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a cercare il contatto. A questo livello dunque la regolazione affettiva adempie ad
una funzione motivazionale nei confronti del nostro interagire con gli altri.
Dà un senso, un significato a ciò che gli altri fanno e alle nostre stesse azioni. Ci
predispone a recepire gli stimoli rivolti a noi e al tempo stesso ci fornisce gli
strumenti per dare loro un senso. Da questo risulta evidente l'importanza delle
emozioni e come ogni nostro comportamento sia profondamente influenzato dal
nostro stato affettivo interno. Non è possibile spiegare, quindi comprendere, un
comportamento senza fare riferimento alle basi emotive di tale comportamento
(Damasio, 1998).
Le emozioni costituiscono dunque processi integrativi essenziali, che svolgono un
ruolo centrale nel conferire valori e significati e nel collegare le diverse attività e
funzioni della mente. La regolazione delle emozioni è alla base dei processi di
organizzazione del Sé, e le comunicazioni emotive che si stabiliscono tra genitore
e figlio influenzano profondamente lo sviluppo delle capacità di
autoorganizzazione del bambino. I pattern che vengono utilizzati nel trasferimento
di energia e informazioni fra la sua mente e quella del genitore possono dare
luogo a strategie organizzate, che si manifestano con risposte comportamentali
caratteristiche nell'ambito della relazione di attaccamento; la sua mente impara ad
adattarsi in maniera specifica al tipo di comunicazioni emotive che riceve
dall'adulto, e con il passare del tempo questi pattern relazione-dipendenti possono
diventare approcci tipici che vengono utilizzati in contesti più generali. Diversi
aspetti della regolazione delle emozioni, come la capacità di adattamento allo
stress, possono essere correlati alle loro storie di attaccamento (Sroufe, 1995).
1.1 Basi concettuali della regolazione delle emozioni
Il cervello umano ha sviluppato una intricata rete di circuiti che partecipano alla
modulazione degli stati di attivazione emotiva, o arousal. La natura di questi
processi di regolazione varia in modo significativo da individuo ad individuo, con
influenze a livello costituzionale e di adattamento a precedenti esperienze.
Possiamo dire con certezza che esistono caratteristiche innate in ognuno di noi,
introducendo il termine di "temperamento emotivo". Esso fa riferimento a
3
determinati pattern di risposta tipici di ogni persona. Esistono per esempio
persone tendenzialmente calme e controllate che raramente si lasciano sopraffare
da forti emozioni, anche davanti ad avvenimenti importanti. Altre che reagiscono
repentinamente e vivacemente ad ogni minima variazione situazionale. Questi
tratti del sistema nervoso possono comunque essere modificati nel corso
dell'esistenza. Vanno costruendosi nell'infanzia e il loro sviluppo è influenzato da
molte variabili. Innanzitutto dal comportamento dei genitori, attraverso il quale il
bambino può amplificare e consolidare un certo tipo di risposta emotiva, o al
contrario limitarla. Prendiamo a titolo di esempio un bambino costituzionalemente
aggressivo. Una madre lasciva, incapace di contenere il temperamento brusco del
figlio può accentuare in lui l'aggressività. Al contrario, se si dimostra decisa e
risoluta può limitare tale comportamento.
Ognuno di noi reagisce alle emozioni in modo diverso, tuttavia esistono alcuni
elementi fondamentali alla base della regolazione affettiva che sono comuni a
tutti.
1.2 Intensità
Il processing delle emozioni si basa sulle attività dei sistemi di valutazione e
arousal, che possono rispondere agli stimoli con diversi gradi di intensità. In
sostanza il nostro cervello è capace di variare la reazione ad un determinato
stimolo emotivo modificando il numero di neuroni attivati e la quantità di
neurotrasmettitori secreti. Se i meccanismi di orientamento iniziali portano ad una
minima attivazione del cervello e del corpo, anche le successive risposte di
valutazione elaborativa e arousal tenderanno ad essere ridotte. A questo proposito
diversi studi hanno dimostrato che individui ai quali venivano somministrati
farmaci per diminuire l'entità delle risposte dell'organismo e degli stati di
attivazione fisiologica in genere reagivano agli stimoli interpretandoli come "non
importanti", e quindi con emozioni primarie meno intense rispetto a quelle dei
soggetti di controllo (LeDoux, 1990; Porges et al., 1994, Lewis, 1997; Lyra,
Winegar, 1997).
