VII
Suggestiva l’ipotesi che la presenza di costituzioni di tal genere sia dovuta
ad un intento celebrativo dell’imperatore nel suo ruolo di legislatore, un
“conservare la storia”che non avrebbe tratto in inganno i destinatari
dell’opera, non più sudditi da educare ma giuristi in grado di cogliere la
normativa applicabile.
5
Non è da escludere la possibilità che l’inclusione di
costituzioni non più efficaci sia dovuta alla concreta esigenza di rispondere
al più presto all’urgente bisogno di chiarezza nel diritto: “La redazione di un
codice qui nullum errorem, nullas patietur ambages …avrebbe richiesto
tempi alquanto lunghi”
6
, tempi che non si volevano o potevano impiegare.
Giustificherebbe la presenza di costituzioni ormai “storiche” anche il
criterio della completezza nella raccolta del materiale cui tendevano i
compilatori, anche a costo di accettare contraddizioni, e talvolta, appunto,
materiale non più in vigore.
7
In tali casi, però, le costituzioni sarebbero da
classificare come fonti di cognizione, e saremmo ben lontani dal
contenuo di un codice d’oggi.
Salverrebbe la possibilità di un’applicazione in senso moderno del codice,
un eventuale valore paradigmatico di tali fonti, accezione che
giustificherebbe anche la presenza di costituzioni dettate da esigenze
5
Così ARCHI G. G., Teodosio II e la sua codificazione (Napoli 1976) p. 53 ss. Dissente il
VINCENTI (Codice Teodosiano e interpretazione sistematica ,in Index 24 [1996] p.120 )
per il quale tale fine non si concilierebbe con lo scopo pratico dato all’opera.
6
VINCENTI U.,o.c. p.120, nt.2.
7
Il criterio della completezza trova precedenti applicazioni in raccolte quali il Gregoriano
e l’Ermogeniano, ma anche i Fragmenta Vaticana e la Collatio. Scopo non è più condurre
un lineare discorso di informazione, ma rendere finalmente accessibile il materiale
legislativo ai giuristi.
VIII
locali
8
in un’opera pensata fin dall’inizio per essere vigente in egual modo
nelle diverse realtà delle due partes imperii.
Non è opera semplice ricostruire l’intento con cui i compilatori
procedettero alla redazione del codice e in particolare del libro dedicato al
diritto penale, né ricostruire l’uso che nella prassi si fece di tale libro nelle
due parti dell’Impero.
Su tali difficoltà ricostruttive pesa il fatto che l’opera compilativa di
Giustiniano a lungo ha polarizzato l’attenzione di storici e studiosi,
lasciando nell’ombra il nostro
9
, considerato troppo spesso solo una tappa
fallita verso la certezza del diritto.
10
Non vanno, però, dimenticate le recenti istanze rivalutative dell’opera dei
compilatori teodosiani,
11
a lungo tacciati di incapacità e impreparazione
tecnica. Rivolgendo una maggiore attenzione al contesto storico-sociale in
cui l’opera fu pensata e realizzata, si possono, infatti, da un lato cogliere in
tutto il loro spessore le concrete difficoltà che i compilatori incontrarono e
8
Quale quella contenuta nel titolo 32 del libro IX, intestato “De Nili aggeribus non
corrumpendis”.
9
Il cui studio giuridico,per usare le parole dello SCHULZ (Storia della giurisprudenza
romana, trad.it. Nocera [Firenze 1968]), è ancora alla sua infanzia.
10
Non a caso il Teodosiano trova uno dei suoi commentatori più attenti in Jacopo
Gotofredo, significativamente appartenente a quella scuola dei Culti cui dobbiamo la
valorizzazione delle opere pregiustinianee.
