Revue de Paris e riuniti l’anno successivo nel saggio Le rire. Essai sur la
signification du comique.
L’autore non si propone di fornire una mera definizione del concetto di “riso”, ma di
cogliere dal vivo i frutti della fantasia comica:
“[…] nous ne viserons pas à enfermer la fantaisie comique dans une définition. Nous voyons
en elle, avant tout, quelque chose de vivant. Nous la traiterons, si légère soit-elle, avec le
respect qu’on doit à la vie. Nous nous bornerons à la regarder grandir et s’épanouir. De
forme en forme, par gradations insensibles, elle accomplira sous nos yeux de bien
singulières métamorphoses.”
2
Bergson parte dalla convinzione che il riso abbia una funzione sociale. Egli si domanda
quale sia il meccanismo che gli dà vita, considerando il riso in quanto gesto peculiare del
comportamento umano.
Per comprendere il fine cui mira un comportamento si deve in primo luogo far luce sulle
occasioni in cui accade. A questo proposito Bergson sottolinea alcuni punti fondamentali; la sua
prima importante affermazione è:
“Il n’y a pas de comique en dehors de ce qui est proprement humain.”
3
1
“Bergson, Henri (Parigi 1859-1941), filosofo francese. Nato da una famiglia di origine ebraica, si laureò in filosofia e
matematica all'Ecole Normale Supérieure di Parigi. Nel 1899 fu nominato professore di filosofia al Collège de France,
dove il suo insegnamento ottenne un successo enorme. Nel 1914 Bergson divenne membro dell'Accademia di Francia e
nel 1927 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura. Bergson fu un maestro di stile nella prosa e un oratore
brillante e vivace. I suoi libri, ma anche gli articoli e le lezioni sulla filosofia, sull'arte e sulla letteratura del XX secolo
esercitarono una grande influenza e dettero vita a un movimento autonomo, il ‘bergsonismo’, etichettato come
intuizionismo filosofico. Tra i suoi scritti più importanti ricordiamo: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889),
Materia e memoria (1896), Evoluzione creatrice (1907), Il riso. Saggio sul significato del comico (1900) e Due fonti
della morale e della religione (1934).” (da Microsoft Encarta Enciclopedia Online, 2007).
2
BERGSON H., Le rire. Essai sur la signification du comique, P.U.F., Parigi, 1961, pp.1-2.
“Noi non aspiriamo anzitutto a chiudere la fantasia comica in una definizione. Noi vediamo in essa, in primo luogo,
qualcosa di vivente, e per quanto leggera essa paia, le useremo il rispetto che si deve alla vita, limitandoci a guardarla
sbocciare e crescere. A poco alla volta, con insensibili gradazioni, compirà sotto i nostri occhi molte metamorfosi
singolari.” (da BERGSON E., Il riso. Saggio sul significato del comico, traduzione a cura di A. Cervesato e C. Gallo,
Laterza, Bari, 1916, pp.1-2).
3
“Non v’è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano.” (da BERGSON E., ivi, p.3).
5
L’umanità è la chiave di volta dell’intero sistema; ogni oggetto, paesaggio o animale suscita
ilarità per il rapporto che stabilisce col mondo umano e non per una sua caratteristica tipica. Uno
strano cappello non sarà quindi buffo per le sue caratteristiche materiali, ma piuttosto perché si
scorge in esso un “caprice humain dont il a pris la forme”
4
. Lo stesso si può affermare per un
animale che diventa comico se assume attitudini o espressioni propriamente umane.
Altrettanto degno di rilievo è l’ambito in cui solitamente scaturisce la comicità. L’effetto
maggiore si ha quando l’ambiente è calmo ed uniforme, indifferente; il maggior nemico del riso è
infatti l’emozione. Faremmo fatica a deridere una persona che ci ispira pietà o affetto; è per questo
motivo che quando ridiamo di qualcuno o di una data situazione ci troviamo a rinunciare alla nostra
sensibilità. È molto più facile ridere in veste di spettatore indifferente ed in quel caso bisogna fare
appello solo alla nostra intelligenza:
“Le comique exige donc enfin, pour produire tout son effet, quelque chose comme une
anesthésie momentanée du cœur. Il s’adresse à l’intelligence pure.”
