2
30 anni lo strumento standard per l’analisi della crescita economica è stato
rappresentato dal modello neoclassico di Solow-Swan del 1956. La teoria della
disoccupazione si arricchiva invece dei fondamentali contribuiti di Phillips, Lipsey,
Phelps e Friedman; tali modelli, pur molto diversi fra loro, condividevano
l’impostazione teorica che considerava intrinsecamente correlati tasso di occupazione e
tasso di inflazione. Non si affronterà qui l’interessante ma impegnativa impresa di
tentare di spiegare le cause di tale divisione della teoria in due filoni non interconnessi.
Lo scopo del nostro lavoro è quello di presentare brevemente una certa tipologia di
modelli economici molto recenti che cerca di ricostruire la natura del legame esistente
fra il tasso di crescita economica ed il tasso di disoccupazione, riportando l’attenzione
della scienza economica su un tema che, pur potendosi considerare un classico, era stato
progressivamente tralasciato dall’indagine teorica. L’opera degli studiosi che
presenteremo ha dunque avuto anche il merito di aver riunificato ciò che in passato era
stato diviso, come appunto la teoria del mercato del lavoro e la teoria della crescita
economica, e di avere infine fornito nuova linfa ad un “filone” della letteratura
economica che pur in origine assai fecondo si era andato progressivamente inaridendo.
Il ritorno di interesse per questo argomento è stato in parte suscitato dal quadro
economico che l’Europa Occidentale ha sperimentato nell’ultimo quarto di secolo,
conoscendo un progressivo aumento del tasso di disoccupazione ed un contemporaneo
rallentamento della crescita economica.
E’ inoltre doveroso far notare come parallelamente a questa rinascita di interesse
scientifico per il nostro problema, negli ultimi anni si sia andato diffondendo presso la
“pubblica opinione” un sentimento di preoccupazione che, un po’ pittorescamente ma
con pregnanza di significato, potremmo definire “neo-luddista”, in analogia con quanto
accadeva all’epoca dei primi passi della rivoluzione industriale
2
. Una manifestazione
sicuramente molto nota di tale insieme di preoccupazioni è il recente libro
dell’opinionista americano Jeremy Rifkin: La fine del lavoro
3
. Al di là delle
provocatorie conclusioni di Rifkin, che qui non ci interessa discutere, rimane l’evidenza
empirica che l’ultima ondata di innovazione tecnologica che tutti noi abbiamo
conosciuto nell’ultimo quarto di secolo appena concluso è stata davvero un fenomeno
2
Il movimento operaio dei luddisti si sviluppa in Inghilterra agli inizi del XIX secolo e ha come
caratteristica specifica la lotta all’introduzione delle macchine nella produzione industriale, considerate
antagoniste degli operai e responsabili della disoccupazione e dei bassi salari. Il nome del movimento trae
origine dal leggendario operaio tessile Ned Ludd, che nel 1779 avrebbe per protesta spezzato un telaio.
3
RIFKIN, J. 1997. La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-
mercato. Milano, Baldini & Castoldi.
3
nuovo per la storia e per l’economia; le innovazioni avutesi nel settore della tecnologia
dell’informazione ad esempio sono state numerose e pervasive, coinvolgendo tutti i
settori del sistema produttivo; ma ciò che più è interessante notare è che sono avvenute
con una velocità davvero sorprendente, mutando radicalmente in meno di una
generazione innumerevoli processi produttivi e prassi organizzative. Ecco dunque che
dal problema classico del rapporto fra tecnologia e disoccupazione, giungiamo al
rapporto fra velocità dello sviluppo tecnologico e disoccupazione. In altre parole, quello
che è interessante chiedersi sul piano non solo economico, ma anche politico, è se i
lavoratori e le imprese abbiano o no la capacità di “tenere il passo” delle innovazioni,
aggiornando in tempo le proprie competenze. In effetti il timore fondamentale del
movimento “neo-luddista” origina non tanto dall’osservare il realizzarsi del progresso
tecnologico, ma dal constatare la velocità crescente con cui esso si presenta.
