2
caratterizzate da una gravità tale, da giustificare il riconoscimento
dell’allargamento del titolo giurisdizionale al di là dei confini dello Stato,
adombrando, quindi, i profili di una sorta di giurisdizione universale
4
.
Ma è soprattutto dopo i due conflitti mondiali, con la loro scia di violenze,
di abusi, di orrori perpetrati senza precedenti, che si è avvertita,
nell’ordinamento internazionale, la spinta ad una produzione normativa e
ad uno sviluppo di istituti giuridici nel campo dei “crimini internazionali”
dell’individuo.
Al centro della preoccupazione è venuta a collocarsi esplicitamente la
persona umana come vittima di nuove fattispecie criminose di rilevanza
internazionale, come il genocidio, la tortura, i crimini di guerra, la presa di
ostaggi e così via fino alla c.d. pulizia etnica e agli stupri di massa di talune
situazioni conflittuali recenti
5
.
L’odierna comunità internazionale ha, dunque, sviluppato una categoria
molto ampia di crimina juris gentium, comprendente i crimini contro
guerra, crimini contro l’umanità e crimini contro la pace. All’origine
troviamo essenzialmente quelli di guerra
6
.
L’autore dei crimini di guerra, nell’ambito del rapporto di belligeranza
“classico”, era normalmente un organo dello Stato, salvo i casi di civili che
uccidevano un prigioniero di guerra o un militare nemico isolato.
Taluni autori annoverano, tra i crimini di guerra, anche gli atti di
belligeranza compiuti da semplici individui.
4
CANSACCHI , Istituzioni di diritto internazionale pubblico, Torino , 1979; MONACO , Manuale di
diritto internazionale pubblico, Torino , 1971, 3;
5
CANSACCHI, Istituzioni, cit., 84; GIULIANO- SCOVAZZI - TREVES, Diritto Internazionale, p.195.
6
RONZITTI, Crimini internazionali individuali,.CONDORELLI, Il sistema della repressione dei crimini
di guerra nelle Convenzioni di Ginevra del 1949 e nel primo protocollo addizionale del 1977, in
LAMBERTI-ZANARDI-VENTURINI, Crimini di guerra e competenza delle giurisdizioni nazionali,
Milano,1998, p. 24.
3
L’ampliamento della nozione di crimine internazionale e l’istituzione di
nuove categorie di crimini internazionali hanno in parte segnato il
superamento della concezione secondo cui il crimine internazionale è
generalmente un crimine commesso da un individuo organo.
L’imputabilità allo Stato dell’atto costituente un crimine internazionale non
è una conditio sine qua non per la commissione di un crimine
internazionale; già la seconda guerra mondiale ha, infatti, evidenziato la
necessità di superare questo assunto.
I crimini internazionali sono sempre più spesso opera di individui privi di
collegamento organico con lo Stato. In particolare, i crimini contro
l’umanità sono normalmente commessi sia da individui-organi sia da
individui che organi non sono, ma si tratta, invece, di semplici privati
7
.
Occorre pertanto osservare che la nozione di crimine internazionale
dell’individuo non deve essere confusa con quella crimine internazionale
dello Stato, benché sia possibile stabilire in certi casi delle connessioni.
Durante i lavori della Commissione del diritto internazionale volti a
codificare il tema della responsabilità internazionale, è stato precisato,
infatti, che la nozione di crimine internazionale dell’individuo non può
essere confusa con quella di crimine internazionale dello Stato.
La prima disciplina le conseguenze di azioni particolarmente odiose da
parte dell’individuo e la necessità di predisporre adeguate misure repressive
da parte degli Stati o, da parte dei Tribunali internazionali; la seconda, ha
per oggetto la responsabilità internazionale dello Stato e concerne gli
obblighi che il trasgressore deve eseguire per riparare l’illecito e le
7
SPINEDI , Responsabilità internazionale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1992; McCORMAK-
SIMPSON, The Law of War crimes. National and International Approches, the Hague-Boston
London,1997; CARACCIOLO, Dal diritto penale internazionale al diritto internazionale penale , Napoli,
2000, p. 61 e ss.; ROLING,”The Law the War and the National Jurisdiction since 1945”, RC, 1960-II, p.