11
Sostenitore particolarmente tenace del valore storico-giuridico del Teodosiano come
opera autonoma e diversa sia dai codici precedenti che dal Codice posteriore, ma senza che
in ciò possa cogliersi alcuna accezione negativa, l’Archi (o.c., p. 37), secondo il quale la
compilazione sistemò “per la prima volta…secondo un disegno ritenuto confacente, non
solo lo ius quod ad singulorum utilitatem spectat, ma bensì anche quello che ad statum rei
Romanae (spectat)”. Sottolinea la “qualità delle persone cui era stata affidata l’esecuzione
di questi programmi” VOLTERRA E., (Intorno alla formazione del Codice Teodosiano, in
BIDR. 83 [1980] p. 125). Un giudizio favorevole sulla compilazione esprime anche il
DOVERE (“Ius principale” e “catholica lex”. Dal Teodosiano agli editti su
Calcedonia.[Napoli 1995] p. 113), sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista
storico: “Quanto più, nella visione dei contemporanei si teneva conto dell’esteso contenuto
del nuovo ed ufficiale Codex,…tanto più la compilazione tendeva a divenire la massima e
concreta manifestazione di quella istanza unitaria proveniente da entrambe le partes
imperii.”
IX
in qualche modo, superarono, nella redazione di questa monumentale opera,
e dall’altro capire gli effetti che nella prassi quotidiana questa agoniata
raccolta di leges dovette avere.
1
CAPITOLO I
IL LIBRO IX: DATI, PROSPETTIVE, IPOTESI APPLICATIVE.
I.1. La funzione della codificazione penale nella volontà
dei compilatori e nella prassi.
I.1.1.Il predominante fine pratico.
Varie e composite furono le aspettative e le speranze che accompagnarono
la realizzazione della codificazione teodosiana, come varie e diversificate
furono le impellenti esigenze socio-politiche, oltre che strettamente
giuridiche, che indussero la cancelleria di Teodosio II a tale poderosa opera.
L’incertezza del diritto, generata dalla difficoltà di reperire i testi e
distinguere quelli in vigore da quelli ormai affidati alla storia, rendeva
l’amministrazione della giustizia alquanto arbitraria, a scapito dei sudditi,
che ben di rado erano resi realmente edotti delle nuove normative;
12
l’affermarsi del potere come assolutistico, e dunque privo del fondamento
del consenso popolare, rendeva necessaria una difesa accanita dello status
quo, che non poteva prescindere dalle istituzioni giuridiche:
13
diritto doveva
essere solo quello che l’imperatore considerasse tale, e secondo
l’interpretazione da lui stesso fornita; l’economia, già provata, tra l’altro,
dalle continue e dispendiose lotte contro i barbari che premevano ai confini,
12
Nonostante l’imperatore non permettesse “nec ignorare, nec dissimulare” i propri
comandi.
2
subiva gli effetti deleteri di una normativa tutt’altro che chiara, che rendeva
incerti gli scambi; la stratificazione normativa aveva, in generale, creato una
situazione giuridica insostenibile, ulteriormente complicata dalla divisione
dell’Impero in due parti, ciascuna con peculiari problemi ed esigenze,
ciascuna con un proprio imperatore legislatore; un sistema amministrativo
fatiscente
14
rendeva, inoltre, indispensabile una riorganizzazione, come
richiedevano ormai una regolamentazione i rapporti tra lo Stato e la Chiesa.
Tutte queste situazioni richiedevano una soluzione concreta ed immediata,
soluzione che si tentò di porre con una compilazione.
Al concreto frutto dell’ambizioso progetto del 429, che mirava ad un
codex magisterium vitae, privo di contraddizioni ed in grado di omnibus
sequenda vitandaque monstrare
15
, adeguato nel 435 ad un codice che più
realisticamente raccogliesse le leges generales per contenuti rendendole
13
Il NOCERA (Unità e assolutismo sotto i Teodosi, in AARC. 4 [1981] p. 81), scrive:
“...nulla, meglio degli istituti giuridici, pubblici e privati, mostrava la correlazione di fondo
tra la intensità del potere sovrano e la forza del volere sociale.”
14
“Dove la incapacità e la inettitudine dei funzionari era la regola; dove la corruzione e il
favoritismo era elevato a sistema…” Così il DE ROBERTIS (La variazione della pena pro
modo admissi,in Sritti I [1942] p.647.
15
Per la dottrina dominante un’antologia di leges e iura con efficacia normativa. Così, tra
gli altri, DE MARINI AVONZO F., La politica legislativa di Valentiniano III e TeodosioII
(Torino 1975): “un codice…in cui le leggi vigenti dovevano essere affiancate alle opinioni
espresse dai giuristi romani…”; ARCHI G.G., Teodosio…cit., p.31: “una raccolta di leges e
iura senza diversitates”; CENDERELLI A., Digesto e predigesti (Milano 1983):
“…sarebbe dovuto essere compilato, sulla base delle tre compilazioni di costituzioni e degli
iura, un unico Codex Teodosianus, destinato all’esposizione integrale del diritto vigente”;
GUARINO A., Iusculum iuris (Napoli 1985): “compilazione organica di leges e di iura.”