Questo punto in particolare è ciò che qui ci interessa affrontare: l’influenza della
velocità dello sviluppo tecnologico sulla disoccupazione. Su tale questione non esiste
oggi opinione comune fra gli economisti. Capita molto spesso di sentire esternazioni di
timori riguardo le conseguenze del rallentamento della crescita da parte di chi vede in
tale circostanza una possibile causa di aumento della disoccupazione, mentre uno dei
modelli che qui presentiamo individua nell’accelerazione della crescita economica una
origine di potenziale danno all’occupazione, in assenza di provvedimenti correttivi.
Tutte queste considerazioni indicano che il problema che qui affrontiamo non è
soltanto esercizio di formalismo economico-matematico, ma costituisce un’importante
questione aperta che riguarda la qualità e la fisionomia del futuro mondo lavorativo nel
quale ci troveremo ad operare.
Il contenuto e i limiti del nostro lavoro.
Nel nostro breve saggio cercheremo di rispondere alla domanda che abbiamo presentato
nel paragrafo precedente e che si interroga su quale sia l’effetto di una variazione del
tasso di crescita economica sull’equilibrio di disoccupazione di lungo periodo. I lavori
scientifici che costituiscono la fonte primaria con la quale interpretare la realtà per dare
4
risposta a tale domanda sono quelli di Pissarides (1990), Aghion e Howitt (1994) e
Mortensen e Pissarides (1998)
4
.
I punti collegati ad una tematica così ampia sono davvero molti e articolati,
come dimostra il numero di pubblicazioni sul tema e sui punti collegati e la mole di
molti lavori. Nella nostra breve indagine abbiamo dovuto compiere scelte drastiche che
in un certo senso non rendono ragione della complessità del problema.
Lavoreremo su sistemi economici molto semplici, costituiti da un unico settore
produttivo, dove si produce un solo bene omogeneo, dove non esiste moneta perché
l’unico bene è anche numerario, e dove gli agenti economici sono fra loro omogenei,
ossia hanno uguali funzioni di utilità e uguali capacità lavorative e produttive.
Come si potrà vedere nel corso della trattazione, dal nostro discorso restano fuori
diversi sviluppi del tema trattato; ad esempio i modelli che studiano la crescita del
sistema economico contemplando la possibilità di dinamiche intersettoriali sarebbero
una naturale estensione dei modelli “di base” che qui analizziamo. Tuttavia si tratta di
tematiche assai complesse, che richiedono uno spazio più ampio di quello che abbiamo
a disposizione. Ometteremo poi di entrare nel problema della contrattazione sindacale e
della determinazione del salario e del potere contrattuale: nei modelli che affronteremo
si assume che i salari siano contrattati da ogni coppia lavoratore-impresa in ogni periodo
del rapporto lavorativo; tuttavia la nostra analisi potrebbe essere sviluppata a partire da
ipotesi diverse, come ad esempio quella che le imprese paghino salari di efficienza, o
che la contrattazione si svolga a livello centralizzato e non a livello di singola impresa.
Si supporrà inoltre che nelle decisioni di investimento ci sia informazione perfetta e che
gli agenti abbiano aspettative razionali. La nostra analisi potrebbe essere invece
sviluppata in un contesto non deterministico, con l’ausilio della teoria delle decisioni in
condizioni di incertezza… e così via.
Nella teoria economica le astrazioni ben fatte devono servire per evidenziare e
semplificare precisi aspetti del mondo reale allo scopo di svelare ciò che è altrimenti
nascosto. A differenza che nelle scienze naturali, non esistono laboratori che possono
essere d’aiuto in questa impresa. L’astrazione resta l’unico strumento di comprensione e
l’unica guida anche per progettare indagini empiriche. E’ tuttavia importante soppesare
4
Nel corso della trattazione terremo ovviamente conto soprattutto dei lavori successivi degli stessi autori,
con i quali hanno precisato o corretto precedenti affermazioni o preso in considerazione critiche ed
osservazioni nel frattempo pervenute dall’accademia.
Le opere successive degli autori citati nel testo che tornano sul nostro argomento sono:
PISSARIDES C., 2000. Equilibrium Unemployment Theory. Cambridge, MA: MIT Press.
