ruolo maritale e/o genitoriale, difficoltà tali per cui si può assistere a situazioni
familiari quali insoddisfazione coniugale (Larson et al., 1994), procrastinazioni
nella scelta di avere dei figli (Ekert-Jaffe e Solaz, 2001), compromissioni dei
rapporti genitoriali (Mauno e Kinnunen, 1999a), riduzione delle performance
scolastiche dei figli (Barling et al., 1999; Stewart e Barling 1996), formazioni di
idee pessimistiche di questi sul mondo del lavoro (Barling et al., 1998),
posticipazioni del momento emancipativo filiale (Becker e colleghi 2004), tematica
questa attorno alla quale si è fatta forse sin troppa ironia.
La famiglia del lavoratore atipico viene così ad essere colpita dalla
condizione occupazionale di quest’ultimo, ma il nucleo familiare può anche
rivelarsi sorgente di conforto, vicinanza, protezione, affetto e intervenire nella
relazione che si crea tra insicurezza lavorativa e insoddisfazione esistenziale (Lim,
1996). Si parlerà quindi di supporto familiare e si tenterà di capire se effettivamente
la famiglia è capace di fornire a questo soggetto il sostegno affettivo necessario per
superare la sua condizione di disagio esistenziale.
Sulla scorta dei risultati di ricerche condotte all’estero sì è cercato di
comprendere se anche i lavoratori precari italiani mostrano le medesime
caratteristiche appena descritte. È stata condotta una ricerca correlazionale con
l’obiettivo di verificare se due gruppi di lavoratori atipici (coniugati/conviventi e
celibi/nubili che vivono nella casa parentale) sperimentano insicurezza lavorativa
correlata con insoddisfazione esistenziale e se il supporto affettivo familiare (fornito
principalmente dal partner o dai genitori) è in grado di svolgere la funzione di
moderatore in questa relazione. La ragione di costituire due campioni risiede nella
considerazione del fatto che i precari coniugati abbiano maggiori preoccupazioni
per il loro lavoro, in quanto hanno la responsabilità di mantenere una famiglia,
mentre i precari che vivono nella casa parentale temono di meno la perdita del
lavoro in quanto possono contare ancora sul sostegno economico dei genitori.
L’ipotesi di partenza prevede pertanto che entrambi i gruppi di lavoratori
precari percepiscano una insicurezza lavorativa a cui è associato un disagio
esistenziale tanto meno marcato quanto più è elevato il supporto familiare; a cui si
aggiunge la supposizione che il primo gruppo sperimenti un’insicurezza lavorativa
superiore al secondo.
I risultati ottenuti sono in linea con la letteratura di riferimento (Chirumbolo,
2003; Lim, 1996) e confermano parzialmente l’ipotesi: solo il primo gruppo mostra
2
una relazione significativa tra insicurezza lavorativa ed insoddisfazione esistenziale,
nel senso che ad un aumento dell’insicurezza corriponde un aumento del disagio;
mentre nel secondo gruppo tale relazione non appare. Per quanto concerne la
variabile supporto familiare, questa non svolge la funzione di moderatore, ovvero
non risulta capace di lenire l’insoddisfazione esistenziale. La ragione di questa
mancanza di significatività è però da ascrivere a ragioni statistiche e non ai livelli di
supporto, di fatto molto elevati. Infine, rispetto alla variabile genere, è emerso che
le donne sperimentano livelli di insicurezza lavorativa significativamente superiori
rispetto agli uomini.
Ci si auspica che questi risultati, molto chiari nel loro significato, possano
costituire motivi di riflessione e spunti per successive ricerche sulla realtà del
lavoro atipico.