L’ALBANESE (Sul programma legislativo esposto nel 429 da Teodosio II, in AUPA. 38
[1985] ) prospetta due alternative: una antologia di sole costituzioni con la guida dei trattati
e dei responsa prudentium, originariamente proposta dall’EBRARD (Le projet de l’an
quatre cen vingt neuf d’un “constitutionum codex cohaerentubus prudentium tractatibus et
responsis ,in NRH 27 [1949]) e nel testo confutata, e un’opera normativa fondata sulle
opere dei giuristi classici, ma senza la struttura antologica, tesi che l’autore sostiene,
rinvenendo nel Codex “formulazioni normative sintetiche create e x n o v o ”. Si mostra
d’accordo FALCHI (La tradizione giustinianea del materiale teodosiano (CTh XVI) in
SDHI. 57 [1991] p.125), che definisce il Teodosiano un “sistema coordinato di presenti
normativi”.
3
chiare nella brevità,
16
la gran parte della dottrina riconosce, infatti, solo un
valore pratico.
17
Il nono libro, in quest’ottica, diventerebbe uno strumento nelle mani dei
funzionari imperiali nell’esercizio della giurisdizione penale, o, tutt’al più,
un mezzo per scoraggiare potenziali delinquenti con le pene sempre più
atroci minacciate dall’imperatore. Il fatto che la commissione teodosiana fu
16
Di un mutamento di programma, piuttosto che di un nuovo progetto dopo il fallimento di
quello del 435 parla l’ARCHI (Teodosio…cit.),il quale evidenzia l’improbabilità di una
completa autonomia tra i due programmi, sia considerato che nel 438 il prefetto del pretorio
d’Italia Fausto presentando al Senato romano il codice lesse la costituzione che aveva
illustrato il primo progetto, la 1,1,5, non la 1,1,6, che aveva, invece, presentato il
programma del 435, sia in quanto sarebbe ingenuo pensare che i compilatori del 435 non si
avvalsero del lavoro, sia pur parziale, compiuto dalla prima commissione. Di continuità tra
i due progetti parlano anche il GROSSO (Storia del diritto romano [1965], p.498), per
il quale “Teodosio II m o d i f i c ò il programma”; il FALCHI (La codificazione di
Teodosio II e la legge delle citazioni nella parte orientale dell’Impero in AARC. 5 [Perugia
1983] p. 228), secondo il quale “Teodosio II, lungi dal ritenere superato ed irrealizzabile il
suo originario progetto, lo riproponeva nei suoi primi medesimi termini”; il MOMMSEN,
Theodosiani libri XVI, I,1,9; il BONFANTE ,Storia del diritto romano (Milano 1959); il
BIANCHINI, Rileggendo CTh 1.1.5, in Seminario romanistico Gardesiano (Milano 1976);
il CENDERELLI,o.c. Conviene sulla “sostanziale coincidenza tra il progetto del codice
preliminare del 429 e il progetto del Codice Teodosiano del 435” anche il VINCENTI, o.c.,
p.124, nt.15. Nel coro che , invece, considera i due piani autonomi, si distinguono
autorevoli voci quali quelle dell’ARANGIO-RUIZ, Storia del diritto romano
7
(Napoli
1981), del GUARINO, Storia del diritto romano (Napoli 1990), del CHIAZZESE,
Introduzione allo studio del diritto romano (Palermo 1948), del GAUDEMET, La
formation du droit séculier et du droit de l’Eglise aux IVé et Vé siécle (1979) e Istitutions
de l’antiquité (Parigi 1967), del KASER,Romische Rechtsgeschichte (Gottingen 1967), del
FREZZA, Corso di storia del diritto romano (Roma 1974), del WENGER, Die Quellen,del
BRETONE, Storia del diritto romano (Bari 1991), del DE MARTINO, Storia della
costituzione romana (Napoli 1975) . Anche SCHERILLO G.- DELL’ORO A.(Manuale di
storia del diritto romano [Milano 1967]p.431) parlano di fallimento dell’originario
progetto: “primo tentativo, necessariamente imperfetto”.