AGHION P., HOWITT P., 1998. Endogenous Growth Theory. Cambridge, MA: MIT Press.
5
bene le ipotesi più forti, soprattutto quando tali ipotesi sono “cruciali”, ossia quando
hanno il potere di cambiare il risultato a cui conducono nel suo opposto non appena
vengono rimosse. E’ quanto ci proponiamo di fare. Il nostro secondo obiettivo è quello
di valutare e nei limiti delle nostre competenze giudicare il sistema logico con il quale
questi modelli sono stati costruiti.
Riteniamo infine che la nostra piccola selezione sia sufficiente per avere almeno
un’idea dei termini nei quali il problema si pone oggi nella teoria economica, dei suoi
legami con i vari campi della disciplina e delle sue direttive di sviluppo possibili e in
atto.
Organizzazione del lavoro
Il nostro lavoro si suddivide in quattro capitoli, ciascuno dei quali fa riferimento ad una
struttura teorica particolare.
Nel capitolo 1 si presenta il modello di search sviluppato da Pissarides (1990)
nella sua opera principale. Dopo aver brevemente descritto l’idea fondante di tutti i
modelli di search e la novità del modello di Pissarides, ne vengono quindi introdotte le
caratteristiche principali, in particolare il concetto di matching function e di curva di
Beveridge; si costruiscono quindi i parametri del processo di Poisson che governa
l’incontro dei lavoratori e delle imprese. In secondo luogo si determinano le equazioni
delle situazioni patrimoniali associate alle condizioni complementari disoccupato-
occupato e posto vacante–posto attivo dalle quali discende la condizione per la
creazione di posti di lavoro; si introduce poi l’equazione di contrattazione alla Nash, che
massimizzata genera l’equazione di ripartizione e quindi attraverso le equazioni delle
situazioni patrimoniali la formula per il salario di equilibrio. Si determina infine
l’equilibrio del sistema e si studia la variazione del tasso di disoccupazione indotta da
uno shock esogeno positivo sulla produttività.
Nel capitolo 2 si introduce nel modello di search la teoria della crescita neoclassica con
progresso tecnico disembodied; tale forma di sviluppo tecnologico è perfettamente
uniforme nella sua diffusione fra le imprese e coinvolge tutte le unità produttive senza
necessità di costi di attuazione o aggiornamento. L’introduzione del capitale nella
funzione di produzione, necessaria per poter parlare di progresso tecnico, introduce il
6
problema della determinazione del tasso di interesse e rende quindi necessaria una
suddivisione dell’esposizione in due parti. Nella prima parte del capitolo 2 si suppone
che il tasso di interesse sia esogeno e costante. Si derivano le modificazioni che devono
essere apportate al modello di search per accogliere la crescita. Si imposta e si risolve la
condizione di ottimo dinamico per la massimizzazione del profitto dell’impresa. Dal
lato dei lavoratori si affronta il problema dei redditi non da lavoro e del loro legame con
la crescita della produttività. Si costruisce il sistema di equazioni che genera l’equilibrio
e si analizza l’effetto di un’accelerazione della crescita sulla disoccupazione di
equilibrio. Si evidenzia l’effetto capitalizzazione.
Nella seconda parte del capitolo 2 si endogenizza il tasso di interesse r
supponendo esogena e costante la propensione marginale al risparmio s. Tutte le altre
ipotesi del modello rimangono sostanzialmente invariate. Si costruiscono le equazioni
che determinano l’equilibrio e si confrontano i risultati con quelli del caso con tasso
esogeno. Si fornisce un’interpretazione economica dell’indeterminazione del risultato
del modello con tasso di interesse endogeno.