329.
4
contromisure che gli Stati possono prendere nei confronti dello Stato
responsabile del crimine internazionale.
La nozione di crimine internazionale dello Stato non è totalmente estranea
a quella di crimine internazionale dell’individuo.
Non è infrequente che la commissione di un crimini internazionale
individuale dia luogo ad un fatto illecito statale, perché l’atto viene
imputato allo Stato oppure perché lo Stato, pur non essendo l’atto a lui
direttamente imputabile, ha mancato al dovere di prevenzione e
repressione.
Tuttavia la categoria di crimine dello Stato è più ristretta, nel senso che non
tutte e azioni individuale qualificabili come crimini internazionali di
individui, sono ipso facto classificabili come crimini statali
8
.
8
CONDORELLI, A-M-LA ROSA, S. SCHERRER, Les nations Unites et le droit international
humanitaire, Pedone, Paris, 1996; SPERDUTI, L’individuo nel diritto internazionale. Contributo
all’interpretazione del diritto internazionale secondo il principio di effettività, Giuffrè, Milano, 1950, p.
154 nota 55; DAVID, Principes de droit des conflits armes, Bruylant, Bruxelles, 1994, pp. 647-649.
5
2. I crimini di guerra e la loro evoluzione storica.
Per una definizione dei crimini di guerra occorre, prendere le mosse dal
riferimento normativo “classico”: l’art. 6 dello Statuto del Tribunale
Militare Internazionale, allegato all’Accordo di Londra “for the
Prosecution and Punishment” dei grandi criminali di guerra dell’Asse
Europeo, vincolante 23 Stati
9
.
Nello Statuto si trova l’indicazione di tre importanti categorie di crimini
internazionali, vale a dire, i “crimini contro la pace”, “crimini di guerra” e
“crimini contro l’umanità
10
”.
Tali crimini internazionali venivano, in virtù dell’Accordo tra gli Stati
firmatari, a ricadere nella competenza giurisdizionale del Tribunale e
comportavano il sorgere della responsabilità di chi li aveva commessi
11
.
Lo Statuto del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, dunque,
affrontava in modo alquanto generale il problema di dare una definizione
approfondita dei crimini, limitandosi, invece, a percorrere la forse più
semplice strada della elencazione delle fattispecie criminose, i cui autori la
costituenda giurisdizione internazionale avrebbe dovuto “processare e
punire “. Per i soli crimini di guerra lo Statuto abbozza una definizione.
Le violazioni delle leggi e degli usi di guerra elencate sono: l’omicidio
volontario, il maltrattamento o la deportazione per costringere a eseguire
9
Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Francia sono gli originari contraenti; Australia, Belgio,
Cecoslovacchia, Danimarca, Etiopia, Grecia, Haiti, Honduras, India, Iugoslavia, Lussemburgo, Norvegia,
Nuova Zelanda, Olanda, Panama, Paraguay, Polonia, Uruguay e Venezuela hanno aderito tra settembre e
dicembre 1945. TARANTINO-ROCCO-SCORRANO, Il processo di Norimberga. Scritti inediti e rari,
Milano, 1999.
10
La suddivisione dei crimini in tre categorie, riguarda, il processo di Norimberga. Ma ora ci si accorge
che tutte le tre categorie sono in realtà riconducibili, sotto il profilo dell’oggettività giuridica, ad un
minimo comune denominatore che è, appunto, la nozione di umanità. Le tre categorie appartengono ad un
“genus comune”, con la denominazione di “crimini di lesa umanità”, così come rileva TOMASSI
FEDERICO in Crimini contro l’umanità, p.16.
11
GIULIANO- .SCOVAZZI - TREVES, Diritto internazionale, cit, p. 183.
6
lavori forzati o, per qualunque altro fine, delle popolazioni civili dei
territori occupati; l’omicidio o i maltrattamenti di prigionieri di guerra o di
naufraghi, l’esecuzione di ostaggi, il saccheggio di beni pubblici o privati,
la distruzione senza motivo di città e villaggi o le devastazioni non
giustificate da esigenze militari.
La categoria dei crimini di guerra è collocata al centro della costruzione
dell’ art. 6.