17
Tra gli altri BRETONE M., o.c., p. 375: “L’attività forense e la pratica giudiziaria
trovarono nel Codice Teodosiano giorno per giorno il diritto applicabile”; LONGO G.-
SCHERILLO V.,Storia del diritto romano (1947) p.259 : “vasta opera pratica generale del
diritto vigente” ; BONFANTE P.,o. c., p.34 : “La nuova commissione ebbe incarico di
recare in atto … il codice pratico ”; GROSSO G., o. c.,p.448 : “un nuovo codice che, nel
nome dell’imperatore, fornisse ai pratici il diritto vigente ”; ARANGIO-RUIZ V., o.
c.,p.357: “era tuttavia abbastanza per sopperire …alle più urgenti necessità dei tribunali ”;
METRO A.,Istituzioni e ordinamento di Roma nell’età del dominato , in AA.VV., Storia
del diritto romano (1994) p. 318: “collezione di costituzioni …adattata , però,
opportunamente alla pratica ”; ARCHI G. G., Studi sulle fonti del diritto nel tardo Impero
romano (1987), p.104 : “ l’analisi degli stessi risultati più modesti di poi raggiunti ,a me
sembra che testimonino…una volontà sostanzialmente pragmatica”; DE MARINI
AVONZO F.,o.c., p.120: “…un secondo codice destinato esclusivamente alla pratica…”.
4
costituita quasi esclusivamente da alti burocrati,
18
uomini di Stato a contatto
con la società e i vari problemi che questa presentava, rende in effetti molto
probabile che la compilazione fosse diretta a fini pratici.
Sicuramente non fu per soddisfare un’esigenza puramente scolastica che i
compilatori si adoperarono per raggiungere una maggiore certezza nel
diritto. Lo stato in cui versava l’amministrazione della giustizia rendeva
assolutamente indispensabile un intervento di ristrutturazione del sistema
giudiziario, che non poteva che iniziare da una organizzazione del materiale
normativo.
19
I mali generati dall’incertezza erano molti e pericolosi per l’ordine
pubblico: dall’assenza di equità ai casi estremi di diniego di giustizia,
dall’impreparazione tecnica di giudici e avvocati
20
alle sentenze
18
Non abbiamo testimonianza nelle fonti di un attivo ruolo delle scuole di diritto, peraltro
esse stesse avvolte in questo periodo da nebbie, né, tantomeno, determinante potè essere il
ruolo dello stesso Teodosio II, imperatore a soli sette anni, aduso a lasciare tali questioni
all’alta burocrazia.
19
Ammiano, in un passo delle sue Res gestae (30.4.1-2), denuncia i mali della giustizia e
traccia il ritratto di una scientia iuris agonizzante. Rende l’idea della insofferenza verso un
sistema giudiziario inutilizzabile l’autore del De rebus bellicis, nell’accorato appello che
rivolge direttamente all’imperatore affinché porti ordine nello stato di confusione del
sistema giudiziario (21.1): “Divina providentia, secretissime imperator, domi forisque
reipublicae praesidiis comcomperatis , restet unum de tua serenitate reimedium ad civilium
curerum medicinam, ut confuses legum contariesque sententias, impropitatis reiecto litigio,
iudicio augustae dignationis illumines”.
20
Antichi “Azzeccagarbugli” pronti a presentare come diritto ciò che all’uopo necessitava
loro fosse tale. Di loro il GAUDEMET (Istitutions…cit., p.738) scrive: “Les praticiens
connaissaient mal le droit. Il fallait leur en fournir les bases essentielles.” L’Archi
(Teodosio…cit., p.197), celebra la “burbanzosa ignoranza ” degli avvocati del tempo,
contrapponendola alla “dottrina” dei membri delle cancellerie imperiali, custodi di un
diritto ancora degno di tal nome. Il MANFREDINI (Codici e giuristi: riflessioni di uno
storico, in AUFG 6 [1992] P. 147) evidenzia da un lato “l’insipienza della scienza
giuridica” tardoantica, dall’altro la volontà dei compilatori “di affrancare la legislazione
imperiale dalla scienza giuridica e affermarne l’autosufficienza e l’autonomia nel segno
della certezza del diritto finalmente conseguita.”