Il capitolo 3 è diviso in due parti. Nella prima parte si presenta il primo modello con
progresso tecnico embodied, ossia incorporato in un macchinario con un dato parametro
di produttività (Aghion e Howitt 1994). Tale parametro è immutabile ed è legato alla
“generazione tecnologica” del macchinario (vintage). Si suppone che tale parametro
riferito all’economia nel suo complesso migliori continuamente. Si illustrano le
conseguenze di questa circostanza sull’andamento dei profitti della singola impresa. Si
presentano i concetti di “vita economica” e di “distruzione creatrice”. Si considerano gli
effetti diretti e indiretti della distruzione creatrice sul tasso di disoccupazione di
equilibrio attraverso la matching function e la condizione di libera entrata. Dopo aver
illustrato la relazione generale esistente fra tasso di progresso tecnologico e
disoccupazione, si presenta un semplice sistema grafico per l’illustrazione delle
conseguenze di una variazione esogena del tasso di crescita.
Nella seconda parte del capitolo 3 si presenta la riformulazione del modello di
Aghion e Howitt operata da Pissarides nell’ambito del suo sistema formale. Se ne
discutono le differenze e i contributi aggiuntivi, con particolare attenzione
all’esplicitazione della dinamica salariale in un’economia con progresso tecnico
embodied e si ricavano i risultati, analoghi a quelli ottenuti nella prima parte del
capitolo.
7
Nel capitolo 4 si presenta il modello con costi di attuazione variabili, di Mortensen e
Pissarides (1998). Si espongono le ragioni per le quali tale modello può considerarsi una
generalizzazione dei due approcci principali studiati in precedenza: Pissarides 1990 e
Aghion e Howitt 1994. Se ne discutono le caratteristiche e i risultati.
Seguono infine le conclusioni dove si espongono delle brevi riflessioni sulle
caratteristiche di questi modelli, sulle qualità e su eventuali limiti, segnalando ulteriori
vie di indagine per uno sviluppo degli studi sul problema in questione; si valutano le
capacità esplicative e le eventuali questioni empiriche legate a questi modelli.
8
1. Il mercato del lavoro secondo la “search
theory”
1.1. Alcune considerazioni preliminari
I modelli di search sono stati sviluppati con l’obiettivo di determinare il tasso naturale
di disoccupazione u* facendo principale riferimento alle imperfezioni del mercato del
lavoro. Da Keynes in poi la scienza economica ha in vario modo cercato di modellare
tali “imperfezioni”, essendo a tutti gli studiosi manifesto come esso sia fra tutti i mercati
quello più lontano dal paradigma teorico walrasiano. E’ tuttavia nel corso degli anni
sessanta del secolo appena concluso che compaiono i primi lavori teorici che
considerano la contrattazione impresa-lavoratore un’attività economica in senso proprio,
che richiede tempo e denaro per condurre a risultati soddisfacenti per entrambe le
controparti.
Il lavoro di Phelps (1968)
5
ha inaugurato una feconda linea di ricerca in quello
che poi è diventato noto come il campo della “search theory” o appunto “teoria della
ricerca”. Tale modello è tuttavia sviluppato con esplicito riferimento alle variabili
monetarie dell’economia. L’obiettivo del lavoro di Phelps, così come quello dei lavori
dei suoi contemporanei, era quello di spiegare l’esistenza della curva di Phillips. Phelps
ha tuttavia il merito di aver per primo tentato di spiegare attraverso una teoria del
comportamento degli agenti la relazione esistente fra dinamica salariale ed eccesso di
domanda nel mercato del lavoro
6
. Tale teoria del comportamento contiene in nuce l’idea
di una teoria della ricerca.
Secondo l’analisi di Phelps il comportamento competitivo delle imprese nel
processo di ricerca dei lavoratori porta alla creazione del “differenziale salariale”,
variabile collegata al tasso di inflazione. Il tasso di disoccupazione naturale viene in
ultima analisi definito come il tasso che non accelera il tasso di inflazione
7
. Non è
5
PHELPS, E. 1968. “Money-wage dynamics and labor-market equilibrium”, Journal of Political
Economy. 76: 678-711.
6
CASAROSA, C. 1998. Manuale di macroeconomia. Roma, Carocci, p. 600
7
CASAROSA, op. cit. pp 604-612.