5
Questa intelligenza, tuttavia, non deve rimanere isolata: non godremmo appieno di una
situazione comica se fossimo da soli e non la condividessimo con nessuno; sembra che il riso abbia
bisogno di un’eco e che necessiti di un gruppo di persone tra le quali si crei una certa complicità:
“Le comique naîtra, semble-t-il, quand des hommes réunis en groupe dirigeront tous leur
attention sur un d’entre eux, faisant taire leur sensibilité et exerçant leur seule intelligence.”
6
Se il riso come comportamento umano sorge nella vita associata, quindi, si può supporre che
esso risponda a determinate esigenze della vita sociale, rimandando la riflessione all’affermazione
“il riso ha una funzione sociale”.
Per far luce sul motivo che ci induce a ridere non basta indicare quando ridiamo: occorre
riflettere anche su ciò di cui ridiamo. Per orientarsi in questa parte del discorso bisogna
obbligatoriamente lasciarsi guidare da alcuni esempi significativi proposti da Bergson.
4
“capriccio umano di cui esso ha preso forma” (da BERGSON E., ibidem ).
5
“Il comico esige dunque, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa come un’anestesia momentanea del cuore: si dirige
alla pura intelligenza.” (da BERGSON E., ivi, p.5).
6
“Il «comico» nasce quando uomini riuniti in gruppo dirigono l’attenzione su uno di loro, facendo tacere la loro
sensibilità ed esercitando solo la loro intelligenza.” (da BERGSON E., ivi, p.8).
6
Il primo prende in considerazione la rottura involontaria di un’azione svolta
meccanicamente:
“Un homme, qui courait dans la rue, trébuche et tombe : les passants rient. On ne rirait pas
de lui, je pense, si l’on pouvait supposer que la fantaisie lui est venue tout à coup de
s’asseoir par terre. On rit de ce qu’il s’est assis involontairement. Ce n’est donc pas son
changement brusque d’attitude qui fait rire, c’est ce qu’il y a d’involontaire dans le
changement, c’est la maladresse. Une pierre était peut-être sur le chemin. Il aurait fallu
changer d’allure ou tourner l’obstacle. Mais par manque de souplesse, par distraction ou
obstination du corps, par un effet de raideur ou de vitesse acquise, les muscles ont continué
d’accomplir le même mouvement quand les circonstances demandaient autre chose. C’est
pourquoi l’homme est tombé, et c’est de quoi les passants rient.”
7
In opposizione al caso sopracitato si può analizzare un’altra situazione, in cui è presente una
‘vittima’ poiché lo spettatore che ride passa da osservatore a carnefice. Il burlone agisce
modificando gli oggetti che la vittima usa normalmente nella vita quotidiana e fa sì che si creino
una serie di situazioni ridicole mirate a suscitare la sua ilarità:
“Ce qu’il y a de risible dans un cas comme dans l’autre, c’est une certaine raideur de
mécanique là où l’on voudrait trouver la souplesse attentive et la vivante flexibilité d’une
personne.”
8
In linea generale il tipo più adatto a creare situazioni comiche è il distratto, che ha come
tratto peculiare non una rigidità meccanica casuale e superficiale data da un intervento esterno, ma
una meccanicità che si è installata nella sua persona; è proprio il distratto, infatti, a fornire alla
comicità tutto, materia e forma, causa ed occasione. Ecco perché è proprio questo tipo di
personaggio il prototipo della comicità; egli accresce l’ilarità suscitata dai suoi movimenti e dalle
situazioni ridicole in cui si trova per il fatto di essere completamente ignaro della propria “dote”
comica:
“[…] un personnage comique est généralement comique dans l’exacte mesure où il s’ignore
lui-même. Le comique est inconscient. Comme s’il usait à rebours l’anneau de Gygès, il se
rend invisible à lui-même en devenant visible à tout le monde.”
9
7
“Un uomo che corre sulla via, inciampa e cade: i passanti ridono. Non si riderebbe di lui se si potesse supporre che a
quell’uomo è all’improvviso venuta voglia di sedersi per terra: si ride perché egli si è seduto involontariamente. Non è
dunque il suo brusco cambiamento d’attitudine che fa ridere, ma ciò che v’è d’involontario e di maldestro nel
cambiamento. Una pietra era forse sulla via, bastava rallentare il passo o sviare l’ostacolo. Ma per mancanza di agilità,
per distrazione o ostinazione del corpo, per effetto di « rigidità» o di «celerità acquisita», i muscoli han continuato a
compiere il movimento di prima, quando le circostanze ne richiedevano un altro. È questa la ragione per cui l’uomo è
caduto – e di ciò i passanti ridono.” (da BERGSON E., ivi, pp.8-9).
