2
strutturare il percetto attraverso l’impiego di alcune leggi percettive appartenenti
al soggetto e non desumibili dall'ambiente.
Attraverso i principi di somiglianza, vicinanza, movimento comune, chiusura, e
buona forma, individuati per la prima volta da Max Wertheimer
2
, la
Gestaltpsychologie ha dimostrato che un campo percettivo si segmenta in modo
tale che ne risultano unità ed oggetti percettivi il più possibile equilibrati,
armonici e costituiti da parti che si appartengono e che stanno bene insieme.
In merito a ciò, la Gestaltpsychologie ha parlato di vere e proprie qualità
formali
3
della realtà percettiva, intendendo affermare che l’attività percettiva del
soggetto tende ad organizzare la realtà percepita secondo qualità strutturali, di
movimento, di causalità, ed espressive
4
, definite dai gestaltisti fisiognomiche
5
.
L’individuazione delle qualità fisiognomiche nella realtà percepita, permette di
effettuare un interessante collegamento tra la dimensione emotiva e la percezione
facendo riferimento alla possibilità di regolare direttamente le emozioni
attraverso la percezione di tali qualità. Derivate da particolari rapporti strutturali
degli stimoli percepiti, le qualità fisiognomiche, nella prospettiva gestaltista,
generano delle risposte emotive automatiche, non implicanti la valutazione dello
stimolo, o la tendenza ad associare l’espressione emotiva percepita ad uno stato
interiore attraverso un processo inferenziale.
6
L’individuazione delle qualità fisiognomiche nel volto umano rendono, ad
esempio, possibile l’accesso diretto all’umore di una persona, e la comprensione
di alcuni aspetti salienti della sua personalità attraverso precisi rapporti strutturali
tra gli elementi del volto che vengono percepiti direttamente.
2
Max Wertheimer (1180-1943).Psicologo fondatore della Gestaltpsycologie. Nel 1912 pubblicò
l’articolo “Experimentelle Studien über das Sehen von Bewegung”, considerato come la prima
pubblicazione in cui compare l’impostazione teorica della Gestalt. Wertheimer descriveva la
percezione del movimento fenomenico o fenomeno φ, inaugurando una metodologia definita come
fenomenologia sperimentale. Grazie all’applicazione di tale metodo, la Gestalt pervenne alla
concezione secondo la quale l’esperienza diretta è fin dall’inizio organizzata in una totalità di cui
si devono indicare le leggi organizzative. Wertheimer ha dunque così individuato i principi di
unificazione formale che consentivano di spiegare in che modo si organizza la realtà fenomenica.
3
Cfr. Capitolo uno della presente tesi.
4
Cfr. Capitolo uno della presente tesi.
5
Cfr. Capitolo uno della presente tesi.
3
La presenza di meccanismi percettivi non mediati da processi cognitivi, che
permettono dunque di riconoscere immediatamente le emozioni altrui, attivando
delle risposte comportamentali automatiche, è stata attestata anche da alcuni studi
di psicologia evolutiva
7
, che hanno infatti dimostrato che il bambino, già nel
primo anno di vita, è in grado di riconoscere l’espressione del volto materno,
relazionandosi ad esso in modo automatico, attraverso risposte mimiche
immediate.
Il contributo degli studi gestaltisti sull’espressione riconosce che le reazioni agli
stimoli espressivi non sono presenti soltanto come risposta alla fruizione dei volti
o del corpo dell'uomo, ma sono anche il risultato della percezione di oggetti
inanimati, dotati anch’essi di qualità fisiognomiche: quando un fulmine, ad
esempio, squarcia un cielo nuvoloso durante un temporale, è possibile che in noi
esso eserciti un'impressione di aggressività, realizzata non sulla base della nostra
conoscenza della natura fisica dell'evento in questione, ma per la presenza delle
qualità espressive che ci colpiscono direttamente.
L’individuazione delle qualità fisiognomiche negli oggetti inanimati ha permesso
alla Gestaltpsychologie di parlare di arte, giacché, come rileva Arnheim (1966),
l’arte sembra presentare stimoli particolarmente espressivi, utilizzando in
abbondanza le qualità fisiognomiche per suscitare impressioni emotive nei suoi
fruitori.
