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INTRODUZIONE
Il presente lavoro è articolato in sei capitoli; i primi tre di natura teorica i
restanti tre di natura empirica.
L‟argomento principale è la programmazione negli enti locali e, nello
specifico, è approfondita la relazione previsionale e programmatica; documento
che tutti gli enti locali devono redigere per pianificare la loro attività nel medio
periodo.
Il PRIMO CAPITOLO è composto da cinque paragrafi.
L‟oggetto di analisi è costituito dalle Autonomie locali - regioni, città
metropolitane, province e comuni.
I primi tre paragrafi riportano una breve descrizione dell‟evoluzione normativa,
dalla Costituzione del 1948 alla riforma del Titolo V del 2001, mentre l‟ultimo
descrive la situazione attuale: proposta di eliminazione delle province e legge
finanziaria 2010.
L‟analisi economica, riguardante il decentramento delle funzioni e il federalismo
fiscale, completa l‟esposizione.
Il SECONDO CAPITOLO, formato da quattro paragrafi, si concentra solo sugli
enti locali la cui disciplina è contenuta nel decreto legislativo del 18 agosto 2000
n. 262 chiamato Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.). L‟articolo 2 precisa
che, per enti locali si intendono i comuni, le province, le città metropolitane, le
comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni.
Elencate le tre fasi di governo - programmazione, gestione e rendicontazione - è
approfondita la prima perché oggi, in presenza di risorse scarse è importante in
tutte le organizzazioni, siano esse pubbliche o private, pianificare i mezzi di cui si
dispone per soddisfare al meglio i bisogni più urgenti minimizzando gli sprechi.
Purtroppo questo non è scontato e, se all‟interno di una famiglia si sta attenti a
non spendere di più di quanto si guadagna, la stessa cosa spesso non avviene nel
settore pubblico dove i governanti per raggiungere obiettivi personali (visibilità,
carriera, premi …) tendono a spendere di più rispetto alle possibilità effettive
dell‟ente generando, negli anni, il loro fallimento (dissesto finanziario).
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Sono esposti inoltre i problemi che gli amministratori affrontano nella redazione
dei documenti di programmazione e le diverse modalità organizzative:
management by objectives, new public management e governance.
Il TERZO CAPITOLO, composto da quattro paragrafi, termina la parte teorica
analizzando la relazione previsionale e programmatica.
E‟ un documento che collega la pianificazione quinquennale con quella annuale;
gli obiettivi di medio periodo (generalmente tre anni) infatti sono funzionali al
raggiungimento di quelli di fine del mandato e costituiscono la base per la
predisposizione dei documenti di programmazione annuale.
Il CAPITOLO QUARTO è formato da due paragrafi.
Il primo presenta la provincia del comune di cui si analizzerà la Rpp, Enna. Sono
rilevate le sue caratteristiche in relazione alla popolazione, al mercato del lavoro,
alla demografica delle imprese, al commercio estero, al credito e al turismo. I
dati numerici, presentati nel Rapporto sulla situazione economica della provincia
di Enna, sono riportati nell‟ALLEGATO I.
L‟osservazione dei dati economici permette di inquadrare meglio l‟ambito in cui
agisce il comune di Piazza Armerina la cui breve presentazione è effettuata
nell‟ultimo paragrafo.
Il CAPITOLO QUINTO presenta, in ognuno dei quattro paragrafi di cui si
compone, le varie sezioni contenute nella Rpp 2009-2011 di Piazza Armerina:
caratteristiche generali, analisi delle risorse e lettura del bilancio per programmi.
I dati presenti nel documento originale sono riportati negli ALLEGATI II, III, IV e V.
Il CAPITOLO SESTO conclude l‟elaborato riportando una valutazione soggettiva
del documento analizzato in relazione, non solo alla normativa vigente ma anche,
al confronto tra bisogni e previsioni.
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CAPITOLO PRIMO
L’EVOLUZIONE DELLE AUTONOMIE LOCALI
1.1 LA COSTITUZIONE DEL 1948
Il primo gennaio 1948 entrò in vigore la prima Costituzione Italiana formata
da 139 articoli raggruppati in tre parti:
I. principi fondamentali (articoli 1-12), ancora oggi in vigore e mai modificati;
II. diritti e doveri dei cittadini. Formata da quattro titoli: rapporti civili,
rapporti etico - sociali, rapporti economici e rapporti politici, comprende gli
articoli dal 13 al 54;
III. ordinamento della Repubblica (articoli 55-139);
concludono le disposizioni transitorie e finali formate da 18 articoli.