5
contraddittorie, per non parlare degli immaginabili effetti di una diffusa
sfiducia per una giustizia sempre più “ingiusta.”
21
Le ferite sociali che richiedevano cure giuridiche erano molte e sanguinanti.
Di certo al concreto bisogno di salvaguardare il sostrato familiare della
società, minacciato dalla crisi morale dell’epoca, è dovuta la severità nella
repressione del crimini sessuali e la disciplina “dura” in materia di adulterio
contenuta nel titolo settimo del libro.
In questo pratico intento moralizzante trovano con ogni probabilità la loro
ratio le atroci pene previste per il rapimento di vergini,
22
per l’unione di
una donna col proprio schiavo,
23
per la prostituzione maschile,
24
per la
corruzione di una fanciulla pubere da parte del tutore.
25
L’abbondanza di costituzioni sul falso monetario contenute nel libro non
può che testimoniare il tentativo di porre ordine nella caotica situazione
finanziaria dell’epoca.
26
La pena di morte, che si arriva a comminare ai
falsificatori, rende l’idea della diffusione del reato.
21
“Le frequenti istituzioni di funzionari per la tutela dei diritti dei cittadini di fronte agli
organi amministrativi dello Stato, ci mostra il malgoverno di quelli e la insufficienza di
questi, e ci prova come i cittadini non trovassero più, nel perfetto e regolare funzionamento
del sistema processuale-amministrativo, la loro garanzia naturale.” Si trova d’accordo con
tali rilievi del DE ROBERTIS (La variazione…cit., p.674, nt.1), il PUGLIESE (Le
garanzie dell’imputato nella storia del processo penale romano, in Scritti giuridici scelti II
[Napoli 1988] p. 613): “tali inteventi legislativi imperiali presupponevano un assai elevato
grado di ingiustizia, di disuguagliana, di corruzione, che è forse da ascrivere al
dissolvimento dei valori propri dell’antica classe dirigente e alla disgregazione della
compagine statale prodottasi nel corso del III secolo.”
22
La IX,24,1 commina la vivicombustione per il rapitore, per la fanciulla consenziente,per i
complici; l’esilio per i genitori indulgenti; l’ ingestione di piombo fuso per la nutrice.
23
La IX,9,1 condanna alle fiamme lo schiavo, a morte la donna.
24
La IX,7,6 prevede l’espiazione di questo delitto “spectante populo,flammis vindicibus”.
25
Deportazione e confisca dei beni attendono, ex IX,9,1, il tutore che non dimostri di non
aver corrotto la propria pupilla.
26
LO CASCIO E.( Aspetti della politica monetaria del IV secolo in AARC. 11 [1996]
p.487), parla, in questo periodo, di vero e proprio “fenomeno inflazionistico”, generato
dalla liberalizzazione del prezzo dell’oro voluta da Costantino. Su questo punto specifico v.
CALLU J.P.- BARRANDON J.N., L’inflazione del IV secolo (295 – 361): il contributo
delle analisi. in GIARDINA A. (a cura di ), Società romana e Impero tardo-antico I.
6
Nel passaggio dal progetto del 429 a quello del 435 si potrebbe, insomma,
cogliere il mutamento della funzione dell’opera: dalla “collezione storico-
scientifica,” al codice pratico,
27
realizzato, però, con delle imperfezioni che
ne rendono poi difficile la concreta consultazione.
Pur tenendo presente, infatti, che la I,1,6, presentando il progetto del 435 si
sia limitata ad indicare quale scopo il far sì che lo “ius, brevitate
constrictum, claritate luceat” senza esplicitamente riprendere il comando
della I,1,5 di eliminare le contraddizioni, le pecche di quest’opera destinata
all’uso giuridico quotidiano rimangono notevoli: diffusa è l’idea che molte
importanti leggi furono omesse,
28
laddove ne furono inserite altre superflue
e transitorie;
29
la distribuzione delle costituzioni nei titoli non è sempre
esatta; la partizione di singoli testi per contenuti crea talvolta problemi di
Istituzioni,ceti, economia.(Roma 1986); MORRISON C. e altri, Numismatique et Histoire.
