3
righe del quotidiano, è possibile leggere una sorta di “doppio
gioco”? A spingersi troppo in là si rischia di stravolgere la storia,
meglio allora attenersi a ciò che è realmente accaduto.
Ermanno Amicucci assunse la direzione del Corriere il 6
ottobre 1943. La sua candidatura era già stata varata durante la
prima riunione del risorto Governo fascista svoltasi alla Rocca
delle Caminate il 27 settembre. Mussolini era assolutamente
cosciente che per tornare a riassaporare la popolarità di un
tempo era necessario servirsi della carta stampata; per questo,
alla direzione dei più importanti quotidiani del Nord ci volevano
persone fidate. È difficile credere quindi che un uomo scelto dal
Duce potesse poi “flirtare” anche con l’altra sponda. Amicucci
non lo fece, usando la sua penna per dare un costante e
risoluto sostegno a tutte le decisioni prese dalla Repubblica e
dal suo capo indiscusso. Ma sul giornale qualcosa accadde.
Il caso più emblematico è certamente quello di Carlo
Silvestri, amico di Mussolini ed ex cronista del Corriere, che in
maniera confusionaria ma caparbia cercherà di fare in modo
che le parti in conflitto si plachino, trovando pace in una
riconciliazione difficile ma possibile. Nel terzo capitolo di questo
volume viene presa in esame l’opera di Silvestri, contorta ma
dirompente, complessa ma intrigante, comunque fallimentare. E
non solo. Quando nell’aria ormai si avverte che la vita della
Repubblica è appesa ad un filo, ecco apparire alcuni articoli (in
particolar modo di Lando Ferretti e di Edmondo Cione) che
inneggiano alla morale, ad una sorta di bene superiore che
dev’essere raggiunto per salvare l’Italia e (dopo parecchi mesi
dagli scritti di Giramondo, ovverosia Silvestri) un rinnovato
appello affinché le due parti si uniscano e non finiscano di
distruggersi.
4
Ecco perché in questo volume, a fianco degli eventi
raccontati sia attraverso un quadro storico sia tramite gli articoli
del giornale, si è cercato di studiare, di approfondire e di
vagliare la posizione del Corriere. Attraverso il quale, pur
rimanendo un quotidiano dichiaratamente fascista, per tutto
l’arco della Repubblica si avverte un certo imbarazzo per le
impacciate e sterili azioni di Governo e nel contempo per la
dura realtà che vede scontrarsi fazioni di uno stesso popolo.
Ma gli eventi dell’aprile ’45 segnano un nuovo corso
anche per il Corriere creando così i presupposti per un’altra
storia che però non ci riguarda più.
5
CAPITOLO UNO
Caduta e resurrezione del Duce: gli eventi che
hanno portato alla nascita della Repubblica di Salò
“Signori, voi avete aperto la crisi del regime”
Benito Mussolini alla fine della seduta del Gran Consiglio del 25/07/1943
1.1 L’ordine del giorno Grandi apripista del governo
Badoglio
L’ultima edizione pomeridiana del Corriere della Sera del
26-27 luglio 1943 titolava: Il Saluto del popolo italiano al
Governo del Maresciallo Badoglio. L’annuncio alla nazione
era il seguente: «Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le
dimissioni della carica da Capo del Governo, Primo Ministro
segretario di Stato, presentate da Sua Eccellenza il cavaliere
Benito Mussolini ed ha nominato Capo del Governo, Primo
Ministro segretario di Stato Eccellenza il cavaliere Maresciallo
d’Italia Pietro Badoglio»
1
. Direttore della testata di via Solferino
era Aldo Borelli, abile fino a quel momento nel distribuire in
maniera imparziale gli spazi del suo giornale sia al regime che
alla monarchia, con uno stile pacato, senza la ricerca di titoli a
sensazione o colpi ad effetto. Fu egli stesso a guidare il
trapasso della linea politica lasciando la direzione a Filippo
Sacchi. In realtà poi l’editore Crespi decise che dal 1° agosto
Ettore Janni avrebbe diretto l’edizione mattutina e lo stesso
Sacchi quella serale
2
.