In ciascuno di noi i livelli di intensità con cui in generale rispondiamo agli stimoli
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possono essere determinati sia da fattori costituzionali, sia dall'influenza delle
nostre precedenti esperienze. Persone con un temperamento timido per esempio
tendono a reagire con grande intensità a stimoli per loro insoliti, mettendo in atto
comportamenti di ritiro e allontanamento.
Da alcuni studi sembra che l'intensità delle risposte emozionali sia correlata ad
una attivazione frontale bilaterale, a differenza della loro qualità o valenza, che è
invece associata ad attivazioni asimmetriche. L'emisfero destro è coinvolto
maggiormente negli stati di allontanamento, quello sinistro negli stati di
avvicinamento (Dawson, 1994b). Ricerche confermano che in bambini con madri
clinicamente depresse la capacità di provare gioia ed eccitazione risulta
significativamente compromessa, specialmente nei casi in cui la depressione
materna persiste dopo il primo anno di vita del figlio (Dawson, 1994a).
Nei bambini le esperienze possono quindi influenzare profondamente sia
l'intensità, sia la valenza delle attivazioni emozionali. In particolare, in quelli che
hanno genitori depressi possono essere assenti esperienze di condivisione di stati
emotivi positivi, esperienze che in condizioni normali permettono alla coppia
genitore-figlio di amplificare emozioni piacevoli e di provare ondate di intenso
affetto reciproco (Stern, 1985; Field, 1994). La mancanza di questa amplificazione
condivisa di stati positivi può incidere negativamente sullo sviluppo della capacità
di tollerare e di apprezzare stati emotivi intensi: le esperienze interattive
permettono al bambino non solo di provare elevati livelli di "tensione" o arousal
emozionale (Sroufe, 1995), ma anche di "allenare" i suoi circuiti cerebrali a
gestire tali stati (Shore, 1996). L'intensità delle risposte emotive viene spesso
mascherata poiché coincide con il momento di maggior bisogno di essere
compresi dagli altri, generando un senso di vulnerabilità che può renderci
riluttanti a manifestare apertamente i nostri sentimenti. Questo comportamento
viene amplificato da esperienze di comunicazioni interpersonali insoddisfacenti e
può dare origine ad un senso di vergogna per aver mancato un'opportunità di
sintonizzazione affettiva (Shore, 1994).
5
1.3 Sensibilità
La soglia di sensibilità è diversa in ogni individuo. Si tratta del livello minimo ad
sotto del quale sensazioni e stimoli non inducono un'attivazione dei nostri sistemi
di valutazione. Coloro i quali possiedono una soglia emotiva molto bassa si
trovano continuamente ad affrontare situazioni emotivamente coinvolgenti
ritenute importanti. Come l'intensità anche la sensibilità è influenzata sia da fattori
costituzionali sia da fattori esperienziali, e nello stesso tempo può essere
influenzata da quello che è lo stato della mente in quel momento. Per esempio
quando diciamo di avere "i nervi a fior di pelle" vogliamo dire che in quel preciso
istante siamo molto sensibili ad ogni minima variazione ambientale, fornendo di
conseguenza risposte esagerate.
In che modo in nostro cervello può modificare la soglia di sensibilità? Innanzitutto
va tenuto presente che le emozioni sono indissolubilmente legate ai processi di
valutazione degli stimoli. Il cervello può aumentare o diminuire in maniera diretta
la sua sensibilità all'ambiente innalzando o abbassando i livelli di stimolazione
necessari per attivare i suoi sistemi di valutazione. Se abbiamo appena visto un
film violento e pauroso possiamo essere per esempio molto sensibili ai vicoli bui e
ai forti rumori. Se uscendo dal cinema sentiamo il rumore di uno scoppio
possiamo facilmente impaurirci e valutare la situazione come pericolosa. Se
abbiamo la stessa esperienza tornando da una festa tra amici è probabile che la
nostra reazione non sia la stessa. Esperienze recenti possono dunque influenzare
in maniera diretta il nostro grado di sensibilità emotiva (Schacter, Buckner, 1998).