3
Parte I – Lo sfondo teorico
1. Il lavoro atipico
Nel lavoro “atipico” rientrano qui soggetti che hanno un rapporto di lavoro
definito da una forma contrattuale lavorativa diversa da quella a tempo
indeterminato full time (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2005). I
contratti di lavoro atipico sono stati definiti in modo simile anche dalla letteratura
straniera: ogni accordo lavorativo che differisce dall’impiego a tempo pieno e
permanente, o a lungo termine (De Grip et al., 1997; Hipple, 2001; Polivka, 1996;
Polivka e Nardone, 1989); accordi lavorativi in cui viene eliminata la nozione di
impiego a tempo indefinito (Cordova, 1986); lavori conclusisi in un determinato
tempo giacché completati oppure esplicitamente temporanei (Ferber e Waldfogel,
1998).
Vi sono anche altre denominazioni, utilizzate anche nella letteratura scientifica,
attribuite a questa forma di lavoro, tra cui: “temporaneo” (Chirumbolo, 2003;
Ferrie, 2001; Lim, 1996; Wiens-Tuers e Hill, 2002), “flessibile” o “mobile” (Parker
et al., 2002; Polivka e Nardone, 1989), “a tempo determinato” (Sverke e Hellgren,
2002), “non standard” (Connelly e Gallagher, 2004; Ferber e Waldfogel, 1998), “a
termine” (ISTAT, 2005), e “precario
1
” (Curtarelli e Tagliavia, 2003; INPS, 2003;
IRES, 2003; ISFOL, 2001; OECD, 2004; Regalia, 2000; Treu, 1992; Zeytinoglu et
al., 2004). Ciascuna
2
conferisce alla modalità lavorativa in questione una particolare
accezione e, sebbene esse verranno qui usate in maniera intercambiabile, l’ultima di
queste, come vedremo, è indubbiamente la più appropriata a descrivere l’oggetto
della presente tesi.
1.1. Cenni sulla genesi del fenomeno
Il lavoro atipico comprende quelle forme di lavoro che si differenziano da
quella che è la forma standard di lavoro, quasi completamente predominante
1
La parola “precario” deriva dal latino precariu(m), ossia “ottenuto con preghiere, che si concede
per grazia”. L’etimologia del termine dice già molto…
2
In realtà non vi è pieno accordo su quali soggetti appartengono alla categoria degli “atipici”, difatti
l’ISTAT differenzia tra atipici “parziali” e atipici “in senso stretto”, escludendo con questa etichetta i
lavoratori part-time, laddove invece il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non contempla
questa distinzione. Le ragioni di queste arbitrarie categorizzazioni possono risalire all’elemento di
apparente novità della questione del lavoro atipico, apparente perché si tratta non di un fenomeno
nuovo, ma che solo recentemente è stato oggetto di attenzione, sia da parte della legislazione, che
della ricerca. Ad ogni modo, per chiarezza, in questa sede viene definito atipico il lavoratore che ha
un lavoro a tempo determinato, indipendentemente dalla forma contrattuale.
4
durante il periodo economico di produzione standardizzata di massa, ovvero a
tempo indeterminato e a tempo pieno. I mutamenti dell’ordine macro economico
avvenuti a livello mondiale sin dagli anni ’70-’80 (Aaronson e Sullivan, 1998;
Amuedo-Dorantes, 2000; Burchell et al., 2002; Chirumbolo e Hellgren, 2003;
Cinamon, 2001; Cordova, 1986; Friedman, 2000; Moberly, 1987; Polivka e
Nardone, 1989; Treu, 1992; Wiens-Tuers, 2001), in cui appunto vigeva il modello
di produzione fordista, hanno modellato il mercato del lavoro in una direzione dalla
quale emerge il trend del ricorso, da parte delle aziende, di manodopera a tempo
definito, ideale da impiegare durante le fluttuazioni dell’attività lavorativa, come
nelle sostituzioni di personale, nei periodi di stagionalità, per far fronte a picchi
inaspettati di lavoro, quindi, per una maggiore flessibilità
3
in generale (Accornero et
al., 2000, 2001; Allan, 2000; Boynton e Milazzo, 1996; CIETT, 2000; Di Prete et
al., 2002; Esposito et al., 1998; Garsten, 1999; Gorg et al., 1998; Kinnear, 1999;
Matusil e Hill, 1998; McIlroy et al., 2004; OECD, 2003; Virtanen et al., 2004).