1
Il Saluto del popolo italiano al Governo del Maresciallo Badoglio, Corriere della Sera, 26-
27/07/1943
2
V. Paolucci, I quotidiani della Repubblica Sociale Italiana, Argalìa Editore, Urbino 1987, pagg.
41-42
6
Nella notte tra il 24 ed il 25 luglio nelle stanze di Palazzo
Venezia si era consumato quello che Mussolini ricorderà
sempre come un tradimento ed un vero e proprio colpo di Stato.
L’Italia stava attraversando un periodo tutt’altro che facile: era
chiaro come il paese e le sue forze armate non fossero più in
grado di sostenere l’impegno bellico assunto assieme a
Germania e Giappone. Le truppe americane erano poi sbarcate
in Sicilia (il 9 luglio del ’43), si prospettava una lenta ma
inesorabile risalita alla conquista di Roma. Fra i componenti del
Gran Consiglio del Fascismo il malumore era palpabile;
Mussolini era ovviamente ritenuto tra i principali responsabili di
questa tremenda situazione soprattutto perché su di sé aveva
accentrato tutti i poteri e tutte le scelte. Ci si aspettava ora che
capisse come il paese fosse nell’impossibilità di proseguire il
conflitto e che trovasse il modo di farlo sapere all’alleato Hitler.
La convocazione per le ore 17 del 24 luglio del Gran Consiglio
era stata preceduta da un’intensa attività da parte del
Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Dino
Grandi, perché un suo ordine del giorno venisse sottoscritto da
parte degli altri consiglieri già prima della riunione stessa. Tale
risoluzione prevedeva in sostanza il ripristino di tutte le funzioni
statali ed il passaggio del comando delle forze armate da
Mussolini al Re.
Vennero nel frattempo approntati altri due ordini del
giorno. Uno da parte di Farinacci, il “ras” di Cremona,
desideroso, nemmeno poi tanto segretamente, d’essere il
successore del Duce. Il testo di Farinacci era molto simile a
quello di Grandi. Se quest’ultimo affermava che il Gran
Consiglio «…dichiara che a tale scopo è necessario l’immediato
ripristino di tutte le funzioni statali attribuendo alla Corona, al
7
Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i
compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statali e
costituzionali…»
3
, Farinacci aggiungeva un solo elemento,
ovverosia il Partito (come segno di continuità e di rispetto verso
Mussolini), ai vari soggetti istituzionali che si dovevano far
carico dei compiti e delle responsabilità stabiliti «dal nostro
Statuto e dalla nostra legislazione»
4
. Inoltre, se Grandi invitava
Mussolini a pregare il Re di assumere l’effettivo comando delle
forze armate, Farinacci più moderatamente sollecitava il Capo
del Governo a chiedere tale impegno al Re
5
. Nonostante quindi
Farinacci si fosse prodigato nello scrivere in maniera che il suo
intervento risultasse il meno irriverente possibile nei confronti
del Duce, il messaggio in esso contenuto in tutto e per tutto
ricalcava quello stesso di Grandi.
Il terzo ordine del giorno era del Segretario del Partito
Carlo Scorza ed in esso egli semplicemente richiamava la
necessità di attuare riforme ed innovazioni nel Governo, nel
Comando Supremo e nella vita intera del Paese per rendere
vittorioso lo sforzo unitario del popolo italiano
6
. Alle 2.40 del
mattino di domenica 25 luglio, dopo circa dieci ore di riunione,
avvenne la votazione. Il Corriere della Sera del 27 luglio mattina
riporta in prima pagina un commento su queste giornate
decisive («”Deve andarsene”, dicevano, e non sapevano che in
realtà se n’era già andato»
7
) e pubblica il testo di Grandi votato
dal Gran Consiglio del Fascismo: «…dichiara che a tale scopo
è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali,
attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al
3
F.W.Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1970, pagg. 609-610
4
Ivi, pag. 610
5
Ivi
6
Ivi, pag. 611
7
Le due giornate decisive a Roma, Corriere della Sera, 27/07/1943
8
Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità
stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il
Capo del Governo a pregare la maestà del Re … affinché egli
voglia … assumere con l’effettivo comando delle Forze armate
di terra, di mare e dell’aria … quella suprema iniziativa di
decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono … Hanno
risposto “sì”: Grandi, Federzoni, De Bono, De Vecchi, Ciano, De
Marsico, Acerbo, Pareschi, Cianetti, Balella, Gottardi, Bignardi,
De Stefani, Rossoni, Bottai, Marinelli, Alfieri, Albini, Bastianini.