9
difficile accorgersi del fatto che una siffatta teoria macroeconomica della
disoccupazione di equilibrio è difficilmente raccordabile con la teoria della crescita, il
cui paradigma è costituito dal semplice modello di Solow; la teoria della crescita
neoclassica è sviluppata esclusivamente a partire da variabili reali, poiché nel lungo
periodo gli effetti delle grandezze monetarie sono neutrali. Ecco quindi perché il
contributo di Pissarides
8
costituisce un punto di riferimento sempre più condiviso per
tutti i modelli di search degli anni recenti. La costruzione di Pissarides ha infatti il
pregio di descrivere il comportamento competitivo delle imprese e dei lavoratori
attraverso l’utilizzo delle sole variabili reali. Il collegamento con la teoria della crescita
può avvenire dunque senza il coinvolgimento del tasso di inflazione e delle variabili
monetarie. L’impostazione dell’economista della London School of Economics è ciò a
cui anche noi faremo riferimento quando parleremo di search theory e nei paragrafi che
seguono cercheremo di mostrarne i tratti principali.
Concordemente all’evidenza delle osservazioni empiriche, in questi modelli si
assume che imprese e lavoratori riescano a incontrarsi solo in seguito ad un processo di
“ricerca”, costoso sia in termini di tempo che in termini di risorse; ciò è dovuto al fatto
che nella realtà operativa lavoratori e imprese non sono omogenei tra loro.
L’informazione necessaria all’efficiente funzionamento di un simile mercato è pertanto
di gran lunga più complessa di quella richiesta agli operatori di altri mercati. I costi di
acquisizione e di diffusione di tale informazione sono sopportati dagli agenti che ne
devono tenere conto nella massimizzazione della loro funzione di utilità. I costi di
acquisizione e diffusione dell’informazione unitamente ai costi di mobilità sono posti
alla base di quelli che vengono definiti “attriti” del mercato (frictions), mutuando il
termine dalla fisica. Il modo migliore per modellare un processo di incontro lavoratore-
impresa con queste caratteristiche, ossia discontinuità, casualità e variabilità temporale è
quello di assumere che tale evento accada secondo un processo stocastico di Poisson. Il
vantaggio di utilizzare un processo stocastico sta nel poter ottenere effetti di attrito come
se gli agenti fossero effettivamente eterogenei fra loro senza tuttavia dover riconoscere
nella formalizzazione matematica del comportamento degli agenti tale condizione, che
renderebbe assai più complessa la formulazione della contrattazione salariale.
Un modello così costruito potrebbe evocare l’immagine di una reazione chimica:
imprese e lavoratori sono molecole di due opposte specie fluttuanti in uno spazio chiuso
8
PISSARIDES, C. A. 1990. Equilibrium Unemployment Theory. Oxford, Basil Blackwell.
10
e la loro unione, probabile ma non certa, dà origine ad una molecola più complessa,
ossia l’unità produttiva. Esiste inoltre una certa probabilità che tale molecola una volta
formata si rompa, e che le due specie originarie tornino a fluttuare liberamente
nell’ambiente chiuso nell’attesa di un’unione successiva. L’equilibrio di reazione, ossia
la proporzione di molecole reagenti e di molecole-prodotto, dipende dalle circostanze
ambientali, che nella chimica sono pressione e temperatura; nel mercato del lavoro sono
invece di più difficile identificazione e vengono implicitamente poste nella matching
function o “funzione di incontro”, davvero simile ad una funzione di reazione; data la
concentrazione proporzionale dei reagenti, tale funzione predice la concentrazione del
prodotto. La matching function è sempre considerabile in entrambe le direzioni: è ovvio
che un lavoratore trova un posto vacante con una probabilità che è inversamente
proporzionale a quella che l’impresa ha di trovare un lavoratore. Il diverso rapporto
esistente tra numero di posti vacanti e numero di lavoratori disoccupati rende l’ambiente
più propizio per una controparte piuttosto che per l’altra. La matching function
determina il flusso di uscita dalla disoccupazione, in quanto definisce la probabilità di
un incontro produttivo. Come già accennato anche nella precedente similitudine con la
chimica, la determinazione quantitativa della disoccupazione risulta dall’ effetto netto
tra due forze, o meglio, due “flussi” opposti. Il flusso di entrata nella disoccupazione è
invece determinato dagli incontri che si annullano; alcune unità produttive potrebbero
infatti smettere di essere profittevoli, risolvendosi così nel licenziamento del lavoratore
e nell’uscita dell’impresa dal mercato. Anche in questo caso l’evento è realisticamente
modellato da un processo di Poisson. La probabilità con il quale questo spiacevole
evento si verifica viene assunto come un dato esogeno nei modelli neoclassici. Nel
modello “schumpeteriano” di Aghion e Howitt invece tale evento è determinato anche
dalla comparsa di innovazioni tecnologiche che rendono obsoleto l’impianto. Entrambi i
flussi sono regolati da corrispondenti tassi che ne quantificano il gettito. Il flusso in
uscita dalla disoccupazione è regolato dal tasso di creazione dei posti di lavoro; il flusso
in uscita dal tasso di distruzione, ovvero di licenziamento.