Si trattava del nucleo portante della stessa ragion d’essere del Tribunale:
“processare e punire” gli autori delle grandi pratiche di comportamenti
tenuti dai nazisti nel corso del secondo conflitto mondiale in violazione
delle norme del diritto bellico.
Di qui, la scelta di collocare questi crimini nel cuore dell’elencazione
12
.
Questo consentiva di esordire con i crimini contro la pace, che logicamente
apparivano precedenti, in quanto collegati con lo scatenamento del
conflitto, lasciando poi i crimini contro l’umanità in una sorta di posizione
residuale e, perlopiù, in stretto collegamento con quelli di guerra.
La differenziazione tra crimini contro la pace e crimini di guerra appare
netta e di agevole determinazione.
Se ci si ricollega alle categorie classiche del diritto internazionale, i primi
concernono essenzialmente lo jus ad bellum, mentre i secondi sono relativi
alle violazioni dello jus in bello.
Né vi è necessaria interrelazione tra i primi e i secondi. Ad esempio un
Stato può non aver violato le regole dello jus ad bellum e le sue forze
armate possono, invece, porre in essere violazioni dello jus in bello.
12
UNGARI-PIETROSANTI-MALINTOPPI; I grandi processi post bellici dei criminali di guerra di
fronte al diritto internazionale, Milano,1999; TAYLOR, The Anatomy of the Nuremberg Trails, New
York, 1992 (trad. ital. Anatonia dei processi di Norimberga , Milano, 1993); JACKSON, The Nurnberg
Case , New York, 1948 (trad. ital. Il processo di Norimberga, Milano,1948).
7
Per quanto concerne invece la nozione giuridica di crimini contro
l’umanità, nella accezione oggi comunemente accolta, essa ha un’origine
più recente di quella di crimini di guerra. In prima approssimazione, la
locuzione “crimini contro l’umanità” sta a designare taluni gravi fatti di
violenza commessi su larga scala da individui, organi dello Stato o no,
contro altri individui, per uno scopo essenzialmente politico, ideologico,
razziale, nazionale, etnico o religioso.
Una prima qualificazione di queste fattispecie è conseguenza delle
particolari atrocità commesse nel corso della II guerra mondiale e prima
dello scoppio di questa.
La nozione poi, si è allargata, venendo a comprendere anche fattispecie
prima configurate separatamente, quali il crimine di genocidio e quello di
apartheid. Caratteri distintivi dei crimini contro l’umanità sono la gravità,
la commissione su larga scala, la concentrazione e l’elemento soggettivo
della motivazione.
Nel delimitare le categorie di crimini, gli Stati hanno inteso esercitare il
proprio “sovereign legislative power”.
La preoccupazione dei negoziatori era essenzialmente di “dichiarare” il
diritto internazionale ritenuto vigente, al fine di stabilire l’ambito entro il
quale sarebbe stata esercitata la giurisdizione del Tribunale.
Si è voluto “codificare” in modo sistematico il diritto internazionale di
questi crimini, per dare un diritto sostanziale all’organo giurisdizionale che
avrebbe processato e punito i grandi criminali di guerra dell’Asse
europeo
13
.
13
TARANTINO - ROCCO, Il processo di Norimberga a cinquant’anni dalla sua celebrazione, Milano,
1988 e TARANTINO – ROCCO - SCORRANO, Il processo di Norimberga. Scritti inediti e rari, Milano,
1999; JACKSON, The Nurnberg Case, New York, 1948 (trad. ial. Il processo di Norimberga,
Milano,1948); ID. The Case Agaist the Nazi War Criminals, New York, 1945.
8
Pertanto si è scelto di stabilire il diritto applicabile in un trattato tra le
Potenze, evitando di lasciare che fosse poi il Tribunale a “interpretare” le
norme in questione.
Questa impostazione emerge con chiarezza anche dalla sentenza del 1°
ottobre 1946, con la quale il Tribunale ha richiamato l’art. 6 dello Statuto.
La sentenza del Tribunale di Norimberga ha, inoltre, provveduto ad
ampliare l’elencazione “aperta” che l’art. 6 lettera b) aveva predisposto
richiamando talaltro due testi convenzionali vigenti, vale a dire la
Convenzione di Ginevra e la Convenzione dell’Aja del 1907
14
.
