____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 4
Prima Parte: aspetti generali
Premessa
A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, la sanità pubblica è stata
investita dal crescente peso che le patologie del comportamento e, in particolare, le
dedizioni patologiche, hanno in termini di livelli di salute e di spesa pubblica sulla gestione
dei sistemi sanitari. Relativamente ai dati pubblicati nella relazione annuale 2010 effettuata
dall‟Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (OEDT), [1] si stima
come la cannabis sia stata usata almeno una volta (prevalenza una tantum) da circa 78
milioni di europei di età tra i 15 e i 64 anni. La cocaina è, dopo la cannabis, la seconda
droga più provata, anche se i livelli di consumo variano molto da paese a paese. Si stima
che circa 14,5 milioni di europei abbiano usato la cocaina almeno una volta nella loro vita
(prevalenza una tantum). L‟uso di cocaina è al di sopra della media europea in Danimarca,
Irlanda, Spagna, Italia, Cipro e Regno Unito. Inoltre, sono stati stimati circa 1,5 milioni di
consumatori problematici di oppioidi di cui 670.000 si sono sottoposti alla terapia
sostitutiva. In Italia i decessi correlati al consumo droghe illegali nel 2009 sono stati 484
[2]. Nel 2010 l‟Istituto Superiore di Sanità-Osservatorio Nazionale Alcol stimava
complessivamente che in Italia fossero almeno 30.000 le morti causate da tutte le bevande
alcoliche e riconosceva nell‟alcol la prima causa di morte tra i giovani fino ai 24 anni [3],
mentre, sempre nel 2010, i decessi attribuiti all‟uso di tabacco sono stati 71445 [4]. Oltre
all‟impatto negativo sulla mortalità e sulla morbilità, inoltre, le dedizioni patologiche sono
associate a danni in ambito neuropsichico (fobie, ansia ecc…) e sociale (criminalità,
riduzione della produttività, separazioni, danni economici) che coinvolgono non solo gli
interessati ma anche il loro ambiente familiare. Nell‟ultimo ventennio l‟attenzione dei
clinici in primo luogo e, successivamente, dai gestori della salute pubblica si è
progressivamente spostata anche su comportamenti „dedittivi‟ non farmacologici, ma per
molti versi analoghi a quelli indotti da droghe, quali, ad esempio, la dipendenza da sesso,
le patologie del comportamento alimentari, il gioco d‟azzardo patologico (GAP).
L‟evoluzione della ricerca neurobiologica, in effetti, indica una patogenesi comune tra
queste varie dedizioni tutte caratterizzate dal coinvolgimento del sistema dopaminergico
mesolimbico implicato nella motivazione e nella gratificazione legata ai comportamenti
finalizzati [5]. Una conferma a questa ipotesi è il riscontro dell‟insorgenza di GAP,
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 5
reversibile con la sospensione della terapia, in pazienti in terapia dopaminergica per morbo
di Parkinson [6]. Anche i dati della ricerca sociologica, d‟altra parte, confermano
l‟analogia tra il GAP e le altre dipendenze il cui progressivo aumento viene messo in
relazione a specifiche condizioni socio-economiche [7]. In Italia la risposta istituzionale a
questi problemi prevede misure regolatrici sul consumo e la vendita di alcolici e di tabacco
e sul gioco d‟azzardo, misure repressive sul traffico e consumo di sostanze illegali, sul
contrabbando di sigarette e sul gioco d‟azzardo clandestino e misure rivolte alla
prevenzione, trattamento e riabilitazione dei casi patologici attraverso l‟istituzione di
servizi specialistici pubblici (Ser.T.) o privati accreditati (SMI) regolamentati nel Testo
Unico (T.U.) 309/90 [8]. La mission dei Ser.T/ SMI è formulare e realizzare interventi di
prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione rivolti a persone con problemi di uso, abuso e
dipendenza da sostanze legali ed illegali e a coloro che manifestano altri comportamenti
„dedittivi‟. Attualmente i SERT/SMI forniscono prestazioni di carattere socio-sanitario
integrato in collaborazione con altre istituzioni territoriali ed esercitano un ruolo di
coordinamento degli interventi socialmente e politicamente riconosciuti. Realizzano,
inoltre, interventi multidisciplinari (art. 116 TU 309/1990) di prevenzione, diagnosi e cura
delle patologie correlate all‟abuso ed alla dipendenza e interventi orientati al trattamento
dell‟eventuale comorbilità psichiatrica. A partire dai primi anni del ventunesimo secolo
con l‟emanazione del Piano Sanitario Nazionale 2002 - 2004 [9] la domanda di intervento
specialistico nei Ser.T. /SMI per patologie caratterizzate dalla perdita di controllo sui propri
comportamenti, si è progressivamente estesa anche a dedizioni non farmacologiche come
le patologie del comportamento alimentare e il GAP, con programmi analoghi a quelli già
utilizzati per i tossicodipendenti da sostanze illegali, per gli alcolisti e per i tabagisti. In