Uno dei meriti che Pissarides attribuisce alla sua costruzione teorica è quello di
riunificare sotto un unico concetto le varie definizioni di disoccupazione che sono state
sviluppate nel corso dell’analisi economica. Nell’ambito di un modello costruito per
11
flussi sembrerebbe in effetti poco utile distinguere tra disoccupazione ciclica o
frizionale, volontaria o involontaria
9
. Scrive Pissarides nella prefazione al suo libro:
«La famosa affermazione di Keynes che la disoccupazione (vissuta) dai lavoratori tra
un’occupazione e la successiva può essere ignorata nello studio di più importanti tipi di
disoccupazione (come la disoccupazione involontaria) è una congettura non
verificata»
10
.
Nel modello di search tutta la disoccupazione è “frizionale”, in quanto è determinata
solo indirettamente dall’eccesso di offerta di lavoro e invece direttamente dal grado di
efficienza della matching function.
Tale semplificazione concettuale può sicuramente giovare alla ricerca empirica e
all’analisi econometrica, in quanto permette di considerare in aggregato ciò che nella
realtà dei fatti è assai difficile distinguere e misurare separatamente. Tuttavia tale
semplificazione taglia fuori dall’ambito interpretativo del modello il problema del pieno
impiego delle risorse, che sta alla base del concetto keynesiano di disoccupazione
involontaria. Quando Keynes scriveva la frase citata da Pissarides, aveva ben chiaro il
concetto di disoccupazione frizionale, ossia provocata da quelle
« varie imperfezioni di aggiustamento che ostacolano un’occupazione piena e
continua, (…) e [dal] fatto che il passaggio da un’occupazione all’altra non può
compiersi senza un certo ritardo»
11
.
Tuttavia egli riteneva che tale forma di disoccupazione fosse trascurabile ai fini di
un’analisi di breve e medio periodo, perché determinata da caratteristiche strutturali
(ossia dovute alle procedure, ai tempi ed ai luoghi della contrattazione nel mercato del
lavoro), mentre si dovesse invece concentrare l’attenzione su quella parte (assai più
consistente) del livello di disoccupazione causato da un impiego soltanto parziale delle
risorse produttive. Il problema del pieno impiego delle risorse ed il ruolo della domanda
aggregata come determinante dell’occupazione d’equilibrio non emerge nell’analisi di
Pissarides, perché si suppone implicitamente che i mercati siano sempre nel pieno
impiego delle risorse e, più precisamente, non vi sia mai carenza di domanda aggregata.
Ogni qualvolta parleremo di incrementi di produttività e di conseguente aumento della
produzione, ossia di incrementi dal lato dell’offerta, affermeremo implicitamente che si
9
PISSARIDES, C. A. 2000. Equilibrium Unemployment Theory (2
nd
edition). Cambridge, MA. MIT
Press.
10
PISSARIDES 2000. Op. cit. p. xv. La traduzione è nostra.
11
KEYNES J. M. 1936. The General Theory of Employment, Interest and Money. London, Macmillan.
(trad. it. di Alberto Campolongo 1947 e 1978 per UTET, Torino), p 164.