L‟Italia nel 1948 usciva annientata sia dalla partecipazione alla II guerra
mondiale (1940-1945) che dal periodo fascista (1925-1945). Mussolini, grazie alla
flessibilità dello Statuto Albertino, allora in vigore, era riuscito a stravolgere tutte
le leggi limitando le libertà personali e politiche degli Italiani e aumentando anche
l‟accentramento dei poteri proprio per non lasciare alcun margine di libertà.
In uno Stato centralizzato le funzioni legislative, giurisdizionali e
amministrative, sono assegnate al governo centrale quindi, sul piano locale,
occorrono apparati burocratici in grado di attuare quanto già deciso e controllori
affinché questo avvenga in maniera corretta. La figura prevalente, infatti, fu quella
dei prefetti; emissari del governo centrale aventi il compito di trasmettere le
direttive dal centro alla periferia. Inoltre:
garantisce le stesse norme su tutto il territorio nazionale quindi
l‟uguaglianza tra i cittadini.
Questo non sempre è vero perché una norma adatta a un territorio potrebbe essere
del tutto inadatta in un altro.
Permette l‟unità dello Stato evitando conflitti tra i vari enti periferici;
sfrutta le economie di scala;
è un‟organizzazione rigida; gli iter burocratici sono paralizzati perché
occorre più tempo per mettere in atto qualsiasi decisione;
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diminuisce la possibilità per i cittadini di poter partecipare alla vita
politica.
Il 2 giugno 1946, per la prima volta, tutti i nostri concittadini furono chiamati
a votare sia per l‟Assemblea costituente, avente il compito di redigere la
Costituzione, sia per la scelta tra monarchia e repubblica.
I partiti presenti in Assemblea furono la democrazia cristiana, il partito socialista,
il partito comunista e, in posizione marginale, i liberali. L‟obiettivo comune era di
stabilire norme che non permettessero più, in futuro, l‟instaurazione del partito
fascista e di qualunque altra forma di governo autoritario e dittatoriale quindi, la
loro intenzione, era la creazione di un nuovo Stato libero, democratico e vicino ai
bisogni delle classi più povere.
Lo Stato che si originò fu di tipo regionale. La Costituzione, infatti, all‟articolo
114, prevedeva la ripartizione della Repubblica in regioni, province e comuni.
Province e comuni già esistevano mentre alle regioni, istituite nel 1948, fu
riconosciuta l‟autonomia politica (organi propri) con propri poteri e funzioni, sia
legislative anche se in maniera limitata (vedi articolo 117) che amministrative
(funzioni proprie e delegate dallo Stato).
L‟introduzione della Costituzione tuttavia non fu accompagnata dal
mutamento della mentalità delle persone, di fatto, nella pubblica amministrazione
continuarono a rimanere i funzionari legati al fascismo e, solo intorno al 1950, si
iniziò a dare attuazione ai nuovi articoli costituzionali.
1.2 LA RIFORMA DEL TITOLO V
La parte seconda della nostra Costituzione – Ordinamento della Repubblica –
è suddivisa in sei titoli:
I – Il Parlamento
II – Il Presidente della Repubblica
III – Il Governo
IV – La magistratura
V – Le Regioni, le Province e i Comuni
VI – Garanzie Costituzionali
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Intorno agli anni Ottanta si avvertì l‟esigenza di una riforma istituzionale per
l‟instabilità dei governi, la fragilità delle maggioranze, la frammentazione dei
partiti, la mancata alternanza al governo tra maggioranza e opposizione
1
, la
lentezza dei lavori parlamentari, la scarsa efficienza della pubblica
amministrazione e gli attriti tra i poteri dello Stato.
Le norme costituzionali, se perfette su carta, si dimostrarono inefficaci perché
poco peso era stato dato alle condizioni di stabilità, di efficienza e di capacità
decisionale in quanto le priorità, in quel determinato periodo storico, erano state
altre.
