i
Introduzione
.
Il presente lavoro tenta di spiegare quali saranno i risvolti economici dell’applicazione di
Basilea III, la Nuova regolamentazione bancaria internazionale. Molti sostengono che le
previsioni del Comitato di Basilea indicano la strada per un sistema finanziario più
stabile. Altri, invece, hanno messo in luce taluni costi che potrebbero rallentare la
crescita economica futura e alcuni difetti che impedirebbero il buon funzionamento della
stessa Basilea III.
In questo lavoro saranno analizzati criticamente entrambi i punti di vista, mettendo in
evidenza i pregi e i difetti, gli elogi e le critiche verso la nuova regolamentazione alla
luce del contesto economico odierno. L’analisi si soffermerà inizialmente sull’impatto
della regolamentazione sul comportamento bancario per poi focalizzarsi sugli effetti
indiretti sulle Piccole e medie imprese e più precisamente sulla possibilità e l’ampiezza
di un possibile Credit Crunch.
La crisi finanziaria dell’agosto 2007 ha messo in evidenza gli enormi difetti di Basilea II.
Basilea III rappresenta il passo finale di un processo di modifica delle regole previgenti
che tenta di rendere il sistema finanziario più stabile tramite il rafforzamento della
stabilità e sicurezza del sistema bancario in caso di shock economici negativi.
Il lavoro, per chiarezza e completezza espositiva, sarà diviso in tre parti. Nella prima sarà
riportato il lavoro svolto dal Comitato di Basilea dal 1988 al 2011.
Infatti, nel Primo Capitolo, oltre a spiegare cosa è, quando si è formato e da chi è formato
il Comitato di Basilea, saranno riproposte le vecchie regolamentazioni introdotte nel
tempo (Basilea I e Basilea II). Sembra alquanto necessario puntualizzare che nonostante
siano antecedenti, la loro conoscenza è necessaria e obbligatoria per comprendere al
meglio la nuova. Per completezza espositiva si è deciso, quindi, di dare notevole spazio
anche al lavoro svolto nel passato dal Comitato.
Nel Secondo Capitolo, invece, sarà delineata la nuova regolamentazione: Basilea III.
Quest’ultima si differenzia dalle precedenti. Infatti, come si metterà in evidenza, essa
rappresenta una parte di quelle norme emanate per rispondere alla crisi finanziaria 2007-
2008. Effettivamente, già durante il 2008 erano state apportate sostanziali modifiche a
Basilea II proprio in questo senso, quindi, Basilea III rappresenta solo l’ultimo tassello
del puzzle.
ii
La nuova regolamentazione, inoltre, non rappresenta uno sconvolgimento delle carte in
tavola bensì un ampliamento dei confini della precedente. Il passaggio a una “visione di
sistema” è chiaro e netto. Le nuove regole adottate dai singoli istituti devono creare
idealmente uno “scudo” contro la propagazione delle crisi finanziarie. I vecchi principi di
base rimangono gli stessi (adeguatezza e solidità patrimoniale, aumento della
competitività bancaria internazionale) e su questo non c’è ombra di dubbio ma ora alle
banche viene chiesto (anzi imposto) di assorbire gli shock negativi piuttosto che
propagarli ad altri istituti e all’economia reale. In questo senso, si può notare la
differenza della neonata Basilea III rispetto alle sue antecedenti.
La seconda parte del lavoro, invece, sarà dedicata a un’analisi COSTI-BENEFICI delle
nuove norme introdotte con Basilea III (in molti studi ci si riferirà al costo dell’aumento
minimo dei coefficienti di Patrimonio).
Nel Terzo Capitolo ci si occuperà dei probabili benefici della nuova regolamentazione.
La parte iniziale sarà dedicata all’esposizione del costo delle crisi finanziarie passate,
essendo quest’ultime il termine di paragone usato per comprendere quali e che peso
avranno i benefici futuri delle nuove regole del Comitato.