Un’interessante questione è nata proprio dalla chiarificazione della natura delle
impressioni suscitate dalla fruizione dell’opera d’arte, e dunque dall’analisi
dell’esperienza estetica: la teoria gestaltista entra in aperta polemica con le teorie
classiche dell’espressione, che rifiutano infatti l’esistenza di qualità
fisiognomiche nella natura inanimata e ricorrono ai concetti di empatia e di
proiezione per spiegare l’animazione della realtà priva di vita.
8
6
Si inserisce, a questo proposito, la critica che la teoria gestaltista ha mosso nei confronti della
fisiognomica, presente nel capitolo tre della presente tesi.
7
Vedi il modello intersoggettivo di Trevarthen, o il fenomeno del contagio emotivo di Wallon,
trattati in modo esaustivo nel capitolo quattro della presente tesi.
8
Cfr. Capitolo tre della presente tesi.
4
Come rileva Carrol C. Pratt, nell’Introduzione al lavoro di Köhler Evoluzione e
compiti della psicologia della forma (1969), la dottrina dell’empatia estetica,
elaborata per la prima volta da Theodor Lipps, e ripresa da George Santayana
9
,
riconosce l’emotività nella realtà inanimata unicamente a seguito della tendenza
umana ad immedesimarsi nella realtà percepita, proiettandovi sentimenti e
sensazioni proprie: quando una persona guarda, ad esempio, delle colonne in un
edificio, secondo la visione lippsiana, riconosce, attraverso la proiezione dei suoi
sentimenti cinestesici sulle colonne, il peso subito dalle colonne e il senso di
oppressione che ne deriva. La dottrina dell’empatia negli oggetti inanimati, in
questo senso, sembrerebbe dunque ignorare totalmente il fatto che l’espressione
trae la sua origine dal pattern percepito, essendo vista infatti unicamente un
riflesso dei sentimenti umani proiettati su di essa.
Arnheim, in Arte e percezione visiva (1954), parlando della polemica avviata dalla
Gestaltpsychologie nei confronti delle dottrine proiettive, risolve la questione
proprio attraverso l’individuazione delle qualità fisiognomiche, che permettono
infatti di comprendere come l’espressione emotiva nelle opere d’arte, tragga la
sua origine dal pattern percepito, e non sia il risultato di un confronto
dell’oggetto-stimolo con uno stato d’animo umano: “ […] Nelle grandi opere
d’arte il significato più profondo è trasmesso agli occhi con poderosa
immediatezza, dalle caratteristiche percettive dello schema compositivo.”
10
In questo senso, dal momento che l’espressione emotiva è una caratteristica
intrinseca del percetto, così come la forma e il colore, si può concludere che essa è
un contenuto primario della visione, tanto che, cogliendo attraverso l’espressione
degli oggetti della natura ritratti dall’opera d’arte tutti gli elementi di un
determinato stimolo e i loro precisi rapporti strutturali, l’individuo può reagire in
modo appropriato all’ambiente in cui vive, attribuendo un ordine ed un significato
ad ogni stimolo che percepisce e relazionandosi ad esso nella giusta misura.
L’arte, in questa prospettiva, come rileva Arnheim (1954), attraverso le qualità
fisiognomiche, offre la possibilità all’individuo che la fruisce di pervenire a
9
Cfr. Capitolo tre della presente tesi.
5
sentimenti, alle intenzioni e agli stati interiori, non solo degli uomini, ma anche
della realtà inanimata, in modo tale che questi possa relazionarsi ad essa nel modo
più appropriato possibile attraverso la regolazione delle proprie risposte emotive
ed istintive.
11
In questo senso, anche l’arte, così come tutte le forme di percezione può
contribuire a regolare le proprie emozioni, attraverso la presentazione di stimoli
particolarmente espressivi, a cui il fruitore, anche se non esperto, può rispondere
in modo automatico, sulla base della sola organizzazione percettiva, senza
ricorrere a processi cognitivi e valutativi.
10
R. Arnheim (1954), Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 362.
11
Cfr. Capitolo quattro della presente tesi.
6
1. La percezione: le qualità fisiognomiche nella
Gestaltpsychologie.