L’or monnayé de Rome à Bysance: purification et altérations, in CRAI (1982);
PANKIEWICZ R., Value of Gold to Goods in the Late Eoman Empire, in Eos, 73, (1985);
LO CASCIO E., Prezzo dell’oro e prezzo delle merci, in L’ “inflazione” del IV secolo, Atti
delconvegno di studio (1988); DURLIAT, La valeur relative de l’or, de l’argent e du
cuivre dans l’Empire protobyzantin (IV- VIII siecle), in RN. 22, (1980); AMANDRI M.,
BARRANDON J.N., BRETON C., CALLU J.P., POIRIER J., L’affinage des métaux
monnayés du bas-empire: les reformes valentiniennes de 364-368, in NAC. 11 (1982).
Più in generale, sulla situazione monetaria dell’epoca, v. HENDY M.F., Studies in the
Byzantine Monetary Economy,c. 300-1450, (Cambridge 1985); KENT J., Il sistema
monetario, in Il mondo di Roma mperiale 3 (1989, a cura di Wacher J.); CALLU J.P.,
Problèmes monétaires du quatrième siècle (311-395), in Trasformations et conflits au IV
siécle ap J.-C., Bordeaux 1970, (Bonn 1978); Id., La circulation monetaire de 313 à 348, in
Congr. Int. de Numismatique,New York 1973,( Bonn 1976); DE CECCO M., Monetary
Theory and Roman History, in The Journal of Economic History, 45, (1985); DEIPEROT
G., Le Bas-Empire romain, économie et numismatique, (Parigi 1987).
27
Così BONFANTE, o.c.p. 34. Dissente il BRETONE,o.c., per il quale “l’intenzione
scolastica” del primo codice non avrebbe escluso l’intento pratico.La presenza di
costituzioni “storiche” non avrebbe creato dubbi sul diritto effettivamente vigente, data la
succesione cronologica delle leggi.
28
Come rilevano, tra gli altri, lo SCHERILLO, (Codex Theodosianus ,in NNDI. 3 [1959]) e
il BONFANTE,(o.c)., il quale attribuisce tale mancanza alla negligenza dei compilatori e
all’incompletezza degli archivi imperiali.
29
Quali la IX,40,19, probabilmente un rescritto privato la cui indicazione del destinatario è
venuta meno per errore dei compilatori, la IX,40,21, la IX,42,12 , la IX, 42,16, la IX,42,21
etc.
7
costruzione;
30
frequenti sono gli errori di datazione. Sembrerebbe inevitabile
ammettere che i mezzi a disposizione di Teodosio furono ben “loin de servir
l’ambition.”
31
Bisogna però tener conto, per una corretta valutazione di tali imperfezioni,
del mandato a “demendi supervacanea verba…demutandi ambigua et
emendandi incongrua” contenuto nella I,1,6,
32
che ha autorizzato i
compilatori ad agire sulle costituzioni con interventi che non sempre hanno
sortito lo sperato effetto esplicativo.
33
Il titolo 34 del libro IX, intestato “De famosis libellis,” si rivela
particolarmente ricco di testimonianze non solo del permanere nella
compilazione di frequenti diversitates, ma anche dell’assenza della brevitas
e della claritas, criteri-guida assegnati dalla I,1,6 al secondo progetto. A
parte l’uso di espressioni talvolta imprecise e ridondanti, lo stesso concetto
non di rado viene espresso in modo ripetitivo nelle varie costituzioni.
34
Tra
le contraddizioni particolarmente evidente quella ingenerata dal fatto che
laddove Costantino condanna l’autore dei libelli, pur se in grado di provare
30
Come rileva il BONFANTE o.c.
31
Così, senza nascondere una certa amarezza per l’occasione perduta, GAUDEMET,
Aspects …,cit. p. 279.
32
Tale mandato è inteso dal GAUDEMET,(Code Théodosien et Bréviaire d’Alaric, in
Etudes de droit romain [1979] ) come una licenza ad elidere intere costituzioni non più
efficaci: “le code ne devait pas etre una collection histirique”. Non concorda l’ARCHI,
(Teodosio…cit.) per il quale, in virtù del criterio della completezza che i commissari
dovevano seguire, non si sarebbero mai potute sacrificare intere costituzioni, che dovevano
rimanere a testimonianza della potenza dell’imperatore emanante, ma solo parti di esse.