questo contesto, sebbene in Lombardia l‟intervento sul GAP rientri nelle prestazioni della
assistenza specialistica ambulatoriale (riservata quindi a medici e psicologi con
specializzazione), anche l‟infermiere può svolgere un importante ruolo complementare a
quello del medico. Il “prendersi cura” che si instaura tra il paziente e l‟infermiere
attraverso la relazione d‟aiuto, è da sempre infatti, caratterizzato da una connotazione di
“affiancamento” piuttosto che da un rapporto “up-down” che connota, a torto o a ragione,
quella con altri professionisti [10] e ciò è molto utile in trattamenti di patologie come il
GAP in cui il paziente deve necessariamente giocare un ruolo molto più attivo rispetto a
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 6
quanto è richiesto dagli interventi su altre problematiche sanitarie. Inoltre, gli approcci
dimostratisi più efficaci (o, per lo meno, più studiati con metodo scientifico) nel
trattamento delle dedizioni patologiche sono quelli basati sul counselling oltre che sui
principi della psicologia cognitivo-comportamentale [11]. Per tali motivi, in alcuni Ser.T.,
sono stati avviati programmi di counselling infermieristico dedicati al GAP. Questa ricerca
mira a valutare le caratteristiche della relazione d‟aiuto con un infermiere in un programma
breve per il trattamento del GAP nel corso di uno studio pilota svolto presso il Ser.T. 2
dell‟ASL di Brescia.
L’infermiere
Come detto, l‟équipe multidisciplinare dei Ser.T. è composta anche da infermieri.
Nell‟ultimo ventennio la professione infermieristica, come l‟intero sistema sanitario del
paese, ha attraversato un periodo di grandi innovazioni. Dal 1992, anno di attivazione dei
primi diplomi universitari, ad oggi la crescita della professione è stata notevole e in un arco
di tempo relativamente breve si sono modificate radicalmente le norme che regolamentano
la formazione e l‟esercizio professionale. L‟attuale assetto normativo riconosce alle
professioni sanitarie un ambito di competenze definito, ricco di autonomia e responsabilità
e un ruolo centrale nel sistema organizzativo con percorsi formativi coerenti con l‟esercizio
professionale. Si è perciò modificato il modo di rapportarsi alla professione ed alle altre
figure che, con l‟infermiere, partecipano al processo di cura. Con la legge 26 febbraio
1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” [12], l‟aggettivazione
“ausiliarie”, che individuava numerose professioni sanitarie, un tempo di semplice
supporto al medico, è stata definitivamente cancellata. Non esiste più quindi una posizione
subalterna di questi professionisti nei confronti del medico ma un dovere di collaborazione
reciproca con diversi profili di responsabilità come storicamente è avvenuto, per esempio,
nei rapporti tra medico e farmacista. Viene riconosciuto, inoltre, un approccio assistenziale
teso alla tutela globale della salute della persona fondato sul contributo e la collaborazione
di diverse professionalità. Nell‟abrogare i mansionari “Il campo proprio di attività e di
responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 [13] (…), è determinato dai contenuti dei decreti
ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 7
rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici
codici deontologici (...)” si è individuato, inoltre, il campo di attività e di responsabilità
delle varie professioni sanitarie unicamente in base ai contenuti dei decreti ministeriali
istitutivi dei relativi profili professionali, agli obiettivi degli ordinamenti didattici dei
rispettivi corsi universitari ed alle indicazioni degli specifici codici deontologici. I codici
deontologici, infatti, rappresentano il fondamentale riferimento nel quale gli esercenti di
una professione sanitaria trovano definiti i criteri e i valori ai quali devono improntare il
loro lavoro quotidiano. Il Codice Deontologico dell‟infermiere [14] è composto da 51
articoli ed è una guida e una sollecitazione alla riflessione critica, costruttiva per una
pratica assistenziale competente ed accurata. Altro elemento definitore l‟ambito di
competenza professionale è contenuto nei decreti ministeriali individuativi del profilo
professionale. Il D.M. 739/1994 “Profilo professionale dell’Infermiere”[15]. I1 Profilo
esplicita in ogni suo punto il potenziale professionale; l'infermiere non ha la responsabilità
limitata all'esecuzione di compiti, ma al risultato dell'intero processo assistenziale e ne
risponde delle relative conseguenze di natura civile, penale e disciplinare e ordinale. La
responsabilità professionale qui è intesa come la capacità di rispondere in prima persona di atti
compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni. Anche nelle aree di dipendenza dal medico,
l'infermiere si fa garante per la corretta esecuzione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche.