1.1. La nascita delle qualità fisiognomiche e l’approccio della
Gestalttheorie.
Per qualità fisiognomiche si intendono quegli aspetti della realtà animata e
inanimata, che permettono di pervenire direttamente ad uno stato emotivo,
attraverso un semplice atto percettivo.
Secondo alcuni studi di estetica queste qualità sono particolarmente presenti
nelle produzioni artistiche, che forniscono, infatti, alcuni aspetti come le buone
proporzioni, l’armonia dei colori e delle forme, l’espressione efficace di stati
emotivi, in modo del tutto intuitivo.
12
Come rileva Arnheim (1958), grazie alla presenza delle qualità fisiognomiche
nell’arte è possibile trovare un punto di tangenza tra il sentimento e la dimensione
artistica, dato che in molti scritti d’arte, si è fatto spesso riferimento a termini
come emozione e sentimento, utilizzati per descrivere il contenuto e la funzione
dell’attività artistica. Esiste, infatti, uno stato emotivo che è strettamente connesso
alla dimensione artistica: l’emozione che è provata innanzi ad un’opera d’arte, sia
durante la sua fruizione, sia nella sua produzione, viene definita, come è
sottolineato dalle teorie estetiche contemporanee, emozione estetica e si riferisce
ad un sentimento che si prova innanzi alla contemplazione della bellezza e
dell’armonia che sono elementi solitamente peculiari di un’opera d’arte.
13
12
R. Arnheim (1966), op. cit., p. 428: “[…] Non si tratta della percezione di aspetti statici
riguardanti la forma, la grandezza, la tonalità cromatica o l’altezza sonora, che possono essere
misurati con qualche genere di scala, bensì quella riguardante le tensioni orientate che sono
trasmesse da questi stessi stimoli.[…] Il punto fondamentale per ciò che riguarda la presente
discussione è che esse sono percepite immediatamente, proprio come la dimensione, la quantità o
la localizzazione.”
13
R. Arnheim (1966), op. cit., p. 376: “ Tra le ragioni per le quali parole come emozione e
sentimento vengono scelte di frequente per descrivere la produzione e il recepimento dell’arte, vi
sono le seguenti tre: 1) Si dice che l’arte è fatta e ricercata perché dà piacere, ed il piacere viene
descritto come emozione. 2) Si dice che gli aspetti particolari della realtà colti e riprodotti
dall’opera d’arte non siano accertabili né alla percezione sensoria, né all’intelletto, ma ad una terza
capacità conoscitiva, detta sentimento. 3) Gli aspetti della realtà inerenti all’opera d’arte non solo
7
E’ opportuno, tuttavia, a questo punto, fare una precisazione molto importante
per comprendere meglio in che modo l’arte e l’emozione possono essere legate
insieme: nel passato si credeva che l’emozione fosse suscitata dal contenuto
dell’opera d’arte, mentre dagli anni Cinquanta, gli studi di Arnheim, hanno
contribuito a diffondere l’idea che l’emozione è connessa all’arte non per il suo
contenuto, quanto piuttosto perché essa presenta schemi sensoriali, immagini e
pensieri come forme che hanno la capacità di trasmettere qualcos’altro.
14
L’arte si
occupa infatti dell’espressione esterna di stati mentali che vengono classificati
come emozioni, e che consistono in patterns visibili o udibili, come ad esempio
un volto umano o un pezzo musicale, che determinano reazioni emotive nei
fruitori. Da ciò si può concludere che l’arte crea una risposta emotiva
15
, non tanto
per il suo contenuto, quanto piuttosto perché fornisce uno stimolo sensoriale
appropriato a determinate risposte di carattere emotivo.
Se l’emozione, dunque, come sottolinea Antonio Damasio (1999), è “l’insieme
delle modificazioni corporee che vengono innescate durante un atto percettivo”,
allora si può concludere che l’arte suscita l’emozione come qualunque altro
processo che implichi la percezione di uno stimolo.