Hanno risposto “no”: Scorza, Biggini, Poverelli, Tringali
Casanova, Frattari, Buffarini, Galbiati, Astenuto: Suardo»
8
.
La notizia delle “dimissioni” di Mussolini accese gli animi
di una popolazione ormai stanca, sfinita e fiaccata da un
conflitto mai accettato, tanto che, ignara del periodo
difficilissimo che si presentava alle porte, già sognava la pace
e la fine della guerra. Sul quotidiano milanese si può leggere un
articolo intitolato Il patriottismo di Milano. Il cronista si è spinto
tra le strade della città per vivere l’entusiasmo e la sorpresa
della folla: «La prima notizia del grande avvenimento non ce
l’ha data la radio. Ce l’ha data la voce di un uomo»
9
. Cortei,
bandiere tricolori, urla, tutto è documentato: «Fuori per la strada
il rumore dei passi e delle voci aumentava di continuo. Ora si
udivano distintamente gridi di “Viva l’Italia” e di “Viva la Libertà”,
un acciottolio ordinato di passi denunciava il formarsi dei primi
cortei. Diremmo che la manifestazione era vibrante, se questo
aggettivo fosse ancora lecito, nel vocabolario italiano»
10
. Libertà
è la parola magica, da tempo attesa, cercata, sognata; ed è
finalmente una libertà ritrovata anche da un punto di vista
8
Le due giornate decisive a Roma, Corriere della Sera, 27/07/1943
9
Il patriottismo di Milano, Corriere della Sera, 26-27/07/1943
10
Ivi
9
professionale: «Nessuno ha dormito questa notte a Milano.
Sentivamo sveglia la città, mentre noi si lavorava in
un’atmosfera di entusiasmo. È difficile fare noi stessi un
giornale, quando per venti anni ce lo siamo visto dettare un
Ministero. Le discussioni erano molte, i pareri non sempre
concordi. Ma poi dal tessuto connettivo stesso di questo
vecchio “Corriere”, dal suo non sepolto passato è nata la
direttiva, la presa di posizione che oggi si afferma e che sarà
mantenuta: libera via alla verità, alla volontà del popolo, alla
sua sete di giustizia»
11
. Questo evento, questa giornata rimarrà
ovviamente nella storia: «Tale ci appare Milano, oggi 26 luglio
1943: una data che non dimenticheremo. Per noi, significa il
ritrovato amore alla nostra libera fatica»
12
.
A pagina tre del quotidiano del 27 luglio si trova un
bell’articolo di “colore”, Dall’altra sera alle undici, quello che
dice la gente, che testimonia ulteriormente le reazioni della
popolazione alla clamorosa notizia dell’abbandono di Mussolini.
Chi ne era a conoscenza era euforico, anche se poi non sapeva
bene come indirizzare tale entusiasmo. Chi non era informato,
era diffidente e timoroso e questo brano lo chiarisce bene: «In
paese trovammo altra gente che non sapeva nulla. Quando
dicemmo loro di che si trattava, rimasero increduli e
minacciarono di buttarci in mare se non era vero ... qualcuno
s’affacciava alla finestra e chiese cosa succedeva. Chiedemmo
a nostra volta se non avevano sentito nulla. No, non avevano
sentito nulla e qualcuno ci chiuse i vetri in faccia per paura di
compromettersi ascoltando simili eresie»
13
. La gente riassapora
il gusto di parlare, di commentare, di esprimersi liberamente
11
Il patriottismo di Milano, Corriere della Sera, 26-27/07/1943
12
Ivi
13
Dall’altra sera alle undici, quello che dice la gente, Corriere della Sera, 27/07/1943
10
anche ad alta voce, un piacere chiarito dallo stesso autore
dell’articolo con una metafora particolare ed eloquente: «A me
piace il prossimo che discute: mi sembra acqua che scorra: il
limaccio che trascina alla sorgente si deposita via via nel fondo,
finché l’acqua è chiara. Abolire la discussione è come lasciare il
liquido immobile in un bicchiere: marcisce e avvelena chi lo
beve. Quanto liquido marcio ha bevuto in 20 anni l’Italia? Se
non è morta, è un miracolo»
14
.