La legge 1 febbraio 2006, n 43, recante “Disposizioni in materia di professioni sanitarie
infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al
Governo per l’istituzione dei relativi Ordini professionali” [16]. All‟art. 1 cita: “Sono
professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della
prevenzione, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251(…) [17], legge che
ha rafforzato e legittimato l‟autonomia e la responsabilità professionale in ambito clinico
assistenziale, a livello gestionale organizzativo e formativo. L‟infermiere è quindi il
professionista responsabile dell‟assistenza infermieristica. E‟ al servizio dell‟uomo sano o
malato e della collettività, opera in sinergia con gli altri operatori sanitari per il
potenziamento delle risorse di salute della persona. Non agisce più per mansioni, per
prestazioni, ma identifica le aree di bisogno dell‟utente intervenendo, in modo autonomo
e/o complementare. L'assistenza infermieristica è di natura intellettuale, tecnico
scientifica, gestionale, relazionale, educativa; essa è fondata su competenze cognitive,
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 8
comunicative, gestuali acquisite nel corso universitario di laurea in infermieristica e
sviluppate con la formazione post-base e permanente, con l'esperienza, con la ricerca.
L'infermiere in possesso della laurea in infermieristica e dell'iscrizione all'Albo partecipa
alla formazione professionale e del personale di supporto, educa all'auto-cura, coinvolge la
famiglia e le persone di riferimento dell'assistito. In modo più specifico l‟'infermiere:
partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; identifica
i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività, formula i relativi
obiettivi, pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico. Garantisce la
corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-sanitarie. Per ciò che riguarda le
dedizioni non farmacologiche queste prescrizioni non consistono, di regola, nella
esecuzione di esami o nella somministrazione di farmaci, ma in interventi di counselling
che consentano all‟interessato di prendere decisioni utili per il suo benessere, di attuarle
con successo, di controllarne i risultati nell‟ambito di una relazione terapeutica le cui
caratteristiche sono ben descritte in un‟intervista (di cui riporto più oltre alcuni stralci)
rilasciatami nel 2010 dalla dottoressa Giovanna Artioli, dirigente infermiera presso la
direzione generale dell‟Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. [18] [19].
Domanda (D): “Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti ad ascoltarti con
attenzione e disponibilità quando hai bisogno”, “L’ infermiere ascolta, informa, coinvolge
l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali..”. La capacità di ascolto è contemplata
nel patto infermiere – cittadino e nel nostro codice deontologico come competenza
fondamentale ed integrante della nostra professione. In che modo, a suo parere, la
formazione dell‟infermiere può facilitare il raggiungimento di un ascolto
professionalmente competente?
Risposta (R): L’ascolto è professionalmente competente. E’ attivo e partecipato e
non consiste semplicemente nel raccogliere dei dati o in un “sentire”, non è un’abilità
innata nelle persone. Pertanto soprattutto in professioni che si prendono cura degli altri, è
necessario formare all’ascolto. Al termine di un’esperienza formativa sul counselling della
durata di 300 ore, ripetuta per 3 anni, è stato effettuato un lavoro di valutazione per focus.