16
E’ tuttavia opportuno sottolineare che all’interno di tutto l’ambito della
percezione, l’arte costituisce un campo privilegiato per studiare i fenomeni
emotivi: Keith Oatley (1992), ad esempio, sottolinea che l’arte costituisce un
ambito particolarmente adatto per investigare le emozioni, perché ha il merito di
rendere più esplicite tutte le intuizioni umane, riuscendo a cogliere, quindi, in
modo più immediato la natura del fenomeno emotivo.
17
vengono percepiti come informazione concreta, ma risvegliano gli stati mentali che vengono
definiti emozioni o sentimenti.”
14
R. Arnheim, ivi, pp. 382-383.
15
Cfr. a questo proposito la nuova definizione di emozione fornita da Antonio Damasio (1999)
Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, 2000, p.70: “Le emozioni sono complicate collezioni di
risposte chimiche e neurali, che formano una configurazione[…] Tutte le emozioni usano il corpo
come teatro (milieu interno, sistemi viscerale, vestibolare e muscolo-scheletrico) […] la varietà di
risposte emotive è responsabile dei profondi cambiamenti del paesaggio del corpo e del cervello”.
Per un approfondimento di tale argomento, si rimanda al cap. 2 della presente tesi.
16
R. Arnheim (1958), L’emozione e il sentimento nella psicologia dell’arte, in Documenti sulla
psicologia della forma, a cura di M. Henle, Bompiani, Milano, 1970, p. 426.
17
K. Oatley (1992), Psicologia ed emozioni, Il Mulino, Bologna, 1997, p.158.
8
Seguendo le considerazioni di Oatley, è dunque possibile concludere, che l’arte
presenta stimoli che forniscono particolari condizioni elicitanti: gli oggetti artistici
vengono reputati adatti a suscitare i sentimenti e le emozioni nei soggetti che
entrano a contatto con essi.
Queste condizioni elicitanti, come ha rilevato Renzo Canestrari (1983), sono
definite qualità estetiche o espressive, perché alludono all’espressione di uno
stato interno emotivo o mentale, presente sia in oggetti inanimati, sia in esseri
viventi.
Analizzando il termine espressione, Galimberti fornisce la seguente definizione,
utile per comprendere la natura delle qualità espressive: “L’espressione è il modo
di apparire di un essere vivente nella sua condotta e nella sua forma fisica, ad un
altro essere vivente.” (1992); in tale senso gli oggetti sembrano fornire
un’espressione diretta attraverso qualità che sono collocate nell’oggetto e che non
dipendono affatto da ciò che l’osservatore sa intorno alla natura fisica degli
oggetti e degli eventi percepiti.
18
Le qualità espressive, sono state per lungo tempo oggetto d’interesse da parte di
molti studiosi che hanno fornito delle definizioni assai differenti.
Il primo che aveva parlato di qualità espressive era stato Heinz Werner
19
,
psicologo viennese, che si era occupato della psicologia dello sviluppo infantile,
con particolare interesse allo sviluppo della percezione.
Werner concepiva il mondo psichico infantile come indifferenziato: il bambino
si comporta, infatti, secondo l’autore, in modo autistico ed egocentrico, tanto che
concepisce il mondo circostante come indifferenziato rispetto alla sua realtà
interiore.
18
R. Arnheim (1966), op. cit., p.79.
19
Heinz Werner, (1890-1964). Teorico della psicologia dello sviluppo psichico infantile, ha
insegnato a Monaco e ad Amburgo. Emigrato negli Stati Uniti, a seguito di persecuzioni razziali
nel 1933, è diventato professore di psicologia alla Clark University, formando intorno a sé un
gruppo di studiosi autorevoli nel campo della psicologia dei processi cognitivi e dello sviluppo. La
sua opera principale è Eiführung in die Entwicklungspsychologie, pubblicata nel 1928.Werner qui
elabora una concezione dello sviluppo psichico del bambino, che comprende un insieme di
principi generali validi per confrontare i processi psichici infantili con quelli degli animali, degli
uomini primitivi e degli individui affetti da disturbi psichici e poter quindi individuare delle leggi
di sviluppo e di organizzazione comuni.
9
Secondo Werner, i processi affettivi e cognitivi, in un primo momento, appaiono
dunque strettamente connessi alla realtà esterna e quindi tendono a fondersi con le
funzioni percettive, dando luogo così alle percezioni fisiognomiche, per le quali
gli oggetti percepiti assumono una connotazione affettiva.