Nello stesso modo il ripetersi di esperienze emotivamente intense può generare
alterazioni croniche del grado di sensibilità. Episodi terrorizzanti vissuti in età
infantile possono modificare in maniera permanente la sensibilità di un individuo
nei riguardi di stimoli correlati a tali eventi traumatici. Se un bambino viene
graffiato e morso da un gatto, è possibile che anche a distanza di anni la vista di
un gatto evochi in lui un'intensa risposta emozionale di paura. Alterazioni precoci
dei circuiti cerebrali implicati nei processi di valutazione e attribuzione di
significati possono quindi avere profondi effetti sui meccanismi che influenzano
direttamente la natura delle esperienze emotive e la regolazione delle emozioni.
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Lo stato di ipersensibilità che si genera in questo modo è spesso irreversibile
(LeDoux, 1990), tuttavia è possibile intervenire sulla fase di valutazione dello
stimolo che prende origine dallo stato di eccessivo arousal generale, rendendo la
reazione del paziente più "elastica".
1.4 Specificità
I processi di regolazione possono anche determinare quali regioni del cervello
vengono attivate negli stati di arousal emozionale. Definendo la specificità dei
processi di valutazione - le modalità con cui i centri di valutazione stabiliscono il
significato delle rappresentazioni - il cervello è in grado di regolare i flussi di
energia nei cambiamenti degli stati del sistema. Per esempio, se veniamo svegliati
da un rumore improvviso durante il riposo, è probabile che il nostro corpo entri in
uno stato di orientamento iniziale. Se stavamo attendendo l'arrivo di un amico, il
rumore potrebbe indurre in noi una piacevole eccitazione. Se non aspettavamo
nessuno esso potrebbe invece essere un segnale di pericolo. Le rappresentazioni
che vengono attivate in ogni determinato momento, incluse quelle che si
riferiscono al contesto della situazione in cui ci troviamo, contribuiscono a
definire la direzione specifica della valutazione di uno stimolo, e quindi il tipo di
risposta emozionale che viene evocata.
La specificità dei processi di valutazione influenza direttamente la
differenziazione degli stati emozionali primari in emozioni fondamentali, e le
differenze individuali nei meccanismi e nei parametri di valutazione possono
influenzare la "natura" generale dell'umore e della personalità. Tale specificità
determina non solo il significato degli stessi processi emozionali, attraverso
meccanismi di "valutazione della valutazione". La specificità di questi processi
può essere influenzata da diversi fattori legati all'interpretazione dello stimolo; per
esempio, dal fatto che venga valutato come rilevante o meno per il
raggiungimento di obiettivi presenti e futuri, o dal significato che gli viene
attribuito rispetto a questioni generali che riguardano il Sé o il Sé in relazione con
gli altri.
Man mano che il bambino cresce, la differenziazione di emozioni primarie in
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emozioni fondamentali diventa sempre più sofisticata, e stati precoci di generico
"benessere" o "malessere" vengono progressivamente sostituiti da emozioni
fondamentali come paura, rabbia, disgusto, sorpresa, interesse, vergogna o gioia.
Sroufe ha notato come stati emozionali di piacere, apprensione e
frustrazione/disagio siano in qualche modo "precursori" delle emozioni
maggiormente definite di gioia, paura e rabbia (Sroufe, 1995). Successivamente si
differenziano anche le emozioni più complesse e "sociali" come nostalgia, gelosia
e orgoglio.
Linda Camras ha suggerito che la teoria dei sistemi dinamici può essere
particolarmente utile nell'analisi dello sviluppo delle espressioni emozionali
(Camras, 1992). In base a tale prospettiva, nella differenziazione dei suoi processi
emozionali la mente del bambino integra processi interiori e risposte interattive
dei genitori; in questo modo, le emozioni maggiormente differenziate diventano
stati attrattori del sistema, con vincoli determinati da fattori interni ed esterni.
Secondo Malatesta-Magai questi meccanismi costituiscono una forma di
"socializzazione delle emozioni", che rispecchia le modalità fondamentali con cui
l'affetto serve da segnale sociale e si sviluppa, almeno in parte, in base alla storia
delle interazioni interpersonali dell'individuo (Malatesta-Magai, 1991). Tale
socializzazione delle emozioni si attua sia nelle relazioni genitore-figlio, sia in
quelle con i coetanei (Cassidy, 1994; Dunn, Brown, 1991).
La specificità di un'esperienza emotiva è determinata dai complessi meccanismi di
valutazione che vengono selettivamente attivati in risposta a un particolare
stimolo. In ognuno di noi lo sviluppo di questi processi valutativi è influenzato sia
da caratteristiche costituzionali, sia da fattori legati alla storia delle nostre
interazioni sociali, ed è per questo che di fronte allo stesso stimolo due persone
possono a volte reagire in maniera completamente diversa; la specificità delle
nostre risposte emozionali crea significati personali unici.