E’ risultato che la capacità di ascolto è considerata dai partecipanti al corso la prima e
più importante abilità di counselling. Sono state precisate le caratteristiche dell’ascolto:
attivo, attento, empatico, interessato e partecipante. Interessante anche il dato che spesso
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 9
l’ascolto consista nel far sì che la persona si “autoparli” e trovi in sé le possibili soluzioni
al problema. La capacità di ascolto ha veramente un’importanza notevole nella
professione e deve essere sviluppata come competenza già nella formazione di base, una
formazione alla relazione. Deve anche essere mantenuta una continuità formativa post
base con l’acquisizione di alcune strategie di counselling o di narrazione. Deve poi
svilupparsi successivamente in educazione continua. L’ascolto competente è un’attività
complessa, impegnativa. Richiede tempo ed investimento. Non è sufficiente un percorso di
alcune ore a dare al professionista questa competenza. Infatti, dalla valutazione del corso
teorico-pratico sul counselling appena citata, è emerso come i discenti, dopo una
formazione specifica di 300 ore, abbiano raggiunto solo alcune abilità. L’educazione
continua dovrebbe prevedere la riflessione su situazioni e l’elaborazione di esperienze
attraverso metodologie capaci di coniugare la teoria alla pratica, anche utilizzando dei
laboratori di comunicazione. Dal prossimo anno accademico nel corso di laurea di primo
livello in infermieristica attiveremo proprio un laboratorio della comunicazione. Qualcosa
già si fa nel corso di laurea magistrale. In collaborazione con il dipartimento di psicologia
della nostra università, attiveremo anche un master per esperti in relazione professionale,
con 50 ore di laboratorio di comunicazione. Con il mio staff stiamo anche lavorando
sull’educazione continua per i dipendenti dell’azienda ospedaliera di Parma. E’ stato
distribuito nel 2009 ai dipendenti dell’Azienda un questionario sul fabbisogno formativo:
al primo posto è stato rilevato il problema relazionale sia professionale sia con i pazienti
e/o famiglia. Per riuscire ad impostare un lavoro di educazione continua mirato alle reali
esigenze dei professionisti abbiamo quindi deciso di effettuare un’analisi più approfondita
del fabbisogno formativo. Solo se riusciremo a utilizzare strategie di formazione a hoc per
la comunicazione, a tener conto dei risultati della ricerca in questo settore e a pensare alla
formazione a diversi livelli di complessità, potremo realmente calare nell’operatività
quello che viene sancito nel codice deontologico.
D: La Legislazione prevede l‟autonomia professionale dell‟infermiere in cui rientra
anche l‟utilizzo del counselling infermieristico. D‟altra parte si diffondono anche in Italia
le scuole per counsellors professionisti che si presentano come tali e agiscono anche in
ambito sanitario. Secondo Lei esiste un problema di tutela della specificità professionale
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 10
dell‟infermiere in questo ambito? O ritiene che il counselling sia semplicemente una
tecnica utilizzabile, come il colloquio, da una varietà di professionisti?
R: Il corso di counselling effettuato in 3 edizioni 2002/2005 è nato da
un’intuizione. Consultando la letteratura scientifica anglosassone abbiamo notato che
veniva posta una differenza tra professionisti dotati di “counselling skills” e counsellors.
Noi possiamo dotare gli infermieri di “counselling skills“ formandoli ad agire meglio
alcune competenze di relazione. Oppure gli infermieri possono formarsi come counsellors
anche se poi potrebbero trovare ostacoli ad agire come tali: come nelle competenze
tecniche abbiamo avuto il vincolo dell’area medica, cosi se svilupperemo delle competenze
relazionali dovremmo porre attenzione all’area psicologica. Ritengo che la competenza
relazionale sia nel nostro specifico professionale nel senso di padronanza di counselling
skills: capacità di comprendere i problemi, capacità di ascolto, di “stare nella relazione”.
Nell’attuale contesto italiano terrei aperta la possibilità counselling senza però pensare
necessariamente che l’infermiere debba essere counsellor nel senso anglosassone. Da un
punto di vista organizzativo l’obbiettivo da raggiungere a lungo termine dovrebbe
comprendere:
Investire di più nella formazione per gli infermieri a diversi livelli
Diffondere la competenza di base alla relazione in maniera molto più
presente e concreta
Promuovere la costituzione di reti (ad esempio reti territoriali) di infermieri
esperti nella relazione magari supportati da un counsellor oppure da uno psicologo.
Sarebbe auspicabile, anche se appare difficile ottenerlo, che tutti questi livelli si
interfacciassero senza contrapporsi ed questo è l’obbiettivo che sto cercando di
raggiungere.
D : A suo giudizio quanto la formazione alla relazione d‟aiuto dovrebbe adattarsi
alle caratteristiche di personalità dell‟infermiere e quanto invece dovrebbe essere
l‟infermiere ad adattare le proprie caratteristiche al tipo di formazione che gli viene
richiesta ?
R: Credo ci siano persone predisposte che possono raggiungere spontaneamente
buone competenze in tal senso ma fondamentalmente alla relazione ci si forma. Anche chi
ha difficoltà può impegnarsi con successo per raggiungere livelli tali da offrire all’utenza
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 11
una competenza professionalmente corretta e per divenire un buon comunicatore. E’
necessario però definire qual è il livello soglia minimo richiesto. Personalmente credo che
non abbiamo ancora definito una base minima che ogni professionista debba raggiungere
per essere professionalmente un buon comunicatore.
D: Come facilitare il cambiamento culturale nella professione per sviluppare
l‟ascolto quale pratica quotidiana dell‟infermiere?