Le percezioni fisiognomiche sono quindi il risultato di un processo di
dinamizzazione affettiva della realtà esterna, e Werner ritiene che esse siano la
causa dell’animismo
20
infantile, ossia quella tendenza di un soggetto a considerare
la realtà inanimata come dotata di volontà, d’intenzionalità e di capacità emotive.
In tale prospettiva, lo sviluppo mentale consisterebbe in un processo di
differenziazione tra la mente del bambino e il mondo esterno: esso determina il
distacco dell’Io dalla realtà fisica e il progressivo articolarsi delle funzioni mentali
secondo un’organizzazione gerarchica.
Werner, in Comparative Psychology of mental development (1948), sostiene che
“Fra i popoli primitivi, come pure fra i bambini, si constata un tipo di pensiero che
in modo molto appropriato può essere definito come pensiero concreto”. La
caratteristica dei bambini e dei primitivi è dunque l’inscindibilità dell’attività
concettuale e dei processi immaginativi e percettivo-motori. Soltanto la nascita
graduale del pensiero astratto permette il superamento di quest’unione.
Werner conclude però, che anche quando questo processo di differenziazione è
ultimato, noi non giungiamo mai ad una completa autonomia delle funzioni
psichiche inferiori e di quelle superiori: i processi psichici inferiori rimangono
subordinati a quelli superiori, nel senso che il pensiero astratto non può
assolutamente fare a meno del materiale fornito dalla percezione.
Il pensiero assume infatti una funzione di selezione dei dati senso-motori,
percettivi ed immaginativi: tramite interpretazioni e giudizi, il pensiero opera
dunque una mediazione nella molteplicità delle impressioni sensoriali, che
risultano così ordinate e organizzate secondo una modalità più precisa e
determinata.
21
20
Cfr. a questo proposito il paragrafo 1.3. del presente capitolo.
21
La posizione di Werner è definita teoria organismica, termine che vuole indicare la stretta
interdipendenza e integrazione delle funzioni dell’organismo, sensoriali, cognitive e motorie, nello
10
Le posizioni di Werner nei confronti delle qualità fisiognomiche sollevano
alcune questioni di estrema importanza, come il problema concernente alla
percezione della realtà e quindi la differenziazione tra una realtà psichica e una
fisica, che è chiamata in causa nel momento in cui percepiamo il mondo esterno:
le qualità fisiognomiche, secondo Werner, sono infatti viste come elementi che
nascono dalla confusione tra una realtà fisica ed una interiore ed emotiva.
Il problema dei rapporti tra il mondo fisico e quello interiore è stato oggetto di
riflessione anche per la Gestaltpsychologie, che ha risolto la questione attuando
una distinzione tra la realtà fisica e quella fenomenica.
All’interno di queste riflessioni i principali esponenti della Gestaltpsychologie
hanno affrontato anche il problema delle qualità estetiche, offrendo un contributo
assai importante, anche se non troppo approfondito, alla psicologia dell’arte.
22
Il contributo che la Gestalttheorie offre alla psicologia dell’arte e all’estetica in
generale, proviene dallo studio della percezione, che ha portato molti studiosi che
hanno aderito a questa scuola ad approfondire alcuni concetti, innescando un
processo di superamento delle concezioni del pensiero tradizionale.
Il primo concetto che è stato sottoposto ad una critica severa è stato proprio
quello di percezione, che, nell’ottica tradizionale era concepita come un aggregato
di sensazioni.
23
Il primo studioso che si è contrapposto ad una tale visione, e che per questo
motivo è indicato da molti come uno dei principali precursori della
Gestaltpsychologie, è stato Christian von Ehrenfels
24
, che, nell’articolo Über
sviluppo ontogenetico e nella loro interazione con l’ambiente. La teoria organismica si basa perciò
sulla concezione che la mente umana vada incontro ad una crescente centralizzazione gerarchica
resa possibile da funzioni ordinatrici superiori, che danno forma e direzione alle attività inferiori.