Le emozioni sono state definite e classificate in vario modo (Izard, 1991; Lewis,
Haviland, 1993). Alcuni studiosi distinguono per esempio categorie principali
rappresentate da paura, sorpresa/sbalordimento, tristezza, rabbia, piacere/gioia,
interesse/eccitazione, disgusto, ansia, diffidenza, disprezzo, amore; altri tipi di
emozione sono l'imbarazzo, la vergogna, la colpa, l'orgoglio. Nel corso della vita
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noi tutti abbiamo sperimentato ognuna di queste emozioni e abbiamo sicuramente
notato come ogni volta la stessa emozione si presenta con caratteristiche diverse;
tali caratteristiche sono determinate dall'unicità delle combinazioni fra processi
interni e contesti esterni in cui si sviluppa quel particolare stato del sistema.
I complessi processi di valutazione devono essere stati organizzati da almeno due
fattori fondamentali. In base ai principi essenziali della teoria evoluzionistica, le
caratteristiche dei sistemi di valutazione che aumentavano le probabilità di
sopravvivenza e la trasmissione del corredo genetico tendevano ad essere
mantenute. Ciò potrebbe spiegare, per esempio, perché certe persone hanno paura
dei serpenti anche se in vita loro non ne hanno mai visto uno.
Una seconda componente cruciale dal punto di vista evolutivo è rappresentata dal
fatto che i meccanismi di valutazione devono essere in grado di apprendere dalle
passate esperienze. Valutando come pericolosa una determinata situazione noi
possiamo evitarla risparmiandoci inutili rischi. I sistemi di valutazione possono
imparare dalle esperienze; i processi emozionali favoriscono l'apprendimento
(Siegel, 1999).
1.5 Finestre di tolleranza
La finestra di tolleranza è il margine entro il quale stati emozionali di diversa
intensità possono essere processati senza che ciò comprometta il funzionamento
del sistema nel suo complesso. Ognuno di noi possiede finestre di tolleranza
diverse. Alcune persone sono in grado di gestire elevati livelli di intensità emotiva
senza alcuna difficoltà e conservano la capacità di pensare, agire e sentire in
maniera equilibrata ed efficace. Vi sono però emozioni come rabbia o tristezza
che anche a livelli moderati possono interferire negativamente con le attività della
mente. L'intensità di uno specifico stato emozionale può coinvolgere meccanismi
di valutazione e arousal che non sono accessibili dalla coscienza e che possono
influenzare i processi di elaborazione delle informazioni. Stati di attivazione
emotiva che superano la finestra di tolleranza possono generare pensieri e
comportamenti disorganizzati. In alcuni individui la finestra può essere molto
ristretta, e i processi emozionali possono diventare consci soltanto quando il loro
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grado di intensità è molto vicino ai livelli oltre i quali si producono questi effetti
disorganizzanti. In altri il sistema della mente può invece tollerare stati emotivi
anche molto intensi, che sono facilmente accessibili dalla coscienza,
indipendentemente dalla loro natura piacevole (nel caso di gioia o amore) o
spiacevole (rabbia, tristezza). Va inoltre considerato che l'ampiezza della finestra
varia nel tempo in funzione dello stato della mente, della valenza emozionale
specifica e del contesto sociale in cui l'emozione è generata. Per esempio noi
siamo in grado di gestire situazioni che generano stress in maniera più efficace
quando ci troviamo in presenza di persone alle quali siamo legate, che ci
capiscono e amano.
Tutto ciò può essere spiegato in termini di attività del sistema nervoso autonomo.
Una eccessiva attività del sistema simpatico si traduce infatti in un aumento della
frequenza cardiaca e respiratoria e in una sensazione di tensione generalizzata. Al
contrario, un'eccessiva attivazione del sistema parasimpatico produce processi che
tendono al risparmio di energia, diminuendo battiti cardiaci, respirazione e attività
mentale. A volte i due sistemi si attivano contemporaneamente inducendo una
sensazione di "perdita di controllo", come se stessimo guidando l'auto e
pigiassimo acceleratore e freno insieme.
In queste condizioni le funzioni cerebrali superiori sono compromesse. Il pensiero
razionale diventa impossibile e prevalgono le reazioni di natura automatica e
riflessa; le funzioni integrative delle emozioni, in cui processi di autoregolazione
permettono interazioni elastiche e adattive con l'ambiente, sono temporaneamente
sospese.