33
La DE MARINI AVONZO (o.c., p.122) giunge fino a considerare le “ampie facoltà di
manipolazione …concesse ai compilatori” il “punto veramente nuovo” della compilazione.
34
Le due costituzioni di Costanzo IX,34,5 e 6 ribadiscono, rispettivamente, il divieto di
ammettere libelli alla cognitio imperiale e la presunzione di innocenza per la vittima di
accuse anonime già disposti da precedenti costituzioni di Costantino. Il
MANFREDINI,(Osservazioni sulla compilazione teodosiana. (CTh1,1,5 e Nov. Theod.1),
in margine a CTh 9,34 ( De famosis libellis),in AARC. 4 [Perugia 1981]) avanza l’ipotesi
che l’introduzione di queste costituzioni trovi la sua ratio in un intento celebrativo di
Costanzo come cunctor del crimen famosi libelli. Lo stesso intento celebrativo è
8
le loro accuse, a morte, Valente gli conferisce, nello stesso caso, “somma
lode,”
35
o quella contenuta nella IX,34,3, in cui Costantino ordina la
distruzione dei libretti dopo che nella precedente costituzione aveva
permesso ai giudici di conservarli.
L’impressione che ne deriva è quella di trovarsi di fronte ad una collectio
non certo brillante per claritas e brevitas.
36
In realtà la tendenza all’eliminazione di errori ed inutili ripetizioni, e
dunque alle conseguenti brevità e chiarezza d’esposizione, è limitata in tutta
la compilazione teodosiana dalla “concezione profondamente storicistica
del ius principale”
37
e da un innegabile intento celebrativo degli imperatores
legislatores.
38
Quando, con Giustiniano,
39
questa concezione di fondo verrà meno, la
trattazione dei famosi libelli potrà esser trasfusa in un’unica costituzione,
40
probabilmente da attribuire all’inserzione della IX, 34, 18,dovuta a Valente, la quale
ribadisce l’ordine di distruggere i libelli già più volte enunciato nel titolo.
35
Per il MANFREDINI , o.c. la contraddizione potrebbe superarsi ponendo un discrimen
tra i due casi: laddove Costantino parla di un autore scoperto dopo l’inquisitio, Valente
considera il caso dell’autore che abbia spontaneamente rivelato la propria identità e abbia
ripetuto e provato le sue accuse alla luce del sole. Da ciò il premio.
36
E’ ancora il MANFREDINI, (o.c.), ad offrirci una lettura diversa: “A noi pare fuor di
dubbio che ci troviamo di fronte ad un raffinato ordine contenutistico delle costituzioni
[l’autore anonimo del libellus famosus (cost.1) – l’autore nominativo (cost.2) – i rinvenitori
giudici (cost.3-6) – i rinvenitori privati (cost. 7-10)] adattato a quello cronologico attraverso
l’omissione di costituzioni, sapientemente dosata.” Dissente energicamente da tale
costruzione il SARGENTI (Il Codice Teodosiano: tra mito e realtà in SDHI. 41 [1995]) per
il quale i testi inseriti nel titolo sarebbero troppo puntuali per costituire una vera trattazione
dell’istituto.
37
MANFREDINI, o.c. p. 426.
38
La Nov. Theod.1.3 esplicitamente chiarisce che la raccolta delle leggi era avvenuta in
modo da preservare l’aeternitas di ogni principe: unico merito dell’imperatore a cui si deve
la raccolta quello di averle rese brevi e dunque chiare: “quamquam nulli retro principum
aeternitas sua detracta est, nullius latoris occidit nomen: immo lucis gratia mutati
claritudine consultorum augusta nobiscum societate iunguntur. Manet igitur manebitque
perpetua elimata gloria conditorum nec in nostrum titulum demigravit nisi lux sola
brevitatis.”
39
Il quale si proponeva, appunto, di trarre “d’entro le leggi…il troppo e ‘l vano” (Par. VI,
12).
40
C. IX, 36, 2.
9
sicuramente chiara e sintetica, ma ben poco rispettosa della volontà
legislativa di ogni singolo imperatore.