Le statuizioni del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga
disegnano con contorni molto nitidi e con affermazioni alquanto nette la
categorie dei crimini di guerra, affermando la piena competenza materiale
del Tribunale stesso, dal momento che le norme richiamate, erano così
basilari da potere essere considerate già dal 1939 come “riconosciute da
tutte le nazioni civili”. D’altra parte, la categoria dei crimini di guerra è
apparsa, tra quelle elaborate nell’ art. 6 dello Statuto del Tribunale, la meno
controversa.
Il giudicato del Tribunale non si pone, come creatore di diritto nuovo, non
innova, non stabilisce nuovi confini, nuovi parametri per la categoria dei
crimini di guerra.
Afferma, invece, esplicitamente di accogliere nozioni e norme che già
appartenevano al diritto di guerra.
I risultati del processo di Norimberga sono, poi confluiti in una grande
quantità di sentenze, che hanno dato un rilevante contributo al formarsi di
una giurisprudenza sui crimini dell’individuo nel diritto internazionale.
Tutto ciò ha dato vita ad un processo di graduale specificazione e
consolidamento di principi e norme, facendo si che gli Stati e le
14
DINSTEIN, War, Aggression and Self – Defence, Cambrige, 1994, p. 108.
9
Organizzazioni internazionali assumessero iniziative finalizzate a dare
corpo a forme di codificazione convenzionale
15
.
Dopo avere preso atto dell’Accordo di Londra e dell’allegato Statuto,
l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha compiuto due passi
importanti, con l’adozione della storica risoluzione n. 95.
Il primo è stato di rilevante significato giuridico, in quanto, ha confermato i
principi di diritto internazionale riconosciuti sia dallo Statuto che dalla
sentenza del Tribunale di Norimberga.
Ciò significa che le Nazioni Unite hanno considerato che il Tribunale aveva
tenuto conto di principi che già esistevano nell’ordinamento internazionale,
e che la Corte si era limitata a riconoscere, avvertendo la necessità di
trasferirli in un ampio strumento di codificazione. Soprattutto la risoluzione
riconosceva la natura di diritto internazionale consuetudinario delle
previsioni contenute nell’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945.
Il secondo passo è stato, invece, un impegno a codificare questi principi, ad
opera della Commissione del diritto internazionale, organo sussidiario
dell’Assemblea Generale.
In questo modo il diritto elaborato in un accordo vincolante i ventitré Stati
firmatari diventava diritto dell’organizzazione internazionale a vocazione
universale.
16
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto del 1949, adottate ad
iniziativa del Comitato Internazionale della Croce Rossa hanno ridisegnato
l’intero sistema convenzionale per la protezione delle vittime della guerra.
Un intero capitolo di ciascuna Convenzione si occupa degli atti
commessi contro le persone protette, sono chiamati “grave breaches”
15
SCOVAZZI T., Corso di diritto internazionale. Parte I, Milano 2000. cit. p. 87; BROWNLIE,
Principles of Public International Law, Oxford, 1991, p. 562. TARANTINO – ROCCO - SCORRANO,
Il processo di Norimberga. Scritti inediti e rari, Milano, 1999; VASSALLI; La giustizia penale
internazionale . Studi, Milano, 1995, 6.
16
BROWNLIE, Principles of Public International Law, Oxford, 1991, p. 592.
10
(“infractions graves”), e non “war crimes” (“crimes de guerre”), ma sono
innegabilmente crimini secondo il diritto internazionale
17
.
I crimini sono definiti dettagliatamente dagli art. 50 della I Convenzione,
51 della II, 130 della III e 147 della IV.
Il punto di svolta, nel senso del verificarsi di una seria prospettiva di
punizione dei criminali di guerra, si è determinato solo a partire dalla fine
della seconda guerra mondiale.
Le massicce, generalizzate, terribili violazioni, gli orrendi crimini perpetrati
da individui nell’ambito di un sistema brutale e barbaro hanno fortemente
preoccupato le opinioni pubbliche e le autorità di governo, chiamati a
ridisegnare i connotati di un nuovo sistema di relazioni internazionali.