I limiti della finestra di tolleranza di una persona sono determinati sia da
caratteristiche costituzionali (il temperamento), sia da precedenti esperienze, e
sono influenzati pesantemente da condizioni fisiologiche contingenti; per esempio
la fame e la sete ci rendono particolarmente irritabili e vulnerabili a livello
emotivo. Persone costituzionalmente timide possono trovarsi profondamente a
disagio di fronte ad emozioni intense di qualsiasi tipo, e tendono a cercare
ambienti familiari, che non evocano queste sensazioni disturbanti e
disorganizzanti; nell'ambito di contesti sociali che prevedono la vicinanza di
figure di attaccamento con cui hanno relazioni sicure sono in grado di affrontare
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situazioni per loro nuove, ma in assenza di tali condizioni possono assumere
comportamenti di allontanamento e diventare socialmente isolati. All'estremo
opposto si trovano le persone che in situazioni per loro nuove provano un senso di
piacere ed eccitazione senza alcuna ripercussione sul loro equilibrio interno.
I bambini che hanno questo secondo tipo di atteggiamento, più aperto ed
esplorativo nei confronti del mondo esterno, in genere rendono la vita più facile ai
loro genitori; al contrario, quelli con temperamenti più difficili, irritabili e
capricciosi hanno spesso reazioni che oltrepassano i margini della loro finestra di
tolleranza, diventando un serio problema per i genitori. Tuttavia, nella
maggioranza dei casi, questi bambini crescendo sviluppano capacità via via più
sofisticate di regolazione delle emozioni, e questi loro "scoppi emotivi" diventano
meno frequenti.
Le finestre di tolleranza risentono anche di influenze legate alla storia delle
passate esperienze. Per esempio, in individui che durante l'infanzia hanno spesso
avuto esperienze in cui hanno provato paura, questa emozione può essere
associata a un senso di terrore e sgomento profondamente disorganizzanti; la
ripetuta sensazione di essere lasciati soli ad affrontare queste emozioni, senza
nessuno che li possa confortare e tranquillizzare, può portare a un mancato
sviluppo delle capacità di calmare e controllare tali stati, e a una riduzione dei
limiti di tolleranza. La finestra di tolleranza di un individuo dipende inoltre da
quello che è il suo stato della mente in un determinato momento. Se ci sentiamo
emotivamente "esauriti", siamo fisicamente esausti o veniamo sorpresi da
un'interazione imprevista, è probabile che i nostri margini di tolleranza siano
diminuiti. In queste condizioni possiamo diventare tesi e agitati, ed essere
visibilmente turbati da stimoli ai quali normalmente reagiamo con emozioni più
contenute.
1.6 Processi di ritorno entro i margini di tolleranza
Quando l'intensità di uno stato di arousal supera i confini della finestra di
tolleranza, la mente può essere sommersa da un'ondata di emozioni che coinvolge
tutta una serie di processi, dal pensiero razionale al comportamento sociale, e che
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può travolgere anche la coscienza (Goleman, 1995). In situazioni di questo tipo,
l'individuo ha spesso la sensazione di aver perso il controllo di pensieri e azioni, e
la sua mente può essere invasa da rappresentazioni visive che simbolizzano lo
stato emotivo. Per esempio, quando sono in collera, alcuni possono letteralmente
"vedere rosso", o avere immagini di se stessi che aggrediscono l'oggetto della loro
rabbia, e compiere atti violenti e distruttivi che in condizioni normali non sono
parte del loro repertorio comportamentale.
Emozioni, significati e interazioni sociali sono mediati dagli stessi circuiti
cerebrali; le modalità con cui tali informazioni vengono elaborate dipendono dalla
realtà biologica delle strutture del cervello, che modellano direttamente le funzioni
della mente. Per esempio, a livello della corteccia orbito-frontale, una delle
regioni centrali nel processing delle emozioni, convergono input che provengono
da aree anatomicamente distinte, e informazioni che coinvolgono processi
cognitivi sociali, coscienza autonoetica, sensazioni, percezioni, rappresentazioni
di varia natura come parole, concetti, marker somatici che si riferiscono agli stati
fisiologici dell'organismo e alle attività del sistema nervoso autonomo (Shore,
1994). La possibilità di rispondere in maniera adattiva al significato personale di
un evento, e non semplicemente con una reazione automatica e riflessa, si basa
sulla capacità di integrare in modo flessibile questi processi prefrontali.