Negli anni del Teodosiano, dunque, il pur prevalente fine pratico della
compilazione non valse a sacrificare la memoria e l’operato degli imperatori
precedenti.
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I.1.2. Natura di codice moderno?
Tenere in debito conto i suesposti dati ci salva dal facile errore di
considerare un fallimento il tentativo di organizzazione della materia penale
effettuato dai compilatori teodosiani.
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Se ci impegniamo a mantenere saldi
i contatti con il contesto non solo storico-sociale e politico, ma anche
ideologico in cui l’opera fu pensata e redatta ed evitiamo paragoni con
opere successive, il che sarebbe metodologicamente errato, non ci sarà
difficile cogliere il passo in avanti che il nostro libro costituì nella direzione
di una più chiara ed imparziale applicazione della normativa penale.
Come pressoché tutti gli altri campi giuridici, quello criminale soffriva le
pene dell’incertezza del diritto, particolarmente nociva in quest’ambito in
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Ad ulteriore, possibile , spiegazione della presenza di costituzioni ripetitive nel libro IX,
si potrebbe addurre la teoria sviluppata dalla DE MARINI AVONZO (Codice Teodosiano e
Concilio di Efeso in AARC. 5 [Perugia 1983]), in relazioni alle ripetizioni del libro XVI.
Secondo tale tesi, gli imperatori, talvolta, di fronte a questioni la cui soluzione si voleva
puramente di facciata, emanavano svariate leggi che non avrebbero mai dovuto trovare
applicazione, leggi volte solo a calmare le acque in momenti di tempesta. L’introduzione di
queste leggi nel Codice non dovette avere altro scopo che costruire un’immagine del potere
imperiale più che attento alle esigenze dei sudditi. Non va, tralasciata, infine, la possibilità
che un ruolo nella scelta di introdurre costituzioni ripetitive abbia giocato anche la volontà
di preservare l’autenticità dei testi, di salvare il “patrimonio letterario tradito dall’antichità”,
come scrive BARONI ADESI G. (Tradizione dei “corpora” giurisprudenziali e
codificazione teodosiana,in La codificazione del diritto dall’antico al moderno [Napoli
1998] p.286).
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Tale giudizio negativo ha a lungo pesato sulla compilazione teodosiana nel suo
complesso. Particolarmente duro il SEEK (Geschichite des Untergangs der antiken Welt 6
[Stuttgart 1920] p. 176) che definisce l’opera una “pietosa rattoppatura”.
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cui spesso era in gioco la vita dei malcapitati, colpevoli o meno, coinvolti
nel processo.
E’con queste premesse, e senza cercare un’ anacronistica coincidenza
totale, che possiamo giungere a parlare del libro IX come di “codice in
senso moderno”. Solo con le suesposte precisazioni le contraddizioni e le
ripetizioni rilevate divengono un ostacolo superabile nella concezione di
un’applicazione del libro dedicato al diritto criminale, in senso moderno.
Elementi che per noi giuristi d’oggi sarebbero inconcepibili in un’opera
che quotidianamente dovesse fornirci la normativa generale ed astratta da
applicare ad ogni singolo caso, quali l’intrusione di norme non più efficaci,
di contraddizioni e in modo particolare il coacervo tra norme sostanziali e
processuali, non potevano costituire ostacoli degni di rilievo per giuristi
costretti fino ad allora ad operare, nella maggior parte dei casi senza il
supporto dei testi, per lo più irreperibili.
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Se ci limitiamo allo scopo fondamentale di ogni moderno codice, ossia
quello di rendere facile ed immediato il reperimento della norma da
applicare, e teniamo presente il tantus tristis lucubrationum pallor
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da cui
il diritto e la procedura penale cominciarono finalmente ad esser tratti, non
risulterà più azzardato il paragone tra il libro IX e i nostri moderni codici di
diritto e procedura.
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A tal proposito il CERAMI (Strutture costituzionali romane e irrituale assunzione dei
pubblici uffici, in AUPA 31 [1969] p. 288) parla significativamente del Codice Teodosiano
come di “una svolta decisiva nella esperienza giuridica romana,” l’avvio verso un ordo
iuris come “complesso organico di norme generali, assolute e cogenti.”
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Nov. Theod.1.