22
Si legga in proposito ciò che Carrol C. Pratt dice nell’introduzione di Evoluzioni e compiti della
psicologia della forma, Armando, Roma, 1971, cit., p. 34: “E’ un peccato che nessuno dei membri
del triumvirato della Gestalt abbia scritto un trattato particolare sulla filosofia e sulla psicologia
dell’arte. Un articolo di Koffka fu pubblicato nel Symposium of art (atti dell’incontro tenutosi a
Bryn Mawr, 1940), ma molte questioni importanti ricevettero solo una risposta parziale[…]”.
23
Esponente principale di questa visione era stato Edward B.Titchener, allievo di W. Wundt a
Lipsia e successivamente professore alla Cornell University. Titchener è stato uno dei divulgatori
del metodo introspezionista. Egli considerava la percezione come un conglomerato di sensazioni
che ottenevano un significato unicamente dall’esperienza passata.
24
Christian von Ehrenfels (1859-1932). Allievo di Brentano a Vienna, ha insegnato a Graz,
Vienna e infine a Praga. Come allievo di Brentano, von Ehrenfels è considerato aderente alla
11
Getaltqualitäten (1890), ha precisato infatti che la forma non è data dalla semplice
somma delle parti, ma è una vera e propria qualità formale, ossia un elemento
terzo che si aggiunge alla somma centrale delle singole sensazioni periferiche.
Von Ehrenfels offre un esempio di qualità formale in una melodia, che non può
essere mai considerata un semplice aggregato delle singole note costitutive, ma
qualcosa di diverso.
Natale Stucchi (1984), nell’introduzione all’edizione italiana di Über
Gestaltqualitäten,
25
parla delle qualità formali in questi termini: “[…] Da un
complesso di note si può animare una melodia con caratteristiche del tutto diverse
dagli elementi che la compongono […]”. Una melodia suscita quindi sensazioni
che non sono semplici ricordi o immagini dei singoli elementi, ma forme sonore,
brevi e determinate, che risaltano su uno sfondo emotivo non analizzato.
26
Le forme sostituiscono quindi l’insieme delle singole parti, e sono colte con
immediatezza: esse sono universali nel reale, cioè costituiscono un concetto
esplicativo con cui intendere la realtà, anche se sono indipendenti dalla
percezione.
27
Le qualità formali permettono di comprendere come l’esperienza percettiva non
sia dunque una semplice giustapposizione dei dati sensoriali, ma sia costituita da
elementi che si aggiungono agli aggregati delle singole sensazioni, come un
qualcosa di diverso.
La trattazione di von Ehrenfels era stata accettata con entusiasmo dagli
psicologi della scuola austriaca, che infatti avevano iniziato a ritenere valida
l’esistenza in sé delle qualità formali.
28
Tuttavia, se le qualità formali non
prospettiva fenomenologica, e quindi è indicato come precursore della Gestaltpsychologie.
Luciano Mecacci sottolinea che “In effetti nelle ricostruzioni storiche della Gestalt, […], si è
sempre considerato l’articolo di von Ehrenfels, Über Gestaltqualitäten (1890), come il suo
precursore”. (Da Storia della psicologia del Novecento, Laterza, Roma, 1992, p.39).
25
Forma ed esperienza. Antologia dei classici della percezione, a cura di F.Funari, N. Stucchi,
D.Varin, Franco Angeli Milano, 1984, p. 37.
26
C. von Ehrenfels, Le qualità della forma, in Rivoluzione della psicologia contemporanea,
antologia e fonti, a cura di G. Mucciarelli, Clueb, Bologna , 1979, tr. it. dell’articolo di von
Ehrenfels, Über gestaltqualitäten, 1890, p. 380.
27
F. Funari, N. Stucchi, D. Varin (1984), op. cit, p. 37.
28
Cfr a questo proposito le posizioni di G. Kanizsa in Idee-guida della Gestalt nello studio della
percezione in L’eredità della psicologia della Gestalt, a cura di N. Caramelli e G. Kanizsa, Il
12
costituivano nella loro reale esistenza, oggetto di dibattito per la scuola austriaca,
un tema di grande discussione era stata invece l’interpretazione della loro genesi.
Von Ehrenfels pensava che le qualità formali derivassero dall’opera dell’attività
psichica che riusciva ad integrare, tramite la fantasia, i dati sensoriali e ad
analizzarli, grazie all’intelletto, nei loro rapporti di somiglianza e semplicità.