Si ritiene che negli stati di arousal eccessivo i processi "superiori" mediati dai
circuiti neocorticali siano invece sospesi, e che la direzione dei flussi di energia
all'interno del cervello, e in particolare a livello delle regioni orbito-frontali, siano
determinati principalmente da input generati da strutture "inferiori" di
elaborazione delle informazioni (centri del tronco encefalico, circuiti sensoriali,
aree limbiche). In questo modo, il superamento della finestra di tolleranza si
accompagna, a livello neurologico, a un'inibizione dei meccanismi percettivi e
razionali superiori, mentre assumono un ruolo dominante le attività somatiche e
sensoriali più "elementari". Noi non pensiamo più: "sentiamo" intensamente e
agiamo in maniera impulsiva; in altre parole, entriamo in uno stato in cui
potenzialmente prevalgono risposte riflesse a stimoli somatici e sensoriali primari.
Ma in che modo la mente si "riprende" da stati in cui le funzioni corticali superiori
e le capacità di riflettere sui propri pensieri e comportamenti sono sospese? Questi
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processi di recupero variano da individuo a individuo, e ancora una volta
dipendono, oltre che dalle caratteristiche costituzionali e dalla storia personale, dal
contesto e dalla natura dello stato specifico. Per esempio, se ci sentiamo traditi da
un amico di cui ci fidavamo ciecamente, riuscire a riemergere da uno stato di
profonda rabbia e tristezza può essere particolarmente difficile, mentre delusioni
generate da persone a cui siamo meno legati, o riconosciute come tendenzialmente
inaffidabili, possono indurre reazioni di collera che vengono rapidamente smaltite.
Per uscire da questi stati la mente deve ridurre gli effetti disorganizzanti prodotti
da un particolare episodio di arousal emozionale. Ciò può avvenire attraverso
processi fisiologici di base, in cui i meccanismi di valutazione riportano i livelli di
attivazione entro margini tollerabili diminuendo l'intensità dello stato di arousal e
limitando il numero di circuiti e gruppi neuronali coinvolti. Possono venire inoltre
progressivamente riattivate funzioni corticali più complesse, che permettono
processi metacognitivi di riflessione su se stessi e di controllo degli impulsi; in
generale, la capacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui svolge un ruolo
importante in questo particolare aspetto della regolazione delle emozioni. Un
recupero anche parziale di queste attività corticali può consentire all'individuo di
alterare le caratteristiche dello stato emotivo e di sopportare livelli di arousal
precedentemente incontrollabili. Per esempio, travolti dalla collera nei confronti
dell'amico che ci ha ingannato, possiamo scoprire che rievocando vecchi ricordi
della nostra passata relazione con lui possiamo trasformare la natura e l'intensità
di questa esperienza emozionale, sostituendo alla rabbia un senso di perdita e di
grande tristezza che riusciamo più facilmente a tollerare. Tuttavia, per alcuni
arrivare a controllare stati emotivi eccessivamente intensi può essere
estremamente difficile, indipendentemente dalla loro natura; per queste persone la
vita può diventare una serie continua di sforzi tesi ad evitare situazioni che
potrebbero generare emozioni troppo forti, nel tentativo di difendere e di
mantenere l'equilibrio del loro sistema. Tali individui possono diventare schiavi
della propria instabilità emotiva.
Le emozioni svolgono un ruolo centrale nei processi di autoregolazione della
mente. Risulta inevitabile che i processi di arousal emozionale a volte superino la
nostra soglia di tolleranza, qualunque essa sia; in assenza di processi di recupero
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efficaci, questi momenti possono però trasformarsi in prolungati stati di
disorganizzazione, che possono essere pericolosi per noi e per gli altri. La capacità
di rientrare entro i limiti della finestra di tolleranza, in sostanza, permette ai
processi auto-organizzazione del sistema di ritornare ad un flusso di stati che si
muovono in maniera equilibrata verso una maggiore complessità, evitando, ai due
estremi, attivazioni eccessivamente rigide o eccessivamente casuali e caotiche. Il
sistema della mente diventa così maggiormente adattivo, sintonizzandosi su
variabili interne ed esterne in maniera più flessibile, e aumentando i suoi livelli di
complessità e di stabilità.