Al di là dei processi di Norimberga e di Tokio, per la punizione dei grandi
criminali, la preoccupazione maggiore concerneva i numerosi procedimenti
giudiziari avviati contro i criminali “minori”.
La mancanza di norme internazionali relative alla punizione e
l’inadeguatezza dei sistemi normativi penali interni degli Stati interessati
determinavano forti interrogativi circa la conformità di taluni processi con i
principi fondamentali, tra i quali spiccava il nullum crimen, nulla poena
sine lege.
Il problema era pesantemente avvertito nei sistemi di tipo continentale, nei
quali la norma relativa ad una fattispecie criminosa deve essere precisa
circa i connotati di questa, e deve essere completata dalla esplicita
previsione di sanzioni specifiche.
Quindi, il problema centrale era quello di stabilire, in un testo
convenzionale internazionale, a carico degli Stati un obbligo di adottare
17
SPERDUTI G. , Lezioni di diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1958.; SCOVAZZI T., Corso di
diritto internazionale. Parte I, Milano 2000. cit. p. 87; SPERDUTI, L’individuo nel diritto internazionale.
Contributo all’interpretazione del diritto internazionale secondo il principio di effettività, Giuffrè,
Milano, 1950; DAVID, Principes de droit des conflits armes, Bruylant, Bruxelles, 1994, pp. 647-649.
11
specifiche norme penali interne finalizzate alla repressione delle violazioni.
Né le Convenzioni dell’Aja del 1907, né quelle di Ginevra del 1929
avevano raccolto l’invito in tal senso formulato dalla Convenzione di
Ginevra del 1906
18
.
La tragedia umanitaria della seconda guerra mondiale ha determinato nel
Comitato Internazionale della Croce Rossa la convinzione che fosse
necessario stabilire che ad ogni precisa configurazione dei caratteri delle
leggi e degli usi di guerra dovesse corrispondere una previsione normativa
della repressione delle violazioni.
Ed è per tale motivo che lo stesso Comitato Internazionale alla XVII
Conferenza internazionale della Croce Rossa presentò un progetto di un
articolo, la cui formulazione era fortemente caratterizzata da una forte
innovatività. Stabiliva, infatti, il principio della punibilità di certe
violazioni e le modalità per realizzarla, ispirandosi chiaramente ad un altro
principio, noto alla disciplina dell’estradizione: aut judicare, aut dedere.
La Conferenza di Croce Rossa invitava il Comitato a proseguire
l’elaborazione del progetto.
Fu così che quattro esperti internazionali venivano incaricati di procedere
ad un esame approfondito della questione.
19
Il risultato di questo lavoro fu la redazione di un progetto di quattro nuovi
articoli da collocare all’interno di ciascuna delle quattro Convenzioni.
18
In questo senso anche MARAZZI , Nozioni, p. 230; RONZITTI, Diritto internazionale, cit. , p. 139;
IILLUMINATI-STORTONI-VIRGILIO (a cura di), Crimini internazionali tra diritto e giustizia, Torino,
2000; LATTANZI- SCISO (a cura di), Dai tribunali internazionali “ad hoc” a una corte permanente.
Atti del convegno (Roma, 1995), Napoli, 1996; CONFORTI , Diritto Internazionale,V ed., Editoriale
Scientifica, Napoli,1997.
19
PICTET, La Convention de Genève relative à la protection des personnes civiles en temps de guerre.
Commentaire, IV, Genève, 1956 ; FRANCIONI , Crimini internazionali, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, vol.IV, p. 464 ; ASCENSIO-DECAUX-PELLET, Droit international penal, Paris, 2000.
SPEMUTI, Crimini internazionali,in Enciclopedia del diritto, Vol. XI, 1962, p. 337; RONZITTI, Crimini
internazionali, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. X; BASSIOUNI-NANDA, A Treatise on
International criminal Law, Springfield, 1973.
12
Questo progetto accolse alcune istanze particolarmente forti: la volontà di
non lasciare impunite le violazioni gravi delle Convenzioni; la necessità di
adottare legislazioni nazionali di recepimento degli obblighi discendenti
dalle Convenzioni; l’affermazione del principio della universalità della
giurisdizione, e di quello aut judicare aut dedere, accompagnato all’ipotesi
di una giurisdizione internazionale.