I primi cambiamenti, anche in conseguenza agli avvenimenti europei e
internazionali come la nascita della Comunità Economica Europea, il crollo dei
regimi comunisti e la fine dell‟avversione tra USA e URSS, si ebbero intorno agli
anni Novanta quando si creò un federalismo amministrativo a Costituzione
invariata
2
.
Solo nel 2001, con la legge costituzionale numero 3, fu modificato l‟intero
titolo V (articoli 114-133) ponendo le basi per la creazione di uno Stato federale,
rispondendo alle esigenze di rendere più trasparente e snella l‟azione della
pubblica amministrazione e soprattutto adeguare la Costituzione con quanto era
avvenuto negli anni precedenti.
Tale riforma è basata sulla logica del decentramento dei poteri quindi il percorso
verso la creazione del federalismo è stato opposto rispetto all‟iter normale, infatti,
nell‟accezione tradizionale, è il risultato di un patto tra gli Stati membri ognuno
dei quali rinuncia ad alcuni poteri per delegarli allo Stato centrale. Le funzioni,
assegnate a quest‟ultimo dalla Costituzione, sono di interesse comune come la
politica estera, la difesa e la politica monetaria, agli Stati federali rimane la
competenza generale su tutto il resto
3
.
La riforma del 2001, per quanto riguarda la funzione legislativa, ha previsto:
a) materie di competenza esclusiva dello Stato.
1
Nei primi 50 anni di vita repubblicana al governo furono sempre presenti i comunisti in
opposizione alla democrazia cristiana non creando così l‟alternanza tra maggioranza e
opposizione.
2
Tra le riforme ricordiamo la legge Bassanini (legge 59/1997), il decreto legislativo 56/2000 e
quelle riguardanti le leggi elettorali.
3
Esempi di Stati federali sono gli Stati Uniti e la Svizzera.
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Mentre la Costituzione del 1948 prevedeva una competenza generale elencando le
materie di competenza delle regioni, oggi al contrario è lo Stato ad avere una
competenza speciale. La disciplina di queste materie, elencate al secondo comma
dell‟articolo 117 della Costituzione (politica estera, immigrazione, difesa e
sicurezza dello Stato, moneta, ordine pubblico e sicurezza, previdenza sociale …)
è uguale per tutti gli Italiani.
b) Materie di competenza concorrente tra Stato e regioni.
In queste materie, elencate al terzo comma dell‟articolo 117 tra le quali ritroviamo
l‟istruzione, la tutela e la sicurezza del lavoro, la tutela della salute, l‟ordinamento
sportivo e la protezione civile, l‟ambito di azione è limitato per entrambi gli enti.
Le regioni possono muoversi solo all‟interno dei principi fondamentali fissati a
livello centrale e lo Stato non può scendere nel dettaglio ma deve intervenire solo
per garantire la parità di trattamento a tutti i cittadini, il che vuol dire, che i
principi fondamentali sono uguali per tutti e le differenze tra le regioni sono
limitate.
c) La competenza generale delle regioni in tutte le altre materie non elencate
nei due punti precedenti.
In queste materie la disciplina tra una regione e un‟altra può essere totalmente
diversa. Questa introduzione ha limitato la differenza tra le regioni a statuto
ordinario e a statuto speciale; oggi tutte hanno una potestà legislativa e la legge
regionale è soggetta agli stessi limiti di quella statale. Prima invece solo le regioni
a statuto speciale avevano una potestà legislativa piena dunque le loro norme
dovevano rispettare i principi generali dell‟ordinamento giuridico nazionale e gli
obblighi internazionali.
Le funzioni amministrative sono state attribuite ai Comuni.
Il vecchio articolo 118 della Costituzione si basava sul principio del parallelismo,
nel senso che, le funzioni amministrative erano suddivise tra lo Stato e le regioni
in conformità a quelle legislative. In altre parole, nelle materie in cui lo Stato o la
regione aveva la potestà legislativa tendenzialmente disponeva anche di quella
amministrativa, con possibilità di delega sia dallo Stato alle regioni che da queste
ultime ai comuni, province o altri enti locali.