1.7 Accesso alla coscienza
In ogni momento le attività dei nostri sistemi di valutazione influenzano tutte le
funzioni della mente, attraverso meccanismi che non richiedono necessariamente
una partecipazione della coscienza. Le emozioni sono un insieme di processi
fondamentali direttamente correlati all'attribuzione di significati, alla
comunicazione sociale, ai meccanismi attenzionali e all'elaborazione delle
percezioni. Le emozioni dirigono i flussi di attivazione (energia) e stabiliscono il
significato delle rappresentazioni (informazioni) ed hanno dunque un ruolo
centrale nel determinare le attività del sistema della mente nel suo complesso.
Una grande quantità di dati supporta l'idea secondo la quale solo una minima parte
delle nostre attività mentali avvenga a livello conscio (Kihlstrom, 1987).
Percezione, memoria, emozioni, interazioni sociali sono tutti processi che
avvengono per lo più al di fuori della coscienza. Questi processi inconsci
costituiscono le basi delle funzioni della mente, influenzano profondamente i
nostri sentimenti, pensieri e comportamenti, e possono emergere improvvisamente
nella nostra mente conscia (per esempio quando ci mettiamo a piangere ancor
prima di diventare consapevoli di provare un senso di tristezza). In generale
possiamo dire che il Sé non è formato da una parte conscia e da una inconscia,
separate da una netta linea di demarcazione; piuttosto, il Sé è creato da processi
inconsci, e dalla selettiva associazione di questi processi in un'entità che
chiamiamo "coscienza". In altre parole, noi siamo molto, molto di più dei nostri
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processi consci.
A cosa serve la coscienza? Le risposte possibili sono diverse, fra le quali quella
secondo cui i processi che vengono collegati all'interno della coscienza possono
essere manipolati e alterati intenzionalmente, allo scopo di produrre risposte
maggiormente adattive. La coscienza ci permette di modificare reazioni
automatiche e riflesse e di introdurre elementi di "scelta" nei nostri
comportamenti. Quando qualcosa ci turba e noi ne conosciamo la causa possiamo
intervenire attivamente per risolvere il problema.
La coscienza è collegata ai meccanismi attenzionali e alla memoria di lavoro. Tale
memoria è una sorta di deposito temporaneo che ci permette di tenere a mente e di
riflettere simultaneamente su una serie di informazioni e dati diversi. Queste
riflessioni ci consentono di manipolare le varie rappresentazioni, di elaborarle
ulteriormente e di stabilire fra loro nuove associazioni. Attraverso questo sistema,
la memoria di lavoro permette processi di autoriflessione e "scelte" cognitive; in
altre parole, rende possibili intenzioni personali e comportamenti deliberati e
strategici, che non sono il risultato di riflessi automatici.
I processi emozionali - la fase di orientamento iniziale, i meccanismi di arousal e
valutazione, la differenziazione degli stati primari - si svolgono in genere al di
fuori della coscienza; la consapevolezza di tali processi si manifesta con le
sensazioni qualitative associate alle emozioni, e con tutta la gamma di quelli che
possiamo chiamare i nostri "sentimenti". I "sentimenti" coinvolgono dunque
energia, impulsi comportamentali, significati o emozioni fondamentali. Essi
giungono sino al livello della coscienza poiché ci permettono di attribuire dei
significati a ciò che stiamo provando e di conseguenza ci permettono di
rispondere in maniera più flessibile agli stimoli ambientali. Inoltre la
consapevolezza delle nostre emozioni è fondamentale per la nostra stessa
sopravvivenza in quanto esseri sociali: ci permette di riconoscere intenzioni e
motivazioni, nostre e altrui, e di gestire le complesse interazioni con il mondo
interpersonale in maniera più efficace e adeguata al soddisfacimento dei nostri
bisogni e al raggiungimento dei nostri obiettivi.
La coscienza può influenzare l'outcome dei processi emozionali: permette
processi di autoriflessione, che a loro volta rendono possibile la mobilizzazione di
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pensieri e comportamenti che facilitano il raggiungimento di particolari obiettivi,
attraverso l'acquisizione di nuovi livelli di integrazione. Per esempio, se siamo
consapevoli di essere tristi perché un nostro amico si è trasferito in un'altra città,
possiamo decidere di telefonargli, o di scrivergli una lettera; al contrario, se la
nostra tristezza rimane inconscia è possibile che non cercheremo mai di ristabilire
i contatti con questa persona. La coscienza svolge dunque l'importante funzione di
modulare i flussi di energia all'interno del cervello, coinvolgendo strutture
cerebrali deputate all'elaborazione di tali flussi, raggiungendo così un livello di
integrazione maggiore. Questo porta ad una risposta adattiva che va ben oltre la
semplice reazione automatica o riflessa.