In seconda battuta, grazie alla vasta letteratura e alle analisi dello stesso Comitato,
verranno quantificati tali benefici.
Nella parte finale verrà riportata un’analisi della solidità bancaria odierna grazie ai
risultati degli Stress Test condotti dalle autorità Monetarie Europee e Americane.
Conoscere quanto siano solide le banche oggi, può dare l’idea dell’impatto futuro delle
nuove regole contenute in Basilea III.
Nel Quarto Capitolo, invece, verranno delineati i probabili costi della nuova
regolamentazione. La letteratura, qui, si sofferma anche sui costi di transizione di Basilea
III. Con l’aiuto della letteratura e delle analisi svolte dal Comitato riporteremo, in primis,
i costi di transizione di Basilea III (2013-2019) e successivamente quelli di lungo
periodo. Inoltre, una maggiore attenzione sarà posta sul rapporto Banca – Impresa alla
luce delle nuove regole, sottolineando quali saranno i possibili risvolti per l’accesso al
credito delle imprese e analizzando specificatamente il caso Piccole Medie imprese
(PMI).
Nelle conclusioni, per quanto possibile, verrà effettuato un confronto tra costi e benefici.
La terza e ultima parte del lavoro, è rappresentata da una ricerca empirica. Infatti, nel
Quinto e ultimo Capitolo dopo aver inizialmente delineato le linee guida della ricerca,
l’analisi si soffermerà su: i) la risposta comportamentale degli Istituti Italiani in seguito
iii
all’introduzione delle regole di Basilea II; ii) la posizione odierna degli Istituti italiani
all’alba dell’entrata in vigore di Basilea III; iii) le preoccupazioni e le sfide future che
attendono le banche e l’economia Italiana e più precisamente le Piccole e medie imprese.
Nel caso Italiano, Basilea III ha aperto grandi dibattiti. Le banche, causa l’elevata
dipendenza della miriade di piccole imprese (cioè quasi la totalità) dai finanziamenti
bancari, rappresentano un ingranaggio fondamentale per l’economia italiana e,
mantenendo gli altri fattori fermi, hanno un’elevata influenza, positiva o negativa a
seconda dei casi, sulla crescita dell’economia italiana.
1
Primo Capitolo
IL COMITATO DI BASILEA E GLI ACCORDI SUL CAPITALE
1 Il Comitato di Basilea
Verso la fine del 1974 i governatori delle Banche Centrali dei dieci paesi più
industrializzati
1
decisero di fondare il Comitato di Basilea. Quest’ultimo rappresentava
una risposta ai seri disturbi creatisi nei mercati valutari e bancari dell’epoca
2
. Il
Comitato, che ha sede in Svizzera a Basilea e opera all’interno della Bank for
International Settlements
3
, si riunì per la prima volta nel 1975 e da allora, regolarmente,
si riunisce quattro volte l’anno.
Col passare del tempo, nuovi Paesi hanno deciso di diventare membri del Comitato.
Infatti, si sono aggiunti: l’Argentina, il Lussemburgo, l’Australia, la Mexico, il Brasile, la
Russia, l’Arabia Saudita, Cina, Singapore, il Sud Africa, la Spagna, Hong Kong SAR,
l’India, l’Indonesia, la Turchia, la Korea.
Ogni paese è rappresentato dalla propria Banca Centrale e dalle Autorità con formale
responsabilità per la Vigilanza Prudenziale Bancaria che non sono Banche Centrali.
L’obiettivo principale del Comitato è sempre stato quello di migliorare la qualità della
Vigilanza Bancaria a livello mondiale, tramite la scelta di politiche comuni (a livello dei
Paesi Membri) che evitassero che norme e procedure individuali a livello Nazionale
procurassero effetti negativi a livello finanziario globale.
Il Comitato ha cercato di perseguire quest’obiettivo in tre modi:
4
• Attraverso lo scambio di informazioni sulle disposizioni di Vigilanza
Bancaria Nazionale;
• Migliorando l’efficacia delle tecniche per la Vigilanza bancaria
Internazionale;
1
Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia, Svizzera,
conosciuti come il Gruppo dei Dieci.