Questo è dovuto al fatto che è la natura stessa del mercato odierno, che sforna
prodotti e servizi personalizzati, diversificati e di breve vita, a richiedere persone
nuove, con caratteristiche precise, ideali da impiegare a fianco di quei lavoratori che
già costituiscono il cuore dell’azienda, lavoratori solitamente impiegati a tempo
indeterminato (Parker et al., 2002). Il lavoro atipico non è da ritenersi un fenomeno
nuovo, esso è nato ben prima di questi cambiamenti socio-economici (Cordova,
1986), e ne è testimone la nascita, nel 1948, di una delle più importanti agenzie
interinali. Il lavoro mobile tuttavia, solo nell’ultimo ventennio in Europa (Lewis e
Lewis, 1996), e nell’ultimo decennio in Italia, ha assunto un carattere
maggiormente strutturale, tanto che, come si vedrà in seguito, nemmeno la ricerca
scientifica psico-sociologica è riuscita a inquadrare il tema con chiarezza e accordo.
1.2. Gli aspetti normativi e le forme contrattuali atipiche
Prima di fornire alcune cifre sui lavoratori atipici pare più opportuno elencare
quali sono le formule contrattuali previste dalla legge, la quale ha sempre cercato di
regolamentare queste nuove forme di impiego, non senza difficoltà, vista la non
sempre semplice quantificazione di ogni nuovo fenomeno lavorativo. Per ciò che
concerne più strettamente la normativa in materia si rimanda a Rizza (2003), il
quale indica le transizioni fondamentali dagli anni ’60, in cui il lavoro a tempo
3
Sulla quale si tornerà nel par. 3.1.4.
5
determinato è ammesso solo in via eccezionale, sino al 1997, con il pacchetto Treu
che normalizza questa forma di lavoro, per poi giungere alla ben più nota e
travagliata legge Biagi
4
, che si è posta l’obiettivo di rispondere alle esigenze di
“modernizzazione e di flessibilità” del mercato del lavoro (Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, 2005
5
), di porre rimedio alla “pessima performance del
nostro mercato del lavoro” (Eurispes, 2005), di contrastare la disoccupazione, di
tutelare maggiormente i lavoratori flessibili
6
e di far emergere e regolarizzare coloro
che prestano manodopera “in nero” o precaria, esse prive delle fondamentali
garanzie (in tema di malattie, infortuni, maternità ecc.), di cui invece godono i
lavoratori a tempo indeterminato.
Le forme contrattuali che verranno presentate come esempio dei possibili
rapporti di lavoro a tempo determinato rientrano all’interno di tre grandi categorie:
lavoro subordinato: comprende le prestazioni non autonome, svolte alle
dipendenze e sotto le direttive, la vigilanza ed il controllo del datore sul
quale incide il rischio connesso allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Secondo l’art. 2094, C.c., il prestatore di lavoro subordinato è colui che
“si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il
proprio lavoro intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore”;
lavoro para-subordinato: fa riferimento alle prestazioni d’opera
prevalentemente personali svolte senza vincolo di subordinazione in un
rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e
con retribuzione periodica stabilita. Il lavoratore “parasubordinato” gode
di autonomia organizzativa circa le modalità, il tempo ed il luogo
dell’adempimento, ma l’attività lavorativa deve comunque collegarsi
funzionalmente e strutturalmente all’organizzazione dell’impresa;
lavoro autonomo: ai sensi dell’art 2222, C.c., si parla di lavoro
autonomo “quando una persona si obbliga a compiere verso un
corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio
4
Per ogni approfondimento in merito alla Riforma Biagi si rimanda al sito web del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali www.welfare.gov.it /RiformaBiagi.
5
Questa legge non ha pretese di essere definitiva, bensì ha natura sperimentale, come si può leggere
nell’articolo di chiusura del decreto n. 276 del 2003. Ne sono prova i continui aggiornamenti
apportati, necessari per modellarla con efficacia alla cangiante situazione del mercato del lavoro.