I processi di valutazione portano all'attivazione di gruppi neurali distinti nella
creazione di un determinato stato della mente; la partecipazione della coscienza a
questo insieme di attivazioni permette il reclutamento di nuove associazioni
all'interno della memoria di lavoro, la lavagna della mente. Coinvolgendo i
sistemi linguistici e le funzioni autonoetiche, la coscienza ci consente di riflettere
sul passato e sul futuro, e quindi di andare oltre i limiti di quelle che sono le nostre
esperienze del momento (Edelman, 1992). Essere consapevoli delle nostre
emozioni ci permette inoltre di elaborare risposte più adeguate al raggiungimento
di obiettivi specifici, che non sarebbero possibili senza la partecipazione della
coscienza.
1.8 Espressioni esteriori
Fin dai primi giorni di vita le emozioni costituiscono sia gli strumenti, sia i
contenuti delle comunicazioni che si stabiliscono fra genitore e figlio. Per metterla
in termini molto semplici, lo stato interno del bambino viene percepito dai
genitori, che si sintonizzano con tale stato; il bambino a sua volta percepisce la
risposta dei genitori, e si crea un accordo affettivo reciproco. Più tardi i genitori
possono anche utilizzare parole per definire sensazioni e stati della mente del
figlio; possono dire, per esempio, che si sente felice, spaventato o triste, fornendo
al bambino un'esperienza verbale interattiva che gli permette di identificare e
condividere il suo stato emozionale. Queste forme precoci di comunicazione
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consentono al bambino di sviluppare "l'idea" che la sua vita emozionale può
essere condivisa con gli altri, nell'ambito di relazioni che possono essere fonte di
sicurezza e conforto.
Entro il suo secondo anno di vita il bambino in genere apprende inoltre a
nascondere le sue emozioni in determinati contesti sociali. Per esempio, se vuole
fortemente qualche cosa, ma ha imparato che il fatto che lui mostri un interesse
nei confronti dell'oggetto in questione suscita inevitabilmente reazioni di collera
da parte dei genitori, il bambino potrà ritenere più saggio assumere un
atteggiamento impassibile, che non rivela la vera natura del suo stato emotivo. In
noi adulti queste capacità di "dissimulazione" sono in genere molto sviluppate, e
ci permettono di agire in maniera socialmente più appropriata, mascherando
emozioni che potrebbero indurre critiche o aspre reazioni da parte di altre persone.
Cultura e ambiente familiare svolgono un ruolo centrale nel determinare le
modalità con cui il bambino apprende queste convenzioni e norme spesso non
scritte che regolano l'espressione emozionale, da alcuni definite spesso come
"regole dell'esibizione" (Malatesta-Magai, 1991).
Studi condotti in diverse popolazioni e culture dimostrano che bambini e adulti
possono manifestare le loro emozioni in modo molto diverso se sono da soli o in
presenza di estranei. Per esempio, in un esperimento su un gruppo di soggetti
giapponesi, a cui veniva chiesto di guardare un film particolarmente "stimolante"
dal punto di vista emotivo, si è osservato che gli individui esaminati avevano
espressioni facciali che mostravano in maniera abbastanza evidente le loro
emozioni quando guardavano il film seduti da soli nella stanza; al contrario, se era
presente il ricercatore i loro visi erano imperturbabili, con espressioni sorridenti
ed educate che non lasciavano trapelare alcuna emozione (LeDoux, 1996). Ma se
le norme culturali in determinate situazioni ci dicono di non esprimere le nostre
emozioni, ciò può ripercuotersi negativamente sulle modalità con cui diventiamo
consapevoli delle nostre risposte emotive? In effetti, sembrerebbe proprio di sì;
come abbiamo visto in precedenza, il nostro cervello crea rappresentazioni che si
riferiscono alle reazione del corpo e le utilizza come informazioni che gli
consentono di verificare "come ci sentiamo" (Johnson, Hugdahl, 1991; Ekman,
1992b; Etcoff, Magee, 1992; Allman, Brothers, 1994; LeDoux, 1996).