2
Gli avvenimenti che rendevano esplicito il problema furono i fallimenti della Long Island’s Franklin National Bank
negli Stati Uniti e della Bankhaus Herstatt nella Germania dell’Ovest.
3
Bank for International Settlements è un’organizzazione internazionale che promuove la cooperazione monetaria e
finanziaria su scala mondiale e funge da banca delle banche centrali.
4
Bank for International Settlements, Agosto 2009, “History of the Basel Committee and its Membership”, pag. 1.
2
• Introducendo Standard di Vigilanza minimi in aree dove poteva essere
utile;
Gli accordi raggiunti dal Comitato devono essere recepiti dai singoli Stati Membri poiché
esso non ha autorità sovranazionale. Proprio per questo, il Comitato incoraggia la
cooperazione a livello internazionale e l’utilizzo di Standard comuni tramite la
formulazione di raccomandazioni, linee-giuda e documenti.
A livello organizzativo il Comitato di Basilea è suddiviso in quattro sub-Comitati:
5
• The Standard Implementation Group;
• The Policy Development Group;
• The Accounting Task force;
• The Basel Consultative Group;
Il primo è stato creato per scambiare informazioni e promuovere l’applicazione coerente
del Framework di Basilea II. Al suo interno lavorano quattro sotto gruppi (The
Operational Risk Subgroup, The Task Force on Colleges, The Task Force on
Remuneration, The Standards Monitoring Procedures Task Force).
Il secondo si occupa di identificare ed esaminare le problematiche della vigilanza
bancaria e, inoltre, propone e sviluppa policies per un Sistema Bancario solido e alti
Standard di Vigilanza. Quest ‘ultimo, a sua volta, è suddiviso in altri sette sotto-gruppi:
the Risk Management and Modelling Group (RMMG), the Research Task Force (RTF),
the Working Group on Liquidity, the Definition of Capital Subgroup, the Capital
Monitoring Group, the Trading Book Group (TBG) and the Cross-border Bank
Resolution Group.
Il terzo sub-Comitato lavora per garantire che i Principi contabili Internazionali siano in
linea con i principi ai quali si ispira il Comitato di Basilea (solidità e sicurezza del
Sistema Bancario e trasparenza di mercato).
Il quarto e ultimo Sub-Comitato, invece, gestisce le relazioni tra il Comitato e le autorità
di Vigilanza dei Paesi membri e non, in tutto il mondo.
A Capo del Comitato di Basilea, attualmente, risiede il Governatore della Sveriges
Riksbank, Mr. Stefan Ingves.
5
http://www.bis.org/bcbs/about.htm
3
4
2 Basilea I
Il lavoro nei primi anni di vita del comitato di Basilea aveva come obiettivo, tramite la
pubblicazione di alcune proposte, la convergenza internazionale delle regolamentazioni
di Vigilanza che disciplinano l’adeguatezza patrimoniale delle banche a livello
internazionale. Dopo alcune pubblicazioni nel 1987 e il successivo processo di
consultazione del Gruppo dei Dieci (che modificò la proposta originaria in alcune parti),
nel 1988 il Comitato presenta un rapporto denominato “Convergenza internazionale della
misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi” più comunemente
conosciuto come “Accordo di Basilea “ o “Basilea I”.
Gli obiettivi fondamentali di tale documento erano:
6
• La creazione di un modello che migliori solidità e stabilità del Sistema
Bancario Internazionale;
• L’applicazione coerente del modello alle banche dei differenti paesi con lo
scopo di ridurre la diseguaglianza competitiva (causata da
regolamentazioni nazionali non raccordate);
L’Accordo era rivolto alle banche con attività sovranazionale, salvo la possibilità dei
singoli Paesi di estendere la normativa a tutte le Banche Nazionali.