6
Ad esempio contro l’abuso, da parte delle imprese, delle collaborazioni coordinate e continuative,
utilizzate, a detta dell’Eurispes (2005), solo per ridurre i costi, nell’incuranza di investire nella
qualità del lavoro e nel capitale umano.
6
e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Il
lavoratore è autonomo in quanto è rimessa alla sua piena discrezionalità
la scelta circa le modalità, il luogo ed il tempo di organizzazione della
propria attività e in quanto ricade completamente su di lui il rischio
inerente all’esercizio dell’attività lavorativa.
L’elenco seguente comprende invece alcuni dei diversi rapporti di lavoro
definiti dalla Riforma Biagi del 2003 e ancora in via di aggiornamento grazie a
continue disposizioni modificative e correttive. Alcune delle forme contrattuali che
seguono in realtà non sono nuove e possono essere stipulate anche in caso di
assunzione a tempo indeterminato, come ad esempio nel lavoro part-time. Ad ogni
modo, per circoscrivere il vasto e complesso fenomeno del lavoro atipico e quindi
per facilitarne l’analisi, queste vengono prese in considerazione solo sotto l’aspetto
della loro applicazione a tempo determinato.
1.2.1. Apprendistato
L'apprendistato viene definito “un contratto a contenuto formativo, in cui il
datore di lavoro oltre a versare un corrispettivo per l'attività svolta garantisce
all'apprendista una formazione professionale”. Questo tipo di contratto è stato
pensato per contrastare il frequente abbandono scolastico, in quanto consente di
maturare crediti scolastici per un eventuale ritorno allo studio (Eurispes, 2005).
Tre sono le formule applicative:
I. apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e
formazione, che consente di conseguire una qualifica professionale e
favorire l'entrata nel mondo del lavoro dei più giovani; ha una durata
massima di tre anni;
II. apprendistato professionalizzante, che consente di ottenere una qualifica
attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-
professionale; ha una durata dai 2 ai 6 anni;
III. apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta
formazione, che consente di conseguire un titolo di studio di livello
secondario, universitario o di alta formazione e per la specializzazione
tecnica superiore; la durata varia in base ad accordi regionali.
7
I destinatari di questo contratto sono:
per l’apprendistato diritto-dovere di formazione: giovani e adolescenti che
abbiano compiuto 15 anni (prevalentemente la fascia d'età tra i 15 e i 18
anni);
apprendistato professionalizzante e apprendistato per l'acquisizione di un
diploma o per percorsi di alta formazione: giovani tra i 18 e i 29 anni e
diciassettenni in possesso di una qualifica professionale (conformemente
alla Riforma Moratti).
1.2.2. Inserimento
Questo tipo di contratto “mira a inserire (o reinserire) nel mercato del lavoro
alcune categorie di persone, attraverso un progetto individuale di adattamento delle
competenze professionali del singolo a un determinato contesto lavorativo.
Momento centrale del contratto è la redazione del piano di inserimento lavorativo,
che deve garantire l'acquisizione di competenze professionali attraverso la
formazione on the job. Sostituisce il contratto di formazione e lavoro (CFL) nel
settore privato e ha una durata che va da 9 a 18 mesi, (fino a 36 mesi per gli assunti
con grave handicap fisico, mentale o psichico).
Questo tipo di contratto è destinato a:
persone di età compresa tra 18 e 29 anni;
disoccupati di lunga durata tra 29 e 32 anni;
lavoratori con più di 50 anni privi del posto di lavoro;
lavoratori che intendono riprendere un'attività e che non hanno lavorato
per almeno due anni;
donne di qualsiasi età che risiedono in aree geografiche in cui il tasso di
occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% a quello maschile
(oppure quello di disoccupazione superiore del 10%);
persone riconosciute affette da un grave handicap fisico, mentale o
psichico”.
8
1.2.3. Lavoro a progetto
È uno dei più noti e consiste in “un contratto di collaborazione coordinata e
continuativa
7
caratterizzato dal fatto di: essere riconducibile a uno o più progetti
specifici o programmi di lavoro o fasi di esso; essere gestito autonomamente dal
collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con
l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per
l'esecuzione dell'attività lavorativa”. Per ciò che concerne la durata del contratto,
essa “può essere determinata (indicata specificamente) o determinabile in quanto il
rapporto dura finché non sia stato realizzato il progetto, il programma o la fase di
lavoro.