8
“Ciò che v’è di ridicolo nell’un caso o nell’altro è una certa rigidità di meccanismo, là dove si vorrebbe trovare
l’attenta agilità e la vivente pieghevolezza.” (da BERGSON E., ivi, p.9).
7
Bergson, inoltre, vede il comico come una sorta di “castigo sociale” con cui la comunità
(intesa come specie), rifiuta e corregge i comportamenti percepiti come contrari allo “slancio vitale”
tipico della vita stessa. Questi comportamenti sono quelli meccanici (“Ridiamo tutte le volte che
una persona ci dà l'impressione di una cosa”) o quelli monotoni che aderendo ciecamente alle regole
della società, soffocano la fluidità, la libertà auto-creatrice della vita.
La comicità non scaturisce da certi meccanismi, non dipende dagli espedienti che si possono
mettere in opera per far ridere; la comicità risponde al bisogno dell’anima dell’uomo di rallegrarsi
anche in presenza di un altro uomo, di cui il primo condivide e comprende limiti e difficoltà.
Comico è qualcosa di elementare che stimola la nostra umanità a riconoscersi nell’altro e a superare
nel riso l’alterità.
9
“Un personaggio comico è tale nell’esatta misura in cui egli ignora di essere comico. Il comico è incosciente: come se
usasse a rovescio l’anello di Gige, si rende invisibile a se stesso, mentre è visibile a tutti.” (da BERGSON E., ivi, p.15).
8
2. Il comico nel cinema
“Un amico mi domandò una volta che cos’è la comicità. Caddi dalle nuvole. Che cosa è la
comicità? Io non lo so. Qualcuno lo sa? La potete definire? Quello che so io, è quello che ho
imparato per fare ridere, e questo è tutto ciò che conosco a proposito della comicità.”
Stan Laurel
10
Far ridere è sempre stata una delle principali prerogative di qualsiasi forma teatrale o
cinematografica. Il riso è sempre più spesso contagioso del pianto, si adatta a qualsiasi pubblico o
platea perché il linguaggio con cui parla è universale, si trasmette a velocità incredibili anche
quando lo spettacolo finisce (è più facile infatti che ci si racconti la scena comica di un film, invece
di quelle sentimentali o drammatiche che per essere spiegate necessitano di descrivere l'intera storia
e la psicologia dei personaggi). La comicità ha la capacità di ritagliarsi uno spazio all'interno di uno
spettacolo e di vivere autonomamente.
La vera forza del comico sta nel far leggere la realtà in modo diverso o alternativo rispetto a
quello convenzionale
11
; si potrebbe quasi affermare che non si tratta di un vero e proprio genere, ma
di un’opposizione a tutti i generi esistenti:
“Le comique n’est pas un “genre”, mais l’envers de tous les autres et l’envers de tous les
comportements déterminés par l’action, la réflexion, les sentiments et les émotions.”
12
Nel linguaggio risulta comico tutto ciò che è relativo alla “funzione fàtica”: automatismi,
ripetizioni, luoghi comuni, eufemismi:
“Il gioco di parole svela dunque sempre una distrazione momentanea del linguaggio, ed è
comico per questo.”
13
10
GIUSTI M., Laurel & Hardy, La Nuova Italia, Il Castoro, n.57, Firenze, 1978 in CREMONINI G., Playtime. Viaggio
non organizzato nel cinema comico, Lindau, 2000, p.5.
11
“Il comico è un modo per mettere in discussione la realtà attraverso una rappresentazione trasgressiva o straniata o
comunque critica, giocando sul rovesciamento e sullo spostamento delle forme correnti e delle convenzioni, sia per
suggerire il cambiamento, ovvero, al contrario, per ristabilire l’ordine, evidenziando l’asocialità di certi
comportamenti.” (da ‘comico’, Microsoft Encarta enciclopedia online 2007).
12
EMELINA J., Le comique. Essai d’interprétation générale, Sedes, 1999, p.171.