Il progetto fu portato all’attenzione delle delegazioni governative al
negoziato ginevrino; il risultato fu quello che troviamo nelle Convenzioni
scaturite dalla Conferenza.
Risultava, piuttosto, evidente che l’accoglimento di taluni principi e regole
generali ha faticato a farsi strada, per cui la soluzione accolta si presentava
in alcuni casi come un inevitabile compromesso tra l’ambizione del
progetto e la riluttanza di molti Stati ad accettare fino in fondo le
implicazioni
20
.
L’art. 50 della I Convenzione di Ginevra presenta un’elencazione di atti
considerati “infrazioni gravi” se commessi contro persone o beni protetti.
La norma si ricollega all’articolo precedente, nel quale le Alte Parti
contraenti si impegnano a prendere ogni misura legislativa necessaria per
stabilire sanzioni penali adeguate la applicare alle persone che abbiano
commesso, o dato ordine di commettere, una delle infrazioni gravi di cui
all’ art. 50.
L’elenco delle gravi infrazioni è abbastanza ampio: l’omicidio intenzionale,
la tortura o i trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici, il fatto
di cagionare intenzionalmente grandi sofferenze o di attentare gravemente
all’integrità fisica o alla salute, la distruzione e l’appropriazione di beni non
20
MIGLIAZZA , L’occupazione bellica, Milano, 1949; CONSACCHI, Nozioni, p. 113.
13
giustificate da necessità militari e compiute in grandi proporzioni
ricorrendo a mezzi illeciti e arbitrari
21
.
L’esigenza di definire la categoria delle gravi infrazioni era emersa nel
negoziato ginevrino, grazie alle riflessioni degli esperti internazionali
convocati nel 1948 dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. Però,
non tutte le violazioni delle Convenzioni sono di tale gravità da comportare
l’universalità della giurisdizione, di qui la necessità di operare una
distinzione tra i vari crimini. Molto si è discusso circa la stessa definizione
da attribuire alla nozione di “gravi infrazioni”.
La delegazione dell’Unione Sovietica avrebbe preferito che si adottasse
l’espressione “crimini gravi” o quella di “crimini di guerra”.
Si decise di approdare poi alla qualificazione di “infrazioni gravi” perché la
parola “crimini” pur connotando numerosi fatti negli ordinamenti penali
degli Stati, non era, però dotata, in tutte le legislazioni del medesimo
significato.
Per quanto, invece, concerne i destinatari ultimi delle preoccupazioni di
tutela, la Convenzione scelse di riferirsi alla categoria generale delle
persone protette, rientrando in tale categoria, i feriti e i malati, quali sono
definiti all’art. 13 della stessa Convenzione, nonché i membri del personale
sanitario e religioso, definiti agli artt. 24-26. Quanto ai beni protetti, il
riferimento è essenzialmente agli artt. 33 a 36.
L’elenco delle gravi infrazioni è da intendersi, come già quello dei crimini
di guerra secondo l’art.6 dello Statuto di Norimberga, come semplicemente
esemplificativo e non esaustivo
22
.
21
CASSESE A., Il diritto internazionale nel mondo contemporaneo, Bologna, 1984; SPINEDI,
Responsabilità internazionale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1992; COSACCHI, Istituzioni di
diritto internazionale pubblico, Torino, 1979, 5; MONACO, Manuale di diritto internazionale pubblico,
Torino, 19713; McCORMAK-SIMPSON, The Law of War crimes. National and International
Approches, the Hague-Boston London,1997
22
VENTURINI G ., Crimini di guerra e competenza delle giurisdizioni nazionali, Milano, 1998;
GREPPI, I crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale, Torino, 2001;GALASSI,”La
14
La norma non lo afferma esplicitamente, ma si può ritenere che un’
indicazione in tal senso si possa ricavare dall’ampio patrimonio concettuale
e di disciplina giuridica che era già confluito nell’art. 6 dello Statuto di
Norimberga, nella sentenza di quel Tribunale Militare Internazionale,
nonché dalla risoluzione n. 95 dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite.