R: E’ una domanda difficile. Abbiamo un problema culturale ma in senso negativo.
Parlavo di questo con una collega medico che si occupa di medicina narrativa. Gli
infermieri sono ancora influenzati dal nostro precedente curriculum formativo, che
poneva sì molta attenzione all’altro (il “dover essere” era molto sentito e inculcato) ma
che non dava le necessarie competenze. Le strategie relazionali le abbiamo conosciute
dopo. Prima si parlava di atteggiamento e di attitudine come caratteristiche
comportamentali, ora sono diventate tecniche di relazione. Queste tecniche o strumenti si
possono più facilmente insegnare ed apprendere. C’è però un pregiudizio, una sorta di
atteggiamento di difesa dei professionisti che si sentono già esperti, già portatori nella
loro matrice professionale di questo aspetto relazionale. Penso che per ottenere un
cambiamento possa essere utile la ricerca: solo con degli studi scientifici possiamo
dimostrare com’è la nostra relazione sotto il profilo della competenza professionale, cosa
si aspettano i pazienti e le loro famiglie da noi. Solo così si può, come gruppo
professionale, diventare consapevoli della necessità di una formazione più adeguata in
campo relazionale.
D: A suo parere quanto i limiti o le risorse dell‟organizzazione in cui si svolge
l‟assistenza possono impedire o facilitare l‟attivazione del counselling e quanto invece
dipende dal singolo professionista?
R: Sicuramente ci vogliono la disponibilità del singolo e la motivazione del
professionista, ma è anche vero che una grande importanza ha l’organizzazione. Quello
che insegno nella laurea specialistica ai futuri dirigenti è questo: che cosa ne vogliamo
fare della dimensione relazionale nella professione? Mentre si parla, giustamente molto, di
tematiche quali il risk management, tutta l’area relazionale come la vogliamo sostenere?
Questo ambito è sottostimato, per tutti i motivi che abbiamo già citato.
____________________________________________________________________________________
La relazione d‟aiuto nel gioco d‟azzardo patologico: un progetto di ricerca
Alessandra Ramera matricola 78416 Pag. 12
D: Come vede la possibilità di attivare un servizio di relazione d‟aiuto “tra pari”
(es. problemi organizzativi, burn out, sviluppo professionale, ecc.) ?
R: Non sentirsi ascoltati è un problema sociale. Nella nostra società è prevalente
un atteggiamento individualista. Manca la dimensione relazionale e quindi anche
l’ascolto. Nel libro della Mortari sul “prendersi cura” tutto questo è ben descritto [20].
Sono arrivata a pensare che se un individuo deve prendersi cura di un altro, a sua volta
deve sentirsi preso in cura. Invece noi rischiamo di chiedere a dei professionisti che non si
sentono adeguatamente ascoltati di prendere in cura persone con gravi problemi. Con il
rischio che vadano in burn-out. E’ un problema che si manifesta come atteggiamento
sociale, perciò si fatica ad intervenire a livello professionale. Ma bisogna affrontarlo
perché altrimenti il nostro lavoro diventa un lavoro burocratico e tecnico. Il malessere
delle organizzazioni è molto forte e qualcuno sta proponendo, soprattutto dal basso,
qualche servizio di consulenza. Sono a conoscenza di un hospice che ha aperto per il
personale un servizio di counselling. Il personale così lavora meglio, vive il lavoro
positivamente. Potrebbe sembrare un intervento superfluo ma a medio e lungo termine
potrebbe dimostrarsi molto utile. E anche in questo caso potrebbe venirci in aiuto la
ricerca. L’importanza della relazione tra pari è emersa anche nel lavoro di valutazione del
corso sul counselling I partecipanti al corso hanno riferito che grazie al percorso
affrontato si sentono più protetti e più tutelati dal burn-out. La consulenza tra pari, a mio
avviso, dovrebbe essere però effettuata da un professionista che ha affrontato un percorso
formativo specifico.
D: Quali dovrebbero essere a suo giudizio, le modalità per la formazione
permanente nel campo del counselling infermieristico?
R: Per sviluppare la competenza occorre un percorso di formazione cospicuo in
parte teorico e in parte molto organizzato su laboratori. Io non vedrei la formazione
permanente come un rapporto causa-effetto. Se c’è un bisogno formativo alla relazione
bisogna cercare di capire bene il problema e intervenire di conseguenza. Personalmente
ritengo che la formazione permanente più idonea in questo senso è quella “sul campo” ma
solo dopo una formazione base e post base e anche, perché no, dopo aver utilizzato
attivamente lo strumento della ricerca.