Il contratto di lavoro a progetto deve essere redatto in forma scritta e deve
indicare, a fini della prova, i seguenti elementi:
durata della prestazione di lavoro: può essere determinata (indicata
specificamente) o determinabile in quanto il rapporto dura finché non sia
stato realizzato il progetto, il programma o la fase di lavoro;
individuazione e descrizione del contenuto caratterizzante del progetto o
programma di lavoro, o fase di esso;
corrispettivo e criteri per la sua determinazione, tempi e modalità di
pagamento, disciplina dei rimborsi spese;
forme di coordinamento tra lavoratore a progetto e committente
sull'esecuzione (anche temporale) della prestazione lavorativa;
eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a
progetto (oltre a quelle previste in applicazione delle norme relative
all'igiene e sicurezza del lavoratore sul luogo di lavoro).
7
In effetti il lavoro a progetto sostituisce proprio il contratto di collaborazione coordinata e
continuativa, il “co.co.co.”, che consisteva in un “rapporto di lavoro caratterizzato dal fatto che il
collaboratore presta la propria opera a favore di un committente senza essere suo dipendente (quindi
in maniera autonoma), anche se tale attività è coordinata con quella del committente e continuativa.
In mancanza di una specifica definizione di legge, la giurisprudenza ha definito il contenuto degli
elementi necessari per configurare tale rapporto: la continuità, intesa come costanza dell'impegno e
suo perdurare nel tempo, la coordinazione della prestazione, intesa come collegamento funzionale
con l'attività del committente e come possibilità per questo ultimo di fornire istruzioni nel rispetto
dell'autonomia professionale del collaboratore e la personalità della prestazione, intesa come
prevalenza dell'apporto personale del collaboratore. Le collaborazioni coordinate e continuative
rientrano nell'area del lavoro cosiddetto parasubordinato” (Ministero del Lavoro e delle Poltiche
Sociali, 2005).
9
Il contratto termina quando il progetto, il programma o la fase vengono
realizzati. Il recesso anticipato può avvenire per giusta causa o in base alle modalità
previste dalle parti nel contratto individuale.
Il contratto di lavoro a progetto può essere stipulato da tutti i lavoratori e per
tutti i settori e le attività, con le seguenti esclusioni:
agenti e rappresentanti di commercio;
coloro che esercitano professioni intellettuali per le quali è necessaria
l'iscrizione a specifici albi professionali (già esistenti al momento
dell'entrata in vigore del decreto);
componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società;
partecipanti a collegi e commissioni (inclusi gli organismi di natura tecnica);
pensionati al raggiungimento del 65° anno di età;
atleti che svolgono prestazioni sportive in regime di autonomia, anche in
forma di collaborazione coordinata e continuativa;
collaborazioni coordinate e continuative di tipo occasionale "minima",
ovvero di durata non superiore a 30 giorni con un unico committente, e per
un compenso annuo non superiore a 5.000 euro con lo stesso committente;
rapporti di collaborazione con la pubblica amministrazione;
rapporti e attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque resi
e utilizzati a fini istituzionali in favore di associazioni e società sportive
dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali e agli enti di
promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. (Comitato Olimpico
Nazionale Italiano).”
Per ciò che concerne il compenso, esso “deve essere proporzionato alla quantità
e qualità del lavoro eseguito e deve tenere conto dei compensi normalmente
corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del
contratto.”
In merito alle discusse garanzie offerte da questo contatto, “il Dlgs 276/2003
prevede una maggior tutela, rispetto alle collaborazioni coordinate e continuative,
del lavoratore in caso di malattia, infortunio e gravidanza:
o la malattia e l'infortunio del lavoratore comportano solo la sospensione del
rapporto che però non è prorogato e cessa alla scadenza indicata nel
10