Le posizioni di von Ehrenfels sono state riprese da Meinong
29
ed elaborate nella
teoria degli oggetti, secondo la quale l’oggetto è sia un contenuto mentale, ma
può anche corrispondere ad una realtà esterna; quest’ultimo prende il nome di
contenuto fondante, e tramite un’attività di produzione e fondazione, origina gli
oggetti più complessi, ossia quelli che costituiscono il contenuto mentale, che
vengono dunque chiamati contenuti fondati.
Le posizioni di Meinong hanno aperto una riflessione che ha delineato, in modo
assai preciso, l’indirizzo psicologico della Scuola di Graz: seguendo la teoria degli
oggetti, infatti, alcuni colleghi di Meinong, hanno iniziato a parlare di un
intervento attivo della mente nei processi sensoriali, che si trovano così ad essere
organizzati in una forma grazie ad essa.
Mulino, Bologna, 1988, p. 19: “Le qualità formali non presuppongono l’affermazione che nel tutto
non vi siano le parti, ma equivalgono a dire che le parti non possono essere scomposte
arbitrariamente e che esse sono reali parti di un tutto così come appaiono alla percezione”.
29
Alexius Meinong (1853-1920). Allievo di Brentano a Vienna, si è trasferito a Graz, dove ha
fondato il primo laboratorio austriaco di psicologia.
13
Non tutti gli esponenti della Scuola di Graz hanno accettato tuttavia le posizioni
di Meinong: un esempio è fornito da Vittorio Benussi
30
, che si è distanziato da
Meinong a seguito dello studio di alcune illusioni ottico-geometriche.
Benussi aveva riscontrato, infatti, che in presenza di stimoli costanti si può avere
una plurivocità formale, cioè una varietà di percezione di forme.
Le plurivocità formali sono definite dall’autore rappresentazioni d’origine
asensoriale, perché risultano essere sganciate dai dati della realtà sensoriale e
dipendenti invece dall’attività della mente, che opera in modo più o meno
cosciente. Oltre alle rappresentazioni asensoriali, ve ne sono, tuttavia, alcune
definite sensoriali, cioè rappresentazioni che non mutano se i dati sensoriali sono
costanti.
Dalla distinzione di rappresentazioni asensoriali e sensoriali, Benussi dunque
conclude che la genesi della percezione della forma non è da imputare unicamente
all’intervento di processi psichici superiori, come voleva Meinong, ma è
necessario postulare più processi di natura psichica.
Alla fine del primo decennio del Novecento, il dibattito sul rapporto tra
percezione, sensazione, dati sensoriali e qualità formali si era sviluppato al punto
tale da far nascere la nuova impostazione di pensiero, che prende il nome di Teoria
della forma.
L’atto di nascita della Gestaltpsychologie coincide con la pubblicazione nel
1912, dell’articolo Experimentelle Studien über das Sehen von Bewegung, in cui
compaiono per la prima volta le ricerche sperimentali di Max Wertheimer sulla
visione del movimento.
30
Vittorio Benussi (1878-1927). Psicologo sperimentale, si è laureato in filosofia sotto la guida di
Meinong, ottenendo il dottorato di psicologia nel 1905. A Graz, Benussi ha lavorato nel
laboratorio di Meinong. Poiché si rifiutava di rinunciare alla nazionalità italiana, ha ottenuto
l’insegnamento di Psicologia sperimentale solo nel 1918 a Graz. Trasferitosi a Padova nel 1919, è
diventato nel 1923 professore ordinario di Psicologia sperimentale nella facoltà di Lettere e
Filosofia di Padova. Sofferente di crisi depressive, si è suicidato nel 1927.
I suoi studi possono essere suddivisi nel seguente modo: dopo un primo periodo dedicato ai temi
delle illusioni ottico-geometriche, della percezione delle gestalten e della percezione del
movimento, Benussi si è occupato dei fenomeni della suggestione ipnotica e di psicoanalisi. Da
Benussi hanno avuto origine la scuola psicologica di Padova e l’interesse di Musatti per la
percezione e la psicoanalisi.