13
FO D., Manuale minimo dell’attore, Einaudi, Milano, 1983, p.353.
9
Un classico esempio di questo automatismo è il cosiddetto “tormentone”, vale a dire la
ripetizione all’interno di uno sketch di una parola chiave o di una frase in modo incessante
scatenando l’ilarità del pubblico:
“[…] la ripetizione di una parola non è mai ridicola di per se stessa. Essa ci fa ridere in
quanto simboleggia un certo gioco particolare d’elementi morali, simbolo esso stesso d’un
gioco materiale. E’ il gioco del gatto che scherza col topo, il gioco del fanciullo che spinge e
respinge il diavolo in fondo alla scatola; ma fatto raffinato, spiritualizzato, trasportato in una
sfera di sentimenti e d’idee. Enunciamo una legge che secondo noi definisce i principali
effetti comici di ripetizioni di frasi a teatro: in una ripetizione comica di frasi vi sono
generalmente di fronte due termini: un sentimento compresso che si ritira come una molla ed
un’idea che si diverte a comprimere di nuovo il sentimento.”
14
Il tormentone è soltanto una delle molteplici tecniche utilizzate dagli attori comici
all’interno delle gag. Queste ultime rappresentano il fulcro della comicità e proprio per la loro
importanza hanno scatenato un dibattito che riguarda la loro collocazione all’interno della
narrazione. Spesso accade infatti che si distacchino dall’asse narrativo principale e si rapportino
meno coerentemente allo svolgimento della storia. Il comico, infatti, presenta una struttura
frammentata di cui si ricordano prevalentemente le gag e non la tenue linea narrativa che le unisce.
Nell’espressione comica sono spesso i deboli ad essere oggetto di critica e derisione
mostrando il lato crudele della farsa. Veniamo spinti dunque a ridere della stupidità del mondo o
della sua sconfitta e dei suoi fallimenti. L’oggetto della derisione, tuttavia, non si presta
semplicemente a fungere da bersaglio, al contrario si fa vittima ricordandoci le nostre sofferenze e
trasformandole istantaneamente in occasione di ilarità: ci spinge a ridere di ciò che dovrebbe farci
piangere; come spiega Cremonini:
“ Nel comico anche i deboli sono sottoposti a critica e derisione. Di fronte al protagonista
del racconto comico ci riconosciamo in lui, ma abbiamo anche la certezza di essergli
superiori; ridiamo di lui perché ci sembra, in qualche misura, ridicolo, se non proprio
stupido. E in questo modo finiamo in qualche misura per ridere anche di noi.”
15
Il sottile gioco della comicità ci fa ridere dei nostri stessi difetti. Non ridiamo tuttavia dei
difetti in quanto tali, ma del modo in cui essi si manifestano; importante è la loro intensità, intesa
14
BERGSON E., Il riso. Saggio sul significato del comico, traduzione a cura di A. Cervesato e C. Gallo, Laterza, Bari,
1916, pp.68-69.
15
CREMONINI G., Playtime. Viaggio non organizzato nel cinema comico, Lindau, 2000, p.41.
10
come grado di inconsapevolezza. I gesti involontari che rivelano magari un vizio che si vuole
nascondere sono estremamente esilaranti. Ed è proprio per questo che l’azione è fondamentale nel
dramma e il gesto nella commedia:
“[…] l’azione è voluta, in tutti i casi è cosciente; il gesto sfugge, è automatico.”
16
Perché il difetto faccia ridere inoltre, come sosteneva Bergson, non è tanto importante che
sia più o meno morale, quanto in contrasto con la società di appartenenza, è insociabile:
“La verità è che il personaggio comico può a rigore, essere in regola con la stretta morale:
gli resta solamente di mettersi in regola con la società. Il carattere d’Alceste è quello d’un
uomo perfettamente onesto; ma è insociabile e perciò comico.”