Dopo esser stato recepito dai governatori centrali del Gruppo dei Dieci, nel tempo altri
paesi si sono allineati recependo l’accordo. A oggi sono 100 i paesi aderenti.
Il principio di base dell’Accordo era molto semplice; se si vuole incrementare l’attivo e il
livello di rischio medio assunto dalla banca, si deve detenere una maggiore quantità di
patrimonio.
Il principio era stato pensato per assicurare stabilità e sopravvivenza agli istituti di
credito nel caso di insolvenza dei propri clienti, evitando così il fallimento dell’istituto e
la nascita di un “effetto domino” che avrebbe coinvolto altri soggetti economici creando
fenomeni di recessione prima nazionali e poi globali.
L’Accordo introduceva due definizioni fondamentali: “Patrimonio di Vigilanza”e “Attivo
ponderato per il rischio”. Il primo, secondo il Comitato, doveva essere definito
individuando due classi di componenti: Il patrimonio base (Tier 1) e il patrimonio
supplementare (Tier 2).
6
Bank for International Settlements, Luglio 1988, “International Convergence of Capital Measurement and Capital
Standards” pag.1.
5
La seguente tabella illustra le componenti dei singoli patrimoni e le deduzioni dalla base
del patrimonio usato ai fini di calcolo.
Tabella 1.1 Patrimonio di Vigilanza
Possibili deduzioni
Patrimonio
di
Vigilanza
Patrimonio di
base
1. capitale
azionario
versato
2. Riserve Palesi
1. Avviamento
1. Partecipazioni
in banche e
istituzioni
finanziarie
affiliate
2. Partecipazioni
in quote di
capitale di
altre banche e
istituzioni
finanziarie (a
discrezione
delle Autorità
Nazionali)
Patrimonio
supplementare
1. Riserve occulte
2. Riserve di
rivalutazione
3. Accantonamenti
generali/Riserve
generali per
perdite su
crediti
4. Strumenti ibridi
di capitale-
debito
5. Prestiti
Subordinati a
scadenza
determinata
Ns. adattamento da: Bank for International Settlements, Luglio 1988, “International Convergence
of Capital Measurement and Capital Standards”, Annex 1.
Il Patrimonio di Vigilanza doveva essere formato almeno per il 50% dal patrimonio di
base mentre la computazione degli elementi del patrimonio supplementare doveva essere
limitata a un importo pari al 100% del capitale di base.
Per quanto riguarda l’Attivo ponderato in base al rischio, il principio base era quello di
ponderare ogni singola attività a bilancio in base al proprio rischio intrinseco. In
principio si tenne conto del solo rischio creditizio, ossia quello che deriva da una
possibile insolvenza della controparte
7
.
7
Il rischio di tasso d’interesse nel portafoglio bancario e altri rischi, quali il rischio operativo, di liquidità, legale e di
reputazione, non erano trattati in modo esplicito. Implicitamente, tuttavia, l’attuale Accordo tiene conto di tali rischi
stabilendo un coefficiente minimo che comprende un dato margine a copertura dei rischi non quantificati.
6
La tabella 1.2 mostra in maniera semplificata i coefficienti di ponderazione a fronte del
rischio di credito.
Tabella 1.2 Fattori di ponderazione del rischio per categoria di attività a bilancio
0%
Valori di cassa;
Attività verso le amministrazioni centrali e le banche centrali, comprese
quelle dell’area OCSE;
0%, 10%, 20%, o
50% (a discrezione
delle autorità
Nazionali)
Attività verso enti del settore pubblico interno, esclusa
l’amministrazione centrale, e attività garantite da tali enti o assistite da
garanzia reale in titoli emessi dai medesimi;
20%
Attività verso banche multilaterali di sviluppo;
Attività verso banche con sede nell’area OCSE e attività garantite da
tali banche;
Attività verso società di intermediazione mobiliare con sede nell’area
OCSE assoggettate a disciplina prudenziale e regolamentare
comparabile, fra cui in particolare requisiti patrimoniali basati sul
rischio, e attività garantite da tali società di intermediazione;
Attività verso enti del settore pubblico, esclusa l’amministrazione
centrale, di paesi esteri compresi nell’area OCSE;
50%
Prestiti integralmente garantiti da ipoteca su immobili residenziali che
sono occupati dal mutuatario oppure che sono locati.