Ognuno riscopre la propria coscienza e la possibilità e la
capacità di rendere note le proprie opinioni. Il Corriere del 29
Luglio titola Il Partito Fascista sciolto e nell’articolo di fondo
(Chiarificazione) si ammette come questa notizia fosse attesa
da tempo: «Da quarantott’ore l’Italia aspettava una parola dal
nuovo Governo. La parola è venuta: il Partito Fascista è sciolto,
il Gran Consiglio è sciolto, il Tribunale Speciale è abolito, le
libertà costituzionali sono definitivamente garantite al Paese.
Era la parola che tutti aspettavano»
15
. La determinazione del
nuovo Governo farà bene non solo a chi è ben lieto di lasciarsi
alle spalle il ventennio fascista ma anche a chi di esso ne è
stato parte in causa: «Coi suoi radicali provvedimenti esso ha
sensibilmente giovato non solo a consolidare la situazione del
Paese, ma ha indubbiamente giovato anche a quegli stessi
appartenenti al partito disciolto che fossero ancora dubbiosi,
nella loro coscienza, sulla strada da prendere. La ferma
decisiva parola del Governo che in questo momento ha l’arduo
compito di dare una nuova politica all’Italia deve sgombrare dal
loro animo ogni dubbio, cancellare ogni risentimento e ogni
rimpianto, farli obbedienti al nuovo ordine»
16
.
14
Dall’altra sera alle undici, quello che dice la gente, Corriere della Sera, 27/07/1943
15
Chiarificazione, Corriere della Sera, 29/07/1943
16
Ivi
11
1.2 L’armistizio e la reazione della popolazione
La mattina del 9 settembre 1943 il Corriere titola a tutta
pagina Armistizio – Le ostilità cessate tra l’Italia,
l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Viene trascritto il messaggio di
Badoglio letto alla radio la sera del giorno prima alle ore 19.42:
«Il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare
l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria
nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla
Nazione, ha chiesto un armistizio al gen. Eisenhower,
comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La
richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità
contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle
forze italiane in ogni luogo. Esse, però reagiranno ad eventuali
attacchi da qualsiasi altra provenienza»
17
. Questo è l’ultimo
giorno della direzione di Ettore Janni. Il 10 ed 11 settembre il
Corriere esce senza l’indicazione del direttore, poi le
pubblicazioni verranno sospese fino al 16 settembre. Al ritorno
in edicola, il redattore capo Amedeo Lasagna si occupa
dell’edizione mattutina mentre Giovanni Cenzato cura quella
serale
18
. Il commento del giornale è molto amaro per l’inglorioso
evolversi delle vicende di guerra ma contiene in sé un
immancabile incitamento al popolo italiano a tenere duro, tanto
che il titolo è eloquente: Risalire. «Ed ecco questo popolo tratto
da una duplice realtà ad approvare la cessazione di ostilità che
erano divenute un vano olocausto di combattenti e un martirio
di città indifese e a segnarla nello stesso tempo col segno del
17
Armistizio – Le ostilità cessate tra l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, Corriere della Sera,