17
In conclusione, la comicità è in realtà un’occasione per acquistare consapevolezza dei nostri
difetti e di quelli altrui tramite un modo di esprimersi che non ha preclusioni di campo e non
riconosce niente di sacro (si può ridere anche delle vittime e degli oppressi; si può affrontare ogni
argomento in modo comico). Tutto ciò ci permette di capire la società in cui viviamo, ma anche di
capire noi stessi, quella nostra interiorità che ci sfugge o che non volgiamo affrontare e che ci
appare meno aggressiva scorta in un altro:
“Ridere del mondo e dell’uomo per capire sia l’uno che l’altro, le sue distorsioni, la sua
cecità, la sua stupidità: non dobbiamo avere paura della comprensione e dei mezzi di cui si
serve. Perché da un lato il fine giustifica i mezzi, e dall’altro, come diceva Barthes, la
conoscenza può essere in sé deliziosa: in qualunque forma si presenti e a qualunque costo.”
18
2.1 Le origini
La comicità nei primi film del ‘900 scaturisce da semplici situazioni comiche che senza
bisogno di parole riescono a suscitare il riso come avveniva secoli prima nella Commedia
dell’Arte
19
. Lo spettatore rideva della mimica dell’attore e degli effetti comici che si producevano
16
BERGSON E., Il riso. Saggio sul significato del comico, traduzione a cura di A. Cervesato e C. Gallo, Laterza, Bari,
1916, p.18.
17
BERGSON E., ivi, p.130.
18
CREMONINI G., Playtime. Viaggio non organizzato nel cinema comico, Lindau, 2000, p.16.
19
“Forma di rappresentazione teatrale nata e sviluppatasi in Italia nel corso del Cinquecento. Diffusa in tutta Europa,
divenne molto popolare in Francia, dove veniva recitata dagli attori della Comédie-Italienne, nome assunto dal teatro
dell’Hôtel de Bourgogne quando, a partire dal 1680, vi si installarono i comici italiani. La definizione Commedia
dell’Arte (il termine arte qui ha il significato medievale di mestiere) venne appositamente creata per distinguere il teatro
11
sulla scena: rincorsa, inciampo, caduta accidentale di un oggetto fragile, percosse inflitte con un
bastone alla vittima designata. Questo aggeggio, noto come battacio, era composto da due assi di
legno e serviva a produrre un rumore molto forte, anche se sbattuto delicatamente, che contribuiva
ad aumentare l’effetto comico; in Inghilterra era noto come slapstick (lett. “schiaffo col bastone”).
Lo stile teatrale slapstick era basato su esercizi acrobatici, rincorse a ostacoli, inseguimenti a
perdifiato, salti mortali e piroette; l'attore doveva essere in grado di intrattenere e attirare
l’attenzione di piazze molto grandi stipate di gente e una maschera e delle acrobazie gli
permettevano di riuscire nel suo intento.
Il primo esempio di cinema comico si ha il 28 dicembre 1895 con la proiezione de
L’arroseur arrosé (L’innaffiatore innaffiato) dei fratelli Lumière. Sesto dei dieci cortometraggi
presentati quella sera, è la prima pellicola cinematografica con una vera e propria trama, non un
documentario o la ripresa di un evento come nelle prime proiezioni dei fratelli Lumière. Si tratta di
una semplice scenetta comica di 49 secondi con un ingenuo giardiniere come protagonista. Mentre
quest’ultimo innaffia le sue piante, un ragazzo arriva da dietro e senza farsi vedere blocca con un
piede la canna e quindi l’afflusso dell’acqua. Stranito, il giardiniere prova a guardare all'interno
della canna cosa mai potrebbe bloccare l'afflusso, al che il giovane burlone alza il piede e innaffia il
malcapitato (da qui il titolo L’innaffiatore innaffiato). Il giardiniere avrà però la sua rivincita
rincorrendo il ragazzo e rifilandogli un calcio.
La tappa successiva nello sviluppo del cinema comico ha ancora la Francia come paese di
riferimento. Essa infatti, all’inizio del ‘900, rappresentava una forte ed ineguagliata potenza
cinematografica all’interno del panorama mondiale.
rappresentato da attori di professione da quello praticato nelle corti da letterati e cortigiani e sui sagrati delle chiese da
chierici e diaconi. Si caratterizza per l'uso di maschere, ognuna incarnazione di un vizio umano, e di tecniche
acrobatiche. Le maschere più famose sono Arlecchino, Pulcinella, Balanzone, Scaramuccia, Pantalone, Brighella,
Truffaldino, Stenterello, Colombina, Isabella, Silvia.” (da ‘commedia dell’arte’, Microsoft Encarta enciclopedia online,
2007).