100%
Attività verso il settore privato;
Attività verso imprese commerciali a capitale pubblico;
Tutte le altre attività;
Ns. adattamento da: Bank for International Settlements, Luglio 1988, International Convergence
of Capital Measurement and Capital Standards, Annex 2.
I fattori di ponderazione, comunque, non tenevano conto dell’affidabilità e della solidità
delle garanzie della controparte. La loro suddivisione era effettuata solo in base al tipo di
controparte cui erano concessi prestiti.
In seguito, e solo nel 1996, grazie all’introduzione di un emendamento al documento di
Convergenza Internazionale, il Comitato introdusse la misurazione del rischio di
mercato. Quest’ultimo derivava dalle possibili perdite derivanti dalle fluttuazioni dei
prezzi delle attività finanziarie intermediate (portafogli obbligazionari e azionari). Data
l’introduzione di questo nuovo tipo di rischio, fu previsto che le banche, a discrezione
7
delle Autorità di Vigilanza, potessero usufruire di una terza Classe di Patrimonio (Tier 3)
da usare unicamente per la copertura del rischio di mercato
8
. Questa terza classe poteva
essere formata solo da debiti subordinati a breve termine.
Per il calcolo del requisito patrimoniale, quindi, si valutava in primis il rischio di credito
e solo successivamente il rischio di mercato. Dopo aver verificato la copertura del rischio
di credito da parte del Tier 1 e 2, si procedeva alla copertura del rischio di mercato
tramite la parte non sfruttata delle prime due classi e del Tier 3.
Il Comitato dopo aver inquadrato i coefficienti di ponderazione del rischio, alla luce di
consultazioni e sperimentazioni del modello di misurazione, convenne che il coefficiente
minimo di capitale in rapporto alle attività ponderate in base al rischio doveva essere
fissato nella misura dell’8% (di cui almeno il 4% coperto dal patrimonio base).
La formula che segue rappresenta il vincolo che le Banche dovevano rispettare una volta
accettato l’Accordo di Basilea:
9
Coefficiente
minimo di capitale
≤
Patrimonio di Vigilanza
Attivo ponderato per il rischio
(di credito e di mercato)
2.1 L’impatto e limiti del Primo accordo
E’ innegabile che l’accordo di Basilea e suoi successivi emendamenti
10
abbiano
rafforzato la solidità e la stabilità del sistema bancario internazionale.
8
International Bank for Settlements, 1996, “Amendment to Capital Accord to incorporate market risks” pag.8.
9
Jablecki J., 2009, “The Impact of Basel I Capital Requirements on Bank Behavior and the Efficacy of Monetary
Policy “, International Journal of Economic Sciences and Applied Research, Vol. 2, No. 1, pag. 18.
10
Gli emendamenti al documento originario del 1988 sono stati i seguenti:
1. Emendamento del novembre 1991 (sugli accantonamenti generali) dei paragrafi 18-21 nel corpo del testo e
del paragrafo D nell’Allegato 1;
2. Emendamento del luglio 1994 (sui criteri di ponderazione del rischio per i paesi dell’OCSE) del paragrafo 35
e della nota 2 dell’Allegato 2;
3. Emendamento dell’aprile 1995 concernente l’Allegato 3 (su determinate posizioni fuori bilancio) e le attività
garantite da titoli emessi da enti pubblici non dell’amministrazione centrale nei paesi dell’area OCSE;
4. Emendamento del gennaio 1996 per introdurre il rischio di mercato.
5. Emendamento dell’aprile 1998 concernente l’Allegato 2 (sull’elenco delle attività cui è applicabile un fattore
di ponderazione per il rischio del 20%);