09/09/1943
18
V. Paolucci, I quotidiani della Repubblica Sociale Italiana, Argalìa Editore, Urbino 1987, pagg.
40 e 43
12
lutto, perché pesano egualmente su di lui un passato di cui ha
sì scarsa colpa e un avvenire di cui lo travaglia il pensiero ... Le
bandiere d’Italia s’inchinino ai caduti, ai mutilati, ai superstiti che
hanno compiuto senza misura il loro arduo dovere. Si
rialzeranno domani nel pugno di uomini che il grande dolore e
l’immeritata umiliazione avranno fortificati. L’Italia risalirà. Ha in
sé la sua rinascenza: lo spirito liberato e le intime forze
ispiratrici»
19
. La popolazione reagisce con sorpresa («La
reazione, timida al principio e incerta, ha preso consistenza più
tardi, allorché si è avuta la sensazione che non si trattava,
come molti credevano, di un’informazione inesatta»
20
), non ci
sono manifestazioni particolarmente incisive («Confusi,
contraddittori e certo non lieti erano i sentimenti della
cittadinanza al primo annuncio»
21
, «non si udivano né evviva né
abbasso»
22
) e c’è la sensazione dei vani sacrifici sostenuti fino
a quel momento e dei nuovi da affrontare per il periodo a venire
(«Domani una nuova vita, una nuova era comincia e tutti ne
sentono l’incombere»
23
).
La mattina del 10 Settembre il Corriere titola: Perché
l’Italia è stata costretta a chiedere l’armistizio. La nota di
Badoglio a Berlino e a Tokio. Si può leggere il testo della
comunicazione inviata dal maresciallo Badoglio l’8 Settembre al
Fuhrer ed agli altri alleati dove si spiegano le motivazioni che
hanno spinto l’Italia a chiedere l’armistizio alle forze anglo-
americane: «Nell’assumere il Governo d’Italia nel momento
della crisi provocata dalla caduta del regime fascista, la mia
prima decisione ed il conseguente primo appello che io rivolsi al
19
Risalire, Corriere della Sera, 09/09/1943
20
Ivi
21
Ivi
22
Ivi
23
Ivi
13
popolo italiano fu di continuare la guerra per difendere il
territorio italiano dall’imminente pericolo d’una invasione nemica
... Malgrado ogni nostro sforzo, ora le nostre difese sono
crollate ... Non si può esigere da un popolo che continui a
combattere quando qualsiasi legittima speranza non dico di
vittoria ma financo di difesa, si è esaurita. L’Italia, a evitare la
sua totale rovina, è pertanto obbligata a rivolgere al nemico una
richiesta di armistizio»
24
.
Un articolo di fondo rende merito a Badoglio per il
coraggio e la coscienza dimostrati nell’assumere una tale
decisione («Ognuno di noi pensi a ciò ch’egli deve aver sofferto
nel prendere questa decisione e gliene sia grato»
25
) ed ancora
una volta si sottolinea che questa era stata una guerra imposta
al popolo italiano («Questa guerra – nessuno può
decentemente negarlo – non era voluta dalla grandissima
maggioranza degl’italiani»
26
) e che l’esercito italiano si era
battuto con onore («E tuttavia l’esercito italiano,
insufficientemente preparato a una lotta di potenti mezzi
meccanici in terra e in aria e non di rado mal diretto, non venne
meno alle migliori sue tradizioni e sostenne la disparità delle
forze con uno spirito di disciplina che fu per lungo tempo
esemplare»
27
).
Si fa appello come sempre all’unità del popolo italiano, ma
si raccomanda anche un’immediata e profonda presa di
coscienza di come la realtà sia indubbiamente cambiata e di
come si debba reagire con un grande spirito di volontà:
24
Perché l’Italia è stata costretta a chiedere l’armistizio, Corriere della Sera, 10/09/1943
25
Sera di Battaglia, Corriere della Sera, 10/09/1943
26
Ivi
27
Ivi
14
«Siamo come in una sera di battaglia perduta, come se ci
rincontrassimo dopo avere indietreggiato e serrassimo le
filenell’oscurità entro la quale correvamo rischio di trovarci
dispersi. Sera di cruccio, di tristezza, di stanco respiro, che
deve riprendere il suo ritmo. Sospendiamo un tratto i come e i
perché e i se e i ma e tutti gli stimoli discostanti. I pericoli
rimangono intorno a noi e i più gravi sono in noi se, pur
conoscendo, sentendo, mostrando anche tutta la pena di
questa umiliazione, ci abbandoniamo, rinunziamo a tendere la
nostra volontà verso l’aurora. La volontà crea l’aurora»
28
.