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Il nuovo articolo invece prevede che le funzioni amministrative siano attribuite ai
comuni salvo che, per assicurare l‟esercizio unitario, siano conferite
4
alle
province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato sulla base dei principi di
sussidiarietà (principio nato in ambito europeo, la logica è di attribuire i poteri al
livello di governo più vicino ai cittadini, il governo superiore interverrà solo
quando il problema non può essere affrontato da quello di livello inferiore),
differenziazione (in relazione alle caratteristiche demografiche e territoriali) e
adeguatezza (idoneità organizzativa).
Oltre alle funzioni amministrative proprie, gli enti locali sono titolari di quelle a
loro conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Il decentramento delle funzioni dunque:
permette ai governi locali di avvicinarsi maggiormente ai bisogni dei
cittadini.
Per questioni storiche, culturali, economiche e ambientali, gli enti periferici non
sono tutti uguali. I cittadini non esprimono tutti gli stessi bisogni quindi il
decentramento favorisce politiche mirate, dal momento che, i governi indigeni
conoscono meglio i bisogni da soddisfare. In questo modo si evitano sprechi di
risorse e si migliora l‟efficacia e l‟efficienza della spesa pubblica. Tra gli aspetti
negativi ci sono le differenziazioni e le diseguaglianze che si creano tra i vari enti
per l‟adozione di leggi diverse inoltre, c‟è il rischio di ripartire la stessa materia
tra i differenti livelli di governo creando duplicazioni e confusione.
Permette l‟applicazione e quindi la sperimentazione di programmi diversi.
Lo svantaggio è la possibilità di generare mobilità residenziale e degli
investimenti verso le amministrazioni più efficienti.
Favorisce la cooperazione tra i vari comuni e tra lo Stato e le regioni
specialmente per affrontare al meglio i medesimi problemi.
Implica l‟ampliamento della pubblica amministrazione cui affidare le
funzioni.
La distribuzione dei poteri verso il basso e il riconoscimento costituzionale
dell‟autonomia degli enti locali, infatti, implica l‟instaurazione di organi politici
perché, oltre all‟esistenza dei burocrati, occorrono soggetti in grado di prendere le
4
Il conferimento è diverso dalla delega precisamente la racchiude e implica la titolarità delle
funzioni.
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decisioni da attuare. L‟articolo 36 del TUEL stabilisce che sono organi di governo
il consiglio, il presidente/sindaco e la giunta (formata dal presidente/sindaco e
dagli assessori), solo i primi due sono eletti dai cittadini. Inoltre, l‟incremento
istituzionale potrebbe tradursi nell‟aumento della spesa pubblica visto anche
l‟impossibilità di sfruttare le economie di scala.
Le altre novità introdotte dalla legge costituzionale 3/2001 sono:
una nuova struttura istituzionale.
Lo Stato è equiparato alle Autonomie locali, infatti, il primo comma del nuovo
articolo 114 afferma che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province,
dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato.
Potestà regolamentare.
Ai sensi dell‟articolo 117, comma 6, la potestà regolamentare spetta allo Stato
nelle materie di sua competenza salvo delega alle regioni le quali hanno detta
potestà in ogni altra materia.
Agli enti locali è riservata la potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell‟organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
La possibilità di forme di autonomia differenziata per le regioni a statuto
ordinario (articolo116);
l‟abrogazione dei controlli preventivi sugli atti delle regioni;
un diverso schema di finanziamento e di rapporti finanziari tra enti
(articolo 119) in particolar modo è stato introdotto il federalismo fiscale.
1.3 IL FEDERALISMO FISCALE
Fino agli anni Novanta, la finanza locale, in coerenza con l‟accentramento dei
poteri, dipendeva completamente da quella statale; si parla di finanza derivata
proprio perché lo Stato riscuoteva i tributi (potere fiscale centralizzato) e poi né
trasferiva una parte alle regioni e agli enti locali
5
. Questo avrebbe dovuto
permettere una maggiore equità e controllo del denaro speso poiché la maggior
parte dei trasferimenti, ispirati al criterio della spesa storica
6
, era a destinazione
5
Prima degli anni „90 il 70% delle entrate di un ente locale era rappresentato dai trasferimenti.
6
Il governo centrale finanziava, mediante i trasferimenti, la spesa sostenuta dall‟ente periferico di
conseguenza quello meno efficiente, visto che spendeva di più, riceveva maggiori somme rispetto
all‟ente più efficiente in grado di spendere meno.