La ratifica delle quattro Convenzioni ginevrine comportava un obbligo in
capo agli Stati di adottare una legislazione penale interna complementare,
applicabile indistintamente a tutti i soggetti, anche al di là di legami di
nazionalità e di territorialità. In particolare si rendevano necessarie norme
apposite che contemplassero fattispecie come la tortura, i trattamenti
inumani, il fatto di causare grandi sofferenze, il fatto di costringere a
servire nelle forze armate nemiche, il fatto di privare il prigioniero di
guerra o il civile di un processo regolare e imparziale e le deportazioni e i
trasferimenti illegali.
La normativa penale nazionale deve essere precisa nella determinazione
delle violazioni e nella previsione, per ciascuna di esse, di pene adeguate
allo scopo che la normativa internazionale si prefigge: la protezione delle
categorie intese come “hors de combat” e la repressione delle più gravi
violazioni di questo obbligo generale
23
.
giurisdizione penale internazionale e i crimini internazionali dell’individuo alla luce dei lavori della
Commissione del diritto internazionale”, CI, 1995, p. 307 e ss; ROLING, “Aspects of Criminal
Responsability for Violations of the Laws of War”, CASSESE, vol. I, p. 199 ss.
23
CONDORELLI L . , Il sistema della repressione dei crimini di guerra nelle Convenzioni di Ginevra del
1949 e nel primo Protocollo addizionale del 1977, in LAMBERTI ZANARDI P. CASSESE A., Il diritto
internazionale nel mondo contemporaneo, Bologna, 1984; SPINEDI, Responsabilità internazionale, in
Enciclopedia giuridica Treccani, 1992; COSACCHI, Istituzioni di diritto internazionale pubblico,
Torino, 1979.; SPERDUTI, Lezioni di diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1958, p. 109 ss.
15
3. La repressione dei crimini di guerra.
Il meccanismo per la repressione dei crimini di guerra è disciplinato
abbastanza dettagliatamente nelle Convenzioni di Ginevra e nel I
Protocollo.
Secondo le Convenzioni di Ginevra, ogni parte contraente ha il dovere di
ricercare e processare i colpevoli di infrazioni gravi. L’obbligo incombe a
ciascuna parte contraente; quindi anche ai neutrali.
Le disposizioni comuni alle quattro Convenzioni si ispirano al principio
dell’universalità della giurisdizione internazionalmente imposta.
Lo Stato in cui il reo si trova ha l’obbligo di sottoporlo a procedimento
penale, anche qualora non abbia un particolare titolo giuridico.
Se preferisce, lo Stato in cui il reo si trova può consegnarlo allo Stato che
lo richieda, che normalmente vanterà un particolare titolo di giurisdizione.
La “consegna” deve però avvenire in conformità alla legislazione dello
Stato in cui i colpevoli si trovano e purchè la parte richiedente “possa far
valere contro dette persone prove sufficienti
24
”.
La repressione dei crimini di guerra, pur essendo internazionalmente
prevista, era fino ad epoca recente esclusivamente affidata ai tribunali
interni.
24
Sul punto si è osservato che le Convenzioni di Ginevra mostrano, la loro debolezza, poiche lo Stato in
cui il reo si trova può rifiutare di processarlo per mancanza di prove.
Nello stesso tempo può rifiutare di estradare il reo allo Stato che è in possesso delle prove, perché la
propria legislazione non lo consente (DRAPER, “The Geneva Conventions of 1949”, RC, 1965-I, p. 159).
Il CICR aveva invano proposto una disposizione, da inserire nel I Protocollo addizionale, volta a superare
queste difficoltà ed a facilitare l’estradizione di coloro che avessero commesso infrazioni gravi. Nel I
Protocollo non compare alcuna disposizione particolarmente cogente in materia di estradizione.
Un cenno è contenuto nell’art. 88, secondo cui le parti contraenti coopereranno in materia di estradizione.
Esse hanno solo l’obbligo di prendere debitamente in considerazione la domanda proveniente dallo Stato
dove l’infrazione è stata commessa. Ma la legge applicabile è quella dello Stato richiesto.
Qualora quest’ultima non consenta l’estradizione, lo Stato richiesto non è obbligato a consegnare il reo.
(Così come rileva ZANARDI-VENTURINI, in Crimini di guerra e competenza delle giurisdizioni
nazionali, Milano, 1998).