28
Sera di battaglia, Corriere della Sera, 10/09/1943
15
1.3 La liberazione del Duce ed il discorso alla radio di
Monaco
Alle 14.30 circa del 12 Settembre 1943 Benito Mussolini
venne liberato dalla sua prigionia sul Gran Sasso. Il Duce aveva
già cambiato più nascondigli (Ponza e La Maddalena) in quanto
ritenuti poco sicuri ed era infine stato trasferito all’albergo di
Campo Imperatore, in Abruzzo, collegato a terra solo da una
funicolare: sembrava un luogo inattaccabile, una residenza
sicura. La mattina del 28 agosto, ancora nell’isola della
Maddalena, Mussolini era stato imbarcato su di un idrovolante
con i contrassegni della Croce Rossa che ammarò a Vigna di
Valle, presso il lago di Bracciano. Da lì, salito su di
un’autoambulanza e scortato da tre auto, giunse ad Assergi,
vicino l’Aquila, dove si trovava la stazione inferiore della funivia
che portava all’albergo (situato a 2112 metri d’altezza). Per lui,
per qualche giorno, venne requisita una casa nota come “La
Valletta”. Il dispiegamento di forze a difesa e controllo
dell’illustre prigioniero era composto da 43 carabinieri e 30
guardie di pubblica sicurezza, oltre che da un piccolo gruppo
cinofilo con sei cani lupo. Un apparato sicuramente valido a
fronteggiare un possibile attacco da terra per liberare il Duce,
ma insufficiente per tenere testa ad un’azione proveniente dai
cieli. Ma quest’ultima soluzione era ritenuta impossibile, per
questo si può dire che anche la custodia abruzzese del Duce
difettò di cura e di sicurezza. Il vero e proprio trasferimento
all’albergo avvenne il 3 settembre quando vi fu la firma
dell’armistizio che prevedeva la consegna di Mussolini agli
alleati (in tal modo si pensava di tenerlo ancora più al sicuro)
29
.
29
R. de Felice, Mussolini l’alleato – La guerra civile 1943-1945, Einaudi, Torino 1998, pagg. 14-
16
16
L’ideatore della missione “Operazione Eiche” per la
liberazione del Duce fu il generale Kurt Student, comandante
dei paracadutisti tedeschi nella zona di Roma; egli affidò al
maggiore Harald Mors, un ufficiale che comandava il 1°
battaglione del 7° reggimento nella 2ª divisione paracadutisti, la
presa della stazione a fondo valle, azione che peraltro non
incontrò alcuna resistenza da parte italiana tanto che alcune
truppe poterono subito salire all’albergo per dare manforte ai
militi scesi dagli alianti. L’azione dal cielo venne guidata dal
tenente von Berlepsch e consisteva nel far atterrare in un
fazzoletto di terra dodici alianti con circa cento uomini in tutto
30
.
Fu lo stesso Mussolini, quando parlò alla radio, a ricordare la
dinamica che portò alla sua liberazione, enfatizzando sia le sue
doti d’intuito sia la brevità dell’accaduto: «C’era nell’aria limpida
attorno all’imponente cima del monte una specie di
aspettazione. Erano le 14 quando vidi atterrare il primo aliante;
poi successivamente altri; poi squadre di uomini avanzavano
verso il rifugio e vidi cessare ogni resistenza. Dalle guardie che
mi custodivano nessun colpo partì. Tutto era durato cinque
minuti»
31
. Solo nove alianti riuscirono ad atterrare ma tutto andò
a buon fine. Ad essere ricordato come il “salvatore di Mussolini”
fu però il capitano delle SS Otto Skorzeny, solo perché fu lui ad
andare direttamente dal Duce e poi ad accompagnarlo con la
piccola “cicogna” fino a Pratica di Mare. In realtà Mussolini
aveva espresso il desiderio di essere trasferito dalla famiglia
alla Rocca della Caminate, ma Hitler voleva avere al più presto
possibile un colloquio col suo vecchio amico.
30
Ivi, pagg. 37-38
31
Il discorso di Mussolini alla radio di Monaco, Corriere della Sera, 19/09/1943